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mercoledì 11 novembre 2020

Lola - Rainer Werner Fassbinder (1981)

 (Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.


Il nuovo assessore all'urbanistica è un uomo integerrimo, dovrà vedersela con una città prostrata ai piedi degli intrallazzatori locali (su tutti il proprietario del bordello). Non avrà grossi problemi a farsi ben volere, ma quando incontrerà la favorita del night club ne rimarrà folgorato, se ne innamorerà e tutta la sua integrità verrà meno.

Il film è la chiusura dell'ideale trilogia BRD di Fassbinder, la trilogia sulle donne della Germania post bellica dopo "Maria Braun" e "Veronica Voss".

Più che collegato direttamente a quei drammi intensi, qui siamo sulla scia del Fassbinder più solare. 

Il film ha un andamento quasi gioioso che si poggia quasi interamente sul personaggio interpretato da Mario Adorf; faccendiere sfacciato e volgare, ma abile e amante della vita che più che scontrarsi cerca di portare tutti a vedere il mondo come lo vede lui.

Il film gira troppo intorno alla relazione amorosa e poco sui cambiamenti che causa. Si appoggia sulle dinamiche classiche (innamoramento, ritrosia, relazione, trauma, reazione, ecc...) in maniera estesa, inframezzandole con Adorf mattatore che fa quello che vuole, approfondisce bene il protagonista, ma non lo sfrutta a dovere nella seconda parte; il finale rivelatore su molti punti è l'apice del film, ma non ci si arriva con gradualità.

Ecco il finale è forse il punto più alto che trasforma questa cavalcata morale in un film estremamente nichilista, un'inversione a U impressionante, che si allinea perfettamente all'idea che Fassbinder ha sparpagliato nei film precedenti, ma che, almeno per me, arriva quasi a sorpresa in un film come questo e con una leggerezza e un'ingenuità magnifiche.

Un film tra i più godibili fra quelli del regista tedesco, un Adorf fra i migliori che abbia mai visto, ma nel complesso il film riesce solo a metà.

giovedì 17 settembre 2020

Un sogno lungo un giorno - Francis Ford Coppola (1981)

(One from the heart)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Dopo la lavorazione ai limiti della follia di "Apocalypse now" e il suo gigantesco e insperato successo Coppola ha in mano un pacco di soldi e sa come usarli. Vuole far tornare l'epoca d'oro di Hollywood sia come tecniche per fare i film sia nei valori produttivi.
Ri-immette denaro nella boccheggiante Zoetrope (era già stata fondata una decina d'anni prima con il pacco di soldi dei due Padrini, ma aveva rischiato il collasso proprio con Apocalypse) mette sotto contratto perenne una serie di attori, acquisisce teatri di posa giganteschi e si butta anima e corpo nella realizzazione di questo film.

La trama è riassumibile con una coppia si ama, ma litigano, ognuno si separa per un giorno coltivando il sogno di andarsene con un altro, nessuno dei due ce la farà, si renderanno conto di amarsi ancora e torneranno insieme.
La storia non è solo banale, ma estremamente semplicistica, per gran parte del film quasi assente, perché Coppola vuol fare altro, vuole fare un film totalmente figlio della regia e, nello stesso tempo, mostrare i muscoli con una capacità produttiva enorme. Tutto il film è ambientato in una Las Vegas ricostruita in studio (anche la scena finale dell'aeroporto), scelta che permette al regista di gestire le luci in maniera totale e sbizzarrirsi con fondali dai colori espressionisti e con la costruzioni di location "outdoor" arredate come dei musei in decadimento. Su tutto aleggia la mano di Storaro, evidente su gran parte delle scelte di messa in scena, ma che risalta nell'uso delle luci nella serie di sequenze in interni dell'inizio (dove il cambio di un colore o una luce che si spegne e una che si accende seguono il cambio di mood della scena). Da applausi anche alcune soluzioni prettamente teatrali portate davanti alla macchina da presa come l'affiancamento delle scene ambientate in case diverse utilizzando dei finti muri che mostrano i personaggi che vi si trovano dietro in base all'illuminazione, questa soluzione originale (al cinema) unita al dinamismo della regia rende la canonica sequenza di separazione della coppia più ritmata e visivamente magnifica.
Ma a fronte di un'idea di tornare al passato per raccontare storie con un taglio moderno e picchi di formalismo mai tentati il film non regge così bene. La rarefazione della storia è totale, fino all'eccesso, ingigantita da sequenze musicali (alcune di ballo vero e proprio, altre degni di un videoclip artistico), il film si trasforma nell'epopea arty di un regista tracotante. Bellissimo, ma difficile goderne appieno.

Il film sarà un insuccesso clamoroso che, da una parte, lo costringerà in futuro ad accettare di tutto per ripianare i debiti, ma dall'altra non lo fermerà dal continuare con i suoi film revival del cinema anni '40-'50, migliorandone di volta in volta, se non la qualità già alta, almeno l'efficacia.

