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lunedì 12 marzo 2018

Sotto gli ulivi - Abbas Kiarostami (1994)

(Zire darakhatan zeyton)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un regista torna sui luoghi di un terremoto nell'Iran del nord per girare un film; le riprese di una scena piuttosto semplice sono rallentate dall'infelice scelta degli attori locali, un ragazzo e una ragazza, il cui amore è osteggiato dalla famiglia di lei. Lei studia, lui è incolto, ma ben intenzionato; lui è insistente, lei rimane chiusa nel suo mutismo; entrambi hanno perso tutto nel terremoto.

Film che riprende il tema del metacinematografico tanto caro al regista e le connessioni con le sue opere precedenti.
Il film però non rimane bloccato sull'autoreferenzialità e mostra una storia d'amore appena nata sul nulla; sui rapporti appena accennati fra i due, sulla negazione della storia da aprte dell'unica parente della ragazza e sul nulla lasciato dalla tragedia del terremoto. Su questo nulla quello che rimane più forte del resto non è neppure l'amore, ma l'ostinazione; la testardaggine dell'insistenza del ragazzo e della mancanza di una risposta della ragazza.
Ovviamente, come sempre, non ci sarà una conclusione.

Più organico e indipendente di "E la vita continua", più vivo, questo film è però rallentato da lunghi monologhi zoppicanti, da reiterate situazioni che si ripetono senza tentativi di renderle più dinamiche e senza comunque riuscire a dare quel sentimentalismo di fondo che era la spina dorsale del lento, ma potente "Dov'è la casa del mio amico".

lunedì 23 ottobre 2017

Faust - Jan Švankmajer (1994)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una rielaborazione del "Faust" Gothiano con la tecnica del teatro nel teatro. Un impiegato di Praga viene invitato a recarsi a un indirizzo senza una spiegazione vera e propria; arrivato trova dei vestiti e dei trucchi che indossa; si ritroverà dietro le quinte di un teatro misto con attori in carne e ossa e burattini a grandezza naturale; inizia a quel punto un corto circuito fra personaggio reale e personaggio interpretato, fra palco ed edificio, fra racconto e vita reale.

A distanza di una manciata d'anni da "Alice", Švankmajer torna alla regia di un lungometraggio a tecnica mista spostando l'asse (come sarà poi sua abitudine) verso il live action; come nel precedente prende la sostanziale inutilità delle parole (tutta la prima parte, dove c'è l'incipit extra teatro, è completamente muta) che vengono utilizzate solo per far ripetere parti del testo originale; mentre risulta completamente stravolto l'assetto dell'opera di riferimento. Se "Alice" era una versione identica al libro originale, qui è totalmente rielaborato per poter mantenere lo spirito, ma l'impianto che ne viene tirato fuori è uno dei più complessi e articolati cortocircuiti fra realtà e finzione che abbia mai visto; il protagonista entra in un teatro all'inizio per non uscirne più, anche quando se ne andrà, fisicamente, dall'edificio. Descriverlo è sostanzialmente inutile, bisogna vederlo.

Dal punto di vista di messa ins cena siamo davanti al classico Švankmajer; c'è sempre un gusto particolare per il dettaglio (nel senso del tipo di inquadratura), anche se sembra meno programmatico che in "Little Otik", c'è sempre un impianto artigianale della messa in scena (e l'utilizzo di luoghi dismessi, squallidi, spersonalizzati e senza tempo) e c'è sempre un fantastico uso del sonoro, con un numero limitato di suoni rispetto a quello naturale, ma quei pochi vengono amplificati. Lo stile dunque è quello che ci si aspetterebbe conoscendo il regista, solo, forse, un poc meno compiuto o meno insistente.
L'unica pecca è, anche qui un classico per Švankmajer, la lungaggine; quando il gioco è ormai evidente, il regista sembra insistere troppo in alcune ripetizioni eccessive.

lunedì 24 novembre 2014

Lamerica - Gianni Amelio (1994)

(Id.)

Visto in Dvx.

Caduta del regime albanese, due italiani vogliono creare una finta fabbrica di scarpe per drenare soldi pubblici italiani, la vogliono costituire con sede in Albania per approfittare del caos e per sperare che l'Italia non faccia controlli. Per firmare il contratto con il ministro albanese viene scelto un prestanome locale, un anziano trovato in un ospizio fatiscente che, all'apparenza, sembra catatonico. Il vecchio fugge e uno dei due dovrà andare sulle sue tracce attraversando uno stato allo sbando. Una volta trovato il ritorno sarà più complicato dell'andata ed il passaporto italiano non sarà di molto aiuto.

