lunedì 31 dicembre 2018

Elegia di Osaka - Kenji Mizoguchi (1936)

(Naniwa erejî)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Per aiutare la famiglia (il padre pieno di debiti e le tasse universitarie del fratello), una telefonista diviene amante e mantenuta del capo; quando la relazione verrà interrotta dovrà trovare un altro uomo a cui attaccarsi, ma questo la denuncerà. Verrà rilasciata, ma la famiglia la obbligherà ad andarsene per il disonore causato.

Amarissimo film di Mizoguchi che mette subito in chiaro il pessimismo cosmico che lo caratterizza. Il mondo non è brutale, ma opportunista e il destino ama accanirsi; tuttavia Mizoguchi non è Ozu e la famiglia non è un porto sicuro, ma fa parte del mondo come ogni altra struttura sociale.

Questo film è piuttosto interessante per la regia perché anticipa fortemente quello che si vedrà con "La storia dell'ultimo crisantemo", considerato il capolavoro anni '30 del regista. Il film è pieno di piccoli piani sequenza, lunghe carrellate (soprattutto laterali), ampia gestione delle location e c'è pure un inserto teatrale(qui bunraku); ma c'è anche qualcosa in più rispetto al film successivo; moltiplicazione degli angoli d'inquadratura, abbassamento della macchina da presa, punti di fuga esterni alla scena e "filtri" tra l'obiettivo e i personaggi inquadrati (porte, finestre, scaffali, ecc...) oltre a un mostruoso gusto nella realizzazione delle inquadrature.
A livello estetico, dunque, è uno dei suoi film più belli del periodo, purtroppo soffre un poco di una trama piuttosto inconsistente; fortunatamente il minutaggio contenuto e una melodrammaticità non troppo enfatizzata riescono comunque a rendere gradevole la visione.

venerdì 28 dicembre 2018

Il cittadino illustre - Gastón Duprat, Mariano Cohn (2016)

(El ciudadano ilustre)

Visto in aereo, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Il fresco vincitore del premio nobel per la letteratura si trova in un momento di crisi; riconosciuto il suo valore da parte dell'establishement si sente un autore "comodo" e finito. Comincia a rifiutare ogni impegno finché non gli arriva l'invito da parte del sindaco della sua cittadina natale; un paesino sperduto dell'Argentina. Tornerà e rivedrà le persone conosciute un tempo che si riveleranno sempre più cariche di intenzioni e sentimenti negativi.

Un film tecnicamente ben fatto, ma dalla messa in scena semplice che punta tutto sul tono per dare un significato maggiore a una storia di discesa nell'inferno (dove l'inferno sono gli altri).
Il ritorno nel paese natale è una cavalcata grottesca che inizia con un'auto in panne e uno dei libri del neo-nobel usato come carta igienica; da lì iniza una cavalcata che di comico ha veramente poco, ma di ironia graffiante nei confronti delle persone più (apparentemente) innocenti che sfocia continuamente nel grottesco (già detto, ma va ribadito). Il tono nefasto prosegue verso il dramma quasi inverosimile (il pre-finale mi ha ricordato "The wicker man" per significato) senza che lo strappo fra l'ironia e la tragedia si senta mai, il film scorre perfetto fino alla fine.
Il finale vero e proprio poi getta un'ombra di dubbio su ttuto quello che si è appena visto. Trovata intelligente per chiudere un film difficile da concludere, ma che, sinceramente, non ne aumenta il valore.
Bravo e fondamentale per la riuscita, Oscar Martínez, teso fra una effettiva superiorità e una supponenza fastidiosa, ottimo nel mostrare spaesamento rimanendo, quasi, impassibile.

mercoledì 26 dicembre 2018

Il ferroviere - Pietro Germi (1956)

(Id.)

Visto in Dvx.

La storia di un ferroviere, tendenzialmente buono, ma dedico all'alcol che gli permette di affrontare nel peggior modo possibile, la gravidanza indesiderata della figlia, un incidente di lavoro con gravi conseguenze e la vita famigliare in generale, fatta più di assenze che di presenze.

