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mercoledì 1 maggio 2019

Il serpente e l'arcobaleno - Wes Craven (1988)

(The serpent and the rainbow)

Visto in Dvx.

Scienziato americano viene inviato ad Haiti per cercare la droga utilizzata per creare gli zombie (potrebbe essere un anestetico di nuova generazione con facilità di recupero dopo la somministrazione). Nel farlo verrà aiutato da una dottoressa locale, ma sarà ostacolato dal capo della polizia del dittatore locale (Duvalier). Intanto scoppierà la rivoluzione.

Un film horror dalle idee di base piuttosto tipiche (straniero in terra straniera, studia usi e costumi che non dovrebbe studiare, zombi, ecc...), tuttavia a essere originale è il punto di vista. L'orrore qui non è dato dagli zombi in se (l'uomo ricomparso dopo 30 anni è una vittima non un mostro) e neppure la magia nera (anzi, talvolta riesce a proteggere), ma è l'uso che se ne fa; è lo sfruttamento politico della magia che serve a mantenere attiva una dittatura e a compiere vendette. Questo film trasforma il perturbante classico da oscura presenza e mezzo per ottenere dei fini (positivi o negativi secondo i casi).
Per me non brilla in maniera particolare per quanto riguarda l'esito complessivo (interessa quanto deve, ma senza sussulti; i personaggi sono un pò troppo semplicistici), però vince nella creazione di ambienti adatti, nella creazione di belle immagini da mettere in archivio (soprattutto nelle ultime scene oniricheggianti) e nella realizzazione di un film estremamente di fiction (seppure basato su un libro tratto da fatti veri) calato in una vicenda da poco conclusasi e su cui getta un'ombra diversa.
Un film più intelligenti che memorabile

mercoledì 14 marzo 2018

Il mio vicino Totoro - Hayao Miyazaki (1988)

(Tonari no Totoro)

Visto in Dvx.

Film tra i più famosi di Miyazaki con una storia esilissima di due sorelle che si trasferiscono in una casa nuova in campagna vicina alla cittadina dove si trova ricoverata la madre. Nella nuova casa entreranno in contatto con un mondo parallelo fatto di creature magiche.

Al di là della qualità del disegno che, quando si parla dello studio Ghibli, è un pò il minimo che ci si possa aspettare, quello che sorprende è che questo è giustamente il film più importante della carriera del regista giapponese pur non essendo il più bello.
"La città incantata", a mio avviso, non perde nulla in delicatezza, ma aumenta molto in complessità risultando superiore (e la cito solo perché assieme a "Kiki" è il mio film preferito di Miyazaki, ma il discorso si può fare quasi con tutte le altre oepre del regista), eppure, nell'apparente leggerezza di questa commedia per bambini si dimostra una capacità estremamente muscolare di condurre il gioco.

L'arroganza di Miyazaki si espone al massimo del rischio in questo riuscitissimo film per bambini, con protagonisti dei bambini, realizzato con le tecniche e le suggestioni proprie dell'infanzia, ma adatto anche a un pubblico adulto. L'arroganza si dimostra nella costruzione di un mondo estremamente complesso, fatto di persone e creature innumerevoli che compaiono in maniera normalissima e di cui non viene data alcune spiegazione, semplicemente perché non c'è bisogno di spiegazioni per ottenere una risposta emotiva. Infine, l'arroganza, si vede nella realizzazione di un melodramma classico (con la malattia come evento magico senza possibilità di chiarimento) che, pur finendo con un happy ending non definitivo, riesce a soddisfare pienamente.
Oltre a ciò da vita ad alcune immagini iconiche come solo il maestro giapponese da fare.

Obiettivamente quindi, può non essere apprezzato come gli altri suoi film, ma rimane la più titanica presa di posizione della poetica miyazakiana che sia stata realizzata.

mercoledì 7 dicembre 2016

The fourth dimension - Zbigniew Rybczynski (1988)

(Id.)

Visto qui.

Un uomo e una donna si preparano per uscire insieme, cenano e fanno sesso. Il tutto è ripreso con i personaggi sempre fermi e "mossi" con un movimento circolare che ne determina l'anamorfosi del corpo.

Dopo "Tango" ho cercato un altro corto di Rybczynski per vederne le differenze.
In un ambiente dalle atmosfere magrittiane, con deformità che rendono i protagonisti dei personaggi alla Francis Bacon (si veda l'immagine sotto), con citazioni di stampo classico e rimandi leonardeschi, la storia è di una semplicità imbarazzante, ma viene stravolta dalla tecnica di animazione.
Va detto, l'idea è splendida, ma il corto dure 27 minuti e a lungo annoia.
Affascinante comunque il gioco delle trasformazioni degli oggetti che si dimostra innovatore in gesti semplici come l'apertura delle porte e delle finestre o durante la cena.

