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mercoledì 3 marzo 2021

Scalciando e strillando - Noah Baumbach (1995)

 (Kicking and screaming)

Visto su Netflix.


Un gruppo di amici si trova a riconsiderare le loro vite i loro rapporti e la loro idea di sé stessi arrivati al traguardo della laurea.

Un classico coming of age per neo adulti che non sanno che fare delle loro vite, al giro di boa fra adolescenza e doveri passano il tempo a frustrare le proprie aspettative e parlottare.

Essendo un'opera prima la sceneggiatura è pure troppo ben fatta, ma in maniera obiettiva è ben realizzata, ma fastidiosamente declamatoria; nessuno chiacchiera davvero tutti inveiscono contro il destino avverso che li fa uscire dalla comfort zone... 

Delicato, tranquillo, costruito bene... piuttosto insipido, inutile.

In Italia saremmo arrivati a qualcosa del genere qualche anno dopo con Muccino e un'altra età (ma si sa che da noi si diventa adulti dopo rispetto agli USA), ma negli Stati Uniti questo è un sottogeneri estremamente utilizzato (e rappresentante) del cinema indipendente anni '90; per fortuna abbandonato quasi del tutto. Anche quando realizzato bene, non è un genere che possa mancare.

giovedì 30 aprile 2020

Showgirls - Paul Verhoeven (1995)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Una ragazza arriva a Las Vegas, ha in mente solo di mantenersi e, possibilmente di ballare (la sua passione). Come arriverà nella città nel deserto, sarà derubata e vessata costantemente, sostenuta solo da una ragazza incontrata per caso di cui diverrà amica (e convivente). ovviamente per potersi mantenere (e sfruttare la sua passione) troverà lavoro in un Nightclub.
Con tenacia e doppi giochi verrà assunta nel copro di ballo di un importante teatro dove cercherà di scalare la vetta.

Che belli gli anni '90, si potevano mostrare tette come se non ci fosse un domani in film per tutti, figuriamoci in un film su delle spogliarelliste.
Al di là di ciò, il film offre pochissimo.
Verhoeven ha fondato una carriera sulla carne e sulla violenza e questo film non fa eccezione. Il corpo è esposto e utilizzato in maniera parossistica, la carne è merce, condanna e mezzo per ottenere benefici; la prevaricazione inizia con il furot iniziale e non finirà mai; la protagonista subirà violenze psicologiche da tutti, finché non deciderà di utilizzare lo stesso metodo per ottenere il successo e lo farà con stile finché non si ritorcerà contro (la sua amica).
Verhoeven è quindi dalle sue solite parti, ma stavolta lo fa con una sceneggiatura ridicola e con un cast imbarazzante (non tutti siamo onesti, ma la protagonista è ballisisma, ma non brava, e alcune spalle come il buttafuori totalmetne non in grado di recitare).
L'intera trama, pur essendo lineare, risulta farraginosa, il finale dove c'è vendetta e perdono (entrambi troppo facili, entrambi improvvisi e non troppo motivati) ridicolo nel suo semplicismo sbrigativo.


mercoledì 14 novembre 2018

Terra e libertà - Ken Loach (1995)

(Land and freedom)

Visto in DVD.

Anni '90, un anziano inglese muore, la nipote scopre, nelle sue vecchie lettere, la storia del suo viaggio in Spagna per combattere contro Franco durante la guerra civile. La guerra, la politica, l'amore e l amorte.

Un film di Ken Loach che, tecnicamente è molto poco alla Ken Loach. A livello tematico invece riesce ad essere in linea con l'intento politico del cinema del regista inglese, pur se con dei distinguo.
Si, perché, questo film riesce nella difficile operazione di dare un'aura di eroisma pur mostrando tutti i contrasti interni, gli omicidi intestini e quanto di più antieroico si possa (ok... senza esagerare); un'epica fatta anche di difetti e questo, forse, è la vera forza del film.

Per il resto si tratta di un film storico di guerra molto chiacchierato e poco combattuto; a livello storico è scarsamente significativo perchè, al di là di mostrare una guerra molto sottovalutata fuori dalla Spagna, non spiega nulla. Ma sui dissidi interni alle fronde anti-fasciste da dignità nonostante le gravi conseguenze.
Più che un film storico vero e proprio una grande parabola su quanto sarebbe potuto essere, ma non è stato.