Melodrammone neorealista di un Germi incredibilmente reazionario. Un film classicissimo nel portare verso una agnizione estrema in un finale drammatico e dolce insieme che sembra uscire da un romanzo ottocentesco. La cifra stilistica però è quella simil-neorealista che ambientazioni popolari e una galleria di personaggi semplici che della piccola borghesia sentono solo un lontano aroma.

Accusato, giustamente di essere troppo alla De Amicis, populista, retrogrado, con una morale già vecchia per l'epoca, ad una visione attuale porta dentro di sé tutti questi difetti con una tracotanza quasi fastidiosa. Curiosa anche la scelta di porre il punto di vista del figlio piccolo, interessante e ricca di opportunità, ma utilizzata solo per sfruttare qualche momenti drammatico e poi accantonata.

Nonostante i molti limiti il film riesce comunque a portare a casa il risultato con l'intimismo insistito (che, a me, colpisce sempre), ma soprattutto la psicologia del protagonista. Il padre-padrone della vicenda non si limita a essere una macchiatta buonista e neppure l'acolista imbruttito da film (fantastico poi trovare una così evidente accusa della dipendenza da vino in un film d'epoca), ma riesce invece ad avere ogni sfumatura nel mezzo e ad aggiungere quella dell'uomo amante del proprio lavoro, dell'uomo bistrattato dal destino, dell'uomo quasi anaffettivo, ecc...
Non un capolavoro, ma un film interessante che può valer la pena recuperare, soprattutto, per chi ama il melodramma.

PS: come al solito magnifica la spalla Saro Urzì.

lunedì 24 dicembre 2018

Paisà - Roberto Rossellini (1946)

(Id.)

Visto in Dvx.

Sei episodi ambientati durante la guerra di liberazione in Italia. A partire dalla Sicilia e sei episodi si spostano verso nord per terminare a Venezia.
Più che mostrare la guerra o i suoi effetti, sembrano voler mostrare i rapporti fra italiani ed esercito alleato; rapporti fatti di diffidenza, accettazione, incomprensioni. Il tema è assolutamente innovativo e interessante; ovvio che i nazisti siano i cattivi (...anche se poi tanto ovvio non è dato il fascismo) e i tanti film sul tema della convivenza con i tedeschi durante la guerra sanno di stantio, ma la convivenza con i liberatori (un esercito di persone culturalmente molto distanti, che parlano una lingua diversa, con intenti che non sono sempre gli stessi degli italiani e che devono rapportarsi con un popolo che fino al giorno prima era il nemico) dà spunti molto più interessanti e continua a rimanere un tema poco trattato.
Seppure gli episodi siano del tutto indipendenti il tema comune lega bene tutto e sembra una sorta di sviluppo della stessa trama, mostrando l'incremento di intimità fra i due personaggi collettivi, mostrando l'evoluzione dei loro rapporti.

Come sempre nei film a episodi la qualità è altalenante. Molto bello il terzo episodio, semplice, veloce, ma emotivamente denso; il quarto risulta uno dei migliori (una cora attraverso una guerra che non appartiene al protagonista e della quale importa solo indirettamente), ma anca una conclusione efficace; non di livello il quinto che si perde dietro il rapportarsi fra religioni diverse; gli altri buoni, con qualche ingenuità o qualche semplificazione eccessiva, ma ognuno raggiunge il suo obiettivo.
Pessima la voice off da Istituto Luce che introduce i vari episodi.

Tutto sommato direi che questo è un film più importante (anche come documento storico) che non ben realizzato, più intelligente che indimenticabile.

venerdì 21 dicembre 2018

The nice guys - Shane Black (2016)

(Id.)

Visto in aereo.

Un investigatore privato viene assunto per ritrovare una ragazza, ma un altro tipo di libero professionista (un tizio che viene assunto per pestare le persone per conto terzi) lo spinge a smettere le indagini; ma le cose cambiano in fretta e il secondo si unisce al primo all'inseguimento della ragazza perché, a quanto pare, c'è un mistero più grande che aleggia.

