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mercoledì 10 febbraio 2021

Laurence anyways e il desiderio di una donna - Xavier Dolan (2012)

 (Laurence anyways)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


Al terzo film Dolan torna al dramma, ma lo fa gettando il cuore oltre l'ostacolo affronta una tematica più adulta, senza rifugiarsi nei rapporti fmadre figlio che torneranno più avanti.

Questo film mostra una decina d'anni di vita di una coppia (uomo/donna, eterosessuali) più o meno dal momento in cui l'uomo si rende conto di sentirsi donna e comincia a muovere i primi passi per il cambio di sesso. L'intero film si gioca sul campo della relazione fra i due, la complicità, lo shock, gli allontanamenti, i riavvicinamenti, l'amore sempre presente, il rancore i tentativi impossibili.

Il film è enorme per densità emotiva ed encomiabile per la serietà con cui tratta un tema poco raccontato. A fronte di un impegno del genere, Dolan da fondo a tutte le sue attenzioni maniacali per la costruzione delle inquadrature (come sempre perfette), utilizza in maniera più controllata i suoi ralenty e le sequenze oniriche (che comunque ci sono e sono bellissime, si pensi alla cascata sul divano o la pioggia di foulard); rimane però più dimessa la palette di colori utilizzati, cercando di rimanere più sobria possibile per non sbracare nel kitsch.

L'effetto finale è, visivamente ottimo, ma le solite lungaggini di racconto e rallentamenti del ritmo tipici del regista fanno pagare uno scotto notevole, soprattutto se si considera il minutaggio complessivo. La storia si prende il suo tempo per esplorare ogni passaggio emotivo, ma molte scene sono tenute troppo a lungo o proprio inutili e affossano un film già lento come questo.

Il fascino però sta tutto nella ricerca di sé di una persona che finisce con la rottura di una coppia che rimane però indissolubilmente legata. Un ritratto a due magistrale.

giovedì 27 agosto 2020

Post tenebras lux - Carlos Reygadas (2012)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Una famiglia che vive nella campagna messicana viene ripresa in diversi momenti della loro vita (spalmati su più di un decennio) tenendo al centro i genitori. I due coprotagonisti sono pieni di tensioni che danno loro esplorazioni di tenerezza, violenza improvvisa, prese di coscienza, perversioni.
Film dalla trama minimale, ma non riassumibile è tutto giocato con un andamento non cronologico delle sequenze (anche brevi) che vengono mostrate, unite da un montaggio che si appoggia più ai momenti della giornata e al meteo per dare continuità alla serie di scene. Se l'intento è quello di destrutturare il film, beh ci riesce, riuscendo nel doppio effetto di rendere più curiosa una trama semplice, ma con il contrappasso di renderla enormemente più criptica.
I pregi sono evidenti fin dalla prima scena (forse la migliore dell'intero film): una bambina (meno di 4 anni) da sola in mezzo alla campagna circondata da mucche e da cani che abbaiano corre spensierata mentre un tramonto al technicolor porta la notte. C'è tutto, una fotografia incredibile, una scena potenzialmente sia simbolica che realista, l'uomo inserito in un contesto enormemente più ampio e la natura come forza viva e incombente.
I difetti sono tutti gli altri. Un film pretenzioso che con una fotografia patinata e un andamento non classico pensa di poter sopperire alla intelligenza di scrittura. Una trama ricca di eventi che sembra però voler collezionare momenti grotteschi senza avere il coraggio di passare all'ironia aperta e si nasconde dietro a un ermetismo che non ne aumenta l'impatto, ma lo depotenzia.

lunedì 17 agosto 2020

Holy Motors - Leos Carax (2012)

(Id.)

Visto su Amazon prime.

Un uomo gira in macchina per Parigi, riceve una serie di richieste di "parti" da interpretare per le vie della città.

Carax mi ha sempre dato l'impressione di essere un eccezionale creatore di immagini e di momenti cinematografici geniali ed efficaci nello stesso momento, ma di non riuscire a portare a casa il risultato nel lungo periodo. Per dirla in poche parole, ha idee che rendano alcune scene o sequenze eccezionali, ma i suoi film sono sempre claudicanti.
Il problema aggiuntivo è che, pare si, sia lasciato convincere dai complimenti sciovinisti d'oltralpe e si sia messo in testa di essere uno dei registi migliori in circolazione e i suoi film zoppicanti sono sempre più ambizioni (versione buona di tracotante).
Questo è forse la quintessenza dei pregi e difetti di Carax. Un film fatto di cortometraggi malamente legati assieme, con moltissime idee di messa in scena e colpi d'occhio (anche se non c'è niente di paragonabile a quanto fatto con "Gli amanti"); un film che vuole essere un lungo metaforone del fare cinema con un personaggio che vive l'essere attore nella vita di tutti i giorni e attraversa vari generi incaricato da personaggi non chiari che sono innamorati del gesto artistico in sé.
Inutile dover sottolineare che per me è un fallimento. Un'idea vecchissima di film a tesi allegorico che neanche nei seventies avrebbero potuto partorire tenuto in piedi da una cura delle immagini enorme, ma senza le idee esplosive degli anni '90 di Carax e con un gusto per l'ermetismo e la citazione che diventano stucchevoli (l'incipit con Carax stesso che sveglia nel cinema o la scena finale in cui la Scob si mette una maschera che mostra i suoi "occhi senza volto" sono sfacciataggine che fanno prudere le mani).