Tutto questo condito con una tale enfasi e un ritmo rilassato che in qualunque momento questo film sarebbe potuto deragliare verso il fallimento; invece Loach (in uno dei suoi momenti migliori) riesce perfettamente a bilanciare gli elementi.

mercoledì 17 gennaio 2018

Operazione Canadian Bacon - Michael Moore (1995)

(Canadian Bacon)

Visto in Dvx.

Finita la guerra fredda il presidente americano cerca un nuovo nemico a cui addossare le colpe di uan cattiva amministrazione; un nemico che potrebbe sostenere una nuova guerra fredda e quindi riaprire le fabbriche di armi e riassorbire la disoccupazione. Per motivi più buffi che sensati la scelta cade sula Canada.

Primo (e finora unico) film di fiction di Michael Moore, scritto e diretto, è una commedia che vorrebbe essere satirica e anche un poco grottesca, ma non riesce mai ed essere qualcosa di più di una farsa caciarona. Personaggi macchiettistici interpretati da attori sempre sopra le righe (l'imbolsito John Candy, qui alla sua ultima interpretazione, riesce ad essere il migliore). La regia è totalmente ininfluente, ma il vero problema è la scrittura. La sceneggiatura si lascia a dare molte frecciatine a temi che Moore svilupperà negli anni successivi (la sanità pubblica, la diffusione delle armi, ecc...), che però rimangono tali, solo frecciatine; troppo poco per essere raffinata satira sociale, troppo poco per essere almeno divertente. Quello che più di tutto sorprende è come, invece, nei documentari, Moore sia semplicemente geniale nel creare, satira, ironia e franco divertimento anche solo con un gioco di montaggio... Giustamente non ha più girato un film di ficition da allora.
Quello che ne vien fuori è un esagerato ed esagitato film farsesco che si lascia guardare quasi senza problemi (verso la fine la stanchezza può arrivare) e si fa dimenticare molto rapidamente.

venerdì 28 luglio 2017

Ghost in the shell - Mamoru Oshii (1995)

(Kôkaku Kidôtai)

Visto in Dvx.

In un futuro distopico dove tutti sono connessi e robot e umani sono convivono con una serie di vie intermedie, due detective androidi sono sulle tracce di un sabotatore estremamente intelligente che manipola le coscienze delle persone per utilizzarle per i suoi scopi. Quando finalmente scopriranno chi c'è dietro, uno dei due cercherà di sconfiggerlo/entrare in contatto nella realtà virtuale.

Siamo davanti a uno dei vertici intellettuali della fantascienza giapponese; un hard boiled fantascientifico  che, per tema macroscopico oltre che per mood, fa subito pensare a "Blade runner", ma di fatto rappresenta uno delle svariate variazioni su un tema molto amato in Giappone.

ma andiamo con ordine; perché questo film è un insieme di eccellenze.
Il tratto, piuttosto canonico, è comunque molto elegante (e molto noir) e l'animazione di livello (e questo in realtà è il minimo che ci si possa spettare), non mi sento di definire ogni inquadratura un capolavoro (come leggo in giro nell'internet), ma certamente le scene sono accuratamente ragionate (ma dopotutto il film è in gestione a Oshii).
I dialoghi sono l'epicentro del film, densi, complessi, estremamente interessanti e mai scontati, rappresentano il piano dove si scontrano i personaggi e sono il motivo per cui quest'opera potrebbe ancora essere utilizzata come base per lo studio filosofico sull'intelligenza artificiale (il concetto di vita e di esistenza esposto in maniera impressionante, il limite fra essere umano e macchina nel momento in cui gli uni si scambiano pezzi di fisico o competenze, ma anche un breve accenno al concetto di memoria e di percezione che verrà poi esploso con "Matrix"). E tutto questo viene fatto senz amai annoiare, magari confondendo parecchio (siamo comunque in un noir e i noir sono complicati), ma annoiare mai.
Il finale che, bisogna ammetterlo, è filosoficamente limitato (e la cosa si nota visti i discorsi tirati in ballo per tutta la durata del film), ma di sicuro effetto, che riesce a essere conclusivo e amaro, tanto quanto aperto e sincretico.
Un ritmo rilassato (che, ripeto, non annoia mai), che si dilunga in sequenze non fondamentali per lo sviluppo della trama, ma che caratterizzano l'ambiente; il tutto senza mai andare a scapito del mood da thriller o delle (poche) sequenze d'azione.
Un'opera di sicuro interesse, di base per molto del cinema distopico venuto dopo e che rimane ancora impressionante. Da vedere.


venerdì 7 luglio 2017

I sospiri del mio cuore - Yoshifumi Kondô (1995)

(Mimi wo sumaseba)

Visto in Dvx.

