Visualizzazione post con etichetta Fantasy. Mostra tutti i post
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mercoledì 6 gennaio 2021

Lazzaro felice - Alice Rohrwacher (2018)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Un gruppo di mezzadri d'altri tempi lavora per una nobildonna che va a trovarli periodicamente. La fuga del figlio della signora porterà la modernità nel microcosmo e si scoprirà che i contandini erano sfruttati ai limiti della schiavitù. tornati alla "modernità" dovranno ricominciare da capo, ma non saranno aiutati.

Intriso di un realismo magico di campagna con il protagonista un "semplice" dostoevskiano il film sembra prendere a piene mani dal naturalismo norditaliano alla Olmi. Il tono lieve nonostante tutto ciò che di abietto succede, la dolcezza dei rapporti umani e un passo continuo seppure senza una meta chiara riesce a rendere il film scorrevole e interessante fino alla fine.

Non vengono risparmiate allegorie urlate o ingenuità dimenticabili (su tutte, la musica che esce di chiesa... un poco didascalico direi) e non è chiaro neppure il concetto di fondo (se c'è), ma forse è solo un muovere i personaggi ai limiti di ogni società e farli mantenere in piedi grazie ai rapporti umani. Semplice, ma non semplicistico,l ben condotto e con un cast all'altezza (c'è pure una irriconoscibile Nicoletta Braschi che rimane incapace di recitare, ma è l'unico neo ed è quasi voluto per la parte più inutilmente enfatica).

Buona prova imperfetta che lascia sul fuoco molto materiale che potrebbe essere sviluppato, ma che gioca con le aspettative in maniera vincente (se non si conosce la storia si rimane interdetti nella prima parte) e che con un ritmo lento non annoia mai.

domenica 3 gennaio 2021

Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze (2009)

(Where the wild things are)

Visto su Netflix.

Un bambino ha crisi in famiglia, fugge di sera e approda in un mondo di fantasia con creature inquietanti e buffe che lo incoronano loro re.
Inutile dire che in quel gruppo di creature troverà rispecchiati gli stessi sentimenti di rabbia e frustrazione del suo menage familiare, scenderà a patti e sarà pronto a tornare a casa.
Tratto da un libro illustrato di pochissime pagine senza una trama specifica, il film si prende ogni libertà possibile e affidato a Jonze riesce a rendere perfettamente il realismo delle scene iniziali (magnifiche ed essenziali per rendere il tono crepuscolare e la dignità delle piccole lotte e difficoltà dell'infanzia), tanto quanto la gestione fiabesca del corpo centrale. Tutte le sequenze del paese delle creature sono in ampissimi esterni in una perenne luce crepuscolare che danno un senso di sospensione onirica perfetta; aiutata dalla fotografia, le reazioni dei personaggi e il loro aspetto, Jonze gioca tantissimo con un vago senso di inquietudine e di instabilità nel mondo fantastico che è estremamente adulto (e che rappresenta l'unico pregio effettivo del lungo e noioso film).
Il tono del film ha però rappresentano il motivo della sfiducia nei confronti del regista stesso e ampi problemi di produzione che ne hanno ritardato l'uscita e rimaneggiato momenti. Che sia da incolpare questa incostanza o una sceneggiatura già claudicante è difficile dirlo, ma il film non funzione. A fronte dei pregi l storia è lenta, noiosa, svogliata e ridondante; dopo le prime scene realistiche piuttosto dinamiche e il fantastico arrivo nella terre selvagge il film muore in una palude di noia.

domenica 6 dicembre 2020

Atlantique - Mati Diop (2019)

 (Id. AKA Atlantics)

Visto su Netflix.


Una ragazza senegalese che sta per sposarsi flirt con un altro uomo. Il loro ultimo incontro finisce velocemente, lui non ha il tempo per dirle che sta per tentare di raggiungere l'Europa in barca. Avverrà un incendio inspiegabile e l'altro uomo sarà accusato, qualcuno l'ha visto in giro. Intanto delle donne minacciano un ricco imprenditore con informazioni ricevute dai mariti partiti in barca.

Un film dalla doppia via, un romance sovrannaturale e un'indagine sempre nello stesso settore. L'idea di fonda è confusa, o meglio, chiara nell'intento, poco precisa nell'esecuzione. Il film deragli nella lentezza nella primissima parte, ma dopo l'incendio ha un incedere più deciso che permette di passarsi via le piccole incongruenze o le parti un po posticce (il discorso delle donne possedute è riscatto sociale all'acqua di rose che non aggiunga molto se non un paio di belle scene) con facilità.

Non siamo davanti a un'opera impeccabile, ma la mano sicura dietro la macchina da presa, l'occhio empatico nei confronti di tutti i suoi protagonisti, una fotografia dai colori tenui e freschi (una novità quasi assoluta per un film ambientato nel continente africano, si vede che non è stato realizzato in USA) e l'embricata fra storia normale (romance e attualità) e sovrannaturale lo rendono una visione interessante. Forse eccessivo il premio a Cannes, ma almeno ha dato il là alla distribuzione internazionale.

giovedì 26 novembre 2020

Godzilla II. King of the monsters - Michael Dougherty (2019)

 (Godzilla: king of the monsters)

Visto su Amazon prime.