Classico buddy movie scritto da Shane Black con personaggi autodistruttive, dalle situazioni famigliari dolorose, macchine che entrano in casa e scene in vasca da bagno. Si insomma, Shane Black riscrive, per l'ennesima volta lo stesso film, continuando con quella passione per l'hard boiled infarcito di ironia che è ormai una cifra stilistica. Che sia da condannare per mancanza di idee e continua ripetizione di sé stesso... sarei abbastanza d'accordo se stesso creando film con lo stampino di un genere più diffuso, il noir grottesco non ha molto seguito e non ha epigoni così competenti; condannare Black perché ripete lo stesso archetipo è come insultare Tom Waits perché fa sempre lo stesso tipo di musica; se lui smettesse chi rimarrebbe a colmarne il vuoto?

Se dunque siamo dalle parti del di poco precedente "Kiss Kiss Bang Bang", un buddy movie sgangherato e ipercolorato totalmente californiano, ma al contrario del precedente, qui la storia (sempre intricatissima e chandleriana) è più concreta, meglio condotta e meglio scritta, senza salti o strozzature, con un'ironia continua e ben dosata. Ovviamente poi ci sa fare con le caratterizzazione dei personaggi, riuscendo in maniera efficace a dare un minimo di spessore anche ai vari caratteristi che si muovono in secondo piano, ma che danno credibilità a corposità al film.
La regia è sempre la stessa; tutta giocata su una fotografia colorata (in questo caso piuttosto agée), ben ritmata con il montaggio e un'attenzione maggiore per i dettagli di scena (vestiti, oggetti e location) che per la macchina da presa in sé.
Un film ovviamente ottimo per idee e ottimamente realizzato.

PS: galleria di attori tutti in parte e ben selezionati, unica pecca Kim Basinger, messa lì più per l'idea di averla in quella parte che per reale merito.

mercoledì 19 dicembre 2018

Labirinto di passioni - Pedro Almodóvar (1982)

(Laberinto de pasiones)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.


Il figlio del re di una nazione esotica si trova a Madrid in libera uscita e si innamora della figlia ninfomane di un ginecologo. Attorno a queste due figure si inseriscono una moltitudine di personaggi e personaggetti, spesso non utili alla trama, che descrivono un mondo fieramente queer, incredibilmente vasto e interconnesso (nella parte iniziale si impiega non poco a capire chi è il protagonista) e ovviamente vitale e scanzonato.

Al suo secondo film Almodovar prosegue sulla linea del primo, ma dando una spolverata di concretezza in più con una trama, anche se molto debole.
L'effetto finale, però, al contrario di quanto mi sarei aspettato è peggiore.
La regia continua a latitare del tutto... e come me ne sono fatto una ragione con "Pepi, Luci ecc..", avrei potutto soprassedere anche qui; ma la trama imposta a questa opera è di un pallore inaccettabile, soprattutto considerando che ammazza in maniera inguaribile la vitalità che era la spina dorsale del primo film. Qui, per avere maggiore concretezza, si sceglie di uccidere lo spirito iconoclasta di "Pepi" e non basta inserire una lunga sequenza cantata con una canzone funky cantata dallo stesso regista o mettere gag su diarrea e sesso, è proprio l'animo che è completamente diverso.

Inefficace, ma comunque interessante (per dietrologi), in quanto per la prima volta si vede il grande amore del regista per il melò; il rapporto fra i due protagonisti sembra essere preso di peso da un feuilleton d'altri tempi.

lunedì 17 dicembre 2018

Hunger Games: il canto della rivolta, Parte I - F. Lawerence (2014)

(The Hunger Games: Mockinjay - Part I)

Visto in Dvx.


La rivolta è iniziata, a Katniss non è richiesto di essere parte attiva agli scontri, ma deve esserne il simbolo, deve creare consenso tramite video promozionali e visite "pubblicitarie". Dall'altra parte, però, Peeta, rimasto a Capitol, verrà sfruttato allo stesso modo.