Una ragazza insegue un uomo immaginario tramite il nome scritto nei cartellini dei libri presi in prestito in biblioteca. Intanto, seguendo un gatto, si ritrova in un negozia di antiquariato quasi magico. Nello stesso momento è impegnata a scrivere una versione giapponese di "Take me home, country roads". Tutte queste cose confluiranno nel farle scrivere un romanzo, il cui risultato, non sarà eccezionale. Solo alla fine di tutto il percorso ci sarà anche l'amore.

Un film quasi senza trama, dove le cose avvengono con caotica indipendenza le une dalle altre (come nella vita). Un po' romanzo di formazione e un po' storia d'amore adolescenziale. Di fatto una trama scontata senza particolari guizzi. Il punto di forza di tutta la vicenda narrata però si trova nel tono; nella levità e nella delicatezza nel trattare temi banali, ma impalpabili; sentimenti trattenuti ed emozioni fatte di niente. Il tutto con un tocco di realismo magico (il gatto) e un sentimento complessivamente positivo nonostante non tuto finisca per il meglio (la storia dell'incontro fra l'uomo giapponese e la donna europea).
In una parola un film per adolescenti che vengono trattati come esseri senzienti e non come dei cretini; un film dove la dichiarazione d'amore sarà goffa e stupida, come deve essere, ma assolutamente sincera (e prima di arrivarci ce ne vorrà davvero tanto).

Ovvio che sapendo chi c'è a scrivere si sente il tocco miyazakiano in una vicenda del genere (riesce pure a inserire qualche sequenza di volo!) e che la cosa rende il tutto più gustoso. Ma quello che si ha davanti è comunque un piccolo film gentile e godibile il cui nei principale è il minutaggio, forse eccessivo per la storia messa in scena.

PS: la versione giapponese della canzone di Denver si può sentire cantata integralmente nei titoli di coda.

mercoledì 14 settembre 2016

Il palloncino bianco - Jafar Panahi (1995)

(Badkonake sefid)

Visto in Dvx.

Ultimo dell'anno, una bambina vuole comprare il tradizionale (credo) pesce rosso; dopo un pò di resistenza la mamma accetta e le da i soldi. La bimba parte e nel lungo tragitto verso il negozio, darà, per sbaglio, i soldi a due incantatori di serpenti, li perderà, si farà aiutare da un'anziana signora a ritrovarli, conoscerà un soldato, verrà raggiunta da un fratello.

Alla sceneggiatura non stupisce la presenza di Kiarostami; la struttura del film infatti ricalca in parte "Dov'è la casa del mio amico?", con un viaggio sociale e metafisico di una bambina in un paesaggio labirintico pieno di intoppi e incomprensioni. Anche qui una favola leggera ricca di avvenimenti e dal ritmo rilassato.
Anche qui il nuovo neorealismo di stampo iraniano, dove la storia reale sublima in una serie di rivoli che possono dare adito a interpretazioni varie, di cui la mia preferita rimane la fiaba in sé. Anche qui una protagonista, non certo dalla recitazione formidabile, ma adatta e perfettamente in parte.
Infine anche qua il ritmo lento che allontana... però rispetto al film di Kiarostami il ritmo è decisamente troppo lento, i lunghi colloqui della bimba con tutti i personaggi incontrati sono ridondanti ed eccessivi (l'inizio con la madre non finisce più) e il senso del fiabesco perde clamorosmanete la sfida con il tedio.
Ben realizzato, scritto con troppa fiducia verso le proprie capacità.

lunedì 30 marzo 2015

Fuga dalla scuola media - Todd Solondz (1995)

(Welcome to the dollhouse)

Visto in Dvx.

Titolo italiano idiota (e fuorviante) per un pezzo di vita di una ragazzina di 13 anni odiata e bistrattata dai compagni di classe, non aiutata dagli insegnanti, con un padre assente, una madre che le preferisce la sorella più piccola e un fratello in piena adolescenza che ha altri pensieri per la testa. Si innamorarà di un amico del fratello, ma sarà "violentata" dal bullo della classe.

Commedia nera dal ritmo ben tenuto che racconta una vita piena di sfighe, ma tutto sommato verosimile di una preadolescente, con qualche impennata di improbabilità (il rapimento della sorella) che servono solo ad alzare l'asticella del grottesco.
Enorme il lavoro nella sceneggiatura per cercare di mettere insieme moltissimi elementi che danno spessore alla vicenza senza modificarla affatto o che servono solo a drammatizzare (dalle bambole a cui viene segata la testa, alla ragazzina che dice alla protagonista che la odia perché è brutta). Perfetto però il clima di odio reciproco in un ambiente dove nessuno comunica e dove le frustrazioni vengono scaricate reciprocamente dal più forte al più debole in una cascata senza fine.