PS: comparto grafico efficacissimo che sembra essere stato ispirato dall'occhio acido di Noé.

giovedì 6 febbraio 2020

Il lato positivo. Silver Linings Playbook - David O. Russell (2012)

(Silver Linings Playbook)

Visto su Netflix.

Il caso cinematografico del suo anno è in realtà una commedia romantica che si inserisce nella nicchia dei film sulla seconda possibilità nella vita. Si concede una buona struttura, lievemente più da outsider della media (c'è dei mezzo la malattia mentale, che rappresenta sempre l'estremità del fuori dal coro positivo negli USA), ma di fatto non inventa nulla.
La sceneggiatura indugia molto sui topos della malattia mentale vista dagli americani con i protagonisti che sono più che altro dei dolci ingenui che non sanno mentire e sono, per tutto questo, vessati dalla vita. C'è umn piano di riscatto che è tra il folle e il velleitario e c'è ovviamente la riunificazione della famiglia nel finale.
Ecco se dovessi fermarmi qua darei l'impressione, sbagliata, che il film non mi sia piaciuto... invece...
Il film riesce a vincere e convincere grazie all'uso perfetto degli attori.
La vera capacità di Russell sembra proprio quella di tirare fuori il meglio da tutti arrivando addirittura a far recitare di nuovo Robert De Niro che era in stand by da anni (sul serio, questa è la sua miglior interpretazione del ventennio ed è un piacere vederlo in scena). Tira fuori da Cooper quello che serve per portare avanti la storia (faccia ingenua, occhi sgranati, sorriso semplice) e lavora di fino con la Lawrence che riesce a trasmettere al suo personaggio la frustrazione di un vissuto che prima di essere raccontato è mostrato.
Con questa capacità del cast la storia diventa tollerabile e anzi, si riesce a empatizzare con loro fino al prevedibile (ma accettabilissimo, date le premesse) finale.

PS: non ho neppure riconosciuto Chris Tucker in una particina secondaria e solo ora mi rendo conto che era "Rush hour" che non avevo sue notizie.

lunedì 2 dicembre 2019

Project X. Una festa che spacca - Nima Nourizadeh (2012)

(Project X)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Tre amici delle superiori, facilmente catalogabili come sfigati (come chiosa con delicatezza il padre del protagonista), organizzano una festa di compleanno per uno di loro nella sua casa sgombra per il weekend. gestiranno in maniera intelligente gli inviti e porteranno le cose così oltre da distruggere tutto e realizzare la festa più memorabile di sempre.

Sgombriamo subito il tavolo dai problemi più evidenti. Il found footage; ogni buon cristiano dovrebbe odiarlo con tutto il cuore e io mi associo subito. In questo caso viene utilizzato in maniera coerente (e sorprendentemente non fastidiosa) nella primissima parte; quando comincia la festa il found footage va a ramengo (ralenty, inquadrature impossibili, etc...) e si rivela per quello che è, solo un sistema di regia per creare più interesse con mezzi semplici.

Il film però è ottimo. La storia di tre sfigati che realizzano una festa che sfugge di mano in un climax di follia che porta a incendiare l'intero quartiere è la rappresentazione iperbolica dell'ossessione per il divertimento(fino all'autodistruzione) mutuato dalla cultura di massa di questo paio di decenni; sulla stessa linea del contemporaneo "Spring breakers", ma puntando su un concetto più semplice e con una trama estremamente lineare e pulita, Nourizadeh porta a casa un risultato di tutto rispetto per messa in opera e attualità.
Found footage a parte, l'unico difetto evidente è l'insicurezza di registro; cominciato come un buffo film serio (i personaggi di Costa e JB sono buffe spalle comiche, ma il film rimane con i piedi per terra) nel finale devia verso la farsa (il lanciafiamme) ancora sopportabile per il modo in cui ci arriva per chiudersi con sequenze apertamente comiche (divertenti, ma fuori tema rispetto al resto del film).

venerdì 22 novembre 2019

No, i giorni dell'arcobaleno - Pablo Larraín (2012)

(No)

Visto in Dvx.

Nel 1988 Pinochet dovette cedere alle pressioni internazionali e indire un referendum sulla possibilità di aumentare il numero di mandati del presidente. Il referendum divenne l'occasione per l'opposizione di avere la possibilità di parlare pubblicamente e fu, di fatto, un voto su Pinochet stesso. La campagna pubblicitaria per il No, venne data in mano a esperti di marketing che la portarono dal piano politico a quello puramente pubblicitario.

