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lunedì 3 agosto 2020

Entr'acte - René Clair (1924)

(Id.)

Visto su Cineteca Milano.

Diciamocelo, l'ho guardato perché dietro la macchina da presa c'è René Clair, anche se non si nota.
Questo è un film manifesto del cinema dadaista che, in realtà, fu pensato come parte di un balletto; la parte qui messa alla fine del cannone che spara doveva essere l'apertura del balletto, mentre il resto del filmato doveva essere l'intermezzo (l'entr'acte appunto).

Le sequenze centrali sono un florilegio di scene surreali (l'uovo sulla fontana, la barca in sovraimpressione sui tetti di Parigi, ecc...) alcune con un'apparente senso simbolico (il funerale con le persone che corrono al ralenty, la ballerina che danza ripresa da sotto un pavimento in vetro).

Il filmato dura poco e non può annoiare, la colonna sonora che è presente nella versione della Cineteca di Milano è chiaramente recente, ma estremamente efficace e pertinente, a mio avviso ne aumenta l'interesse e il ritmo anziché far uscire lo spettatore dal mondo del cortometraggio.
Bisogna però ammettere che ci si trova davanti a un'opera d'arte visuale e non a un film vero e proprio, opera d'arte che era parte di un'opera più ampia e che richiama in alcuni punti (il balletto appunto), la visione non può che essere parziale e ricco di fraintendimenti.
Quello che però ho trovato particolarmente interessante è quanto reggano bene le sequenze completamente oniriche o antinarrative, mentre mi sono sembrate eccessivamente lunghe e ridondanti quelle che, anche se in maniera limitata, raccontano qualcosa di verosimile (il cacciatore e l'uovo, ma soprattutto il funerale); nonostante tutte le sequenze puntino particolarmente al ritmo pi che al contenuto.

mercoledì 29 maggio 2019

Aelita - Yakov Protazanov (1924)

(Id.)

Visto qui.

Film fantascientifico che si svolge quasi interamente sulla terra. La trama si occupa di una coppia dove lui cerca di progettare una nave spaziale per portare la rivoluzione sul pianeta rosso, mentre lei conosce un nuovo vicino di casa (in realtà alla coppia viene requisita una parte dell'ampia casa); lui dubiterà della fedeltà di lei, cercherà la vendetta facile e una fuga difficile nello spazio dove si porterà dietro un militare e un ispettore privato. Arrivato su Marte riceverà l'appoggio della regina locale contro l'oligarchia al comando sul pianeta, ma sarà tutto un doppio gioco per prendere il potere reale.

Il film è di genere fantascientifico sui generis, visto che le sequenze nello spazio fanno tutte parte delle fantasie a occhi aperti del protagonista e non rappresentano nulla di reale (non è uno spoiler poiché viene dichiarato fin dall'inizio), ma sono solo un meccanismo di fuga del personaggio e un mezzo per inserire sequenze d'effetto (ma non è il momento di approfondimento psicologico che avrebbe potuto essere).

Al di là del buffo utilizzo del pianeta, dunque, il film è realizzato ottimamente, con una recitazione ottimale al servizio di una trama consueta, ma condotta con piglio perfetto, rendendo il ritmo azzeccato e il passo del film godibile ancora oggi con l'occhio assuefatto a velocità ben maggiori.
La regia non è fantasiosa, ma competente, interessata a utilizzare gli spazi alieni per creare lo stupore dovuto e veicolare il messaggio propagandistico con una rivolta di classe giusta e condivisibile e messaggi simboli più o meno subliminale.
L'effetto finale è solo in parte pretestuoso, nel complesso il film brilla per chiarezza, emozioni e fruibilità.

Mezhplanetnaya revolyutsiya - Nikolai Khodataev, Zenon Komissarenko, Youry Merkulov (1924)

(Id. AKA Interplanetary revolution)

Visto qui.

