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giovedì 6 agosto 2020

Sitcom. la famiglia è simpatica - François Ozon (1998)

(Sitcom)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


L'arrivo di un topo (da compagnia) in una famiglia determina in chiunque vi entri in contatto un cambiamento, la forza di dare sfogo alle pulsioni più intime.

Buffa versione a commedia di "Teorema" con l'elemento estraneo che entra in un ambiente borghese per farlo esplodere.
L'idea di declinarla sul versante umoristico è sicuramente buona e la capacità di costruire le scene è già presente in questa opera prima di Ozon. Quello che manca è la capacità di andare oltre lo schema di base. La struttutra della vicenda è facile e chiara, ma oltre all'impalcatura si aggiungono molti dettagli, ma nessun costrutto.
Ci sono continue aggiunte di declinazioni personali scottanti per il periodo (ma anche al giorno d'oggi), dal sadomasochismo, all'omosessualità, dall'incesto all'omicidio e suicidio. Sembra quasi che si voglia mostrare tutto quello che può urtare la sensibilità "borghese", ma lo si fa per accumulo senza un piano chiaro, senza un'idea di empatia con i personaggi o senza un arco narrativo che vada oltre al dichiararsi gay o rimanere in sedia a rotelle dopo essersi gettati dalla finestra.
Siamo chiari, quello che ne  viene fuori non è un brutto film, ma un'opera simpatica e godibilissima che rimane estremamente superficiale (che è sempre il rischio di Ozon).

Il vero neo è il finale, anzi l'assenza di una decisione sul finale, non sapendo quale scegliere fra 2 o 3 Ozon li realizza tutti (ingannando all'inizio lo spettatore) dovendo ricorrere a soluzioni usurate come il risveglio da un sogno per giustificarsi.
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mercoledì 23 gennaio 2019

Choyonghan kajok - Kim Ji Woon (1998)

(Id. AKA The quiet family)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una famiglia coreana rileva un lodge in montagna. Gli affari latitano e loro sembrano essere perseguitati dalla sfortuna, in un modo o in un altro i primi avventori muoiono dentro le camere dell'hotel. La famiglia si vede costretta ad occultare i cadaveri, ma troppi corpi in giardino e un pò di confusione con troppi clienti una notte e la situazione degenera.

Commedia nera molto grottesca e divertente di un Kim Ji Woon agli inizi. Pur essendo la sua opera prima, il regista si muove con grazia e competenza fra virtuosismi tecnici, gestisce benissmo gli spazi interni e, nonostante la ripetitività della vicenda, tiene sempre alto il tono generale; facendo da spalla a una scrittura dei personaggi molto divertente tiene l'attenzione dello spettatore senza problemi.
L'unico vero neo è il lungo finale; dopo una serie di scene di un cinismo incredibile (ma perfettamente in linea con il resto della vicenda), con la figlia che guarda la tv mentre un doppio incendio (per giocare con le aspettative dello spettatore), il film si smorza, non finisce, si sceglie un ending da serie televisiva o da commedia d'altri tempi e bassi intenti, si sceglie di non scegliere davvero e il film sembra allora aver girato un pò a vuoto. Niente di fondamentale, ma è un peccato una conclusione del genere.

Cast eccezionale, completamente in parte, dove spiccano un Song Kang Ho e un Choi Min Sik in versione cogliona, veri motori comici del film.

PS: remake giapponese di pochi anni dopo realizzato da Miike.

venerdì 22 giugno 2018

La cena - Ettore Scola (1998)

(Id.)

Visto in Dvx.

In un ristorante romano una serie di personaggi si incontrano, alcuni si sfiorano appena, tutti vanno incontro a uno scioglimento di una situazione già iniziata entro la chiusura del locale.

Con la massima unità di spazio e di tempo e con un cast corale molto esteso Scola sembra voler muoversi dalle parti della commedia grottesca che lo rese famoso con una galleria di personaggi buffi in situazioni anomale ammantante di cinismo e, solo in minima parte, di sentimentalismo. L'intento è, forse, mostrare uno specchio della società che vede in un microcosmo; forse l'intento è solo quello di prendere qualche tic e farci sopra una commedia come ai bei vecchi tempi con una strizzatina d'occhio a ggiovani d'oggi (i giapponesi, il videogioco finale, il gruppo di ragazzi); forse vuole solo tirare fuori una commediola dove rimettere insieme i suoi feticci del passato.
Qualunque sia l'intento, fallisce.
La commedia grottesca non graffia mai e rimane sempre in superficie, sempre innocua.
La commedia anni '70 all'italiana non riesce mai ad azzeccare un momento genuinamente divertente e le strizzate d'occhio alla modernità sono imbarazzanti.
La solita commediola revival è sicuramente la più riuscita (con una Ardant che pare in parte, un Gassman simpatico, un Giannini che eccede, ma almeno si fa valere ecc...), ma rimane una cosetta piccola di per se, ma che se viene paragonata con quanto fatto in passato da ognuno dei nomi in campo fa venire più tenerezza che pietà.