Inutile dire che siamo davanti, di nuovo, a un corto di arte video; decisamente più bello (esteticamente) di "Tango", innovatore, ma meno interessante del precedente... che poi in ste cose l'opinione è totalmente soggettiva e senza alcun valore (pure di più che nei film normali).

mercoledì 7 gennaio 2015

Stress da vampiro - Robert Bierman (1988)

(Vampire's kiss)

Visto in Dvx.

Uno yuppie di New York dal ciuffo biondo e con la psicoterapeuta con lo studio in centro città comincia a credere di esser un vampiro. Si ha avuto un incontro ravvicinato con un pipistrello ed un paio di allucinazioni, ma senza alcuna prova è convinto del suo graduale trasformarsi in mostro. Non riesce più ad avere rapporti con l'unica donna che gli interessa, mangia scarafaggi e piccioni crudi, si compra un paio di canini finti, abusa (in ogni senso possibile) di una sua segretaria e cerca di morire.

Il film potrebbe essere qualcosa di bello; una discesa dentro la follia che si esprime soprattutto come violenza psicologica (e non solo) verso le persone sottoposte; invece in questo film si preferisce mettere insieme 3 o 4 idee tutte contemporaneamente, mischiarle, seguirne malamente una più delle altre e vedere cosa viene fuori.
Non è una commedia nera in senso stretto; si ride per gli eccessi del film, ma dubito fossero voluti; non è un horror o un thriller e non funziona bene neppure come dramma.
Però questo film si ricorda e deve essere visto per Nicolas Cage. Dire che qui reciti sopra le righe è un eufemismo; qui vince il campionato mondiale di faccette esagerate in quasi ogni inquadratura (è da questo film che viene fuori il "You don't say" dei rage comics) e si permette discorsi idioti come "scusa se ieri sembravo volerti violentare in ufficio, ma avevo preso della mescalina e sai come va con queste cose" (e viene compreso e perdonato). Per me però la scena cult è quella nel finale dove lui pensa di stare dalla psicoanalista e di incontrare la donna della sua vita.
Applausi.

lunedì 27 ottobre 2014

Killer klowns from outer space - Stephen Chiodo (1988)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo di clown alieni invadono una cittadina degli USA, catturano gli uomini per farne baccelli di zucchero filato per potersene nutrire. Un gruppo di ragazzi salverà il mondo.

Canonico horror scifi figlio diretto degli ultracorpi e della fantascienza anni '50 in genere innestato sull'umorismo e sulla parodia anni '80. Negli anni '80 ormai il genere horror aveva un decennio e rotti di archetipi base, aveva nelle vene i tentativi indipendenti di fare orrore con tutto (ma proprio con ogni singolo oggetto), non restava che la presa per il culo ed il film per ragazzi in declinato nei vari generi (grazie a Dante).

Qui l'idea è che gli alieni siano una razza di clown con tutti gli oggetti relativi, i colori sgargianti e i giochi, a cui poi noi (stupidi umani) ci siamo ispirati per inventare i nostri innocui pagliacci (questo non viene mai detto, ma credo fosse la base teorica del film). Quello che si si trova di fronte è quindi un film dalle scenografie felliniane, dai colori chiassosi, dalle idee visive continue (realizzate con effetti speciali d'epoca, ma buoni) e dal ritmo sostenuto. La banalità della trama è diluita nella gigantesca serie di idee nuove per i vari omicidi perpetrati dai clown; questi alieni infatti sembrano avere possibilità illimitate, escono dai cartoni per la pizza, uccidono con una valanga di torte in faccia, usano ombre cinesi animate, intrappolano nei palloncini, utilizzano pop corn/semi di piante aggressive ecc...
Se a questo si unisce la capacità di prendersi mai sul serio, ma di voler divertire con la parodia ben realizzata, il risultato finale è un film che (ovviamente) non farà mai paura, ma che conquisterà fin da subito e costringerà a non staccarsi mai dallo schermo fino alla fine.
Un must da applausi che non potrà non piacere quasi a chiunque.

PS: pare che stiano progettando un remake... tremo all'idea di quello che potrebbero fare la CG a basso costo...

lunedì 25 agosto 2014

Hellbound: Hellraiser II; prigionieri dell'inferno - Tony Randel (1988)

(Hellbound: Hellraiser II)

Visto in Dvx.

A seguito del massacro del primo episodio Kirsty viene internata in un reparto di psichiatria per poter superare il trauma... purtroppo però l'ineffabile psichiatra che l'ha in cura è da anni alla ricerca del modo per far funzionare le scatole dei cenobiti (si, da questo episodio li chiamiamo cenobiti).
Lo psichiatra riporterà in vita la matrigna di Kirsty e, con un colpo da maestro, entrerà nel labirintico mondo dei cenobiti (l'inferno?) con altre 3 persone.