Il film di Larraín è un film politico per forza di cose; politico senza essere troppo requisitorio, politoc mostrando una certa frantumazione del fronte che dovrebbe sostenere, politico pieno di enfasi, ma con poche sottolineature caricaturali dei buoni e dei cattivi in gioco. A fronte di questi pregi, però, il film di Larraín è un film politico a distanza di sicurezza dai fatti avvenuti, che si permette la superiorità della storia ormai unanimamente accettata. Un film politico ben fatto, ma senza coraggio.

Ecco tutto questo è quello che si dovrebbe dire di questo film se non fosse realizzato così bene. Larraín prima che un film politico, realizza un film storico, ma un film storico per la qualità di ciò che mostra, non per il suo contenuto. Riprendendo gli attori con pellicola e attrezzature di fine anni '80 crea un film esteticamente simile alle immagini di repertorio (pur con tutta l'attenzione possibile per la fotografia), gioca ricreando immagini televisive d'epoca con cui interrompe di continua la narrazione e che alterna o mischia a quelle originali in un continuo ingannare lo spettatore.
L'effetto finale è perfetto e, tutto sommato, tranquillamente accettabile, dato che il gioco non viene esplicitato e notarlo è una scelta dello spettatore. Si può decidere di vedere un fil  politico o un grandioso film politico.

lunedì 11 novembre 2019

Voices - Jason Moore (2012)

(Pitch perfect)

Visto in tv.

In un college americano i gruppi di canto a cappella se le suonano di santa ragione, ci sarà l'outsider che deve combattere per essere inserita fra le ragazze che contano e la grande sfida da vincere a New York.

Buffo film americano che si basa sulle classiche dinamiche del cinema sulle università americane, con i personaggi macchiettistici che dovranno andare d'accordo per lo show finale; la trama è un lento progredire nel rendersi conte che alla fine "non siamo così diversi".
Quello che mi spacca sempre di un certo cinema facile dagli States è il riuscire a far sembrare centrali degli argomenti estremamente marginali. Qui il canto a cappella sembra essere l'unica attività realmente valevole nel college e l'unica che distingua gli studenti più cool da tutti gli altri.

Questo film vorrebbe staccarsi dalla calca di commedie positive per ragazzine con un piglio più controcorrente, per lo più lasciato alla comicità e alla presenza scenica di Rebel Wilson e mischiandolo con dettagli divergenti dall'usuale (picco di nonsense con le due scene del vomito che rappresentano davvero il, piccolo, cambio di passo del film), ma che viene velocemente eclissato dall'andamento sempre più ovvio e banale che si conclude con il gran finale.

Un film, come tanti, con solo un angelo di vomito per distinguersi.

PS: ho una speciale idiosincrasia per la Kendrick che me la fa odiare quasi subito, in questo film mi è parsa più tollerabile dle solito.

PPS: trovo ridicola l'idea di utilizzare la musica di Guetta

lunedì 26 agosto 2019

Ted - Seth MacFarlane (2012)

(Id.)

Visto in aereo.

Primo lungometraggio di MacFarlane, ovviamente comico, con il piglio che ci si aspetta.
Diciamo subito che il film è divertente (più nella prima parte, molto meno nella seconda) e diverte nelle modalità classiche da "Griffin", ma con trovate nuove o riarrangiate per l'occasione (come la solita scena di lotta paradossale).
Quello che però aggiunge qualcosa a un film, altrimenti, normale è il livello meno evidente di spiegazione del bromance. Pur essendo sotto gli occhi di tutti fin da "Suxbad" solo qui viene reso evidente che il bromance è solo il sintomo più acuto della sindrome di Peter Pan, della sensazione alla "Stand by me" che non avrai mai amici come quelli avuti a 11 anni e, dunque, si cerca di prolungare la (pre)adolescenza fin oltre la mezza età.

Detto ciò, però, vanno sottolineati i difetti. Il calo della seconda parte è sostanzialmente dovuto a una trama fin troppo canonica per un film tutt'altro che normale oltre che per il reiterare situazioni solo per sostenere quella struttura narrativa; inoltre, purtroppo, sempre nella seconda parte la comicità lascia il passo a momenti più enfatici, ma normalizzanti che sminano il potenziale accumulato fino a quel punto e mi hanno fatto chiedere perché avessi cominciato a guardare questo film.

venerdì 9 agosto 2019

Cesare deve morire - Paolo Taviani, Vittorio Taviani (2012)

(Id.)

Visto in Dvx.

Nel carcere di Rebibbia vogliono mettere in scena il "Giulio Cesare" di Shakespeare. Data la rpesenza di alcuni lavori di rinnovamento nel teatro interno, la compagnia (con attori scelti tra i detenuti) dovrà fare delle prove itineranti nei vari spazi del carcere. Col progredire delle prove verrà messa in scena l'intera vicenda che mostrerà la sua attualità e continui collegamenti con la vita degli attori/detenuti.