mercoledì 4 aprile 2018

Happiness - Todd Solondz (1998)

(Id.)

Visto in Dvx.

Storia corale incentrata su una famiglia (genitori oltre la mezza età; tre figlie adulte, una felicemente sposata, una perennemente alla ricerca di una vita felice, la terza nevrotica scrittrice di successo) e sulle loro relazioni. Ognuno avrà un'idea di felicità da perseguire, ognuno cercherà di perseguirla, ognuno fallirà a modo suo.

Solondz è campione nel prendere un canovaccio da film commerciale mediamente cretino (come in "Fuga dalla scuola media") o da commedia/drammetto classico senza spunti (come in questo caso) e trasformarlo in un film tutto fuorché cretino, tutto fuorché scontato e rassicurante.
Sempre in Solondz il grottesco è centrale per dare alla vicenda quel gusto particolare, ma mai come in questo caso ci si trova davanti a un capolavoro di equilibrismo. Il film lega insieme le sue componenti creando un unicum che è grottesco, è divertente, è angoscioso squarcio sociale, è iperbole, senza nessuno sbilanciamento. Perfetto anche l'equilibrio fra i personaggi; fatti salvi i genitori (lasciati piuttosto in disparte), nessuno della decina di personaggi prende il sopravvento sugli altri, ognuno sguazza nel proprio fango con un minutaggio dignitoso.

Poi lo stile pop, anche se piuttosto freddino, fa il paio con una fotografia pacatamente kitsch; mentre l'intero cast dimostra di essere stato la scelta migliore per la parte (ovvio che tutti gli applausi se li prende il solito Hoffman, ma anche gli altri non scherzano; spiace solo per il sottoutilizzato Gazzara).

Il problema di questo film sta tutto nel manico; è un film grottesco che parla coscientemente dei temi più scabrosi che possa toccare (pedofilia, discussioni sul sesso fra padre e figlio undicenne); lo fa con la grazia dell'equilibrista, ma il tema è sempre quello. Per chi non può proprio sopportarlo il film non piacerà; per chi lo tollera il film sarà una sorpresa.

lunedì 3 ottobre 2016

Gatto nero, gatto bianco - Emir Kusturica (1998)

(Crna macka, beli macor)

Visto in DVD.

Tre storie di tre generazioni di zingari che vivono lungo il Danubio. L'amicizia fra due vecchi sodali di avventura in Europa; gli affari di due adulti, il primo pieno di soldi e arroganza, il secondo un guascone pieno di belle speranza che vive di sotterfugi; la terza una girandola amorosa fra due coppie che si incroceranno in vari modi fino ad approdare a un doppio matrimonio.

Siamo tutti d'accordo che "Underground" è stato un po' il "Pulp fiction" di Kusturica; un film fatto al 90% dal genio e al 10% dal culo ottenendo un capolavoro. Risulta quindi scorretto paragonare ogni suo film a quello... tuttavia è anche inevitabile farlo. Se "La vita è un miracolo" sembrava il film di uno che volesse, programmaticamente rifare un "Underground" (più ottimista), e dunque risultava solo patetico; questo "Gatto nero, gatto bianco" riesce a stare miracolosamente nel mezzo fra questi due film. A metà fra l'onesto e dirompente realismo magico (o realismo assurdo) del capolavoro del regista e la decisione presa a tavolino di fare un film alla Kusturica de "La vita è un miracolo".
Anche qui la trama lavora per accumulo di immagini, di oggetti, di personaggi e di idee; qui c'è la messa in scena di alcune intuizioni geniali e una maniacale cura dei dettagli sullo sfondo, quelli più tecnicamente inutili (l'orchestra legata all'albero, il maiale che mangia l'automobile, o tutti l'inizio con il commercio coi russi sul Danubio). C'è il solito ritmo farsesco e la solita anarchia agitata a muovere la vicenda e che ne determina la chiusura perfetta. Ci sono tutti i personaggi che rispettano l'ideale di simpatico cialtrone kusturicano.