Magnifiche le musiche (alcune classiche altre moderne) spesso utilizzate in maniera strafottente; un film autenticamente sgradevole per ciò che viene messo in scena senza che ci siano esagerazioni eccessive e tutto viene mostrato con la lente deformante di un grottesco ironico; senza una vera trama si rimane catturati dalla sequenza di fatti senza capire dove si andrà a parare.

Essendo opera quasi prima di Solondz qui si vede già molto quello che verrà dopo, dall'interesse per il sesso alla cattiveria verso i suoi protagonisti.

Bravissima la giovane protagonista, meno alcuni dei coetanei di contorno; decisamente migliore la lingua originale che permette di sentire più sfumature e rende giustizia all'età degli attori con voci adeguate.

lunedì 13 ottobre 2014

Prima dell'alba - Richard Linklater (1995)

(Befora sunrise)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un ragazzo americano (tipicamente anni '90 con capelli unti, camice sopra le magliette e fare itnellettuale) proprone ad una ragazza francese appena conosciuta di fermarsi con lui a Vienna per una notte, non avendo i soldi per l'albergo vuole girare per la città fino al mattino dopo quando prenderà l'aereo di ritorno. La ragazza accetterà. Passeranno la notte fra un locale e l'altro a raccontarsi delle proprie vite passate, dei propri desideri, delle proprie emozioni.

Film adolescenziale che mette in campo una serie di chiacchiericci piuttosto scontati, molte volte emotivamente ovvi che colpiscono esattamente il target di romanticherie standard... eppure...
Eppure la scrittura è buona, considerando che questo è un film in cui si parla e basta (non succede nient'altro, mai) il ritmo riesce sempre ad essere tenuto; merito di una scrittura ovvia, ma sempre almeno un minimo interessante; merito della freschezza di scrittura, che mette in bocca a due ventenni quelli che sono pensieri e sentimenti consoni con l'età, magari abusati e scontati, ma sono proprio quelli; merito di una coppia d'attori (fighi, perché seguire le avventure di due cessi non interessa nessuno) veramente bravi, credibili in ogni momento; merito di un'insieme tematico che riesce a buttarci in mezzo una sensazione alla "Stand by me" di tempo che passa, di possibilità che c'erano e non ci sono più; infine merito di una regia muscolare, che si sbatte tantissimo per rendere un camminare in tondo qualcosa di godibile a livello visivo, che cerca di mettere la città non sullo sfondo, ma in primo piano, che con i movimenti di macchina da presa cerca di nascondere l'immobilità della trama, che insiste in inquadrature sempre nuove supportate da una fotografia sempre all'altezza. Inoltre ci si aggiunge un finale aperto non consolatorio, ma liberamente interpretabile... che non è poco.
Poi è ovvio, ora sappiamo tutti che questo film avrà due seguiti a distanza di nove anni che ci riproporranno questi due personaggi che si reincontreranno e dovranno fare i conti con il tempo trascorso, quindi il tema del passato e del mutare delle cose diventerà preponderante e anche le banalità diventeranno fondamentali per portare avanti un discorso più articolato.
Preso da solo è un film incredibilmente buono dato che sulla carta avrebbe dovuto essere terribile; preso nell'insieme è un esperimento estremamente interessante da giudicare nel complesso.

lunedì 22 settembre 2014

Signore delle illusioni - Clive Barker (1995)

(Lord of illusions)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Il capo di una setta (piuttosto simile ad Aleister Crowley) vieni ucciso da un gruppetto di pentiti di quel culto (tra questi anche il suo figlioccio spirituale). 13 anni dopo i 4 vendicatori muoiono ad uno ad uno; un investigatore (interpretato da un improvviso Scott "Quantum Leap" Bakula) viene pagato dalla ricca e annoiata moglie di uno dei morti per indagare... ma vuoi vedere che quei trucchi di illusionismo non erano finti? ma vuoi vedere che di morti veri e propri ce ne son pochi?