L'idea di base di questo film è prendere gli ultimi incasinati 10 minuti del capostipite e dilatarli per tutta la durata del film. Una volta entrati nel mondo dei cenobiti non c'è più nulla che abbia senso, i personaggi fanno cose casuali, gli avvenimenti (che dovrebbero spiegare qualcosa) sopraggiungono senza che ne venga detto il motivo; si ha quindi l'indubbio svantaggio di avere uno spiegone senza che nulla venga realmente spiegato affossando la trama.
Il ritmo che nel primo era sempre a rischio, ma alla fine teneva, qui viene completamente mandato a cagare almeno da metà film in poi.
In mezzo a questa diarrea di idee idiote c'è pure uno scontro fra i 4 cenobiti classici contro quello nuovo; una scena che urla vendetta, perché distrugge il mito dei cenobiti, non crea una reale alternativa e riesce comunque a non regalare neanche un'oncia di pathos.

Sappiamo tutti ormai che Barker (qui solo alla scrittura) non aveva idea di dover fare un seguito dopo la fine del primo, sennò si sarebbe preparato meglio il terreno... tuttavia non capisco perché mandare in vacca in maniera così sfacciata.
Il fatto poi di fare un horror adulto è già stata abbandonata; la sensualità esplicita del primo qui viene sostituita da una sua rappresentazione pacchiana messa li solo per eccitare dei 12enni, il resto è tutto in mano a due regazzine. (che poi se è vero che negli anni '80 i regazzi toccavano sangue e altri fluidi biologici con questa frequenza e questa noncuranza, non mi sorprende l'ondata di AIDS).

Al di là che siamo davanti ad un film horror senza orrore, incasinato e senza ritmo; al di là di tutto questo le cose che più mi hanno dato fastidio sono state due:

1- Non c'è un'idea visiva decente. Considerando che uno dei pochi punti positivi del primo film era l'estetica generale dei mostri direi che qui c'è un notevole passo indietro. Barker (o chi per lui) accumula facce brutte, clown in ambienti inquietanti, traumi infantili e strumenti chirurgici sperando che questo possa bastare. Peccato che no; non basta far grondare sangue da un mobile per aver creato un'immagine indelebile.

2- I cenobiti vengono distrutti; e questo nel senso più allargato possibile. Trovo sconvolgente che si ammazzi così l'idea determinante della serie. I cenobiti sono creature ambigue, perché non fanno nulla di testa loro, vengono attivamente evocati da chi desidera diventare una loro vittima, quindi loro si muovono con un distacco ed una noncuranza degne di un dentista davanti al paziente nel panico per il trapano che deve curargli la carie; se a queste figure dai un briciolo di umanità e la possibilità di contrattare una via di fuga (o peggio una rivolta interna) hai ammazzato completamente la loro credibilità. Altro dettaglio importante, i cenobiti apparivano imbattibili, onnipotenti ed onnipresenti, far succedere quel che succede (senza neppure spiegare nulla) è un atto criminale.

Sappiamo tutti che i seguiti (soprattutto dei film horror) sono spesso indecenti, ma questo veramente mi apre esagerato... almeno Nightmare 2 vinceva per le idee cazzare talmente idiote da essere divertenti, qui non si riesce ad avere neppure questo...

Forse vi ricorderete di me per scene come:
I paesaggi disegnati che potrebbero stare bene pure in un film Disney? no dai questo no.
La casa dello psichiatra tesa fra il razionalismo anni '60 e una wunderkammer? no, non credo.
La scena della rinascita della matrigna sanguinolenta dal materasso...? ...no ha fatto il suo tempo
...l'uomo senza pelle che scrive, col proprio sangue, sul muro di essere all'inferno e di aver bisogno di aiuto... diciamo quello... massì dia diciamo quello...

lunedì 3 febbraio 2014

Rain man, L'uomo della pioggia - Barry Levinson (1988)

(Rain man)

Visto in tv.

Un uomo, alla morte del padre, scopre di avere un fratello autistico a cui è stata versata l'intera eredità. Lo porterà via con se per convincere le autorità di meritare la gestione dei beni del fratello; lungo la strada imparerà a conoscerlo.