Il film, realizzato a due anni dal periodo raccontato, non ancora con il distacco dovuto, fotografa benissimo un ambiente, reale, ma anche sociale; e con fotografa lo intendo in maniera letterale, la fotografia polverosa e terrea, gli ambiente bui o gli spazi aperti desolati, i vestiti usurati tutto descrive una situazione che (forse anche reale) diventa comunque simbolo del caos e del degrado morale di una nazione allo sbando così come dei singoli protagonisti di questa storia.
La trama funzionale nella prima parte si incarta nella seconda in un eterno viaggio che si compiace di mostrare situazioni al limite senza nessun costrutto; si incarta anche sul personaggio del vecchio che si rivela essere un italiano finito in Albania durante il fascismo ed ora, vittima della demenza, pensa di esser ancora nella seconda guerra mondiale tratteggiando un parallelo fra guerra albanesi e italiani (fra fuga dall'Italia e fuga dall'Albania) molto ideologico, ma che al film fa bene in misura limitata, a lungo andare il personaggio irrita più che creare empatia e diventa un peso enorme a fronte di una trama che potrebbe rimanere in piedi da sola. Molte delle scene finale sono realizzate con l'idea di mostrare che "una faccia, una razza" (l'italiano che deve tornare in Italia con uan nave della speranza, gli albanesi che cantano "L'italiano" di Cutugno, ecc..), messaggio lodevole che, probabilmente, all'epoca poteva dare un importante contributo sociale, ma sulla distanza rendono il film un'opera troppo impegnata ad essere politicamente corretta  per essere anche interessante.
Bello invece (e ben recitato) il personaggio del traduttore albanese all'inizio del film, così come altri personaggi minori costruiti molto meglio e con molto meno rispetto ai piatti protagonisti.

martedì 31 dicembre 2013

L'uomo ombra - Russell Mulcahy (1994)

(The shadow)

Visto in Dvx.

Se si comincia a vedere un film aspettandosi una commedia gialla anni '30 ci si può ben immaginare lo sgomento (per usare un eufemismo) nel trovarsi di fronte ad un (incredibilmente) giovane, ma sempre (incredibilmente) inquietante, Alec Baldwin... soprattutto se lo si vede vestito nella versione carnevalesca anni '80 di un cinese...
La storia è quella del riccastro, Baldwin, negli anni '30 (vedi che comunque l'ambientazione era giusta!) che diventa un supereroe con le conoscenze della (sempre misteriosa) cina. Tornato a casa sconfigge criminali e diventa famoso, poi si innamora, un tizio con un qualche rapporto con Gengis Khan (l'ho già dimenticato) si fa spedire in america dentro un sarcofago e gli serve solo un minerale introvabile, un contenitore innovativo ed un'idea del tutto precoce per costruire una bomba atomica... toh guarda minerale, contenitore e l'unico scienziato che può assemblare il tutto si trovano tutti li e hanno tutti un (recente) legame con Baldwin.

Film che rappresenta la quintessenza degli anni '90, con scenografie pantagrueliche tutte realizzate senza computer (con quel misto di veridicità e palese costruzione in cartone); l'oriente come luogo di fuga/rifugio/ritrovamento di se stessi/assimilazioni tecniche innovative per muovere oggetti o diventare ombre; uso inesperto della CGI (ma comunque decente); attori di richiamo in prima battuta e una squadra di attori bravissimi nelle retrovia; infine un'idea di trasposizione da un fumetto molto... fumettosa, kitsch, si insomma post Tim Burton.

In questo tripudio di soldi spesi, c'è un (sempre) poco credibile Baldwin come protagonista, che quando si traveste diventa ancora meno credibile; c'è una storia patetica (la bomba atomica?!!) e poco interessante che si segue a forza; un ritmo da commedia di se stessa, da film che vuole scherzare con un genere che ancora non si è formato del tutto rendendo solo meno credibile il tutto; come già detto tanti attori ottimi usati malissimo. In definitiva, un campionario orrendo di quello che si poteva fare in quei gloriosi anni avendo i soldi, ma non avendo Spielberg.

giovedì 9 febbraio 2012

Léon - Luc Besson (1994)

(Id)

Visto in DVD.
Per la storia, cliccare forte qui.