Dopo il giusto successo del precedente Godzilla (il primo grosso successo per un Godzilla americano) si decide di fare il bis e, positivamente, non lo si fa uscire dopo dieci minuti, ma passano ben 5 anni. Ovviamente per realizzare un seguito a Hollywood si decide di aumentare la quantità del fattore vincente del film precedente, quindi Godzilla e e MUTO vengono moltiplicati da una fiorire di Kaiju su cui primeggiano quelli classici della Toho, Rodan, Mothra e su tutti Gidorah. Purtroppo poi, a Hollywood, bisogna sempre mettere la componente umana...

Parte con la dovuta lentezza (non si può partire con mostrino che si spazzano malissimo tutto il tempo), ma quando parte davvero (con lo scongelamento di Gidorah) si da il via a una sequenza titanica, ben condotta, con una qualità della CGI (chiaramente Gidorah è vero) e un gusto per lo scontro che fa piacere tornare nei Blockbuster e questo sfruttando un personaggio che ho sempre disprezzato (Gidorah, insignificante anche nella serie originale giapponese, malfatto e odioso) riuscendo a farmelo apparire un antagonista credibile e godibile. Encomio totale al Monster design generale, che riesce a dare dignità a tutti (si pensi a Rodan, pterodattilo goffo in Giappone, qui uccello di fuoco dall'indubbia potenza).

Il problema non è il voler fare un film di mostri con molti mostri (pure troppi) con Mothra come deus ex machina tanto credibile (come lottatore) quanto efficace (poco), il problema è mischiare la volontà di titanismo con i problemvucoli umani. Ormai non è più un mostro che attacca New York (o Tokyo), ma un dramma planetario che comprende gli esseri umani solo in parte e confondere il tutto con i piccoli drammi personali che dovrebbero essere più empatizzanti dei drammi su ampia scala, ma che nei fatti allunga il brodo in maniera inutile e imbarazzante (la ricerca di Godzilla negli abissi....) quando sarebbe bastata la componente di dramma complessivo. Se a questo si aggiunge un cast estremamente nutrito a cui dare spazio e una scrittura dei personaggi obiettivamente malfatta (che tristezza vedere Watanabe ridotto così male) l'effetto finale è un'agonia per lo spettatore (quanto meno per me).

Tanto è stato folgorante il primo film, tanto è ignominioso questo secondo capitolo. Devo ancora vedere il film su King Kong su cui le aspettative sono ancora alte e rimango in tiepida attesa del seguito dei due.

PS: non sto qui a dare tutta la responsabilità al cambio di regia, nel primo film Edwards, qui Dougherty; perché il primo aveva dimostrato una padronanza dell'azione del contesto invidiabili, quest'altro invece... non lo conosco. I problemi comunque sono evidentemente (anche) nella scrittura che azzoppa la storia...

PPS: ma che cast enorme di ripescaggi dal cestone delle serie tv?! però, fra scelte ovvie perché bankable, altre giuste per carattere, altre no e basta, almeno c'è Vera Farmiga che rende migliori le mie giornate.

giovedì 29 ottobre 2020

Solo gli amanti sopravvivono - Jim Jarmush (2013)

(Only lovers left alive)

Visto su Amzon prime.

Credo che uno dei problemi principali della saga di Twilight non sia stato quello di far sembrare cretini pure i vampiri, bensì dare l'idea che chiunque voellse "svecchiare" l'immagine del conte Dracula fosse il ben venuto (almeno al botteghino). Non mi capacito altrimenti di come mai Jarmush, nel suo periodo meno ispirato di sempre, dopo il suo film più pretestuoso e pretenzioso (che giustamente nessuno ha mai visto) in assoluto (almeno fino a questo) decida di dare a sua versione del vampirismo e riempirla di altezzosità e snobismo da far venire le lacrime agli occhi.

Il film è sostanzialmente senza trama e serve solo a veicolare la sua idea di vampiri come lite culturale di questo pianeta che tollera (e talvolta prova pietà, raramente ammirazione) per gli esseri umani. I vampiri sono gli unici in grado di apprezzare (e creare) arte (almeno musica e letteratura) e sono gli unici a vivere davvero la vita; non sono più i voraci divoratori di uomini e, anzi, disprezzano chi si diletta ancora in attività così basse.
Un'idea che è snob, inutile e senza attrattiva, autoconsolatoria e autoindulgente che raggiungi picchi di imbarazzo impressionanti quando per consolare un aspirante suicida gli suggerisce che ci sono molte cose che può fare come "contemplare la natura, coltivare la gentilezza e le amicizie, danzare".
C'è anche un insistere sul name dropping di personaggi famosi incontrati, supportati o che erano vampiri, come se continuare a fare gag poco divertenti su Shakespeare o mettere una foto di Poe desse spessore al racconto.

Un film che è più che inutile, ma è proprio fastidioso, che non da nulla alla poetica del regista, ma che almeno è fotografato bene; almeno c'è un passo avanti rispetto a "The limits of control".

giovedì 13 agosto 2020

La vita è un romanzo - Alain Resnais (1983)

(La vie est un roman)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Un enorme edifico nella campagna francese è teatro di tre eventi in tre momenti storici differenti:
1) a inizio '900 la sua pianificazione e costruzione ad opera di un immigrato abbiente che perderà tutto durante la prima guerra mondiale e inviterà amici e conoscenti a un'ultima esperienza collettiva.
2) un simposio sulla scuola organizzato in quello che ai giorni nostri è divenuto un collegio. Il simposio è l'occasione per allacciare o interrompere relazioni amorose.
3) un'epoca non chiara, una sorta di distopia antica o un ambiente fiabesco dove le vicende di un reame (per lo più cantate) si inseriscono nelle vicende ambientate nell'attualità.