Mi sono recentemente preso male con Clive Barker come autore e come regista... il dramma è che le mie altissime aspettative (fomentate da un fazioso Nocturno) vengono sistematicamente prese a calci nei testicoli.
Questo filmone metafisico sulla morte e e sulle illusioni; questo horror mentale e luciferino; è in realtà la solita brodaglia horror anni '90 con pretesti patetici per far succedere le cose, un uso orribile del CGI e neppure una idea di base buona (come almeno aveva Hellraiser).
La storia è noiosissima, intuibile fin dall'inizio, i personaggi scontati, la paura assolutamente assente ed il mondo della magia (ambiente entro cui dovremmo lentamente farci catturare, per poi scoprire che può essere tutto vero) è solo una serie di soprammobili e personaggi con accenti strani che giocano con le carte.
Il lungo (troppo lungo!) finale poi è la ciliegina sulla torta. Ha l'unica idea carina del film (gli adepti inglobati nel terreno) e una serie infinita di chiacchericci conditi con nonsense che (spoiler) fanno vincere i buoni (a cosa serve farsi sollevare da terra per spingere di sotto il cattivo? perché mentre cade semplicemente non si mette a levitare come ha fatto fino a 2 minuti prima).
Film insalvabile.

venerdì 18 luglio 2014

Angeli perduti - Wong Kar Wai (1995)

(Duo luo tian shi)

Visto in DVD.

Le vite di due uomini hongkongesi sfilano l'una accanto all'altra con pochi punti di contatto. Il primo è un killer su commissione che tenta di trattenere la sua socia, non riuscendoci cercherà rifugio fra le braccia di una sconosciuta. Il secondo è un ragazzo muto fin da bambino dopo aver mangiato dell'ananas scaduto (ben ritrovato Hong Kong Express), ora vive di espedienti, rubando nei negozi e costringendo dei passanti casuali ad accettare i suoi servigi come barbiere o gelataio in base al giorno; anche lui finirà ad aiutare una ragazza di cui si innamorerà.

Era da tantissimo tempo che non vedevo un film di Wong Kar Wai e con questo "Angeli perduti" ritrovo esattamente quello che avevo lasciato con "Hong Kong Express" (di cui questo è un seguito ideale). Regia videoclippara (sarà uno degli ultimi film con questa costruzione adrenalinica) con macchina da presa mobilissima, spesso a mano, spesso ad inseguire o anticipare i personaggi, grandangoli eccessivi e deformanti, ambienti notturni e tetri, colori acidi (ma qui ho notato pochi neon...), colonna sonora pervasiva, ralenty e accelerazioni, montaggio pro-epilettico... insomma il campionario completo.

La storia è al solito un insieme di storie il cui tratto comune non sono gli avvenimenti o i personaggi quanto il mood da solitudine urbana che pervade ogni scena e ogni attore; e poi la solita storia d'amore sospesa. Ci sono anche un paio di momenti divertenti.
Tutto sommato però stavolta delude; il film non regge il colpo del già visto (cosa strana dato che Kar Wai rifà ogni volta lo stesso film come Woody Allen e, proprio come il regista newyorkese, riesce sempre ad aggiungere qualcosa di nuovo tanto da rendere ogni opera avvincente), ma soprattutto perde del tutto il ritmo in meno di mezzora trascinando gran parte della storia in maniera agonizzante.

mercoledì 18 dicembre 2013

I soliti sospetti - Bryan Singer (1995)

(The usual suspects)

Visto in DVD.

La prima volta che lo vidi (un decennio fa), già sapevo tutto della storia; tutto sommato lo apprezzai. Oggi che lo rivedo di nuovo, ovviamente so già tutto quello che non bisogna sapere; eppure rimane un film eccezionale.
La trama è quella di un noir moderno, fatto di un gruppo di criminali assodati da un misterioso narcotrafficante efferato e onnipresente. Di più si potrebbe dire, ma fino ad un certo punto, perché il finale è tutto.
Film eccellente che parte con il freno a mano tirato, sembra pretenzioso, lentuccio e non particolarmente interessante, ma probabilmente è tutto un piano preciso, perché il ritmo è un continuo crescendo fino al finalone dove si rimane col fiato sospeso per almeno 10-15 minuti consecutivi. Alcune idee di messa in scena interessanti permettono la creazione di qualche icona pop (il confronto al’americana dell’inzio, perfetto come immagine di copertina) e di molte immagini affascinanti (ancora una volta queste idee aumentano con il progredire della storia).
Il film si appoggia poi ad un cast più lungimirante che affermato. L’unico attore che all’epoca era già noto è Gabriel Byrne (oggi ingiustamente il più sconosciuto del gruppo), ma si avvale di un Del Toro che si sta allenando a fare il Dr. Gonzo; più ovviamente di un Kevin Spacey che vinse un oscar per questa interpretazione.
Detto ciò torno di nuovo sul finale. Il copo di scena è una parte fondamentale, ma oggigiorno l’internet è pieno di spoiler; anche in mancanza dell’effetto sorpresa il gioco fatto di sovrapposizione di voci fuori campo e flashback, il continuo montaggio parallelo di scene distanti, alcune scelte precise nelle inquadratura che non starò a citare, infine il già citato ritmo e l’idea di iniziare il finale con la vera scena madre del film; ecco tutto questo è un lavoro certamente paraculo, ma estremamente efficace e d’effetto che non può non essere apprezzato. Bellissimo.