Personalmente provo un grande rispetto per Besson e questo a priori, senza aver mai visto un suo film. Ora ne ho visto uno, che credo sia anche uno ei più famosi… direi che il rispetto è notevolmente diminuito.
Le sequenze iniziali sono da urlo. Niente di originale, c’è il solito killer su commissione che è un ninja, si nasconde nell’ombra, si aggrappa sotto le scale, danza tra le pallottole e uccide tutti. Poi viene presentanta la ragazzina e l’antagonista insieme, altro bel momento dove si mettono in chiaro diverse regole base di un film del genere, lei sfigata oltre ogni dire, ma tanto buona; il cattivo abilissimo, degno rivale del protagonista maschile. E a questo punto aggiungerei pure che ci si impegna nel caratterizzare i personaggi in maniera equidistante fra archetipo base e tocchi di originalità, direi pure che il risultato è più che positivo…

Però poi è proprio qui che il film svacca. È evidente che non c’è una grande idea al di la del già mostrato in decine di altri film, mentre il punto di forza (rappresentanto dai personaggi) viene svilito in sipariette stupidi, esagerazioni caricaturali e in un poco empatico rapporto para-pedofilico che poco ha di apprezzabile. Non mi possono mostrare uno Jean Reno macchina da guerra indistruttibile che poi si mette a fare facce buffe a tavola, me lo sviliscono, ci sono altri sistemi per mostrarmi il suo diventare umano.

Se a questo ci si aggiunge che di scene d’azione ben congegnate ce ne sono poche (leggasi, non ne ricordo neppure una), allora tutto l’impianto viene buttato in vacca.

Quando hai dei bei personaggi che si rincretiniscono (o diventano terribilmente irritanti) in un attimo, quando hai una storia d’amore tra le più grottesche di sempre e scene d’azione che non sono d’azione il film è finito.

giovedì 5 gennaio 2012

Getting any? - Takeshi Kitano (1994)

(Minnâ-yatteruka!)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.Un uomo vuole rimorchiare delle donne e ritiene che il segreto sia possedere un’auto, non importa quale-come-dove, basta avere un’auto. Da qui parte un film che tocca ogni genere cinematografico senza soluzione di continuità finendo con un uomo-mosca gigante che va a mangiare una mega cacca…

Questo alla sua uscita è stato considerato il suicidio artistico di Kitano, poco prima dell’incidente che ne segnerà la vita e la faccia. Di fatto, a distanza di quasi un ventennio si può dire che il film contiene la vena comico/surreale che è propria di Kitano. Difficile non notare come la sua recente trilogia sul fare film sia sostanzialmente una versione migliorata e patinati di questo Getting Any?

Kitano stesso all’uscita del film disse che era un tentativo di insultare il cinema e la cosa si vede a mano a mano che il film accumula citazioni e battute idiote fino al finalone fatto di cacca e un kajiu che è figlio de “La mosca” di Cronenberg. Nella parte iniziale però, quella meno citazionista, quella iniziale sui tentativi del protagonista di portarsi a letto le donne comprando una macchina, il film fa ridere, è decisamente divertente quanto può esserlo un film comico demenziale.
In sostanza questo è un bignami del cinema che a Kitano piaceva (per lo più giapponese, dalla Yakuza ai film di fantascienza, e c’è pure Zatoichi!; ma ci sono pure piccole citazioni made in USA come “La mosca” o i “Ghostbusters”), messo sotto spirito e venuto decisamente male… probabilmente quando Kitano finisce le idee comincia a sbrodolare… alla fine è solo un film su un tizio che vuole fare sesso.

venerdì 7 ottobre 2011

Don't drink the water - Woody Allen (1994)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in italiano.
Durante la guerra fredda, tre turisti americani in gita in un, non meglio precisato, paese dell’est. Braccati per sospetto spionaggio finiranno nell’ambasciata USA, in cui il figlio dell’ambasciatore sostituisce il padre che è tornato in patria. Ovviamente una serie di idiosincrasie e di sbagli condurranno fino al lieto fine.

Tratto da un’opera teatrale dello stesso Allen, già portata sullo schermo nel 1969 da Howard Morris con "Come ti dirotto il jet". Quel film però (che non ho visto) deve aver disgustato profondamente Allen, visto che a distanza di una trentina d’anni si sentì in obbligo di farne un remake come film per la tv.

Comunque sia la storia è il classico Woody Allen dei ’60, ironico, ma quasi mai del tutto divertente, che crea situazioni di ambiguità, cita la magia e un paio di altri suoi topoi classici.
Come regia Allen crea una serie di piani sequenza che girano intorno alle scene che si svolgono forse per omaggiare l’origine teatrale del film, o forse solo perché i soldi e il tempo erano pochi.