Resnais prova l'estremo del suo cinema in una commedia dove cerca, nello stesso tempo, nuove soluzioni. Piani temporali che si intersecano (non solo nel fluire della trama, ma con dettagli che passano da un'ambientazione all'altra), parti cantate, contrappunti musicali non diegetici, personaggi sopra le righe, rapporti amorosi complicati.
Prova a fare di tutto e nella parte iniziale sembra quasi riuscire a portare a casa il risultato; ma a mano a mano che il film avanza mostra il suo difetto principale: la scrittura.
Inutili tutti gli sforzi se le vicende narrate sono inutilmente impalpabili (quella ambientata nel passato dove, di fatto, c'è un presupposto senza esposizione), contrappunti senza una trama degna di questo nome (il futuro fiabesco), e motivazioni stupide, personaggi macchiettistici senza archi narrativi chiari che non siano rappresentati da azioni impulsive senza background (il presente).

Uno sforzo e uno sfoggio di idee (non tutte buone a dire la verità) obiettivamente sprecato, specie per un genere, quello della commedia, che impiegherà anni a raggiungere certi lievelli di complessità...
Mi sembra quasi che fuori dal dramma (magari romantico) Resnais annaspi.

lunedì 8 giugno 2020

Chi ha paura delle streghe? - Nicolas Roeg (1990)

(The witches)

Visto su Netflix.

Un ragazzo rimasto orfano viene allevato dalla nonna che gli racconta storie e aneddoti sulle streghe come si trattasse di un corso di sopravvivenza. In ferie sulla costa inglese finiranno nello stesso albergo di un gruppo di donne che si scopriranno essere (rullo di tamburi) delle streghe, con un piano, tanto diabolico quanto inutilmente complicato per sbarazzarsi dei bambini. Trasformato in topo inizierà l'avventura vera.

C'è stato un tempo in cui i film per regazzini non erano accomodanti sugli scopi dei villain e neppure sulla loro estetica, anzi erano apertamente repulsivi; e personalmente ancora rimpiango quel periodo.
Ovviamente il character design non è tutto e una trama tra il dozzinale e il ridicolo affoga fin dall'inizio un film che è si per bambini, ma non per questo dev'essere idiota. C'è poi una vera e proprio mancanza di competenza nella scrittura che si dilunga per oltre la metà con la preparazione degli eventi per lasciare alla parte dell'avventura un minutaggio limitato (serviva un convengo così lungo?).
L'ultima aprte, quella più dinamica rimane godibile e si concede un finalone che riecheggia (per uso degli effetti protesici, delle inquadrature sghembe e delle metamorfosi) "Splatters".

Quello che però più colpisce di un filmetto del genere è la qualità del cast artistico messo in mezzo.
la Zetterling era (ed è) ormai una semisconosciuta, ma la Huston era all'apice, ma soprattutto c'è alla regia un insospettabile Roeg. Irriconoscibile, pagato per mettere il pilota automatico e rimanere il pi possibile lontano dalla sua comfort zone.

giovedì 4 giugno 2020

Il sacrificio del cervo sacro - Yorgos Lanthimos (2017)

(The killing of a sacred deer)

Visto su Amazon prime.

A un cardiochirurgo muore un paziente durante un intervento (per dolo?). Per il senso di colpa si occupa in segreto del figlio adolescente. Quando finalmente lo mostra alla propria famiglia (moglie e due figli piccoli), il ragazzo scatena su di loro una maledizione da tragedia greca: ad uno ad uno moriranno tutti se il padre non uccide uno dei familiari.
Ovviamente prenderanno tutti sottogamba la cosa finché non cominceranno i sintomi; inizierà allora una corsa convulsa a ingraziarsi il padre con ogni mezzo, riaversi sul ragazzo in una lenta spirale di abiezione.

Al suo secondo film americano Lanthimos abbandona il perturbante grottesco e metaforico per addentrarsi in un mondo a là Haneke dove l'idillio borghese viene improvvisamente distrutto da una minaccia esterna.
Come Haneke si compiace della sofferenza che causa ai suoi personaggi, ma al contrario dell'autore austriaco ha un gusto per il comico (certo, virato al grottesco come sempre) che scaturisce molto spesso nel film (dal rapporto fra marito e moglie a letto, i tentativi di ingraziarsi il padre dopo la maledizione o il finale per scegliere chi eliminare), non si ride quasi mai di quelle persone, ma ci si imbarazza per loro, per la loro goffaggine e la loro inettitudine (cosa che con Haneke sarebbe impensabile).
Inoltre il gelo dei film dell'austriaco (cifra stilistica anche di Lanthimos) qui pervade anche i personaggi. L'ambiente è algido, il punto di vista del regista distaccato e freddo, ma i personaggi sono respingenti e anempatici anche nelle scene di agnizione, lavorano per sottrazione per concedere il meno possibile allo spettatore.
L'effetto finale è particolare e quasi unico, non melodrammatico come potrebbe, ma colpisce, in maniera meno efficace che in altri film del regista greco, ma sicuramente si fa ricordare.

lunedì 27 aprile 2020

Noah - Darren Aronfsky (2014)

(Id.)

Visto su Netflix.