Nel portare al cinema il teatro (specie il dietro le quinte) non c'è niente di più banale che mostrare quanto un testo di 500 anni abbia connessioni con attori contemporanei. I fratelli Taviani non si discostano di un millimetro, ma lo fanno magnificamente.
Partono dal finale dell'opera portata in scena ufficialmente. Lo spettacolo finisce, gli attori tornano nelle proprie celle; il film vira in bianco e nero e ricomincia dal casting con un climax emotivo pazzesco nella sequenza della scelta degli attori che fa il paio con il climax dell'intero film.
Il progredire del film si muove con le prove interrotti dagli attori che parlano di sè (recitando peggio che nella finzione teatrale) prendendo le distanze dall'opera aumentandone la metacinematograficità; a mio avviso questo gioco di specchi è forse la pecca del film (troppo pretenzioso, troppo finto), ma viene centellinato e, quasi sempre, gestito talmente bene che diventa utile a interrompere un flusso che avrebbe reso il film solo una rappresentazione shakespeariana.
Il vero pregio però sono le scelte estetiche, in primo luogo degli spazi. Le location utilizzate vanno in un crescendo di dimensioni, senso e coinvolgimento del resto del carcere con un utilizzo effettivo del luogo dove ci si trova (bellissimo i monologhi sul corpo di Cesare dove Bruto e Antonio sono nel cortile mentre la folla di romani li guarda da dietro le sbarre delle finestre del carcere).
Ovviamente c'è un lavoro importante nella scelta degli attori, non impeccabili, ma tutti (o quasi) adatti alla parte; oltre a una regia puramente cinematografica che cura le inquadrature per mettere in relazione fra di loro i personaggi con le profondità di campo (si pensi alla scena di Cassio e Bruto che guardano Cesare rifiutare la corona d'alloro) e i personaggi con il luogo con la costruzione della scena.

mercoledì 24 aprile 2019

La nave dolce - Daniele Vicari (2012)

(Id.)

Visto in Dvx.

A 20 anni circa dal grande esodo di albanesi giunte sulle coste di Bari, anche Daniele Vicari gira un documentario. Inevitabile per me fare un paragone con il contemporaneo "Anija" che ho visto diverso tempo fa.
Se "Anija" voleva dare un'idea dei rapporti fra Albania e Italia negli anni '90 (voleva raccontare la storia di tutta l'emigrazione albanese che è durata per tutto il decennio), Vicari si concentra sul singolo episodio, rappresentativo di un evento storico più ampio, ma che permette anche di indagare più nel dettaglio modi e motivazioni di quella fuga di massa, così come le reazioni da parte dell'Italia.
Quello che salta di più all'occhio è la contrapposizione totale che Vicari realizza fra stato centrale (entità mai davvero definita che parla solo con la dura e accusatoria voce di Cossiga) e governo locale (parla poco, ma viene descritto in maniera illuminante).

A livello di immagini, meno repertorio, ma una cura maggiore nelle interviste. Alternanza di dettagli (gli occhi, le mani) e mezzibusti, tutti su sfondo neutro con una splendida luce a illuminare i volti.

Infine il lavoro più raffinato è quello operato sui suoni (come già succedeva nei migliori momenti di "Diaz"); durante le interviste il rumore del mare o il vociare delle persone riprende quanto viene raccontato dai protagoniste sottolineandolo e aumentandone l'effetto.

Un documentario meno emotivo di "Anija", ma più curato.

venerdì 18 gennaio 2019

Excision - Richard Bates Jr (2012)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese

Una adolescente con parecchi problemi sembra molto interessata al sangue e alla vivisezione, ha indubbi problemi di relazione con la madre stronza, ha un padre inesistente, ma è estremamente legata alla sorella... che però ha la fibrosi cistica.

Al di là che è evidente fin dalla prima scena (una delle innumerevoli sequenze oniriche) che il film finirà con lo scorrere del sangue, tuttavia se in una città il pastore è Waters, l'insegnante McDowell e il preside Wise... beh direi che c'è un problema che esploderà presto o tardi.

Inevitabile il paragone con "Carrie", in quanto entrambi film basati sul sangue, entrambi con adolescenti disfunzionali e con relazioni madre-figlia a dir poco problematiche. Inevitabile pure che il paragone sminuisca il film di Bates. Anche se, a parte i dettagli citati, per il resto questo film corra su binari molto diversi.
Questo è un film totalmente femminile. Tutti i protagonisti principali sono donne, i vari uomini che si susseguono sulla scena sono, come minimo, personaggi di contorno, deboli e ininfluenti (vedi il padre), se non proprio figure di secondo piano utili solo per una sequenza o due. Tutte le donne del film, invece, sono donne forti; tutte: protagonisti, antagonisti, vittime e carnefici.