Se l'animazione sovietica raggiungerà la fama (e i vertici qualitativi) tra gli anni '60 e i '70, ma le sue origini sono decisamente più distanti.
Questo cortometraggio muto è un film di propaganda fantascientifico che utilizza il mezzo dell'animazione (probabilmente) per veicolari i propri contenuti esagerati (l'idea alla base è che i comunisti nel 1929, cioè 5 anni dopo, avrebbero raggiunto Marte per liberare i proletari marziani dal giogo capitalista per poi passare al resto della galassia) senza sprecare troppi soldi e per permettere una deviazione surrealista incredibile.

Questo infatti non è un cortometraggio per bambini: tra capitalisti dalle natiche enormi che mangiano i proletari a un cameo di Lenin (!) l'intento è veicolare una storia supereroistica a un pubblico analfabeta (sostanzialmente nessun cartello) con iperboli, invenzioni visive che rasentano l'incomprensibilità.
L'animazione è qualitativamente non entusiasmante, primordiale nella realizzazione e nel tratto, quindi per me poco attraente, ma anche estremamente originale.

Il film ha un'idea talmente assurda che sembra ovvio sia stata ispirata da "Aelita" libro fantascientifico/bolscevico del 1922 da cui fu tratto un lungometraggio uscito pochi mesi dopo questo stesso film.

venerdì 5 gennaio 2018

L'uomo che prende gli schiaffi - Victor Sjöström (1924)

(He who gets slapped)

Visto in Dvx.

Un ricercatore mantenuto da un mecenate riesce a giungere a un'importante scoperta. Il giorno in cui dovrebbe presentarla ufficialmente scopre che il mecenate gli ha rubato studi e proprietà intellettuale; poco dopo scoprirà che gli ha rubato pure la moglie. Pubblicamente umiliato (e schiaffeggiato) sparirà dalla circolazione e si riciclerà come clown. Lo spettacolo che produrrà per il circo sarà una variante buffa (?) di quanto accaduto e diventerà famoso come "quello che viene schiaffeggiato".
Ovviamente il suo ex mecenate tornerà, vorrà sposare una ragazza innamorata di un altro e lui, cercherà di fermarlo.

Cercando nella filmografia di Lon Chaney incappo in questo, poco conosciuto film. Di fatto è poco conosciuto da me, dato che si tratta del primo film americano di Sjöström, il primo film prodotto dalla neonata MGM e primo grande successo per la nuova compagnia di produzione.

Il film poi è magnifico. Se si riesce ad accettare il volo pindarico che porti un ricercatore umiliato a fare il clown, allora il film diventa una densissima tragedia senza alcuna speranza nonostante i molti buoni sentimenti messi in gioco.

La regia di Sjöström fa il bello e il cattivo tempo. Utilizza un enfatico, ma efficace, montaggio parallelo fra la compravendita della ragazza e l'idillio fra gli amanti, per poi sfruttare un nuovo montaggio parallelo nello showdown finale e lo spettacolo degli amanti; sfrutta le sovrapposizioni e la simbologia del cuore di pezza (scontata, ma ancora una volta, calzante); ma soprattutto costruisce benissimo le inquadrature (specie nella prima parte) e inframezza i capitoli del film con un clown che ride ossessivo facendo girare una palla, simbolo perfetto del mood del film e del destino malato e inarrestabile. La scena da ricordare però è Lon Chaney da solo sulla pista del circo con le luci che si spengono e la faccia bianchissima che sfocata dalla macchina da presa.

Lon Chaney è a credibile nel folle ricercatore, ma risulta perfetto nei panni del clown per i quali sembra essere nato (aveva effettivamente fatto il clown e il mimo in gioventù); una giovane Norma Shearer è adatta alla parte, ma senza picchi di bravura; sono invece rimasto stupito dalla performance di McDermott, perfetto, in parte e con una recitazione controllatissima.

Unico neo il finale, troppo lungo; ma è un difetto perdonabile.

mercoledì 24 maggio 2017

Rapacità - Erich von Stroheim (1924)

(Greed)

Visto in Dvx.