lunedì 31 ottobre 2011

Underground - Emir Kusturica (1995)

(Id.)

Visto in VHS. Una coppia di amici e “partigiani” vivacchiano a Belgrado, finchè i bombardamenti non li convincono a rifugiarsi in un sotterraneo con parenti e amici, uno dei due mantiene i collegamenti con l’esterno. La guerra finisce e Tito sorge, ma il contatto con l’esterno continua a mentire con chi vive nel sotterraneo sostenendo che i nazisti imperversano da 15 anni e convince parenti e amici a costruire armi che lui rivende. La vicenda si protrae tra episodi vari fino alla guerra civile degli anni ’90.

La storia della Jugoslavia dalla seconda guerra mondiale agli anni ’90 realizzata con un’ironia grottesca ed efficace che non si risparmia mai. Descrive una galleria di personaggi antieroici in toto e situazioni surreali anche quando sono verosimili. Il tutto descritto con una surrealtà ed una leggerezza da fare invidia. Tutti questi elementi trasformano la storia martoriata di uno stato in una fiaba favolosa e allegra.

Si insomma questo film è un po il Novecento della Jugoslavia raccontato da Fellini. Kusturica si concede del sentimentalismo solo nel finale in cui racconta la guerra appena finita… direi giustificabile.

Mille le idee e le intuizioni e mille le immagini da ricordare. Oltre alla scena della sposa in volo verso il tavolo del banchetto del matrimonio o il terreno che si stacca dal continente nel finale; voto tra le scene migliori la sequenza della morte del figlio del Nero. E tra le idee voto l’autostrada sotterranea che collega tutta l’Europa.

Punteggiano un film eccellente le interpretazioni azzeccate di tutto il cast e le migliori musiche di Bregovich.

mercoledì 14 settembre 2011

Il giorno della bestia - Alex de la Iglesia (1995)

(El dia de la bestia)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Un prete/teologo/studioso dell’Apocalisse capisce il significato criptato nella Bibbia, comprende la data in cui comicerà la fine del mondo (con la nascita dell’anticristo) e, ad intuito, arriva anche a capire che tutto prenderà il via da Madrid(?). Con l’aiuto di un metallaro strafatto e un Giacobbo stiloso e kitsch cercherà di fermare l’inevitabile.

De la Iglesia mette in scena la sua classica commedia nera fatta di perdenti che cercano di sopravvivere in un mondo pessimo comportandosi nel peggiore dei modi possibile (perfetto in questo senso tutto l’inizio del film in cui il prete, per poter incontrare satana e carpirgli informazioni, cerca di compiere più peccati possibili); in questo caso siamo in una Madrid oscura e noiresca che poco ha a che fare con l’immaginario che la capitale spagnola crea normalmente. Ovviamente ci sono più di un momento schiettamente divertente, come sempre nei film del regista spagnolo ci sono diverse sequenze d’azione e il politicamente scorretto… solo nel finale il film si appiattisce un poco nel prevedibile/WTF? e nel serioso, anzi proprio nel momento in cui comincia a prendersi sul serio perde punti.

La regia in questo caso è meno funambolica dei film successivi di de la Iglesia, ma la precisione delle inquadrature, i carrelli e i piccoli piani sequenze e le molteplici inquadrature lo fanno assomigliare, più di chiunque altro, al Tarantino più asciutto (e senza le inquadrature “dal bagagliaio”).

lunedì 8 agosto 2011

Screamers, urla dallo spazio - Christian Duguay (1995)

(Screamers)

Visto in VHS.

Una guerra su un pianeta lontano porta all’invenzione di alcuni robottini ammazza-cattivi che si auto producono… eppure ad un certo punto ci si rende conto che le cose sono cambiate, i robot si sono evoluti, hanno acquisito coscienza e ammazzano tutti… vuoi vedere che i compagni di viaggio del protagonista son tutti robot mascherati? E scatta l’isteria.