Aronofsky prende la storia biblica di Noè, la gonfia a dismisura introducendo personaggi e relazioni nuove e (questa l'idea fondamentale) la gestisce come un fantasy. Ed ecco fatto un film.
A monte di ogni giudizio fa piuttosto specie vedere un regista viscerale e circonvenuto come Aronofsky alle prese con un colossal dal sapore supereroistico,  avrei scommesso fosse un film su commissione della Paramount rimaneggiato dall'autore se non ne avessi letto della precisa volontà di Aronofsky che da anni tentava di portare sullo schermo questa storia.

Detto ciò il film è, come già detto, un'avventura fantasy; un'ottica che, per le storie bibliche soprattutto per un europeo, è sostanzialmente nuova e, diciamocelo, vincente. La storia trattata in questo modo riesce ad avere un ritmo, un passo e un titanismo che difficilmente avrebbe avuto in altro modo, ma no solo questo. Aronofsky prende una delle storie bibliche più fantasiose (meno realistiche) e la gestisce con i linguaggi delle storie inverosimili cinematografiche, anziché il tentativo di un'agiografia di un personaggio impossibile. Fatto il salto l'effetto finale è garantito.

A fronte di questa idea di trama il film fa perno sui rapporti familiari come base del racconto, attriti, rapporti di fiducia e di forza che si muovono, si sbilanciano e si ricreano mentre questo gruppo di persone equilibrato viene messo in mezzo a una delle situazioni più estreme in assoluto.
A condire e a gonfiare c'è (e ci deve essere) un antagonista esterno che banalizza un poco e degli alleati esterni (gli angeli di pietra realizzati e animati benissimo che sono, di fatto, l'unico elemento dichiaratamente fantastico inserito a forza).

Peccato che l'arco narrativo sia scontato per gli scontri esterni e sia invece claudicante per quelli interni.
Per gli scontri esterni la scena di assalto all'arca è l'unica che si fa ricordare.
Gli scontri fra i membri della famiglia invece, una volta arrivato il diluvio diventano l'unica fonte di dinamismo ed essendo confinati in un luogo con pochi personaggi, diventano presto pretestuosi, ripetutitivi e con cambi improvvisi non giustificati.

Con tutto quanto ci si può chiedere se e dove Aronofsky si riconosca. Aronofsky c'è ed è riconoscibile. Splendido il time lapse per indicare il passare del tempo (la fonte d'acqua che diventa fiume), perfetto il continuo ritornare alla frutto della conoscenza e la morte di Abele con 3 immagini in sequenza riconoscibilissime (una sintesi rapida e perfetta fatta solo con immagini di comune riconoscibilità); idee ben congegnate, ma che, per me, sono pò poco.

lunedì 6 aprile 2020

Répertoire des villes disparues - Denis Côté (2019)

(Id. AKA Ghost town anthology)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

In Canada i morti tornano nelle città che li hanno ospitati da vivi. Non fanno nulla, non sono aggressivi, né richiestivi, rimangono immobili all'esterno (al massimo ti fissano a lungo con sicumera). In una piccola cittadina dove è appena morto un ragazzo (forse incidente d'auto, probabilmente suicidio) le cose si muovono più lentamente, finché l'immobile invasione non arriverà a tutti producendo... sostanzialmente nulla, giusto la levitazione di una concittadina non troppo sveglia.

Film inclassificabile (non è un horror o un thriller, potrebbe essere un dramma se solo succedesse qualcosa)  che vorrebbe dire moltissimo (immagino) senza far succedere nulla.
la prima metà del film presenta una serie di personaggi della cittadina, delineati quasi tutti bene e con questioni irrisolte o volontà granitiche che fanno presagire uno showdown drammatico. L'arrivo dei morti si mostra subito distante dall'horror e vicino al dramma con spunto fantasy, ma, semplicemente, non succede nulla. L'arrivo dei morti causano soltanto la fuga di due personaggi (una fuga quasi senza effetti) la rinuncia ad una casa (ma che non è l'ultimo gesto di una profonda agnizione psicologica, semplicemente c'è un morto dentro la casa abbandonata e non la si vuol più comprare) e un personaggio che levita senza motivo (citazione di "Teorema", il film di Pasolini però ha costruito per tutto il suo minutaggio l'aura surreale che porta a quella levitazione qui invece succede all'improvviso e senza costrutto reale).
Sembra che ci sia stata l'idea di far succedere qualcosa di improbabile senza poi avere la minima idea di come far proseguire la vicenda. Imbarazzante.

PS: peccato perché la fotografia sgranata e l'ambientazione sarebbero stati il perfetto compendio per una storia realistica di gelo e solitudine.


venerdì 20 settembre 2019

Jurassic World - Colin Trevorrow (2015)

(Id.)

Parco divertimenti con dinosauri, le cose andranno male. credo che questo sia più o meno il riassunto.

Non sono pià in quella fase della vita per cui basta un dinosauro per fare un grande film, ho visto Jurassic World ed è stato bellissimo. In fondo ci sono un sacco di dinosauri. Dove non funziona la qualità funziona la quantità.

Diciamocelo, il film è lontanissimo dall'essere perfetto e anni luce dal "Jurassic Park" originale. I difetti sono sotto gli occhi di tutti, manca empatia, personaggi che vadano oltre la macchietta, idee balzane utilizzate come novità attira-pubblico che poco hanno di sensato o scene completamente folli.
Di tutti questi difetti l'ultimo è il meno importante perché permette momenti wow altrimenti impossibili (quanto è scema la scena degli pterodattili che fuggono e cominciano, senza motivi, a sollevare esseri umani?! ma d'altra parte, quanto figa è quella scena?!).
Di tutti i difetti, il penultimo, è invece il più assurdo. A cosa serve un ibrido di dinosauri? A Hollywood si è deciso che i dinosauri in sé (e ne esistono centinaia di tipi, diversi carnivori giganti) non sono più sufficientemente cool? Oppure creare una creatura ex novo con caratteristiche peculiari che si scoprono a mano a mano con irritante esattezza sembrava un ottimo sistema per creare un climax? (e non parlo dei velociraptor addestrati).