PS: il film è impreziosito dalle musiche del Tom Waits prima maniera, assolutamente perfette; il cast ha per protagonisti due antidivi, ma ha di contorno alcuni semidivi (Julia e la Kinski) oltre a uno Stanton 50enne che si comporta come un ragazzino, fantastico.

venerdì 13 dicembre 2019

I predatori dell'arca perduta - Steven Spielberg (1981)

(Raiders of the lost ark)

Visto in tv.

Poi Spielberg decise di mettere in piedi una baracconata d'avventura basata su fumetti dozzinali di quando era lui il regazzino, di ambientarla negli anni d'oro del fumetto (i '30s) così da avere la scusa pure per ammazzare qualche nazista; infarcire il tutto di pseudoarcheologia e misticismo ebraico. Un mix sostanzialmente mortale per chiunque, ma il nostro adorato regista realizza uno dei picchi di una carriera... ricca di picchi.

Al di là del lavoro muscolare di ricostruzione di un mondo (mai esistito) dettagliato e variegato, al di là dello sforzo di creare personaggi interessanti e a 360 gradi pur mantenendo i buoni buonissimi e i cattivi... beh sono nazisti. Al di là di tutto questo, quello che più mi impressiona ogni volta che vedo un filmd ella trilogia di Indiana Jones è quanto regga da dio gli anni e le età dello spettatore. Questo è un film che ho adorato da giovanissimo e continuo ad apprezzare.
Spielberg mette in piedi una sana storia d'avventura e per portarla avanti decide che l'azione dovrà essere determinante. Verrà fatto di tutto, scazzottate, fughe dalle fiamme, fughe dentro ceste, battaglie d'auto, ecc.. tutto senza perdere mai un colpo e riuscendo anche mandare avanti la trama mentre si fugge (il capolavoro in questo senso sarà però "Il sacro graal").
Il lavoro riesce talmente bene e l'adrenalina si mantiene a buoni livelli tanto da far accettare i dettagli mistici anche al pubblico più esigente.

Ovviamente dietro la amcchina da presa Spielberg lavora su più piani e costruisce un film in cui le due sequenze iniziali (quella nella foresta e quella all'università) che facendo molto, ma dicendo poco (le scene dell'idolo d'oro potrebbero anche essere mute e cambierebbe di un nulla) descrivono in maniera completa il personaggio appena introdotto.
Il resto del film è un gioco continuo di mostrare in maniera non banale, sfruttando spessissimo le ombre o i tagli di luce quasi noir per un film ttuto sommato molto soleggiato.

Un film che riesce a coniugare una storia a più livelli che può accontentare quasi ogni pubblico, uno sviluppo avventuroso che tiene attacati allos chermo e una tecnica enomre. Un mix che, per fortuna Spielberg ci riproporrà almeno un altor paio di volte...

mercoledì 28 febbraio 2018

Sogni d'oro - Nanni Moretti (1981)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un giovane regista, personaggio di spicco della sua generazione artistica (anche se lui si considera unico) deve affrontare una crisi creativa, mentre viene contestato di intellettualismo ai dibattiti del suo ultimo film e mentre il produttore si divide fra lui e un regista appena esploso a cui affida un musical sul '68.

Michele Apicelli, arrogante, intellettualoide e narcisista è, da sempre, un personaggio comico che rappresenta Moretti stesso. Vederlo, per la prima volta, nei panni di un regista in crisi (per di più in un filma episodi disgiunti) non può non far pensare a "8 e mezzo". Che poi da Fellini sembra proprio aver preso questo Moretti, ma più dalle sue ultime opere, più divertenti, farsesche e meno riuscite.

Di fatto questo è il terzo film completamente in linea con il primissimo Moretti; con uno stile fatto di bocconi separati che si integrano per creare un ambiente; un personaggio cialtrone e macchiettistico che assume profondità dal sovrapporsi dei vari episodi.
Il film però, ha la pecca di inventare meno, di ritrovarsi a dover inseguire i lavori precedenti che per guizzi geniali lo battono senza problemi; d'altra parte è evidentemente un film più adulto (anche se non siamo ancora al Moretti più maturo) che riesce, nel casino generale fatto dalla mancanza di una trama organica, a tirare fuori un'opera più unitaria, più coesa, più fruibile.

Complessivamente un film meno geniale rispetto ai precedenti, ma che preferisco molto tra i suoi primi e che rappresenta l'opera di chiusura della gioventù artistica di Moretti prima di quell'evento epocale rappresentato da "Bianca".


mercoledì 7 dicembre 2016

Tango - Zbigniew Rybczynski (1981)

(Id.)

Vis to in Dvx.