Il film intrattiene bene anche se non aggiunge nulla al curriculum del regista, va detto che si inserisce come una nota positiva nel declino che stava subendo la produzione di Allen negli anni ’90.

mercoledì 24 agosto 2011

Nightmare nuovo incubo - Wes Craven (1994)

(New nightmare)

Visto in Dvx. Siamo nel 1994, la Langenkamp interpreta la Langenkamp, si è sposata, c’ha un bimbetto, e si appresta a fare un giro di interviste e revival per il decennale dal primo Nightmare, mentre i produttori della New Line (la casa produttrice di tutti i Nightmare) si apprestano a farne un settimo capitolo. Ovviamente la Langenkamp è da un po di tempo che ha incubi ricorrenti legati a Freddy Kruger e viene stalkizzata da un maniaco telefonico… quello che scoprirà quando andrà a parlare con Craven (interpretato da Craven), sarà che Freddy Kruger esiste, è un’entità malvagia che utilizza le forme che più gli aggradano e che lui, bravo Wes che salvi il mondo, lo teneva imprigionato nei film che realizzava ed ora si apprestava a farne un altro appunto perché Freddy’s back! Ovviamente realtà e finzione si fonderanno irrimediabilmente.

Meta cinema come se ci fossero i monsoni. Questo più che un capitolo della saga ufficiale è un film indipendente creato da Craven per gli appassionati del genere in cui ne delinea i motivi e ne mostra alcuni aspetti tecnici (la preparazione delle scene e degli effetti speciali), si insomma, è uno Scream prima di Scream (ci sono pure le telefonate!).

Poi diciamolo subito che sennò poi me lo dimentico, questo film si che è diretto da dio, macchina da presa mobile che segue i personaggi quasi come fossimo in un film di Aronofsky e Wes Craven che ci da dentro in tocchi di classe horror come se non ci fosse un domani. E oltre a giocare con il genere (la morte del marito della Langenkamp è un Nightmare classico… solo che il protagonista canticchia “Losing my religion”; mentre quella dell'amica è un'autocitazione modernizzata) il film si batte per usare il metacinema in maniera continuata e se alcune forzature risultano carine e basta (il finale con la Langenkamp che legge la sceneggiatura dall’inizio come fiaba al figlio), altre scene sono proprio funzionali a creare il mood (come la sequenza del dialogo con Craven, che si può rileggere sul computer dove sta scrivendo la sceneggiatura, lo script si conclude con la scritta “fade to balck” e ovviamente si va in dissolvenza; bravi tutti).

Infine c’è da sottolineare l’autoironia che rimane per tutto il film, dal vomito fecaloide tipo esorcista, alle frecciate contro i protagonisti stessi (“io ero convinta che Wes avesse finito con i film dell’orrore”).

PS: gradito ritorno, la lingua di Freddy che esce dal telefono.

giovedì 12 maggio 2011

Lisbon story - Wim Wenders (1994)

(Id.)

Visto in VHS.

Un tecnico del suono viaggia dalla Germania al Portogallo per cercare un suo amico regista a cui deve dare una mano per la realizzazione di un documentario su Lisbona. Una volta giunto sul posto non lo troverà, rinverrà però il suo lavoro, attraverso il quale ricostruirà il suo peregrinare attraverso la capitale portoghese…

Il film comincia da dio. Inaspettatamente per un film di Wenders è immediatamente virato verso la commedia (quasi cartoonesca nelle disavventure con la macchina) con qualche venatura di quell’ottimismo pan-europeo figlio di Schengen. E li, in quel momento, il film funziona. E la cosa è strana perché riesce a farsi seguire senza noia anche se mostra semplicemente il lento rivelarsi della relatà portoghese agli occhi di un tedesco, si mostrano gli ultimi giorni noti del regista e si mette in scena un po del lavoro di un tecnico del suono. Niente di esaltante, ma il tutto è presentato nella luce giusta…

Poi l’amico regista viene trovato… e li il film diventa wendersiano per davvero; si fa intellettuale, tutto proteso a spiegare i massimi sistemi, sul significato del cinema, sulla non affidabilità delle immagini come mezzo di comunicazione, e altre altissime teorie che affossano ritmo e storia ammazzando in colpo solo tutto il buon lavoro fatto fina a quel punto.

In definitiva un film inutile, che nell’esigenza di voler essere profondo perde ogni filo del discorso possibile.

PS: comparsata di un ottantenne de Oliveira che saltabecca per una strada vestito da Chaplin (!).

mercoledì 9 marzo 2011

Mister hula hoop - Joel Coen, Ethan Coen (1994)

(The Hudsucker proxy)


Visto in VHS, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Finalmente i Coen azzeccano completamente un film. A fronte della solita fotografia curatissima, una scelta degli attori e della messa in scena impeccabili e della consueta regia dinamica ed inventiva; riescono ure a creare una buona storia. Un ingenuotto viene preso, per questioni legali, a dirigere un’impresa milionaria perché i titoli di questa vadano sotto i tacchi, purtroppo però ha qualche idea geniale di troppo, e tra una giornalista senza scrupoli che vuol capire chi sia, e un braccio destro che decide di sbarazzarsi di lui non avrà vita facile.