La realizzazione è buona, con una fotografia patinata che si addice allo stile e inserti onirici degni di un body horror kitsch giapponese (mi ha fatto pensare a "Devil woman doctor")... ecco, a essere onesti questi inserti sono ben realizzati, ma decisamente fuori contesto; apprezzabili in sé, ma non inseriti in questo film.

Il vero problema però è un altro. Bates sembra voler cercare lo shock fine a sé stesso (e devo ammettere che nella nostra, o mia, cultura il sangue mestruale riesce ancora a dimostrarsi un tabù) con scene inutili per l'avanzamento della storia mostrando una protagonista esagerata e insopportabile fin dall'inizio e concludendo con un (prevedibile) finale che è folle per contenuti più che per realizzazione (piuttosto buona)... anzi più cretino che folle. Inoltre i siparietti durano troppo a lungo; per giustificare la serie dis cene inutile vengono realizzati estenuanti dialoghi madre-figlia pieni di risentimento e reazioni psichiatriche che a furia di ripetersi annoiano.

lunedì 22 ottobre 2018

Hunger games - Gary Ross (2012)

(The hunger games)

Visto in Dvx.

In un futuro distopico, ogni anno, il governo estrae a caso due coppie per ogni distretto per farle scontrare in gioco mortale dove solo uno uscirà vincitore. Attorno al massacro di giovani gira un mondo di marketing, media, moda e politica.

La versione edulcorata di "Battle Royale" fatta dagli americani non può, prima di vederla, che suscitare due reazioni; piacere che anche il cinema mainstream USA si avvici a temi differenti, gelido distacco per la consapevolezza che stanno per rovinare qualcosa di bello.
Una volta visto il film, invece, ci si rende conto che, stavolta, hanno vinto loro. Il tema (grazie alla serie di libri originale) è trattato sempre con il piglio per young adult che anche il manga utilizzava, ma con un intento decisamente più adulto.
Se in tutti e due ci si trova di fronte alla metaforona delle frustrazioni adolescenziali, masticate da un una società gerontocratiche che impone le proprie scelte tarpando le ali; nell'opera giapponese, il tutto si risolve in un ghiotto bagno di sangue, qui, invece, nella più classica volontà di sopravvivenza in un mondo in cui cane mangia cane (e più avanti nella serie nel più classico tentativo di rivolta giovanile).
Sembra una sciocchezza, ma il tema, anche se scontato, è decisamente più interessante e il film riesce a trattatarlo in maniera impeccabile.
C'è un lungo prologo dove viene spiegato tutto il meccanismo che sta alle spalle della sfida che è, forse, la più intelligente delle invettive da teenager contro un mondo corrotto fatto di apparenze; dopo l'inizio dei giochi, invece, si passa a una rilettura dei rapporti di forza tra regazzini, dove i bulli massacrano i perdenti e gli outsider provano a sopravvivere da soli sfruttando le loro capacità.
Certo, siamo davanti a un prodotto molto commerciale, ma trattato in maniera estremamente intelligenti.
A questo si affianca una regia che nella prima parte cerca un realismo a colori spenti che ha dell'incredibile (incredibile per il format, i film ad alto budget tendono sempre a colpire per l'uso dei colori e la fotografia satura) che culmina in alcune scene con macchina da presa a mano che rasentano lo shoa movie (durante la scelta del tributo nel distretto 12). La messa in scena però non si accontenta del taglio gelido della provincia, ma realizza un mondo esteticamente differenziato e organico per la capitale che sembra una versione timburtiana tenuta a freno dalla consapevolezza che non deve sfociare in farsa.
A questo va aggiunto un cast enorme i nomi (con una capacità recitativa media tra le più alte di sempre nonostante ci sia pure uno degli Hemsworth tirare verso il basso) che culmina in una protagonista magnifica; la Lawrence riesce a mantenere uno sguardo rabbuiato per tutto il tempo trasmettendo tutta una serie di emozioni con il resto del viso e del corpo.

Quello che ne viene fuori è un film non perfetto, ma di intrattenimento intelligenti che si fa guardare senza stanchezza per tutte le sue due ore e mezza.

lunedì 10 settembre 2018

Berberian sound studio - Peter Strickland (2012)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un direttore del suono inglese viene assunto da una casa di produzione cinematografica italiana nell'epoca d'oro dei film di genere nostrani. A sua insaputa (povero babbeo) dovrà gestire il sonoro di un film horror particolarmente realistico che, assieme a colleghi che vanno dallo scemo, all'irritante, passando per l'inquietante.

Un film perfetto, dall'idea che rasenta il geniale che però fallisce in maniera tanto fastidiosa quanto noiosa.