Al solito von Stroheim si presentò alla MGM tutto azzimato con le sue 48 bobine di film completato, per un totale di 8 ore. Credo che neppure lui si stupì quando gli chiesero dia accorciarlo, anche considerando com'era finita con "Femmine folli". Lo ridusse a 4 ore che la MGM tagliò ulteriormente a 3 e poi a meno di due ore.
La versione attuale (da me vista) è quella finale allungata con foto di scena e cartelli (tratti dalla sceneggiatura originale) aggiunti per cercare di avvicinare l'opera all'idea originale per un minutaggio complessivo di di circa 2 ore 3 mezza... Operazione simile era stata fatta proprio per "Femmine folli" dove venivano aggiunte alcune scene girate e poi tolte e, all'opposto, per Browning venne ricostruito "Il fantasma del castello" utilizzando solo le foto di scena; discutibile la prima operazione, per completisti folli la seconda (che gli passo solo per aver tentato di dare una forma al film muto più iconico di Browning/Chaney). Questa via di mezzo riesce a essere inutile e dannosa nello stesso tempo. Non da alcun vantaggio che dei cartelli con le spiegazioni non potrebbero già dare (come è stato fatto per le scene mancanti di "Metropolis"), non si avvicina minimamente all'idea originale né per minutaggio né per regia (che non è certo fatta di immagini fisse), ma in questo caso riesce anche ad ammazzare il ritmo e stornare l'attenzione rendendo pèiù indegesto il film.

A livello di contenuti è certamente uno dei film epici del periodo del muto con quel misto di realismo sociale (con critica all'arrivismo capitalista) e allegoria che renderebbe la storia al contempo chiara e interessante; dal punto di vista tecnico si fa apprezzare moltissimo l'uso intelligente della profondità di campo come mai nessuno prima (estremamente nota la scena del funerale che passa dietro al finestra durante il matrimonio; ma ancora di più l'inquadratura dal basso del primo piano del marito che se ne va e la moglie in cima alle scale... beh sembra predire le soluzioni di "Quarto potere"). La creazione d'immagini efficaci è certamente encomiabile (i soldi sporchi di sangue), ma quello che rende di più è l'efficacia delle intere sequenze; quella del finale nella valle della morte è decisamente il momento più efficace e riuscito dell'intero film.
Ottimo anche il cast, con una recitazione che sembra già di passaggio fra muto e sonoro, cosa impossibile ovviamente, che si deve intendere come una modernità di linguaggio.

lunedì 7 settembre 2015

Ballet mécanique - Fernand Léger, Dudley Murphy (1924)

(Id.)

Visto qui.

Una serie di immagini che danno il senso di movimento; di una danza. Immagini di meccanismi in movimento, oggetti mobili, inquadrature spezzate da degli specchi, sequenze ripetute in loop, lettere e numeri.

Questo balletto meccanico non è un film in senso stretto; è un'opera di videoarte decenni prima che la videoarte venga anche solo presa in considerazione.
Artisti che vollero esplorare il nuovo mezzo ce ne furono negli anni precedenti (i futuristi appena descritti) e poco dopo di questo film ci si immerse anche Duchamp e dopo un lustro anche Dalì; inoltre a pochi anni di distanza sarebbe anche stato realizzato il capolavoro di Vertov, vera e propria sinfonia di immagini in movimento che dimostrava la vera forza della macchina da presa. Ma qui siamo ai primi passi dell'idea che il cinema si arte indipendente, disgiunta da ciò che racconta; i già nominati futuristi o anche gli espressionisti tedeschi che fecero di un modello estetico pervasivo un marchio di fabbrica, non riuscirono mai a evitare di dover raccontare una storia; Léger invece decide che, come nei quadri cubisti, è il come si realizza che conta e non il cosa si realizza. E devo dire che riesce perfettamente nell'intento; senza mai raggiungere le vette di godibilità e poesia delle opere migliori di Vertov, qui il movimento è il padrone della scena con oggetti che si muovono, giochi di specchi, ma soprattutto l'uso di una macchina da presa a mano (nella sequenza dello scivolo) e un insistito utilizzo del montaggio rapido per "far muovere" immagini ferme. Una prova muscolare delle possibilità dell'arte nata da una trentina d'anni.
Inoltre è anche molto più piacevole di quanto non immaginassi, pur rimanendo un corto di videoarte e non di cinema.