Tuttavia risulta più limitato di "Underground", la storia è una fiaba romantica carina, ma che non ha la forza o il respiro per arrivare più in là; il gusto del kitsch raggiunge vette che sta al di qua dell'inaccettabile per molto un soffio.

Tutto sommato l'ultimo Kusturica che fa sé stesso senza essere programmaticamente anarchico (anche se devo ammettere di non aver visto "Promettilo!").

venerdì 2 gennaio 2015

Soldi sporchi - Sam Raimi (1998)

(A simple plan)

Visto in Dvx.


In una cittadina sperduta in mezzo alla neve un padre di famiglia (beh, tra poco, visto che la moglie è incinta) con il fratello un pò minus e l'amico alcolizzato del fratello, trovano un aereo precipitato in mezzo al niente nella neve; dentro un cadavere ed un mucchio di soldi. Che fare?
Alla fine si opta per il tenersi tutto il malloppo, aspettare un annetto e poi dividersi il bottino. Il piano appare semplice, ma presto l'amico disadattato creerà problemi e ci saranno un paio di tracce da cancellare, la moglie del protagonista suggerirà qualche altro semplice piano per sistemare la faccenda, ma il dramma sprofonderà sempre di più verso la tragedia.

Noir buissimo condotto da un Raimi estremamente parco di guizzi registici, tutto concentrato a condurre una sceneggiatura tesa, solo qualche idea sparsa qui e la (i corvi come simbolo), ma senza mai eccedere e mangiarsi la scena.
Il film è magnifico. la trama è certamente macchinosa, molto schematica, ogni azione condotta dai personaggi (anzi dal protagonista) per cercare di appianare i problemi conduce tutti sempre di più verso la disperazione; tuttavia la realizzazione di qualche personaggio davvero buono (per me vince la moglie, candida donna incinta all'inizio, perversa Lady Macbeth poi), un  cast che ha tutto al posto giusto (Thornton all'inizio l'avevo confuso con David Cross) e alcune scene strepitose e disperate (più che lo showdown all'aereo io sono rimasto esterrefatto della serata alcolica a casa dell'amico, con tutta la serie di momenti di tensione). E poi c'è un finale amarissimo e senza speranza.
Già i Cohen avevano realizzato un noir immerso nel bianco (probabilmente migliore per qualità complessiva), ma era molto più interessato ai piccoli momenti di ogni giorno e condito con la solita dose di ironia grottesca; qui siamo quasi su un altro pianeta, qui il tono è duro e secco e non ci sono vincitori.

venerdì 28 marzo 2014

Il grande Lebowski - Joel Coen, Ethan Coen (1998)

(The big Lebowski)

Visto in dvd.

La complicata storia di un hippy invecchiato degli anni '90 che cerca di recuperare il tappeto rovinato per uno scambio di persona, tra una partita e l'altra di un torneo di bowling. Andare più nel dettaglio di così è un suicidio.

I Coen realizzano quasi sempre film noir, talvolta in maniera dichiarata, talvolta invece più cammuffati come in questo caso; quando poi il film non è noir ha comunque il caso (o se vogliamo il destino) come motore immobile della vicenda esattamente come nei noir classici.

In questo caso la struttura noir è evidentissima, scambi di persona, rapimenti, inganni a catena, donne fatali, ricchi sulfurei e l'impossibilità di amare con una facilità imbarazzante nel morire (quest'ultima definizione sembra essere presa in giro in maniera evidente durante il film).
Su questo viene costruito uno dei personaggi più semplici, ma geniali, della storia del cinema (certamente il vero personaggio degli anni '90); una gallerie di comprimari che avrebbero meritato, ognuno, un film a sè (dove su tutti troneggia un John Goodman mai più così ben utilizzato) interpretato da quella che è la più densa gallerie di facce da caratteristi indi del cinema.
Un film dove la trama è assente (per il suo essere noir) e quello che conta è porprio la gallerie di fatti e persone che vengono mostrate; e in tutto questo riesce a far ridere in molti momenti e vira nel drammatico (e nell'autoanalisi) per alcuni minuti complessivi, senza ammazzare mai il ritmo.
Vi sono inoltre due famose scene oniriche; la seconda delle quali è una gustosa riproposizione di tutti gli elementi fondamentali del film in chiave musical della warner.

venerdì 7 febbraio 2014

He got game, Egli ha vinto - Spike Lee (1998)

(He got game)

Visto in Dvx.