Un film perfetto per il ricreare un ambiente anni '70 per interni, vestiti e anche per i colori della fotografia (ma non per la qualità della fotografia che, al contrario di quella usata 40anni fa, è magnifica). Un film perfetto anche per la qualità del prodotto in sé, la fotografia come si è detto è ottima, il cast buono (con un Toby Jones perfetto per la parte e che non sbaglia un'espressione basita o uno sguardo stanco), ma sopratutto una gestione dei suoni superba (cosa scontata dato il tema, tuttavia la possibilità di fallire proprio lì era comunque grande).

Un'idea quasi geniale perché creare un thriller che utilizzasse i suoni per inquietare (e giustificare la follia dei personaggi) anziché le immagini è un'intuizione tanto bella quanto difficile. L'ambientazione pensata, i personaggi creati, sono tutti funzionali a rendere realizzabile questa idea impressionante. Ma quello che più colpisce è che, almeno all'inizio funziona. Il mood del film è chiaro fin da subito, i suoni (che sono le lingue, i doppiaggi, i suoni silenziati, grida e persone che gridano senza essere sentite, persone che doppiano mostri facendo versi e mugolii, ecc...) sono usati in maniera dilatata ed emotiva come mai avrei sperato.

A fronte di uno sforzo così grande e così efficace il film crolla rovinosamente dove, forse, era più facile riuscire; nella trama. Perché questo film di atmosfera questo è e questo rimane, solo atmosfera; come spettatore sono stato in attesa di qualcosa (bravi a creare suspense) che non è mai arrivato... e forse anche questo sarebbe stato accettabile se, nell'ultima mezzora, avendo finito le idee per girare attorno al vuoto di sceneggiatura, il film non si arrotolasse su sé stesso e, anziché scegliere il thriller vero e proprio, l'horror o il dramma personale, decide che vuole essere un'opera d'arte pura, riuscendo a essere solo radical chic e fastidiosissimo.

venerdì 25 maggio 2018

Spring breakers. Una vacanza da sballo - Harmony Korine (2012)

(Spring breakers)

Visto in Dvx.

Quattro ragazze decidono di andare allo spring break in Florida nonostante la mancanza di soldi; a seguito di una rapina potranno partire, ma anche in Florida avranno problemi con la giustizia e si infileranno in un mondo di gang e violenza.

Questo è un film dalla trama estremamente esile che gioca tutto sulle immagini. Immagini iperpatinate, ridondanti, kitsch, rallentate e giocano sui contrasti. Le immagini danno forma a quel poco di trama e a tutto il senso del film be oltre le parole che sono usate, come la musica, solo come sfondo, come stampella delle immagini, non per spiegarle, ma per sostenerle.
Korine fa un lavoro ragguardevole prendendo l'immaginario moderno di divertimento, gonfiandolo, rallentandolo e facendolo durare troppo (questo è l'incipit), rendendolo fin da subito qualcosa di inquietante; da li parte un film che, programmaticamente, cerca di mostrare la violenza, la brutalità, l'orrore che si trova al di sotto dell'idea di felicità televisiva (il tutto usando il paradosso e l'eccesso).
Non c'è l'istinto del predicatore in tutto questo, ma solo un accorto uso degli stilemi classici usati da una qualunque trasmissione di Mtv; Korine non mostra il vuoto che c'è sotto, ma lo riempie di un perturbante talmente esagerato (le ragazzine di Disney Channel che fanno il girotondo con passamontagna rosa e fucili a pompa prima del massacro) da non voler essere critica (anche perché le critiche che potrebbero essere sollevate sarebbero altre), ma allegoria.

Indubbiamente lo sforzo di regia e, soprattutto, di montaggio è enorme e nella seconda parte regala momenti pazzeschi; però, purtroppo, bisogna prima superare una prima metà che sembra voler essere più un esercizio di stile che altro.

lunedì 16 aprile 2018

Il sospetto - Thomas Vinterberg (2012)

(Jagten)

Visto in Dvx.

Un uomo che lavora in un asilo viene accusato di pedofilia per un l'invenzione di una bambina arrabbiata. Dal sospetto del titolo la situazione degenererà in violenza e ostracismo che non verranno cancellate dal giudizio finale.

Il glaciale Vinterberg da vita a una vicenda altrettanto glaciale, trattata con un distacco programmatico che, da una parte non permette un completo coinvolgimento emotivo, ma dall'altra permette di raggiungere picchi di parossismo senza risultare stucchevole o poco credibile.
Dismessi completamente i panni del dogmatico, Vinterberg impacchetta il film in una perfezione stilistica invidiabile, lo colora con luci autunnali e invernali, con ombre melodrammatiche e sfumature terree; tirando fuori un'opera distaccata e formalmente impeccabile.
Tutto questo impegno nel farsi da parte rispetto al personaggi centrale premia la riuscita complessiva, ma soprattutto permette a Mikkelsen di dare sfoggio delle sue capacità, rimanendo l'unico a dover dimostrare dei sentimenti all'interno di una macchina altrimenti gelida; e ovviamente gli riesce bene.