Curioso che, con il passare dei decenni la videoarte sia diventata una branca indipendente e l'esperimento di Léger sia divenuto lo standard a livello dei musei, mentre l'abitudine dell'epoca di avere artisti nati in altri campi e prestati al cinema vero e proprio sia andata via via scomparendo (mi vengono in mente giusto SchnabelŠvankmajer, ma pure quest'ultimo da prendere con le pinze).

venerdì 12 aprile 2013

Calma, signori miei! - Buster Keaton (1924)

(Sherlok Jr.)

Visto in Dvx.

Un proiezionista con la passione per i gialli si trova ad applicarsi nel suo hobby proprio a casa della (potenziale) morosa, deve trovare un orologio rubato; peccato che le prove conducano proprio contro di lui. Tornato nella cabina di proiezione si addormenta e sognerà di entrare nel film che sta proiettando nei panni dell'investigatore e risolverà il caso. Al risveglio la (potenziale) morosa correrà da lui per scagionarlo avendo capito che il ladro era un altro suo pretendente...

Un simpatico film muto di Keaton che viene ricordato soprattutto per la scene del cinema dove il protagonista gioca con il linguaggio cinematografico nato da circa un ventennio (il Buster Keaton sogna di entrare nel film, come già si è detto, una volta dentro cominciano una serie di gag slapstick legate al montaggio parallelo con location sempre diverse); questo dettaglio è certamente qualcosa di importante (che denota lo sguardo acuto del regista), ma è anche l'unico motivo per cui il film viene citato. Tolto questo, infatti, il film è invecchiato molto e le trovate classiche di Keaton risultano piuttosto spente rispetto ad altri suoi lavori (si veda il favolo “The General”).

lunedì 25 luglio 2011

Cineocchio - Dziga Vertov (1924)

(Kinoglaz)

Visto in DVD. Vertov realizzò decine di documentari prima di affinarsi e fare L’uomo con la macchina da presa; uno dei più noti del primo periodo è proprio questo Cineocchio (concetto che in realtà tornerà fuori a nche in Tre canti su Lenin).

Siamo proprio dalle parti del film del ’29, con immagini di vita vera prese dalla strada, ma ancora non è estremizzato come nel film successivo. Questo è proprio un documentario. Le idee però non mancano e se il montaggio che mostra la stessa scena da molte angolature o la soggettiva dell’ambulanza colpiscono per la forma, mentre le immagini dei senzatetto, cocainomani, mutilati, cadaveri e morti in diretta colpiscono per il contenuto; il vero colpo di genio è il rewind di lunghe sequenze, dai tuffatori, al pane che torna farina al fenomenale ritorno di una bistecca al bue da cui è stata tratta

domenica 23 gennaio 2011

Die Nibelungen: Kriemhilds Rache - Fritz Lang (1924)

(Id.)

Visto in VHS.

Nel secondo capitolo Crimilde cerca la sua vendetta, sposa il re degli Unni, invita i parenti traditori nei territori del nuovo sposo e con qualche stratagemma, una rabbia spietata che calpesta ogni cosa (e chiunque, arrivando a sacrificare il figlio!) fino al raggiungimento del suo scopo.
La storia risulta decisamente migliore, con i passi di una sanguinaria tragedia greca si assiste alla insostenibile attesa di Crimilde per la sua vendetta, che come un rullo compresse schiaccia tutti pur di schiacciarne uno. Si assiste alla distruzione di un popolo. E si assiste alla fine di una saga cominciata con l’armonia e conclusa nel caos… e Lang ovviamente ci va dietro, con un secondo episodio molto diverso dal precedente, caratterizzato da una confusione maggiore, una precisione meno spiccata ed un andamento più lento… ed è proprio qui il problema, a fronte di una storia migliore, il ritmo tira il freno a mano, divenendo attendista come la sua protagonista, e di conseguenza anche l’interesse rischi talvolta di sbadigliare… un peccato.