Filmacci di sci-fi anni ’90, quando un pessimo CGI dava l’illusione di poter fare di tutto; anche violentare e brutalizzare un’idea di Philip K. Dick con un budget ridicolo e attori impagabili per la loro incompetenza e sceneggiatori presi direttamente dalle soap sudamericane…

Belli i fondali… e basta.

giovedì 5 maggio 2011

I misteri del convento - Manoel de Oliveira (1995)

(O convento)

Visto di DVD. Malkovich gira va in un monastero in Portogallo cercando le prove del fatto che Shakespeare fosse un ebrei spagnolo. Viaggia in compagnia della moglie con la quale non ha più argomenti in comune e vengono accolti da un paio di figuri che rappresentano il diavolo e l’acqua santa già dal modo di vestire giusto per ulrare “METAFORA!” fin dalle prime scene (l’uomo è vestito come Dylan Dog, mentre la ragazza come una suora laica).

I misteri del convento è un film di Oliveria classico, presenta quindi sostanzialmente gli stessi difetti di “La lettera”. Qualche importante differenza però ce l’ha.

Intanto la storia è più incasinata, in teoria sarebbe più interessante, ma è sfiancata dai discorsi tracotanti e criptici, antinaturalistici come un quadro di Kandisky e ripiegati su se stessi fino allo sfinimento. Poi ha pure qualche un fare enfatico generale, dato dal tono generale e dall’uso della musica da film horror ma senza motivo, come anche dai discorsi tendenti al satanismo all’acqua di rose senza neppure un mezzo demone (fosse anche morale). Poi c’è un Luis Miguel Cintra che dovrebbe essere l’oscuro e misterioso tombeur des femmes dall’inferno… il che mi pare improponibile per uno che sembra il mio salumerie travestito da Piton per carnevale.

Di positivo però c’è una recitazione all’altezza di un film decente e una cura particolare per le location e, soprattutto, per la fotografia (finalmente un film di Oliveria che assomiglia ad un film, con le sequenze ambientate nella foresta che hanno colori fantastici).

Complessivamente il film è noioso, inguardabile e talmente pieno di se che potrebbe esplodere; aggravato da un’idea generale di inquietare e filosofeggiare sul male che rende ancora più ridicolo il fallimento e più anempatico il tutto.

domenica 24 aprile 2011

L'odio - Mathieu Kassovitz (1995)

(La haine)

Visto in DVD.
Nelle banlieue di Parigi si muove la pigra giornata di 3 ragazzi, figli di immigrati (anche se tecnicamente sono i figli di ex colonizzati, quindi tecnicamente francesi). Dalle 10 di mattina alle 6 della mattina successiva si muovono tra degrado sociale, piccoli sogni di fuga o di gloria (sempre disillusi), riflessi di vite più ricche nel centro città e soprattutto rabbia, e come dice il titolo odio, nei confronti di un sistema che li tiene al margine e che, anzi, li assoggetta. La valvola di sfogo dit tutta questa pressione è nei tafferugli avvenuti il giorno prima in cui una ragazzo è stato picchiato fino al come dalla polizia.

Questo film è talvolta venduto come Il film europeo degli anni ’90… e devo dire che se si accetta “Pulp fiction” come Il film degli anni ’90 (in quanto quintessenza del post moderno, unico movimento degno di nota di quel decennio; e guai a chi dice dogma!), allora non posso che essere d’accordo.

Mamma mia che film! Intanto prevede con una lungimiranza notevole quello che effettivamente succederà 10 anni dopo. Poi va sottolineato come le 3 psicologie dei protagonisti siano ben delineate, come tutte e tre cerchino una via di fuga personale e come tutte e tre si schiantino contro la realtà, notevole anche il lavoro sui comprimari…

Il meglio però sia ha con la regia. Dinamica, circense sempre diversa ogni inquadratura, una serie di scelte estetiche che guardano a Tarantino (al post moderno appunto), ma con una personalità palpabile, fotografato in un bianco e nero perfetto e sottolineato da un’enfasi ben bilanciata e mai pesante.

Un film veramente moderno, veramente realizzato da uno che di cinema ne sa fin troppo senza nessuna sbavatura. Il finale, che non mostra niente, è decisamente violento e perfettamente adatto al mood del film, anche se esplicita direttamente la metafora, ma questo conta poco a fronte di un film cos’ì notevole.