Se da una parte la trama vuole mostrare l'impossibilità a debellare un dubbio una volta instillato, forse avrebbe potuto risultare più efficace lasciando anche lo spettatore nell'ignoranza circa i reali avvenimenti.
Rimane comunque un film ben fatto, intelligente e godibilissimo.

lunedì 26 marzo 2018

Le streghe di Salem - Rob Zombie (2012)

(The lords of Salem)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Satana vuole tornare a Salem ai giorni nostri, per farlo si avvale di un gruppo di streghe che dovrebbero farlo partorire da una tizia che sia di stirpe nota. Per poterlo fare però... sembra debbano far uscire di senno un pò di donne random e come tramite utilizzano la musica (sempre detto che il rock n roll è la musica del diavolo), un pessimo pezzo ripetitivo è talmente brutto che viene continuamente passato alla radio dando il via a una serie di eventi piuttosto lisergici.

Dopo un inizio col botto, due remake importanti (che ancora non ho visto) e un filmetto fatto per togliersi uno sfizio... Rob Zombie torna a togliersi degli sfizi e fa un filmetto.
Se almeno "Superbeasto" ha l'onestà del direct to video e del prendersi per il culo da solo, questo film no, va in sala e si prende troppo sul serio.

A fronte di una fotografia carica e impeccabile, a fronte di un uso di neon che neanche su Beale street, a fronte di una serie di sequenze oniriche cariche di volontà dissacratoria.... a fronte di tutto ciò non c'è nulla. Sembra un horror girato da Refn in fase adolescenziale; sembra contenere tutto l'armamentario kitsch del metal con il 90% di neon in più; sembra essere la volontà cialtrona di un 15enne appassionato di Black Sabbath che vuol far vedere come si fa un film.
Sembra che, di nuovo, Zombie, sia più interessato a togliersi uno sfizio portato avanti da anni, più che realizzare un buon film.
Quello che ne viene fuori è un videoclip metal, kitsch e cretino di un'ora e mezza.

PS: applausi a scena aperta alla galleria di comprimari incredibili, che sprecano una serie di grandi caratterizzazioni per un film che non li merita.

venerdì 9 giugno 2017

Moonrise kingdom. Una fuga d'amore - Wes Anderson (2012)

(Moonrise kingdom)

Visto in tv.

Un boy scout, accampato con tutta la compagnia su un'isola, fugge con la figlia di una coppia del posto. La loro sarà una breve fuga d'amore, inseguiti dai genitori, dai capi scout, dal poliziotto locale e dai servizi sociali.

Dopo "Il treno per il Darjeeling" Anderson sembra aver capito che ogni stile pesantemente riconoscibile può essere un pregio (e nel suo caso lo è), ma è anche un limite e può stancare rapidamente dato che vengono riprodotte sempre le stesse dinamiche; ecco dunque che sforna un film d'animazione, poi un cartone animato in live action; nel mezzo c'è questo "Moonrise kingdom".
Questo film si discosta dai precedenti scegliendo di avere due protagonisti, una galleria di personaggi secondari che rendono vivo l'ambiente, ma che non lasciano mai deragliare il film verso la solita trama corale; e poi ci aggiunge una storia d'amore. Ovviamente Anderson non è un deficiente e utilizzando una coppia di preadolescenti riesce a creare una storia d'amore sincera e tenerissima, ma a evitare i cliché del genere, mischiarla d'avventura e a darle un'aria di freschezza altrimenti impensabile.
Lo stile è sempre lo stesso. Colori vivaci per una fotografia patinata impeccabile; recitazione al minimo e spesso macchiettistica; macchina da presa che si muove spesso, ma sempre ortogonale. Un insieme di dettagli che sono la cifra stilistica base di Anderson, ma che qui riescono ad acquisire un significato indipendente, dando un senso di rigidità che fa da allegoria all'ambiente asfissiante dove vivono i due protagonisti con una patina superficiale di felicità di facciata alla Tim Burton.
Complessivamente non è il suo film migliore, ma riesce a ripetere sé stesso acquisendo nuovi significati; una prova di forza epica.

mercoledì 15 marzo 2017

Hold your breath - Jared Cohn (2012)

(Id.)

Visto in tv.

Un gruppo di amici decide di partire per un campeggio isolato; nel farlo passano davanti a un cimitero in cui è sepolto un uomo cattivissimo il cui spirito possiede il fattone del gruppo. Mentre il fattone sevizia un poliziotto gli altri decidono di esplorare un ex ospedale e perdono tempo facendo del sesso o degli scherzi stupidi. Riuniti verranno massacrati a uno a uno dallo spirito dell'uomo malvagio