La base sono le commediole upper class anni ’50 e come tale si muove e centra i punti necessari. Ma come sanno fare talvolta i Coen, riescono a giocare con il genere, disilludendo le aspettative del pubblico (stupenda ad esempio la scena in cui Paul Newman viene trattenuto dai pantaloni da una disdicevole caduta dal 44esimo piano) e mescolando il tutto con un lisergico finale che ammicca pesantemente ed ironicamente a Frank Capra. Ovviamente c’è leggerezza e divertimento e ovviamente ci sono dialoghi rapidi ed impeccabili che danno un ritmo velocissimo al film.

Un film assolutamente perfetto nel suo genere; non un capolavoro, ma un film che punta in alto e azzecca tutti gli obbiettivi che si pone, e forse qualcosa in più…

PS: l’unica pecca è il titolo italiano, che elimina completamente l’effetto sorpresa del leit motiv del cerchio e che annienta il miglior gioco che i Coen fanno con le aspettative del pubblico… americano.

venerdì 2 luglio 2010

Creature del cielo - Peter Jackson (1994)

(Heavenly creatures)

Visto in DVD.

Questo è il rimo film di Jackson ad avere un budget decente, il primo post-serie B (e che serie B; il film precedente è infatti "Splatters" una delle vette di Jackson) e tira subito fuori un'opera magnifica.
Il film parla di una coppia di ragazze 14/15enni della Nuova Zelanda degli anni '50 che si incontrano, si stanno simpatiche, si frquentano, si innamorano e danno di matto assieme. Fin dall'inizio è evidente che non si tratta di due semplici adolescentelle, ma che sono pure un po disturbate e provano una certa tendenza verso il lato oscuro della vita (si insomma 2 adolescenti standard se fossero nate dopo gli anni '80), si comprendono a vicenda, si rifugiano in un mondo immaginario che condividono e spesso lo confondono con la realtà. I genitori di entrambe si preoccupano per una tendenza all'omosessualità che fa paura e decidono a più riprese di separarle, ma le crisi di pianto delle giovani li fanno deisistere ad intermittenza, finchè entrambe non decidono che il vero problema alla loro unione è la madre di una delle due...e qui prende vita una delle scene più crudeli che abbia visto di recente.

Jackson fa capire subito, fin dall'incipit, chi comanda, con uno stile rapido che punta sempre a inquadrare nella maniera meno convenzionale e più dinamica possibile, e che si lascia spesso contagiare dalla tendenza fantasy al surreale. Le scene migliori infatti sono quelle in cui le due ragazze immaginano dei personaggi di argilla, da loro inventati e costruiti, agire nel mondo reale, unitamente ai miti del cinema e della canzone dell'epoca. Tra le scene più belle la macchina da presa che entra nel castello di sabbia mentre le ragazze raccontano la storia, ma soprattutto le due inseguite da Welles dopo aver visto "Il terzo uomo"... no dico, inseguite da Welles che poi si fa anche una delle due!!!
Magnifiche le due protagoniste, nate cinematograficamente con questo film, la Winslet mostra già tutte le capacità che oggi le si accreditano, mentre la Lynskey, anch'essa bravissima, sarà più sfortunata nella vita lavorativa.
Il film, crudele, fantasioso, e godibilissimo, rimane uno dei più onesti a rappresentare le pulsioni adolescienziali, pur se portate ai limiti della normalità.

giovedì 4 febbraio 2010

Il sole ingannatore - Nikita Sergeevič Michalkov (1994)

(Utomlyonnye solntsem)

Visto ad un cineforum.

Un film che è una commistione di generi, mischia il melò sentimentale (tutta la prima parte) con il dramma vagamente storico (la seconda parte) con la commedia, apertamente divertente, ma che si basa su gag minimaliste.
Michalkov fa un lavoro semplice, pone una donna contesa, che tanto contesa non è, in un ambiente storicamente importante, l'inizio delle purghe staliniane, tirandone fuori un film che non distribuisce colpe, ne quelle della trama ne quelle storiche, ma asseconda soltanto le tensioni interne alla trama.
Il colpo di scena è assolutamente atroce, ma proposto in un ambiente così sereno, e introdotto così tranquillamente che trasfigura i personaggi senza fare troppo male.
Un film splendido, intimista ed efficace.