Zuccheroso film che ebbe il pregio di mostrare al grande pubblico una malattia prima sostanzialmente sconosciuta. Lo fa con una storia di amore odio classica, dove due persone molto diverse imparano a conoscersi e ad apprezzarsi. Lo fa inoltre scegliendo una sindrome di Asperger, dando quindi al grande pubblico una visione comunque positiva di una malattia che molto spesso non ha risvolti incredibilmente remunerativi...
Levinson ci prova a dare qualche idea d'autorialità, ma si riduce tutto a qualche scossone alla macchina da presa; la sceneggiatura butta nel finale un'apparenza di originalità, ma di fatto tutto il percorso fino a quel punto è il classico e consolatorio svolgimento hollywoodiano. Infine Hoffman fa la sua porca figura portando altra pubblicità all'Actors studio.
Al di la di questo non ho trovato molti altri pregi.

lunedì 13 gennaio 2014

I gemelli - Ivan Reitman (1988)

(Twins)

Visto in tv, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Due gemelli nati da un ovulo fecondato da x persone (non ricordo il numero) durante un esperimento per creare l'uomo perfetto, vengono separati alla nascita; non era previsto fossero due. Uno nasce perfetto come si deisderava (Schwarzenegger; da ora S), l'altro è l'insieme dle materiale genico di scarto (DeVito, che credo abbia ringraziato quando gli proposero la parte). Una volta ritrovatisi partiranno alla ricerca della madre che credevano morta mentre DeVito (un mezzo criminale sfigato) cerca di mettere le mani su cinque milioni di dollari.

Prima incursione di S nella commedia; passo quasi obbligato data l'autoironia che gli è propria e dato l'alone cartoonistico che lo circonda. Per farlo entra nell'entourage di Reitman, il genio della commedia d'azione. Il risultato è incredibilmente indecoroso... per entrambi... ok forse più per Reitman.

Non si ride, praticamente mai. Non c'è una scena d'azione degna di questo nome. Il villain è talmente dimenticabile che ad un certo punto non ci si chiede più perché li stia inseguendo (obbiettivamente ora non riesco a ricordarlo). Le due storie parallele (lo stucchevole ricostruirsi un'identità alla ricerca delle proprie origini e la noiosa storia dei milioni) non si intrecciano mai, vengono introdotte, poi se ne segue una fino ad un punto morto, quindi parte la secondo fino alla conclusione; nel finale torna la prima; con un'innegabile abilità ad ammazzare, ognuna, il ritmo dell'altra.

Incomprensibile successo al botteghino per l'epoca.

PS: già all'epoca S sfotteva se stesso autocitandosi in situazioni improbabili.

mercoledì 13 novembre 2013

Donne sull'orlo di una crisi di nervi - Pedro Almodovar (1988)

(Mujeres al borde de un ataque de nervios)

Visto in Dvx.

Qui l'intricata trama del film.

La commedia chiassosa ed estrema (più nella parte visiva che non nel contenuto) di Almodovar qui raggiungi picchi di bellissimo kitsch che a tentare di ripeterlo si riuscirebbe solo a rovinare tutto.

Una commedia sui generis, che inizia come gioco degli equivoci per poi passare alla screwball comedy, per aggiungerci qualcosa della commedia dei sessi con un solo sesso come protagonista. Almodovar prende tutto quello che riesce dalle commedie americane classiche, le mixa con uno stile irriverente e colori eccessivi e quello che viene fuori ha del miracoloso.

La storia è assurda, divertente e perfettamente congegnata. Ogni elemento della sceneggiatura, anche il più infimo, ha un motivo d’esistere e viene ripreso in scene successive della pellicola in un gioco a incastri perfetto.

In più dietro alla macchina da presa c’è un tizio che sa come fare un film. Il fatto che la coppia non comunichi mai direttamente se non nel finale (solo tramite la segreteria, il telefono o nel geniale dialogo a distanza della sala doppiaggio; vero colpo di genio) o la bellissima conversazione telefonica tra le due donne che guardano in camera mentre dialogano in una versione riaggiornata della lettera recitata da chi la scrive di Bergman; ecco questi sono solo due esempi di un film densissimo sotto ogni punto di vista.

lunedì 19 agosto 2013

Chi ha incastrato Roger Rabbit - Robert Zemeckis (1988)

(Who framed Roger Rabbit)

Visto in DVD.

Anni ’40, un omicidio scuote Hollywood, il proprietario della ACME corporation è stato ucciso, pare proprio da un cartoon ingelosito dal rapporto che il signor ACME aveva con la moglie. Il sospettato (Roger Rabbit ovviamente) si rivolgerà a un investigatore privato sempre in bolletta e con poca voglia di ridere da quando il fratello venne ucciso anche lui da un cartoon mai riconosciuto. Il detective accetterà e dovrà tornare ad indagare a Cartoonia…

Diciamo subito che il limite del film è nello scorrere della sceneggiatura. la storia infatti non srotola una trama, ma va avanti per accumulo, di idee (soprattutto visive), di personaggi, di fatti, di citazioni e di momenti fuori dal comune. Questo è decisamente un limite, tuttavia è anche parte del fascino del film, che proprio con questo accumulo riesce a dare credibilità ad un mondo eccessivamente assurdo. Inoltre lo sviluppo della trama (che sarebbe stato comunque farraginoso) prosegue nel mood giusto, prosegue nel miracoloso tentativo di cucire insieme un cartone animato classico con un noir torbido, depresso e pieno di allusioni sessuali (a il tentativo è miracoloso proprio perché riesce perfettamente a fondere questi mondi così distanti). Se poi devo proprio aggiungere la selva di citazioni dirette o indirette che vengono fatte sono spesso utili alla trama (si pensi al coniglio invisibile Harvey) o semplicemente non invasive.