Macchina da presa fissa, inquadra una stanza in cui un bambino getta una palla dentro dalla finestra aperta ed entra per recuperarla; una volta uscito, il suo gesto si ripete sempre uguale; a uno a uno entrano una galleria di personaggi enorme, tutti che effettuano in loop un gesto, integrandosi alla perfezione e uscendo dalla stanza fino a riempirla completamente.

Film di animazione a tecnica di animazione mista (i singoli personaggi sono persone vere)  vincitore di un incredibile Oscar nel 1983.
L'intento è chiaramente quello di creare una danza (un tango appunto, incalzato da una musica sostenuta) con un parossismo di personaggi che si agitano, si schivano, si evitano senza mai interagire davvero; solo nel finale avverrà un'interazione indiretta che sembrerà mettere fine a tutto.
Il corto è ovviamente d'intento artistico, nel senso di arte video, più che cinematografico in senso stretto, ma l'effetto finale funziona e il continuo aggiungersi di eventi (oltre al minutaggio contenuto) lo rendono tutt'altro che noioso.

Rybczynski è considerato uno dei maestri dell'animazione europea (prima) prestato (con successo) ai videoclip una volta emigrato negli USA. Questo corto è da sempre ritenuto il suo capolavoro.



mercoledì 5 ottobre 2016

I guerrieri della palude silenziosa - Walter Hill (1981)

(Southern comfort)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo della national guard della Louisiana viene mandato in addestramento nelle fantastiche paludi locali. Per accelerare i tempi ruberanno tre canoe; i proprietari li vedranno, ma sfortunatamente non riusciranno a comunicare essendo i locali dei Cajun. Dato che questi militari sono degli sfigati così, per ridere, uno di loro spara a salve contro gli autoctoni, che però non la prendono bene e sparano, uccidendo il capitano. Da quel momento il gruppo di soldati (armato solo a salve) si troverà a essere braccato e a dover fuggire in mezzo al nulla per sopravvivere.

Si certo, questo è "The warriors", mi pare evidente. Eppure i regazzini del precedente film di Hill erano sicuramente impulsivi, ma rocciosi e determinati; qui invece ci cala in un ambiente meno kitsch e meno barocco, più realistico, dove i protagonisti sono degli adulti in uniforme, ma risultano essere delle teste di cazzo, quando non sono solo dei bambini spaventati. Di fatto Hill prende lo stesso spunto, modifica le premesse per renderlo più duro, poi prende i personaggi e li rende dei deboli senza speranza. Quello che ne verrà fuori sarà uno stillicidio di ammazzamenti e colpi di follia. Bravo Hill, hai migliorato "The warriors".
Il messaggio da portare a casa (oltre al don't fuck with cajun) è che questo è un film duro, teso, dove un gruppo di uomini impreparati viene messo in una situazione senza speranza; un film con un ritmo stabile, dopo l'intro cretino (che serve a presentare i personaggi cretini) non c'è un minuto di pausa o di relief, in questa versione estrema di "Deliverence", neppure nel finale che da situazione di scioglimento sembra poi prendere la strada di "The wicker man" (senza il paganesimo).
In una frase è un film che inizia con una gita e finisce con un massacro.

E tuto questo senza avere ancora citato l'ambientazione. Gli scenari della palude sono qualcosa di entusiasmante; offrono location di un tetro impensabile pur mantenendosi luminosi (offrendo quindi ottime scene di caccia all'uomo senza bisogno di ambientarle di notte). Ma sono anche un'idea perfetta perché offre un pezzo di Stati Uniti che non sembra tale; gli autoctoni non parlano inglese, la mancanza della bussola può realmente farti morire, le condizioni ambientali sono estreme; di fatto crea una situazione di guerra offensiva ambientandolo nel giardino di casa.

venerdì 15 luglio 2016

Mammina cara - Frank Perry (1981)

(Mommie dearest)

Visto in Dvx.

La storia del rapporto fra Joan Crawford e la sua prima figlia (adottata). Un rapporto fatto di sbalzi d'umore, picchi maniacali e aggressioni fisiche oltre ogni buonsenso.

Diciamolo subito, ovviamente non è il peggior film del decennio e neppure il peggiore del 1981 (i Razzie award sono una splendida consuetudine, ma sono spesso esagerati)
Di fatto è un film basato sulla biografia scritta proprio dalla prima figlia e dunque estremamente di parte.
Quello che ne viene fuori è un film piuttosto lungo che trascina il concetto base di un rapporto madre-figlia disfunzionale. Indimenticabili certi picchi di follia inseriti nel film che, per me, sono la aprte decisamente più gustosa (la scena delle grucce è una delle più belle della storia del cinema, sottogenere matti).
Per permettersi dei picchi del genere il film si appoggia pesantemente su una Faye Dunaway titanica; imita perfettamente l'originale, risulta credibile nei momenti di follia più acuta, si umilia a più riprese e riesce a rendere tutti i sentimenti di un personaggio disturbato. Il fatto che questo film abbia, concorso al crollo della sua carriera è una enorme ingiustizia. Nel cast poi spicca Mara Hobel nei panni della figlia da bambina.
A questo si aggiunge un comparto tecnico impeccabile; delle ricostruzioni di interni che sono un tripudio di geometria liberty e costumi sempre impeccabili.
Purtroppo tra i pregi non si può aggiungere la mano del bravo Perry, in questo caso sottotono, quasi ininfluente.