Al terzo capitolo Huger Games decide di pigiare con ancora più forza sulla mitopoiesi e lo fa con un'intelligenza e un'ambiguità ancora superiori a quelle dei primi due film.
Katniss rimane dubbiosa su tutto, titubante nell'accettare gli oneri della fama e a diventare l'emblema della rivolta da lei scatenata. Di fatto la prima protagonista di un franchise milionario ad essere artefice involontaria di tutto e ad essere restia a prendersi le proprie responsabilità.
Inoltre la mitopoiesi passa attraverso ambiguità e patti interni tutta'altro che limpidi, mentre le scelte fatte in nome di un bene superiore vengono chiaramente messe in discussione dalla propaganda di Capitol tutt'altro che infondata.
Allo stesso tempo, questo lungo capitolo fatto di advertising mostra il lato oscuro del marketing, la creazione del nulla in uno studio di posa, lo sfruttamento di simboli semplici e immediatamente riconoscibili, le visite a ospedali o zone di massacri per avere maggior realismo ecc... Un discorso ampio che, anche guardato in maniera molto limitata, quantomeno parla del modo di creare immagini e di fatto del cinema stesso.

A livello estetico si fa un passo avanti verso quell'impronta sovietica nel popolo massa che, curiosamente, viene applicata sui buoni (cosa non scontata per un film USA).

A tutto questo si prosegue con una delle storie d'amore adolescenziale tra le più originali di sempre, mentre al già nutrito cast anti-mainstream si unisce una Julianne Moore non proprio fondamentale, ma che fa davvero piacere vedere in scena. Ovviamente la parte del leone la fa sempre la Lawrence, anche se, in questo episodio, mi è sembrata meno capace che nei due precedenti, ma sempre lavorando a una media superiore a molti suoi colleghi.

venerdì 14 dicembre 2018

Cry Freetown - Sorious Samura (2000)

(Id.)

Visto qui.

Il regista di questo documentario di circa 30 minuti era un montatore di video per UNICEF, si ritrovò addosso la battaglia di Freetown (evento finale... più o meno, della lunga e terribile guerra civile sierraleonese); decise di scendere in strada e riprendere quello che successe. Montando il tutto il documentario che ne risultò venne reso pubblico dalla CNN e da lì i premi furono ad un passo.

Data la storia particolare non stupisce di trovarsi di fronte a un documentario che è più un documento, mostra eventi particolari e minimali (con troppa enfasi, blame insistiti e un portagonismo del regista che sa di tracotanza più che scelta di stile) che rimangono fini a sé stessi, non spiega gli eventi, la situazione più ampia o l'intera guerra, non spiega neppure la battaglia nella capitale; si limita mostrare immagini truculente che rimangono importanti quanto il filmato di Zapruder, ma con la stessa qualità che rimane costantemente a zero.

Niente più che un documento, solo immagini, nessun valore aggiunto, nessun chiarimento.

mercoledì 12 dicembre 2018

Il fantasma della libertà - Luis Buñuel (1974)

(Le fantôme de la liberté)

Visto in Dvx.

Film senza una trama, ma con una serie di episodi collegati dai vari protagonisti che si incrociano per poi lasciare spazio ai personaggi dell'episodio successivo.
Una serie di sketch disgiunti uniti dal ritmo della messa in scena, più che dal fluire di una storia; un lavoro simile a "La via lattea" per struttura e, in parte, per intenti (là era la critica alla religione, qui una critica alla società borghese e all'autorità, in parte anche ecclesiale). Ma il vero valore aggiunto è la declinazione dell'intento dissacratorio in chiave ironica che rende tutto meno urlato dal pulpito e più godibile.
Un surreale divertissement ricco di idee e di intuizioni (con altre francamente più scontate) splendidi agganci fra le sequenze. Un divertissement che intrattiene perfettamente più che far ricordare il film in sé (anche se diverse sequenze sono cult e molte sono davvero ben pensate e realizzate).
Il film è infine coronato da una galleria d'attori (usati per lo più in piccole parti) da fare invidia.

Interessante inoltre l'idea che il segmento del killer (che dopo aver ucciso diverse persone ed essere stato condannato, se ne va fra la folla festante) sia l'allegoria della carriera di Buñuel che, dopo aver passato decenni a destrutturare e distruggere, venne coronato da un Oscar.

lunedì 10 dicembre 2018

BlacKkKlansman - Spike Lee (2018)

(Id.)

Visto al cinema.