Detto ciò, quel che manca in fantasia di regia la si ottiene con la spettacolarità, il dinosauro acquatico compare due volte, ma si mangia sempre la scena (ah ah ah), e il senso di distacco da Spielberg (che comunque ci manca) si sente sempre meno, avendo il film preso con sicurezza la via del blockbuster d'azione e giocando, quindi, in un altro campionato rispetto al primissimo film della saga.
Apprezzabile comunque, per noi affezionati agli anni 90 il citazionismo spinto di quel film capostipite da cui tutti veniamo, che si spinge fino alla comparsata inaspettata di Wu (e di Mr. DNA).
A conti fatti un film più che soddisfacente per quello che prometteva, ma con ampi margini di miglioramento.

venerdì 13 settembre 2019

Tag - Sion Sono (2015)

(Riaru onigokko)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una ragazzina in gita scolastica si trova all'improvviso in mezzo a un massacro ad opera... del vento. Fugge, si ritrova in un'altra scuola dove tutti sembrano conoscerla; tutto bene, finché un nuovo massacro non la costringe a fuggire di nuovo. Questa volta vestirà i panni di una novella sposa e questa volta (niente massacri) la trama si ingarbuglia davvero con uomini con teste di maiale, due ex insegnanti che fanno judo duro vestite come fossero in "Matrix".

Se è vero che la carriera di Sion Sono tende ad avere un aspetto simile a quella di Miike (film fuori dagli schemi e dai generi, violenza stilizzata e continua, perturbante sempre presente, una certa dose di sadismo e un gusto estremo per lo shock, la provocazione o il semplice assurdo) è anche indubbio che tra il fare un film caotico e surreale, ma buono e farne uno che sia solo una cazzata (magari pure pretenziosa) il passo è breve. Miike, quasi sempre, riesce nel miracolo di rimanere sul piano del caos costruttivo dando vita a film eleganti e violenti ed estremi o semplici pastiche surreali, ma sempre soddisfacenti. Qui invece Sono dimostra di non essere all'altezza del collega; ci prova, ci da dentro, all'inizio si prende anche in giro, ma poi scade nell'idiozia.
Hanno un bel lavoro i pasdaran di Sono a dire che è tutta un'allegoria della condizione della donna (interpretazione possibile, ma un po semplicistica) o del passaggio all'età adulta di una ragazzina con il primo ciclo mestruale (indubbio che il finale sembri riportare tutto a questo, ma anche qui, mi pare ancora più limitato); ho anche letto in giro lodi legate all'occhio sempre particolare che Sono dedica agli adolescenti, sempre in fuga, sempre vittime (tratto comune assolutamente azzeccato, ma rimane tale, solo un tratto in comune).
Qui semplicemente il gioco di prestigio di fare un film surreale e violento, ironico, che gioca coi generi e finisca serio, semplicemente non regge. L'incipit è buono, parte come un fastidioso filmetto adolescenziale con un'inquietudine crescente, è evidente che sta per succedere qualcosa, ma cosa? Poi arriva il massacro, la fuga e un picco di sentimentalismo adolescente (solo in parte auto-ironico) e pretenziosità filosofiche che arriva ad un nuovo massacro. Anche qui tutto bene, è tutto quello che succede dopo che scade nel banale, il film smette di voler essere uno sberleffo ai film per regazzine e decide di prendersi sul serio e di voler tirare le file di troppi discorsi solo abbozzati. Il risultato finale è terribile; peccato perché l'incipit rimane carino.

lunedì 29 luglio 2019

Pikovaya dama - Yakov Protazanov (1916)

(Id.)

Visto qui.

La storia di un uomo che, per vincere alle carte, cerca di forzare un'anziana donna a rivelargli il segreto che le permise di vincere una fortuna (in realtà recuperare quanto aveva precedentemente perduto), semplicemente indovinando una sequenza di carte. Mentre cerca di obbligarla, la donna muore, ma gli ricompare in sogno annunciandogli una sequenza di carte.

Considerato uno dei massimi capolavori del cinema zarista (siamo a un anno dalla rivoluzione d'ottobre), il film porta sullo schermo un celebre racconto di Puskin.
Il film dimostra completamente gli anni che ha strutturandosi con la precisione, ma anche la staticità di un'opera teatrale con tutti i pregi (a partire da un cast ottimo che non sfora mai nell'enfasi) e i difetti.
A fronte di una struttura di regia così convenzionale però, Protazanov mette in scena una serie di idee innovative per l'epoca e alcune ancora interessanti. Se le retroproiezioni sono cosa ormai scontata, il regista fu uno dei primi ad applicarle in russia creando, di fatto, uno dei film più impressionante per effetti speciali. Viene utilizzato anche un carrello molto evidente e in una scena c'è un ottimouso della profondità di campo (inquadratura obliqua dall'alto con il primo piano della giovane donna che spia dalla finestra e in secondo, lontanissimo, piano, l'uomo che fissa la casa dalla strada).
Ma il vero valore aggiunto della regia è il montaggio alternato (usato in maniera costante nella prima parte) che, anziché mostrare due eventi contemporanei, crea un collegamento fra episodi distanti nel tempo, riprendendo l'uno nell'altro con il montaggio interno (i movimenti e le posizioni degli attori sulla scena) in una serie di scene ancora efficaci.