sabato 22 gennaio 2011

I nibelunghi: la morte di Sigfrido - Fritz Lang (1924)

(Die Nibelungen: Siegfried)

Visto in VHS.
Primo episodio della saga dei nibelunghi, con Sigfrido che si mette in marcia per la sua epopea, uccide il drago (un manichino veramente stupendo per l’epoca), conquista l’oro dei nibelunghi, raggiunge il regno di Worms, aiuta il re a conquistare la regina d’islanda Brunilde, sposa la sorella del re e viene ucciso…
Supendo film dell’epoca del muto, che alla regia simmetrica e precisa di Lang, unisce un dispendo d‘energie particolare nella messa in scena, che ricrea mondi distinti in base alle popolazioni d’appartenza, e ancora più importante riesce a mantenere un tono, un ritmo perfetto, che avvince e permette di arrivare alla fine quasi senza accusare il colpo… e questo è realmente molto per un film muto.
Se poi mi si viene a dire che era il film preferito da Hitler e tutto quello che ne consegue… beh, concedo a Hitler la possibilità di averci visto giusto una volta in vita sua.

domenica 26 dicembre 2010

Orlacs hände - Robert Wiene (1924)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un noto pianista perde l’uso delle mani a causa di un incidente, su insistenza della di lui compagna il medico decide di osare l’inosabile… attua un trapianto di mano… al di la dei problemi connessi con la microchirurgia dei capillari e dei nervi, oltre che della questione igienica negli anni ’20, il principale postumo sembra essere un insano istinto omicida insito nelle mani stesse… l’operato ci rimane abbastanza male e strugge per riuscire a capire… vuoi vedere che il dottore, pur essendo un fottuto luminare, mi ha messo le mani di un assassino?

Sorprendente film del 1924 diretto con precisione chirurgica (ah ah ah) da Wiene. Non a caso ho usato il termine sorprendente, infatti qui tutto sorprende. Sorprende l’idea di fondo, per l’epoca eccessiva, ma in un certo senso reale (i trapiantati soffrono della sensazione di non appartenenza dell’arto nuovo), stupendo poi come venga suggerito il contesto paranormale della storia e come poi venga riportato ad una più ovvia normalità il tutto (magnifico che tutto si spieghi così esattamente, sconvolgendo le aspettative che vengono create nello spettatore) ed eccezionale l’uso delle scenografia, scarne come in tutto il cinema del muto, ma efficaci e l’utilizzo delle ombre. Infine quella breve applicazione degli effetti speciali è davvero inquietante, l’immagine del braccio enorme che schiaccia il protagonista convalescente vale tutto il film.

Nella parte del protagonista c'è quella stupenda faccia da film espressionista tedesco di Veidt (li ha fatti tutti lui).

Stupendo.

PS: di questo film ne sono stati tratti, immotivatamente, due remake, uno degli anni ’30 ed uno dei ’60. Mi applicherò per vederli entrambi.

martedì 20 luglio 2010

Il gabinetto delle figure di cera - Paul Leni, Leo Birinsky (1924)

(Das wachsfigurenkabinett, anche noto in Italia come "Tre amori fantastici")

Visto in DVD.