Ad un uomo, in prigione per l'omicidio della moglie, viene proposta una riduzione di pena da parte del governatore se, in cambio, convincerà suo figlio (campione di pallacanestro dei college) a iscriversi all'università dello stato. Avrà una settimana di tempo, purtroppo il figlio ancora lo odia per l'uxoricidio. Quella settimana diventerà nello stesso tempo un assaggio di vita normale, un tentativo di ricucire i rapporti strappati con la famiglia, un tentativo di far firmare l'adesione all'università e il ficcarsi in situazioni che non lo riguardano (più ovviamente dover fare i conti con il passato).

Un film che Spike Lee voleva realizzare per mostrare a cosa sono sottoposti i giovani bravi negli sport da parte di un sistema monetizzato fin nel midollo (al ragazzo vengono offerti soldi, auto e donne a non finire); tuttavia questo è quasi il difetto del film. Chiariamoci, la parte della scelta del protagonista (e il crollo di tutte le persone che gli stanno attorno perché tentate dal danaro) è affascinante e ben realizzato, ma toglie spazio alla storia famigliare che sembra più interessante. Più interessante perché qui i personaggi sono esseri umani, Washington da vita ad un padre certamente amorevole, ma autoritario e malato di basket che commette più sbagli che altro (strano poi come Washington mi risulti sempre fuori luogo tranne che nei film di Lee dove è semplicemente perfetto).
Il film si arrotola troppo sui suoi due personaggi facendoli interagire in maniera limitata (anche le lunghe sequenza della prostituta a cosa servono?).
In ogni caso la storia regge e interessa per oltre due ore senza molte cadute.
Da parte di Lee poi ci sono i suoi movimenti di macchina (da non perdersi i titoli di coda, decisamente una sequenza alla Spike Lee senza una trama), i suoi colori saturi, le sue inquadrature particolari e le inserzioni di sequenze che non hanno a che fare con la scena complessiva (il suo montaggio alla Eisenstein).

Molto belle le canzoni dei Public enemy, su tutte questa, con base di For what is worth.

sabato 25 gennaio 2014

L'estate di Davide - Carlo Mazzacurati (1998)

(Id.)

Visto qui.

Un ragazzo di Torino, appena maturato (ha passato la maturità), per fuggire dalla famiglia e senza dover spendere troppi soldi se ne va dagli zii nel polesine. Comincerà a lavorare per lo zia, conoscerà una ragazza di cui si innamorerà e di cui scoprirà retroscena inaspettati, ma soprattutto conoscerà un ragazzo serbo che lo porterà a essere cacciato dagli zii e a cercare di vendere eroina con risultati drammatici.

Certamente un film di formazione, in cui gli attori si muovono come fantasmi dentro un ambiente. Ecco si, la storia (piuttosto esile nel complesso e lenta nello sviluppo) sembra solo un pretesto per mostrare un ambiente; la macchina da presa non si sofferma mai sui paesaggi, ma le campagne di Rovigo, i corsi d'acqua, gli alberi, la geografia della zona e, in ultimo, l'onirico biancore della Puglia, riempiono ogni inquadratura. Sembra un film creato apposta per mostrare un luogo, in cui i personaggi sono solo l'appiglio per poterlo fare.

Pessima la scelta del protagonista, quello si bressoniano nell'amimia; bravo invece il coprotagonista serbo che riempie tutte le inquadrature in cui è compreso.

sabato 9 novembre 2013

Omicidio in diretta - Brian De Palme (1998)

(Snake eyes)

Visto in tv.

Un poliziotto (Cage) viene invitato ad un incontro di boxe da un suo amico (Sinise) che si occupa della sicurezza della serata (dato che ci sarà anche… non ricordo esattamente la carica, ma diciamo il segretario di stato degli USA). Ovviamente le cose non potranno andare bene; ci sarà un attentato, proprio mentre Sinise veniva distratto da una terza abbondante. Le porte verranno chiuse e Cage si metterà ad indagare per salvare le chiappe all'amico.
La prima volta che vidi questo film mi sembrò un film perfetto rovinato da un finale eccessivamente inverosimile. A distanza di anni, rivedendolo mi sembra un classico film di De Palma con tanti difetti dall'inzio alla fine.