La storia vera di un infiltrato nel KKK... nero. Iniziato tutto con una telefonata e mantenuto in piedi da un collega bianco (ebreo) negli incontri dal vivo durante i turbolenti anni '70. Il confronto con la comunità afroamericana in subbuglio (che odia la polizia), con la politica che cerca di dare un aspetto pulito al razzismo vecchio stampo e i rapporti con i colleghi alle prese con il primo nero tra la fila delle forze dell'ordine.

Spike Lee al suo meglio crea film compattissimi e dal ritmo esaltante ("Inside man") anche se predicatori o morilazzanti o semplicemente sociali ("Fa la cosa giusta", "La 25a ora"). Al suo peggio realizza film interessanti, ma sfilacciati e torstuosi ("Bamboozeled") o del tutto fuori fuoco ("Lei mi odia")... e non ho mai visto "Miracolo a Sant'Anna" e non voglio parlare di "Oldboy".
Qui, finalmente, Lee torna in fase crescente della sua carriera e porta a termine un film con molti difetti, ma ben costruito; in cui la critica sociale (e razziale) non affoga la trama e i personaggi (il vero problema di "Bamboozled"); in cui la storia ha un suo ritmo, un suo sviluppo e una sua autonomia; in cui la molta carne messa al fuoco riesce a essere sfruttata quasi interamente (il co-protagonista che ritrova una sorta di identità culturale ebraica solo quando dovrà fingersi membro del KKK è una dei pochi argomenti buttati nella mischia senza uno sviluppo).
Per una volta Lee si mette al servizio del film creando una storia convincente e riuscendo a mettere i suoi topos (dalla passione per il cinema, Griffith, ai diritti civili) all'interno della vicenda e non appiccicati sopra.
La regia è, al solito, ottima, più curata nella fotografia (anche questa una cifra riconoscibile) che nel montaggio (comunque di livello).
Unico neo il genere. Il film comincia con l'atmosfera della commedia e un annuncio di comicità che non sarà mai realizzato e vira sempre più verso il dramma dando la sensazione di non aver mantenuto le promesse fatte.

venerdì 7 dicembre 2018

L'uomo che uccise Don Chisciotte - Terry Gilliam (2018)

(The man who killed Don Quixote)

Visto al cinema.

Un regista deve girare una pubblicità con protagonista Don Chisciotte; per farlo pretende di utilizzare come location la zona della Spagna dove realizzò un suo primo film indipendente 10 anni prima. L'occasione lo portarà a re-incontrare alcune del suo passato che lo porteranno in un viaggio lisergico fra fantasia e realtà.

Come spesso nel cinema di Gilliam l'intera vicenda è la descrizionedi un uomo sospeso fra due mondi, fra quello reale e quello allucinato causato dallo scollamento verso la realtà. Come (un pò meno) spesso nel cinema di Gilliam il film si muove con il passo del road movie, con sequenze slegate che fanno entrare sempre di più nel conflitto visionario fino ad un finale dove niente saarà chiaro prima dello scioglimento vero e proprio.
Come talvolta nel cinema di Gilliam la vicenda appare un patchwork di situazioni, un collage lungo (di minutaggio) e con continue accelerazioni e marce indietro che rendono la vicenda sempre meno appassionante, con in più l'aggravante (in questo caso) di non avere alla base un'idea mai raccontata (almeno con quella forza) come per "Paura e delirio a Las Vegas".

Si, insomma, tecnicamente un film ben realizzato, location fantastiche e un cast perfetto (la regia di Gilliam non discute neppur ein film meno riusciti di questo), eppure non mi è piaciuto...
ma improvvisamente un'epifania, tutto questo l'ho già vissuto la prima volta che vide proprio "Paura e delirio" e solo le visione successive riuscirono a darmi la visione d'insieme, una calvacata folle che nella struttura stessa cercava di ricreare il costante squilibrio dei protagonisti (oltre a un film divertente, profondo e realizzato come pochi altri). il mio dubbio, quindi, è se mi trovo di fronte a un film simile che apprezzerò e capirò a fondo dalle prossime visioni.

mercoledì 5 dicembre 2018

Treni strettamente sorvegliati - Jirí Menzel (1966)

(Ostre sledované vlaky)

Visto qui, in lingua originale sottotitolato.