Il  vero miracolo comunque è sotto gli occhi di tutti, la migliore interazione fra disegni animati e live action di sempre. I cartoni afferrano oggetti, si scontrano con persone e cose, muovono acqua e vestiti e tutto in un sincronismo pazzesco. In quest’ottica la buonissima interpretazione di Hoskins è da considerarsi invece spettacolare per la capacità di duettare con il nulla in maniera così sottile (e se oggigiorno è una consuetudine, per l’epoca non doveva essere una cosa ovvia). Ottimo tutto il cast comunque.

Infine l’ambientazione è encomiabile, il mondo reale disilluso e cadente degli anni ’40 è impeccabile, mentre il mondo di cartoonia (mostrato il meno possibile) è ben realizzato seppure poco sfruttato.

Quattro meritatissimi oscar tecnici di cui uno speciale per l’animazione.

PS: pare... dico, pare che Zemeckis stia lavorando ad un seguito...

PPS: ovviamente c'è Jessica Rabbit che nell'immaginario collettivo ha sostituito (o rappresenta la versione moderna di) Gilda.

lunedì 22 luglio 2013

Alice - Jan Švankmajer (1988)

(Něco z Alenky; AKA Qualcosa da Alice)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Švankmajer è il genio anni 60-80 della stop motion. Un creativo i cui cortometraggi hanno il passo dei cartoni animati, ma la profondità di opere filosofiche (non a caso sono spesso mostrati nei musei d’arte contemporanea). Qui si cimenta per la prima volta in un lungometraggio. E come se non bastasse è un film in live action, anzi un mix fra riprese reali e stop motion classica.

La storia è quella di Alice nel paesedelle meraviglie mostrata in maniera pedissequa rispetto al libro anche con parti che solitamente non vengono tenute negli adattamenti per bambini (si pensi al bambino/maiale che piange). Il tutto però declinato alla maniera di Švankmajer.
Il mondo onirico di Alice si colora del grigiore della vita d’oggi (beh di allora), in luoghi chiusi che mimano gli esterni (l’unico esterno vero e proprio è il prato iniziale che però inizia da una camera di casa), in palazzi degradati dove una serie di personaggi buffi ed inquietanti nello stesso tempo (gli animali chiamati dal coniglio per entrare in casa sono l’esempio più estremo) si muovono con fretta e furia, seppure senza mai uno scopo.

Ovviamente in mezzo a questo grigiore artificiale il genio di Švankmajer coglie una serie di idee fenomenali, il brucaliffo interpretato da un calzino con dentiera (ma tutta la scena con i calzini nel pavimento l’ho trovata bellissima); il cambio di dimensioni di Alice che è mostrato con alice sempre delle stesse dimensioni, ma con gli oggetti intorno che si rimpiccioliscono o ingrandiscono di volta in volta; il passaggio nel mondo del sogno entrando in un cassetto pieno di squadre e righelli (le gambe di Alice che spuntano dal cassetto del tavolino in mezzo al prato sono un’immagine che vale un film); personaggi viventi per lo più interpretati da oggetti inanimati rianimati (gli animali che sono scheletri ricomposti, il bianconiglio che è un coniglio impagliato che perde segatura, il già citato brucaliffo, le carte della regina di cuori che…beh sono delle carte da gioco) aumentando il senso di artificiale e l’effetto di straniamento. Tutte queste idee e l’atmosfera generale voluta dal regista danno un senso di inquietudine (così come Alice che parla anche per gli altri personaggi, che risultano quindi essere muti, così come sono muti gli oggetti) che le opere tratte dallo stesso libro non riescono mai a dare, un senso di oppressione e di sogno/incubo dove Alice sembra, tutto sommato trovarsi a suo agio, veramente nuovo (in fondo l’idea c’era anche nel classico Disney, ma un eccesso in quel senso avrebbe disturbato il pubblico infantile). A questo collabora anche il comparto sonoro, unico contrappunto uditivo se si escludono i brevi dialoghi interpretati da Alice; non c’è musica, solo i rumori più importanti che vengono amplificati fino a diventare l'unico suono esistente.