PS: il regista, Kassovitz, è lo stesso che anni dopo realizzerà il pregevole “I fiumi di porpora” ed il terribile “Gothika”… possibile che un uomo dimentichi tutto in dieci anni? Oppure in “Gothika” è solo un prestanome? Oppure è stato rapito e sostituito da un clone?

martedì 5 ottobre 2010

Strange days - Kathryn Bigelow (1995)

(Id.)

Visto in DVD.

In un futuro distopico (all’epoca era il futuro, ormai invece è il passato visto che è ambientato a cavallo fra 1999 e 2000) esiste una nuova droga, e sono le immagini e le sensazioni della vita altrui registrate e rivissute da chi ne fa uso; puoi essere un criminale durante una rapina, o una pornostar al lavoro, o puoi anche morire… In una Los Angeles a 5 cm netti dallo scontro razziale si muove lo spacciatore Ralph Fiennes (un ottimo personaggio, simpatico il giusto, figo il giusto, sfigato il giusto) che si arrabatta tra nuovi clienti, vecchi amici, ex ragazze che lui ama ancora (una Juliette Lewis che fa spavento, davvero mi chiedo come sia possibile anche solo immaginare che possa essere un oggetto del desiderio), un assassino psicotico che si aggira indisturbato attorno a lui e un segreto sulla morte di un rapper che deve rimanere tale.

Questo è un film dall’estetica completamente orwelliana, ogni inquadratura trasuda distopia ad ettolitri; uno dei film che rende di più il senso di claustrofobia, di impossibilità di fuga, di malattia sociale. Un film che è quasi più sudato di “Angel heart”. Fatto di immagini evocative che si agganciano co quanto già presente nella memoria comune; la scena della lotta nello scantinato ad esempio, per atmosfere ed ammiccamenti vale quanto tutto “Blade runner”.

La Bigelow fa un lavoro sopraffino, iniziando col botto, con un piano sequenza fatto da una camera a mano complicato ed incasinato il giusto, che per altro serve pure a spiegare il tipo di droga in uso; e già questo basterebbe. Poi ci mette dentro tutto quello che riesce, utilizzando l’idea della soggettiva obbligata come mezzo per nascondere o dare informazioni. Ma soprattutto crea un film fatto di luci, di scenografia e di luci. Le luci vengono sparate in camera, accecano, nascondono, mostrano, sottolineano, creano ambienti, fari, neon, lampadine. Un lavoro divino. Tutto improntato a rendere il senso di fine imminente, di un mondo che va a rotoli… e la signora si permette anche di realizzae una delle migliori scene d’azione degli anni ’90, con la sequenza in metropolitana, aiutata da un D’onofrio in versione poliziotto silenzioso e letale ed un Fichtner nei panni di un Fichtner standard.

Con questi presupposti il finale delude (si lo dico, contro ogni pronostico c’è l’happy ending, ma qui temo ci sia lo zampino di Cameron); entro un certo punto è prevedibile e comprensibile (nello svelamento dell’assassino), ma poi laddove potrebbe essere il degno coronamento di un film ambientato in un mondo caotico in bilico su un baratro, anziché puntare sull’apocalisse punta invece sul rassicurante già visto (la questione della polizia)… però glielo si può perdonare, quantomeno per la bellezza di alcune scene, come D’onofrio in versione demone vendicatore coperto di sangue in un turbinio di coriandoli.

Stupendo. Non si può giudicare la Bigelow senza aver visto questo film.

mercoledì 14 ottobre 2009

Casinò - Martin Scorsese (1995)

(Casino)

Visto in DVD

Mi pare di ricordare che la critica non abbia molto amato questo film, e il grande pubblico, molto probabilmente, non ne ha mai sentito parlare; eppure io credo che questo sia proprio la summa di tutto ciò che è Scorsese. La storia è una parabola umana che tocca il massimo per poi crollare e ritornare ad uno stato identico a quello iniziale, esattamente com’è in "Quei bravi ragazzi" o, all’opposto, in "Taxi driver", "Fuori orario" ecc… in più c’è la mafia, gli italoamericani e tutto lo scintillio di Las Vegas.

Per quato riguarda la parte tecnica è tutto una profusione di carrelli, dolly come se piovessero, inquadrature sghembe, Dante Ferretti, piani sequenza, Rolling stones, luci e filtri che esaltano ogni scena e che mimano le mascherine del cinema muto. E poi questo è uno degli ultimi film in cui De Niro recita seriamente…



Quasi 3 ore di film che non cedono mai alla noi, né di trama né di regia. Splendido.