Questo film viene ricordato per lo sconcertante piano sequenza iniziale di più di dieci minuti (di fatto è un falso, anche se sono due piani sequenza uniti… comunque ragguardevole) e viene spesso indicato come un film vuoto, pieno di virtuosismi fini a se stessi, come se De Palma volesse solo mostrare cosa di può fare senza considerare altro.
A mio avviso questo non è un esercizio di stile vuoto. Semplicemente è un film di De Palma. Tutti i film del regista americano sono zeppi di virtuosismi spesso inutili, ma esteticamente molto (molto) appaganti. Qui ci sono una lista dei cliché preferiti d De Palma, due piani sequenza enormi (l’incipit come si è detto, ma anche i titoli di cosa, entrambi perfetti per organizzazione e coordinamento, ma è l’ultimo che è realmente utile, dando una informazione in più), soggettive prolungate, inquadrature dall'alto perpendicolari al suolo, dolly come se piovessero, split screen e tutto quello che ci si può aspettare dal Brian.

In questo caso l’uso che vien fatto di tutti questi luoghi comuni è bellissimo e il fatto che venga tacciato di inutilità mi pare pretestuoso (il tanto rinomato PS all'inzio de “Il falò delle vanità” ha un’utilità maggiore?). quello che è certo è che il film viene affossato da troppi difetti, una trama che sfocia nell'inverosimile; un cast che non recita mai (fatto salvo per un Nicolas Cage con un personaggio ritagliato esattamente su di lui e che gli permette di essere un vero mattatore); personaggi disegnati un tanto al chilo e alcuni punti lasciati troppo verso l’oscurità.

In poche parole ora come ora non vedo in questo film il grande capolavoro di De Palma e ci vedo piuttosto un tentativo mal condotto; ma chi ama (come me) la libertà registica e l’arroganza del regista americano non potrà non apprezzarlo.

martedì 27 settembre 2011

The faculty - Robert Rodriguez (1998)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.Allora, in una scuola dove ci sono gli alieni che si pigliano ad uno ad uno il corpo insegnante a partire dal T-mille/coach, un gruppo di ragazzotti pensa di essere i più fichi e di riuscire a sfangarla, tra loro troviamo Frodo, il tizio che non è il marito di Demi Moore e la Neve Campbel dei poveri (presa, palesemente, dopo il successo di Scream). Ecco, il tizio che non ha fatto that 70’s show scopre che è sufficiente far pippare della droga agli alieni per smascherarli e farli fuori, e giù che tutti si mettono all’inseguimentod ella regina per liberare il pianeta, vuoi che lo sfigatello di Frodo non riuscirà a salvarci tutti di nuovo?!

Diciamolo subito, questo è un film di Rodriguez che non sembra un fil di Rodriguez, troppo contenuto, troppo pacato, troppo senza eccessi o trovate ultra kitsch…
Il film più che essere l’ennesima variazione sul genere sembra piuttosto essere un bignami che cita apertamente nei dialoghi o indirettamente (nella storia, nella presentazione degli alieni o nel cast stesso) tutto quello che c’è stato nella fantascienza da “L’invasione degli ultracorpi” a “La cosa” di Carpenter e si inserisce comunque nel ciclo dei film anni ’90 con gli Aliens vs Teens che vengono battuti con una cosa idiota (da Mars Attacks e le canzoni country o Evolution e lo shampo).

Di per se niente di enorme, ma il film è piacevole, il cast con gustose star del passato che è a gioia di ogni cinefilo nerd intrattiene anche più della trama e tutto sommato vedere un Rodriguez così intento a fare un film da nona vere troppo tempo per le cazzate non capita spesso.

venerdì 29 aprile 2011

Il barbiere di Siberia - Nikita Sergeevič Michalkov (1998)

(Sibirskiy tsiryulnik)

Visto in VHS.

Conosciutisi fortuitamente su un treno, un cadetto dell’armata imperiale russa (siamo a fine ottocento) e un’americana figlia di un inventore trasferitosi a Mosca, intrecceranno le loro esistenze nella capitale. Lui rovinandosi la carriera e la vita distratto dal pensiero di lei e poi dalla gelosia; lei invece, troppo forte per perire ai propri sentimenti, si prodiga nel sedurre un vecchio generale per avere finanziamenti per un’invenzione del padre, tenterà di salvare capra e cavoli (il vecchio sedotto di cui non è innamorata ed il cadetto sedotto per cui prova qualcosa).