Il limiti di questo film, che è la noia e la lentezza, derivano tutti dall'idea di seguire in maniera ossessiva l’opera originale, che al cinema rende solo per le immagini e non certo per la trama senza senso.

venerdì 3 maggio 2013

Amsterdamned - Dick Maas (1988)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Direi che Maas si conferma l’unico regista olandese di cui m’importi qualcosa ( ah già, Verhoeven… vabbè lo considero statunitense… ah già, Six… lo considero cittadino del mondo!?). Allora ricominciamo.

Direi che Maas si conferma uno dei tre registi olandesi di cui m’importi qualcosa.
Dopo l’ottimo “De lift” ed il successo (almeno in patria) del secondo lungometraggio “Flodder” è evidente che in Maas ci credevano e gli han dato in mano i soldi, quelli veri.
E Maas ti tira fuori un degno seguito (ideale) di “De lift”. Stessa idea folle di base (qui un 15% meno folle), la solita soluzione finale che mostra quanto siano i capitalisti il problema (qui 25% meno demagogico), gli stessi attori e la stessa struttura narrativa. Quello che arriva con i soldi sono location fighe, inseguimenti con macchine e con motoscafi (quest’ultimo tra i canali di Amsterdam è decisamente buono), riprese subacquee ed esplosioni… direi che si è già detto tutto.

Poi se si vuole riesce molto meglio a creare dei personaggi che non sembrino statue di sale e una storia un 5% più complessa del primo film. Ma l’altro vero cambiamento è che pur mantenendo una regia sinuosa dà ritmo alla storia. Il vero problema di “De lift” era un racconto piuttosto acerbo che frenava in molti punti, qui no, l’idea sarà scema, ma il ritmo è sempre ben tenuto. Poi non si può negare che l’estetica è leggermente meno considerata (nessuna scena come quella della bambina con gli ascensori) e devo ammettere poca tensione, ma forse questo è anche dovuto all’epoca della pellicola e all’inevitabile invecchiamento dei film.

venerdì 21 dicembre 2012

Ashik Kerib, storia di un ashug innamorato - Sergei Parajanov, Dodo Abashidze (1988)

(Ashug-Karibi)

Registrato dalla tv in lingua originale sottotitolato.

Dopo la fortezza di Suram Parajanov realizzò il suo ultimo film. Questo Ashik Karib è la storia sempre più fiabesca di un giovane nullatenente che vuole sposare la figlia di un uomo ricco, l’uomo che no vuole dargliela in moglie gli richiede di provare a fare fortuna e tornare ricco anche lui, solo allora si potranno sposare.

Il film elimina nuovamente i movimenti di macchina in favore di una costruzione delle immagini più ricercata, ma a differenza del precedente la realizzazione è meno ricca e meno intensa, ma i colori ed il folklore locale sono sempre quelli. Anche il clima fiabesco rimane intatto, ma viene persa molta della poesia, puntando più sull’impatto visivo meno sui sottotesti, inoltre spinge in molte scene (tutte quelle con il sultano) sul macchiettistico e sulla satira. Infine anche la storia è presentata in maniera ancora più spezzata delle opere precedenti, puntando tutto sull’effetto scenico e rendendo ancora più ostica la fruibilità del film. Tutto sommato mi pare che, pur essendo un buon film nel suo genere, sia uno dei peggiori tra quelli più personali del regista russo.

Il film è dedicato a Tarkovskiy.

venerdì 11 maggio 2012

Le relazioni pericolose - Stephen Frears (1988)

(Dangerous liaisons)

Registrato dalla tv.
Frears costruisce un film sontuoso, esteticamente perfetto tutto improntato nel seguire gli attori, con una continua sequenza di primissimi o primi piani, alcune figure intere quando necessario e rari campi lunghi. Il regista capisce che il fulcro di tutto sono i personaggi ed il modo in cui sono resi e si attacca ai volti e agli sguardi senza mai perderli.

L’idea non è nuova, ma ben fatta ed il film ne giova tantissimo. In realtà il gioco è delicato, basta un piccolo errore di casting e tutto è perduto; invece il cast è tutto all’altezza dai comprimari a i due grandiosi protagonisti.
E qui si arriva al centro del film John Malkovich e Glenn Close. Malkovich recita come sempre, gigioneggiando nella parte dello strabico libertino dalla morale propria alla Wilde intriso di zolfo; ma è tenuto a bada da una regia che sa quello che vuole ottenere, creando una spalla perfetta per Glenn Close…