Non per nulla, il regista, riuscirà a riciclarsi dopo la rivoluzione rimanendo attivo fino agli anni '40, sarà lui infatti l'autore dietro al primo kolossal sovietico: "Aelita".

venerdì 17 maggio 2019

Příchozí z temnot- Jan S. Kolár (1921)

(Id. AKA Arravil from the darkness)

Visto qui.

Un uomo si trova la moglie concupita dal vicino di casa, ai due si aggiunge presto un terzo personaggio, vecchio di secoli è tornato in vita grazie a una pozione alchemica che deve assumere ogni 3 giorni o morirà per sempre.

La visione del film risulta terribilmente azzoppata dalla scarsa qualità del filmato (è una riproduzione della tv di stato ceca), dalla mancanza di intere sequenze (mancano almeno 15 minuti di filmato) e da alcuni cartelli quantomeno mal scritti. Il film però ha anche alcuni difetti strutturali, come una trama troppo farraginosa che mischia insieme troppi elementi gotici pensando che gonfiando il numero di cliché aumenti in automatico la qualità; nonché alcune ridondanze di regia (il flashback dentro al flashback per evitare un cartello in un film che ne conterà almeno un centinaio).

I lati positivi però non mancano, su tutto la gestione delle location, ottima per la gestione del mood, ma soprattutto ben sfruttata per punti di vista interessanti o come elemento determinate del montaggio interno (tutte e due elementi sfruttati per lo più nella prima parte del film).

Un film sicuramente interessante che, però, più che meritare una visione, meriterebbe, prima di tutto, un restauro.

lunedì 11 marzo 2019

Bellezze in cielo - Alexander Hall (1947)

(Down to earth)

Visto in Dvx, in lingua originale.

Tersicore, la musa della danza, si indigna per il modo in cui viene trattato il suo personaggio in un nuovo spettacolo di Broadway; decide quindi di incarnarsi per farsi prendere cme prima ballerina e protagonista dello show per cambiarlo dall'interno. Riuscirà perfettamente facendo innamorare di sé il creatore dello spettacolo, purtroppo se ne innamorerà lei pure.

Film dalla trama imbarazzante, ma perfettamente in linea con la serie degli amori soprannaturali che ci furono negli anni '40 ("Il ritratto di Jennie", "Il fantasma e la signora Muir", ecc...). Di fatto non vuole essere nient edi più di un incredibile baraccone camp creato ad hoc per dalle alla Hayworth una serie di scene di ballo e canto; un kitsch eccessivo in maniera encomiabile ricopre tutto, con un uso dei colori a cui dovrebbe essere molto legato Almodovar. Nonostante la mia scarsa sensibilità sull'argomento musical direi che i numeri di danza riescono ancora a reggere il peso degli anni (anzi, all'epoca avevano decisamente più voglia di oggi di coreografare), mentre le canzoni lasciate da sole soffrono molto. Il risultato finale è però incredibilmente godibile, data la storia assurda che però non si prende sul serio, un degli happy ending più strani di sempre e una delle raffigurazioni deistiche (perché Mr Jordan è Dio) più americane e professionalizzanti di sempre.

Il film è certamente assurdo, ma continuo a trovare molto più assurdo aver pensato di trarne un remake negli anni '80 con Gene Kelly e la Newton John.

lunedì 4 marzo 2019

Godzilla, furia dei mostri - Yoshimitsu Banno (1971)

(Gojira tai Hedorah)

Visto qui, doppiato in inglese.

Per quasi tutti gli anni '60 ilo franchise Godzilla macinò almeno un film all'anno (nel 1964 addirittura due); la distanza di ben 2 anni fra la precedente opera della serie e questo significa molto più di quanto non appaia. Nel 1970 la Toho esplose, iniziando un rischio default tenuto per quasi tutto il decennio, i costi dovettero essere ridotti e il capitolo kaiju fu chiuso quasi interamente; rimase in piedi unicamente il progetto Godzilla che dovette però essere svecchiato. Per introdurre il mostro nel nuovo decennio si decise di affidare il progetto a Banno.
Banno era un filmmaker alle dipendenze della Tohod a una quindicina d'anni come assistente alla regia (fu alle dipendenze di Kurosawa) che solo l'anno precedente fece parlare di sé per un filmato (anche se probabilmente sarebbe più corretto definire installazione visuale) "Birth of the Japanese islands" in cui immergeva gli spettatori in una realistica e coinvolgente ricostruzione di eventi tellurici con l'utilizzo di un cortometraggio e giochi di specchi; l'evento fu proiettato all'Expo del 1970 e fu il padiglione con record di visite. Di fatto Godzilla fu la sua opera prima e, per quanto riguarda la fiction, anche l'ultima.