Un giovane scrittore viene assunto dal proprietario di un museo delle cere perchè scriva delle storie sui suoi personaggi più crudeli. Lo scrittore si innamorerà a tempo di record della figlia del suo datore di lavoro e inserirà la loro storia d'amore in tutti i racconti.
Vengono quindi raccontate le avventure di un tal califfo (Jannings, bravo ma non eccelso) che insidia la moglie di un panettiere; la storia di Ivan il terribile (Veidt, lui si decisamente valevole) che ama mostrare ai condannati a morte il tempo che resta loro con una clessidra, ma quando vorrà mostrare ad una ragazza la clessira dell'amato si accorgerà che sopra vi è scritto il suo nome, pensando d'essere stato avvelenato darà di matto e passerà gli anni rimasti a girare quella clessidra affinchè non finisca mai; ultimo un sogno dello scrittore su Jack lo squartatore (un Krauss sprecato) che ha più la valenza di un epilogo.
Avrebbe dovuto essrci un episodio in più su un mago italiano, ma per questione di costi Leni dovette acontentarsi.
Film discontinuo che si avvale degli attori migliori in circolazione per scopi differenti, creando una storia decisamente buona per Veidt, una più noiosa per Jannings, e dando soldi a gratis per Krauss che deve fare la statua di cera.
Leni fa tutto ciò che può, ma il risultato è per forza altalenante. Interessante l'uso del colore (anche se non originale visto che Griffith aveva già pensato anche a questo), con gli interni virati in ocra, e gli esterni in blu, più una dominante diversa per le storie, verde per quella del califfo, rossa per quella di Ivan il terribile, più di nuovo il blu per il sogno finale. Inoltre Leni rispolvera le sue capacità di scenografo espressionista creando ambienti surrelai e suadenti come nella migliore tradizione del periodo (questo film è stato definito l'ultimo del genere espressionista).
Un'opera decisamente buona, che con meno pedanteria sarebbe stata un capolavoro assoluto.
Una curiosità, il giovane scrittore è interpretato dal futuro regista William Dieterle!

PS: il film non ha alcuna connessione con il successivo "La maschera di cera".

martedì 15 dicembre 2009

L'ultima risata - Friedrich Wilhelm Murnau (1924)

(Der letzte mann)

Visto in DVD.

Francamente non mi ha colpito.
Strano perchè è un film atipico, in quanto è muto ma con la pressochè totale mancanza di cartelli, per i lunghi e bellissimo carrelli, per una scenografia curatissima e per un 'interpretazione magistrale di Jannings che interpreta un personaggio più vecchio di lui d'una ventina d'anni con una credibilità impressionante per un atore del cinema muto.
L'unico vero neo del film è quell'happy end finale terribilmente posticcio, che però è mitigato dalla presa di posizione dell'autore che se ne discosta, un cartello inaffati (uno dei pochi) avverte che il film terminerebbe con la tristezza del protagonista, ma che in questo film si è scelto di far avvenire una di quelle cose che nella vita reale non accadono mai, e cioè un'eredità all'ultimo minuto. Ecco, con quell'avvertimento il lieto fine diviene più amaro che non il finale depresso.
Finissimo poi il fatto che il film è apertamente antimilitarista ma si mascheri alla censura dell'epoca spostando tutta la vicenda in un hotel.
Però non mi ha colpito.

venerdì 16 ottobre 2009

Desiderio del cuore - Carl Theodor Dreyer (1924)

(Mikael)

Visto in DVD

Questo film è una sorta di copia di "Pagine dal libro di Satana". Dreyer sembra avere capito il segreto per fare un buon film e lo ricalca, ma ora ha più esperienza…

Come nel suo secondo film la costruzione delle scene è centrale, a mio avviso meno articolata che nell’altro, ma stavolta le scenografie sono decisamente superiori, mascherine al posto della camera mobile, ma stavolta sono più delicate, più raffinate, e poi il montaggio parallelo nel finale, che stavolta però non concede nulla al lieto fine. Si perché stavolta ci troviamo di fronte ad un melodramma ben più cupo del precedente, in cui un “padre” (che in realtà è un pittore) si trova tradito dal “figlio” (che in realtà è il suo modello) e nonostante se ne renda conto continua a sostenerlo fino al mirabile finale; il figlio dal canto suo cerca una libertà che probabilmente già ha, ma soffre di sudditanza psicologica, se ne libera grazie al coraggio datogli dall’amore di una donna, la quale, ironicamente, lo legherà a se forse anche in maniera più ferrea che non il “padre”, e questo senza esserne consapevole.

Un gran film e, stranamente per Dreyer, neppure troppo noioso, come non era noioso "Pagine dal libro di Satana", altra somiglianza.