Poi c’è lei, l’attrice più brutta che il cinema abbia mai partorito, ma anche una delle più brave, qui regala la sua Cappella Sistina. Un personaggio pessimo tutto giocato sull’ambivalenza, sull’ipocrisia e sulla menzogna che parla in maniera impeccabile con le parole, ma comunica tutto con gli sguardi obliqui, i ghigni di gioia ed i pochi gesti stizziti. Tutto è giocato al limite della credibilità, basterebbe un nulla per andare fuori dalle righe e nel manieristico, ma la Close non sbaglia nulla, e crea un personaggio vero, trasmesso in maniera totale e con una capacità tale da riuscire ad essere affascinante… tremo a dirlo, ma Glenn Close non è mai stata così bella come in questo film, ha il fascino del male.
Un film strepitoso, da vedere assolutamente.

martedì 20 settembre 2011

Schegge di follia - Michael Lehmann (1988)

(Heathers)

Visto in tv. Winona Ryder è una delle ragazze in vista della scuola grazie al gruppo che frequenta, lei ci sta stretta in questi panni, quindi quando conoscerà il bel tenebroso Slater comincerà ad ammazzare a uso ridere.

Folle film adolescenziale che comincia come una commedia nera idiota (ed è la parte migliore) per finire con un ending serioso e thrilleristico che francamente stanca, perché rompe il ritmo, rompe il divertimento, rompe le balle e rimane comunque idiota come nella parte iniziale.

Questo è uno di quei film fatti senza pretese coi dialoghi copiati dai discorsi che si fanno d
a ubriachi e che fanno tanto ridere fin quando il mattino dopo non ci si veglia con il mal di testa e un posacenere al posto della bocca, si rilegge quanto detto la sera prima e si chiosa con un “quante minchiate”. Ecco in quest’ottica una commedia teen anni ’80 ci sta, funziona, diverte volontariamente ed involontariamente ed il risultato è più che gradevole (e poi c’è sempre il vantaggio di poter dire, “va che film che facevano negli anni ottanta, si sta meglio oggi anche se c’è la crisi”)… però quel finale li che si prende troppo sul serio, la deriva verso una critica sociale che francamente è ridicola di per se (sempre il solito discorso sugli outsiders nella società…scolastica statunitense) figuriamoci in un film del genere. Nel finale si svacca.

Va detto che sull’internet però questo film sembra essere un piccolo (incomprensibile) cult…

lunedì 15 agosto 2011

Ariel - Aki Kaurismaki (1988)

(Id.)

Visto in DVD, in lingua originale con sottotitoli in inglese.
Licenziato da una miniera ed ereditando da un collega una macchina, il protagonista va verso il sud (vive in Lapponia), verrà rapinato, dormirà in dormitori pubblici, si innamorerà di una “ragazza” madre, verrà messo in carcere quando cercherà di riprendersi quello che gli è stato rubato, evaderà con il compagno di cella con cui organizzerà una rapina per contro terzi che uccideranno l’amico, si vendicherà e infine fuggirà sul cargo Ariel (nominato quasi mai).

Il film è un esempio classico del cinema di Kaurismaki; un film muto moderno, ambientato nel basso della società, ma non nei bassifondi; dai toni soffusi, i sentimenti inespressi e gli attori invitati a non recitare, eppure tutta questa freddezza naif funziona da dio e crea un marchio di fabbrica sempre vincente; anche perchè il regista finlandese sa narrare da dio anche senza il bisogno di fronzoli. Ah si, e con molta ironia.

Questo film nello specifico mette in sequenza quasi tutti i generi che vengano in mente, su tutti, una storia d’amore; la storia di un’amicizia virile e, nella sequenza della fuga dal carcere, una palese citazione di Un condannato a morte è fuggito.

venerdì 22 aprile 2011

Nightmare IV: il non risveglio - Renny Harlin (1988)

(A nightmare on Elm Street 4: the dream master )

Visto in Dvx. Allora, c'è questo solito Freddy Krueger che torna di nuovo per finire il lavoro di vendetta del primo film; fa fuori gli ultimi sopravvissuti dell'opera precedente e visto che si è divertito abbestia decide di ammazzarne altri con una motivazione lieve lieve che proprio si poteva anche avitare. Com'è, come non è, alla fine Freddy viene battuto facendolo guardare in uno specchio (?!).

La domanda che mi perseguita da quando l'ho visto è: è più brutto questo o il secondo film della serie?
Se è vero che quello era un film che le provava tutte per essere originale financo instillando il germe dell'horror-gay; questo invece sembra aver messo insieme la storia con i rigurgiti di pelo del gatto dellos ceneggiatore. Tutto sa di già visto, tutto è banale, senza originalità e senza quelle idee soprattutto visive che, a mio avviso, avevano reso grande il capostipite della serie. Il fatto che ci sia un assassino che si aggira nei sogni non riesce a dare input e Freddy va in giro a infilare le sue unghie svogliatamente e ripetitivamente in omicidi schematici, privi di fantasia. Non c'è neppure molta ironia.
Se si considera poi che il secondo capitolo aveva tanta comicità involontaria che teneva ben desta l'attenzione, in questo mi pregio di sottolineare solo il cane che piscia fuoco; il fatto che questo è il film che più di tutti puzza di anni 80 (la musica, i vestiti, il karate per pezzenti post-Karate Kid del fratello della protagonista); ma soprattutto Robert Englund vestito da infermiera!