Banno fece piazza pulita del clima infantile dei film precedenti e tornò al mood horror e moralizzante del primo, non eliminando la continuity, ma ignorandola completamente (non si fa menzione dell'isola dei mostri o di Minilla, ma neppure ci sono riferimenti diretti al film del 1954 e a inizio film un bambino gioca con dei pupazzi che raffigurano Godzilla e Ghidorah).
Per la trama tornò alla filosofia iniziale, ma aggiornandola con la nuova paura collettiva che stava nascendo e che rappresentava il nuovo scempio dell'uomo sulla natura: l'inquinamento.
L'idea fu quindi di creare un mostro alieno che si nutre di inquinamento aumentando potenza e dimensioni; Godzilla d'altra parte, doveva rappresentare la natura che arriva a chiudere i conti, in un'accezione positiva (viene per distruggere l'altro mostro) eliminando (o più semplicemente dividendo su due personaggi) la dicotomia che era propria del primo film (Godzilla come effetto dell'uomo sulla natura e come risposta stessa della natura).
Per realizzare tutto questo scelse un'estetica alla Cthulhu per l'antagonista, una ambientazione più oscura (finalmente si torna ad aver qualche scontro in notturna circondato dalla nebbia) e una serie (lunga) di scontri che definire più realistici è un'esagerazione, ma in cui i mostroni se le danno di santa ragione.
Parallelamente al cambio di cifra e al tema ambientalista (smaccatamente didattico, com'era quello nucleare a inizio saga) si uniscono scelte di regia innovative con inserti musicali seventies (inutili), inserti animati non narrativi (buffi, ma interessanti) e una gestione più dinamica.

Il film fu un buon successo al botteghino, ma nel giro di pochi anni fu spernacchiato dalla critica e fu detestato dal produttore esecutivo che desiderava un'altra deriva per il personaggio di Godzilla. Nonostante l'efficace svecchiamento (anche a fronte delle solite ingenuità e qualche esagerazione idiota come il Godzilla volante) Banno fu estromesso dal franchise per sempre e ritornò a fare da assistente alla regia e come protagonista si occupò di documentari.

lunedì 14 gennaio 2019

Gojira-Minira-Gabara: Oru kaijû daishingeki - Ishirô Honda (1969)

(Id. AKA Godzilla's revenge)

Visto qui, doppiato in inglese.

Un bambino entra in contatto onirico (nel senso che se lo sogna e basta) con Minilla (il figlio, adottivo, di Godzilla), lo incontra sull'isola dei mostri dove scopre che il buon mostrillo parla fluentemente. Tutti e due i cuccioli (d'uomo e di mostro) sono bistratta da un bullo che condivide lo stesso nome, Gabara, anche se in un caso è un bambino, nell'altro un mostro gigante vagamente rospesco (sarebbe una rana toro mutata) con poteri elettrici. Entrambi dovranno affrontare le proprie paure e superare i propri limiti.

Al decimo film della serie una botta di onestà sembra aver colto la Toho.
Siamo onesti, nonostante faccia del male il solo pensiero, scendere a patti con la realpolitik di questa serie e trasformare Godzilla in un film per bambini totalmente infantile sarebbe una scelta logica. Spiace che per poterlo fare abbiano dovuto utilizzare Minilla, il personaggio più brutto, inutile e fastidioso del franchise.
Spiace che per farlo abbiano diviso il film in due segmenti separati, uno per gli umani e l'altro per i mostri dove i vari kaiju, in una botta di inventiva, combattono fra loro a caso (vengono resuscitati i kamacuras, Ebirah e citati molti altri). Questa divisione così netta è un peccato, da sempre Godzilla è stato soprattutto l'effetto sulle persone (molto di più nei primissimi film ancora horror), vedere mostri giganti di gommapiuma che combattono era un interesse relativo (più o meno interessante in base al dinamismo delle scene, generalmente dato dalla presenza di Fukuda alla regia); disgiungere le due parti normalizza la storia degli esseri umani (perdendo lo spunto peculiare di un drago che invade la città) e rende molto più noiosa la parte dei mostri.
Ci si può aggiungere un antagonista, Gabara, incredibilmente ridicolo, infantilmente minaccioso che serve solo ad allungare la lista di kaiju nel parterre della Toho.
Dietro la macchina da presa c'è ancora il fidato Honda, regista che ha dimostrato da tempo di non avere più il polso di una serie iniziata 15 anni prima; in realtà fa ben sperare con una parte iniziale (quella tutta fatta dai bambini) incredibilmente dinamica, dove il gioco delle inquadratura, qualche movimento di macchina e un ottimo montaggio interno danno un dinamismo mai avuto prima; peccato che il meglio lo lasci a quelle sequenze e non se lo porti sull'isola dei mostri dove avrebbe giovato molto di più.
Complessivamente quindi, si rimane sulla china discendente, con un'idea di trasformare il brand in un romanzo di formazione per bambini interessante, ma mal costruita.

PS: questo film risulta ancora inedito in Italia.

venerdì 9 novembre 2018

The lobster - Yorgos Lanthimos (2015)

(Id.)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un futuro uguale al mondo attuale, ma in cui la solitudine non è accettata; i single vengono portati in un albergo dove hanno 45 giorni di tempo per trovare un partner, in caso contrario verranno trasformati in animali. Un uomo fugge dall'hotel e si unisce a un gruppo di ribelli in cui i rapporti di coppia sono vietati; ovviamente sarà proprio lì che si innamorerà.