Film molto convenzionale, una commedia romantica in ambiente russo; condotta con la solita maestria appagante e furbetta da Michalkov. Come al solito conquista, quasi del tutto almeno. Alcune cadute di stile, alcune idee eccessivamente enfatiche (tutta la sequenza negli Stati Uniti, con il giovane soldatino che si tiene la maschera anti-gas per non insultare Mozart!) e una diluizione eccessiva di tutto il racconto (il film dura praticamente 3 ore!!) lo rendono decisamente inferiore rispetto alle potenzialità che mostrava all’inizio.


Il film infatti regge benissimo per almeno un’ora e mezza. È divertente, si fa seguire e tiene svegli senza botti, ma solo con un gioco delle parti per costruito e con la solita maestria nel mostrare i personaggi (niente sequenze da urlo, ma qualche inquadratura interessante c’è ancora). Poi le immagini pulite e ben realizzate e la cornice esteticissima del Cremlino, messo quasi sempre attorno alle sequenze più importanti, ma quasi (e dico quasi) mai sfacciato, sono un punto in più.


Però come si è detto, il film cede alla noia, dopo 2 ore il ritmo rallenta, la trama vira di più verso il melodramma facile facile, perde tutta l’ironia dell’inizio e gli occhi si fanno sempre più pesanti… peccato.

martedì 13 aprile 2010

Killer - Darezhan Omirbayev (1998)

(Tueur à gages)

Visto in VHS registrato dalla tv; in lingua originale sottotitolato.

Film kazako senza eccessive pretese, sull'alienazione di un uomo messo alle strette; il quale, per pagare un debito, sarà costretto ad uccidere un giornalista, perdendo tutto.
Il tema non è nuovo, anzi; ed è pure trattato senza particolare originalità. Il cast che, credo, sia preso dalla strada non si sforza di risultare credibile, ma Omirbayev tenta di risollevare il tono del film con un'idea di critica sociale tentende alla filosofia del vivere e l'aridità dei sentimenti (il suicidio del matematico) e con qualche idea di regia che fa ricordare allo spettatore che qualcuno doveva esserci dietro la macchina da presa.... ma non è abbastanza.
La storia si dipana, elementare e senza sussulti fino al finale povero d'inventiva come pochi altri.
Il protagonista, impassibile per quasi tutto il film nonostante gli capiti quasi qualunque cosa è forse un pessimo attore, ma se ciò non fosse, e la sua astensione da ogni emozione fosse voluta, il film si avvicinerebbe allora ai personaggi di Kitano o di Kaurismaki, senza però avere la poesia del primo e la secca capacità del secondo... e senza l'ironia di entrambi, ovviamente.

PS: coproduzione francese comunque, ecco il perchè del titolo.

martedì 13 ottobre 2009

Jin-Rô - Hiroyuki Okiura (1998)

(Id.)

Visto in dvx Lo dico fin dall'inizio, non mi è piaciuto. Non mi è piaciuto ma non posso spiegare il motivo perchè non lo so; il film, in linea teorica ha tutto ciò che può può piacermi in questo film.
C'è una storia verosimile (dal sottotitolo inglese "the wolf brigade" temovo una di quelle facezie giapponesi sovranaturali tipo "Blood: the last vampire", che per carità è fatto bene...ma non dice niente), un'ambientazione distopica che fa sempre piacere ma non troppo irreale; c'è un significato, un'intento, un sottotesto, ed è pure bello, critico verso la società giapponese; c'è un clima pessimistico, disperato fin dall'inizio (beh è distopico) e un andamento che tende sempre a far andare male le cose; c'è una storia d'amore contrastata alla Romeo e Giulietto... che ci sta; c'è un aura di fiaba che pervade il film (magnifica la versione di cappucetto rosso a cui il film continua ad ispirarsi); c'è una sfida fra menti (che si scopre solo alla fine però) che è sempre un bel vedere; c'è Oshii a firmare la sceneggiatura; e poi c'è una grande animazione, questo film è conosciuto come l'ultima grande opera senza computer grafica fra gli anime, e per quanto mi riguarda è entrata nel pantheon dei film con l'animazione migliore a fianco di "Una tomba per le lucciole" e "La città incantata"...
E allora perchè non mi è piaciuto? perchè mi sono annoiato forse anche prima della metà? il ritmo c'è, le idee anche e i disegni regnano su tutti....
Non so davvero che dire, è un grande film, solo che non mi è piaciuto