I lati positivi non mancano, come una regia che gioca bene con gli interni; una buona sequenza, quella ripresa dall'alto della protagonista mentre si addormenta e qualche effetto speciale venuto bene (come la ricostruzione del cadavere di Freddy).

Tutto considerato comunque il film è orribile, inguardabile e noioso; e per rispondere alla mia prima domanda, direi che è decisamente peggiore del secondo capitolo, perchè a quello gli si può obbiettare l'involontaria idiozia delle idee, ma non la totale assenza di fantasia. Al momento quindi, il peggiore della serie.

Forse vi ricorderete di me per scene come: Come detto non ce ne sono un granchè, visto che sono buono e voglio mettercene almeno una direi la trasformazione in scarfaggio; ironica, grottesca, motivata e ben realizzata. Poi in un film con idee mosce come questo spiccano anche la fuga delle anime dal corpo di Krueger o la pizza con le facce delle vittima, ma in un film adeguato non le avrei neanche notate.

venerdì 4 marzo 2011

Essi vivono - John Carpenter (1988)

(They live)

Visto in VHS.

Un futuro working class hero entra in possesso di alcuni occhiali che permettono di vedere il mondo reale e viene pertanto a conoscenza del fatto che l’umanità è assoggettata ad una razza di alini (dall’aspetto zombesco) che ci schiavizzano tramite messaggi subliminali tutti inerenti all’ubbidienza e al denaro. Assieme ad un gruppo della resistenza tenterà di renderlo noto al mondo.

Film incredibilmente originale di Carpenter in cui la trama horror/fantascientifica è una sfacciata presa di posizione contro il sistema capitalistico spinto che serpeggia negli USA reganiani.

Dal canto suo la trama non è proprio strutturata da dio, e il protagonista è, in molti momenti, un idiota integrale; tuttavia il film è dirompente, non solo originale, ma ben congegnato nell’idea di base che preannuncia già nei modi e nella forma la teoria del complotto dei rettiliani che va tanto di moda fra noi ggiovani. Un film imprescindibile.

lunedì 14 febbraio 2011

Frantic - Harrison Ford (1988)

(Id.)

Visto in VHS.

Polanski realizza un nuovo incubo.

Una coppia normale in viaggio a Parigi per un convegno va subito in albergo, mentre il marito (che non parla una parola di francese) si fa la doccia, la moglie scompare. Nessun indizio. Zero… che farebbe una persona normale? Non lo so, ma Harrison Ford, cammina sui tetti, s’infila nudo nel letto della moglie del regista e vende attrezzi per azionare bombe atomiche ai nemici dell’America.

No, seriamente; un gran film. Un thriller di gente comune che ha a che fare con meccanismi immensamente più grandi solo per un terribile gioco del destino. Per una cazzata come una valigia sbagliata. Si insomma, un film alla Hitchcock.

E il bello è che il ritmo è perfetto, il protagonista anche credibile e il meccanismo funziona. Poi io preferisco la parte iniziale quando nulla si sa e tutto è ancora in alto mare, però è solo questione di gusti. Il film funziona come non mai e Polanski si dimostra uno dei più grandi registi di thriller di sempre.

giovedì 23 settembre 2010

Milagro - Robert Redford (1988)

(The Milagro beanfield war)

Visto in tv.

Commediola buonista, sentimentalista, ecologista e qualche altra ista, targata Redford.
Non sto neppure qui a descrivere bene la storia, basti sapere che siamo nel sud degli stati uniti in un qualche stato molto ispanico, in cui un tizio che usa l'acqua per irrigare il suo campo di fagioli e questa cosa destabilizza i progetti di costruzione di un possidente locale, capitalista e tanto tanto cattivo... il tutto è condito con quello che, credo Mereghetti, definisce realismo magico, in realtà è solo un vecchio che idolatra i santi (cosa che fa tanto tanto ispanico) e parla con un tizio morto...
Il film è noioso, procede per clichè irritantissimi e terra terra, descrive come cattivi quelli che già tutti pensano essere i cattivi, e descrive come buoni quelli che tutti già pensano siano i buoni.
Cosa c'è di decente? Walken... che avrebbe almeno la parte del Mr. Wolf dei cattivi, dello stronzo più stronzo... peccato che Redford preferisca lasciarlo a giusto 4 o 5 scene e continua a inquadrare attori ispanici che fanno cose che sanno di ispanico...