Un film dozzinale. Nient'altro. La realizzazione è superficiale, sfrutta degli attori mediocri e un CG totalmente ingiustificabile (c'è la peggiore esplosione della storia del cinema e quello che da da pensare è che non serviva ai fini della storia; se non c'hai i mezzi per farla esplodere bene quella macchina perché hai dovuto farla esplodere?! perché!). Ma il problema è la mancanza di idee.
Non sapendo cosa fare vengono messi in campo tutti i topos del cinema horror: camping isolato, cimitero abbandonato, prigione/ospedale/manicomio, possessione, casa infestata, scontro tra poltergeist, maniaco omicida. Viene fatto tutto e tutto viene fatto alla rinfusa, senza un logica, ma sperando che accumulando idee rubate ad altri salti fuori qualcosa di minimamente efficace.
Un film horror che non spaventa, dalla struttura imbarazzante con un effetto finale dozzinale. E dire dozzinale è comunque un eufemismo.
Ne parlo solo perché sono rimasto sconvolto dalla totale assenza di capacità di fare paura o di quell'ingenuità che comunque mi fa apprezzare i goffi tentativi d'imitazione (negli anni mi sono affezionato a diversi brutti film horror per il loro tentativo di essere significativi nonostante le mancanze). Speravo che il cinema horror medio fosse migliore.

lunedì 6 febbraio 2017

Antiviral - Brandon Cronenberg (2012)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

In un recente futuro alcune ditte offrono la possibilità di inocularsi virus o batteri estratti dalle celebrità preferite. in una guerra di mercato e con l'ansia di guadagnare (e o emergere) il protagonista (dipendente di punta della ditta principale) si inietta le malattie per rivenderle al mercato nero. Un giorno si inietterà qualcosa che non avrebbe dovuto, la cui origine e il cui esito sono ignoti.

Alcune volte mi sono chiesto che cosa succederà quando Cronenberg non ci sarà più; essendo un regista di nicchia estrema, chi potrebbe prenderne il posto? Con questo film mi sono reso conto che qualcuno c'è e, banalmente, è un altro Cronenberg.
Al suo primo (e finora unico) film, Brandon, crea un film completamente in linea con le opere perturbanti del primo periodo di David, aggiornandone il linguaggio, i temi ed il tono. Sembra proprio voler rendere contemporanee le ossessioni del padre.
L'aberrazione mentale che diventa aberrazione fisica; la smania per le celebrity che invoglia i fan a possederne anche il lato peggiore; la mania del biologico e dell'artificiale fusi (anche a livello estetico come nel giardino di cellule delle celebrità).
Inoltre si somma la stessa ricerca dell'immagine disturbante, ma azzimata, i campioni di virus che vengono mostrati come volti deformati, le continue e insistite inquadrature di aghi che trafiggono bocca o braccia, la donna intrappolata nello schermo televisivo come fossimo in "Videodrome", oltre che alcuni dei più classici innesti da body horror anni '80.

A livello estetico il film è freddo e asettico come i primi film del padre, un lindore perturbante pervade ogni scena; viene aggiornata la fotografia con i colori desaturati e un'immagine realistica, gli ambienti minimal, che sono in linea con la sci-fi indi contemporanea e trasporta un "Videodrome" negli anni '10.

Al di là della soddisfazione di vedere un film alla David Cronenberg classico, non diretto da lui e attualizzato il film offre anche qualche aggancio di interesse totalmente personale riuscendo a rendere perversi anche concetti astratti come l'immortalità o a renderne quotidiani altri come il cannibalismo; il tutto senza andare sopra le righe, il tutto senza colpo ferire.

mercoledì 26 ottobre 2016

Thermae romae - Hideki Takeuchi (2012)

(Terumae romae)

Visto in dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Un antico romano, architetto dell'imperatore specializzato sulle terme, viene risucchiato da un recidivante gorgo temporale che lo manda nel Giappone contemporaneo dove troverà spunti e nuove idee per creare qualcosa di mai visto per l'imperatore Augusto... e far vincere la guerra ai romani.

Da sempre, quando fanno un film, di qualunque genere, i giapponesi hanno uno sgurz in più; che sia un thriller drammatico o un erotico (horrorifico), sia che si tratti di un tema onirico e pure quando si tratta della parodia. Qui però lo sgurz sembra tutto proteso a creare la situazione più cazzare possibili.
Eccessi di emozioni per vaccate (Adriano che non verrà divinizzato! Le terme che salvano roma. Il nirvana raggiunto grazie allo spruzzo dal water giapponese!); attori giapponesi che fanno gli anitchi romani pure in mezzo a una serie di occidentali che interpretano il popolino (terribile, a livello degli statunitensi wasp che interpretavano neri o asitici nei film di Hollywood anni '30-'50), pupazzetti utilizzati per mostrare le persone che passano nel turbine d’acqua; ma soprattutto un incomprensibile cantante lirico (pavarottiano) che introduce ogni passaggio da un mondo all’altro... credo che i giapponesi confondano l'antica Roma con l'Italia attuale con il rinascimento.

Se a questo si aggiunge una ripetitività irritante e prevedibile fin dalla prima serie di viaggi il dramma è servito; si prende poco sul serio, ma offre anche molto, molto poco.
Adatto solo per una serata cazzara.