Durante l'occupazione nazista della repubblica Ceca, un ragazzo viene assunto come ferroviere. la vita del ferroviere è invidiabile, poco lavoro, colleghi simpatici e l'occasione di fare sesso... purtroppo il ragazzo soffre di eiaculazione precoce e, dopo aver tentato il suicidio, verrà introdotto ai piaceri del sesso, da una donna della resistenza. In preda all'entusiasmo cercherà di far saltare un treno utile ai nazisti.

Incredibile come io sbagli sempre a giudicare un film. Se non ne leggo nulla e mi lascio trasportare dall'intuito fraintendo sempre. Quello che mi aspettavo essere un pesante film di guerra con melodramma è invece una divertente ed efficace commedia. Anzi, ancora più leggero di una commedia; è una fiaba piena di humor (e sensualità), una commedia si, ma incredibilmente tenera e delicata, un film di formazione sentimentale e umano realizzato con gli occhi di un ragazzo pieno di vita. Riesce dunque a trasmettere tantissimo intrattenendo con divertimento e riuscendo anche a cucire insieme un finale tragico senza far perdere punti, ma rimanendo quasi scanzonato.
Un bignami su come sia possibile rapportarsi con la vita in ogni circostanza, con l'ottusa passività del capostazione o con la scanzonata leggerezza di Hubicka.
Il tutto con momenti di lieve surrealtà (le reazioni al suicidio, la denuncia della madre della ragazza per aver visto un timbro sul sedere della figlia, ecc...) che lo fa sembrare un film di Anderson o di Pálfi... se, questi ultimi due, fossero meno pretenziosi.

Una fotografia pulittissima e una regia (un'opera prima!) tutta intenta a costruire scene perfette, di totale equilibrio o appositamente sbilanciate con oggetti o persone poste asimmetricamente da un lato dell'immagine.

Attori alla loro prima esperienza perfettamente utilizzati; gli occhi spiritati o impassibili del protagonista sono perfetti per il suo personaggio.

lunedì 3 dicembre 2018

Titanic - James Cameron (1997)

(Id.)

Visto al cinema.

Il film evento degli anni '90 con incassi maggiori anche del (successivo) Matrix; un esperimento sociale di fidelizzazione delle regazzine più che una mera sperimentazione artistica. Giustamente riportato al cinema per il ventennale... e io per la prima volta me lo vedo.

All'epoca, allergico al battage puntato tutto su un target molto preciso dell'epoca (ma che presto esondò colpendo un pubblico molto più diffuso) decisi, orgogliosamente e non senza un'enorme dose di narcisismo che non lo avrei mai visto. Ho portato pazienza fino ad ora, ma l'idea di vedere un film del genere al cinema, forse per l'ultima volta mi ha convinto. E mi è piaciuto, molto.

Ad uno sguardo attento, il film è un perfetto concentrato di quel decennio, suddiviso in tre parti (non equilibrate):
Il film che mostra il successo della scienza e della tecnica (tutta la prima parte con le immagini del Titanic originale) che è un'immagine perfetta dello zeitgeist di quell'epoca (di cui "Jurassic Park" rappresenta il capolavoro).
Il film d'amore impossibile che... beh è tipico di ogni periodo del cinema, ma che non demorse neppure nei 90s.
Il disater movie!
Ecco, quello che più mi ha colpito è che Cameron attira un pubblico specifico con la storia d'amore, lo seduce fino a convincerlo ad ossessionarsi al film, poi gli butta addosso più di un'ora di distruzione totale con patemi d'animo che "Twister" non potrà mai raggiungere.
E il comparto tecnico è fenomenale. In epoca selvaggia per la computer grafica la (lunghissima) sequenza finale è incredibile, la regia gestisce la tensione in maniera impeccabile e, immagino, per chi all'epoca ancora non sapesse nulla l'impressione che i due potessero non farcela fin dentro la nave era palpabile.

Comparto estetico è, ovviamente, anche migliore, con una cura nella ricostruzione degli interni e dei costumi come solo la Hollywood piena di soldi si può permettere.