Come sempre in Lanthimos una metafora semplice e chiara viene utilizzata come idea base per la creazione di un intero universo; articolato, stratificato e dettagliato al massimo. Come sempre in Lanthimos i colori desaturati e la recitazione scarna sono cifre stilistiche (ma che differenza se a recitare ci metti qualcuno capace di farlo, Farrell e la Weisz trasmetto tutto con un labbro vagamente mosso o un'espressione imbronciata).
Come sempre il mondo gelido che viene creato vive del grottesco che ne sta alla base, mai aperta ironia, ma sempre uno stridor di denti che può essere divertito se si ha abbastanza cinismo.
Come sempre è il mood a fare il film e non la storia.
Ma al contrario del molto elogiato "Kynodontas", qui il metaforone non rimane congelato in sé stesso e, con la parabola di Farrell diventa storia, la narrazione diventa fondamentale e non ci si trova davanti a un affresco senza scopo; anzi è la narrazione stessa che permette all'affresco di acquisire profondità e senso.
Ad ora (tra quelli che ho visto), il film più bello di Lanthimos che, comincia con molta calma, a non rimanere chiuso nella torre d'avorio della spocchia autoriale, riuscendo a trasformare la sua metafora ombelicale in una allegoria potente e distruttiva (l'amore come obbligo, negazione od ossessione; la solitudine come problematica sociale inaccettabile).

venerdì 3 agosto 2018

Gli eredi di King Kong - Ishirô Honda (1968)

(Kaijû sôshingeki)

Visto qui, doppiato in inglese.

Nel 1999 tutti i kauiju sono stati portati su un isola nel Pacifico e trattenuto dall'avanguardistica tecnologia raggiunta. Purtroppo gli alieni ci mettono (di nuovo) lo zampino; si impossessano dei tecnici che lavora sull'isola e, controllando le fiere, distruggono le capitali mondiali.

Film reunion di tutti (letteralmente tutti) i kaiju della Toho sin qui creati, dove quelli in primo piano saranno Godzilla, Angilas e Gorosaurus che si scontreranno con l'eterno cattivo Ghidorah.
Pensato come capitolo finale del franchise mostra, infatti, lo showdown definitivo con uno scontro non particolarmente dinamico, ma tra i più violenti di sempre (ricordandoci sempre che stiamo parlando di mostri di gommapiuma) con colpi efferati dati per fare del male e non per temporeggiare, la presenza (per la prima volta!) di sangue e con la conclusione sulla morte dell'antagonista.

Tutto questo viene realizzato rimasticando la vecchia idea degli alieni che controllano umani e mostri, senza inventare nulla, ma cercando di cavalcare l'avventura come nei due capitoli precedenti.
Già, perché il cambiamento più importante è il ritorno alla regia di Honda dopo la doppietta di Fukuda. Al cambio dietro la macchina da presa segue anche un maggior interesse sui mostri e i loro effetti distruttivi più che l'occhio agli esseri umani e le loro avventure (che comunque sono almeno il 50% del film), ma soprattutto fa seguito un cambio di ritmo importante.
A onor del vero devo ammettere di non aver seguito perfettamente il film a causa della noia; tolta l'esaltazione iniziale di vedere tutti i kaiju insieme il resto mi è sembrato un soporifero viaggio nel già visto; potrei eccedere in negatività dato che con il progredire del minutaggio mi sono ritrovato sempre più distratto.

Film pensato per essere la conclusione, fu invece un tale successo (!) da convincere la Toho a proseguire nella serie.

PS: il King Kong del titolo italiano è un MacGuffin per attirare spettatore, ovviamente non compare.

venerdì 6 luglio 2018

Il figlio di Godzilla - Jun Fukuda (1967)

(Kaijûtô no kessen: Gojira no musuko)

Visto qui, doppiato in inglese.

Un gruppo di scienziati si trovano su un'isola del pacifico per alcuni esperimenti meteorologici; verranno raggiunti da un giornalista d'assalto, ma, sfortunatamente, anche da Godzilla, richiamato da una serie di onde prodotte da un uovo (spoiler: sarà il figlio di Godzilla). Più che con il lucertolone, gli umani, in questo caso, saranno messi a dura prova da una serie di mantidi religiose giganti e, nel finale da un altrettanto gigante ragno.

Per la seconda volta dietro la macchina da presa Fukuda riprende tutte le caratteristiche salienti del film precedente. Fotografia accesa, regia dinamica, un gusto spiccato per l'avventura e un tono leggero (che con le musichette pimpanti rischia talvolta di finire nella farsa).
L'effetto è piuttosto buono, ma, ci sono due ma. Il primo è l'ottima fattura degli altri kaiju, soprattutto le kamakuras, che rendono giustizia allo spirito disneyano che permea i film della serie diretti da Fukuda; il secondo però è il figlio di Godzilla (chiamato Minilla!)... e non ne ho un'opinione altrettanto positiva...
Minilla è l'idea più orribile dell'intera saga fino ad ora. Ridicolo e obiettivamente brutto, un pupazzo poco credibile dall'espressione cogliona che vorrebbe dare una componente più umana alla vicenda, ma riesce soltanto ad annacquarla. il suo contributo alla trama è il susseguirsi noioso della medesima dinamica ripetuto diverse volte: Minilla va in giro, viene molestato da un altro kaiju e chiama Godzilla in aiuto; ok voler motivare lo scontro fra kaiju, ma questa diluizione è deleteria.
Peccato per questa virata verso il ridicolo che affossa una coppia di film che avevano azzeccato finalmente il piglio scanzonato giusto per traghettare il franchise dall'horror puro al prodotto per famiglie.

PS: in realtà, all'epoca, fu u successo enorme (soprattutto fra i bambini) e il finale strappalacrime (che a me ha ricordato "Shining") commosse le platee.