I veri, enormi difetti del film sono due, la sceneggiatura strascicata e lunghetta, ma soprattutto l'obiettivo.
Fin dall'inizio sembra voler essere un racconto biografico del dietro le quinte di una grande star, ma lo fa con degli eccessi tali e senza un solo tentativo di approfondimento che diventa fin da subito un film a tesi. Io stesso credo che la Crawford non fosse del tutto in asse, ma questa lunga sequenza di sbalzi d'umore non rende il personaggio, ma fa solo gossip appiattendolo sull'idea che si vuole veicolare. Se fosse stata una generic attrice forse ci si poteva anche accontentare (un personaggio piatto creato a tavolino per parlare d'altro, cioè del rapporto con la figlia), ma hanno voluto fare nome e cognome; hanno voluto mostrare perché non si è presentata davvero agli Oscar (o altri episodi della sua vita reale)? Bene allora devi darmi di più, devi spiegare l'intero personaggio non solo il lato oscuro e devi raccontare anche quei fatti più famosi, ma che sono noti soli agli appassionati.
Alla fine nella scena finale credo si riveli il vero senso del film; è solamente la storia di come è stato partorito il libro della figlia e nient'altro. Idea buona, forse anche innovativa, ma gestita malissimo.

PS: ricordarsi sempre....

lunedì 30 maggio 2016

Il colpo di spugna - Bertrand Tavernier (1981)

(Coup de torchon)

Visto in Dvx.

Africa francese, anni '30, il capo di polizia del villaggio; un bambacione su cui pochi fanno vero affidamento e di cui tutti si prendono gioco o sfruttano apertamente.
Data la serie di personaggi impuniti e protetti dall'altro il poliziotto escogita un piano per eliminarli senza essere accusato di nulla.

Film perfetto, nella trama scontata che nel finale però devia all'improvviso gettando una luce nuova su tutto il senso del film che diviene una sorta di racconto sul male perpetrato dai buoni. Un colpo di scena finale che è tutto nella psicologia del protagonista che si rivela male interpretata fino a quel punto. L'effetto complessivo è quello di un divertente noir nichilista (con un tono mai veramente comico, ma con il mood spesso vicino alla farsa più ancora che al grottesco).

Tavernier governa bene un film intelligente, senza particolari guizzi (e affossato da una qualità della pellicola dell'epoca nona adeguata), ma con buon ritmo.
Infine, il vero valore aggiunto del film (nonché uno dei motivi di riuscita) è la presenza di Noiret nella parte principale. Col suo fisico importante e la sua espressione persa è la tela ideale su cui disegnare il bambacione manipolatore perfetto.

mercoledì 23 marzo 2016

...e tutti risero - Peter Bogdanovich (1981)

(They alla laughed)

Visto in Dvx.

Un'agenzia di investigazione viene assoldata per seguire alcune donne e controllare le loro eventuali relazioni extraconiugali. Inutile dire che due su tre degli investigatori si innamoreranno della propria vittima.

Filmetto lieve e senza nerbo condotto come una commediola che si tinge di rosa autentico solo nella storia in cui compare la Hepburn. Di fatto l'idiozia e la semplicità della storia non sono il vero fattore negativo ("Ma papà ti manda sola?" era un film decisamente più cretino, ma altrettanto decisamente più riuscito). Il problema è che quest'opera non ha la classe o l'impegno estetico de "L'ultimo spettacolo", né l'ironia graffiante e il genio di "Paper moon", neppure il ritmo spigliato di "Rumori fuori scena" o la dissacrante anarchia (decisamente meglio diretta) del già citato "Ma papà ti manda sola?".
Questo è un film descrivibile per negazione, perché quello che rimane è solo un Gazzara sornione che fa il suo lavoro onestamente, è una Hepburn usata poco e con scarsa efficacia (anche se riesce ancora a riempire la scena con un sorriso).
Sarò io che sono prevenuto sul Bogdanovich degli anni '80, ma quello che manca è proprio una regia (e dire che lui ci ha abituati a una mano pesante ed elegante nello stesso tempo), un direttore d'orchestra che tiri le fila di una vicenda sfilacciata e la rimpolpi con una messa in scena esteticamente appagante (se non con qualche colpo di genio). Manca il regista, che sembra lavorare con il pilota automatico, già appagato dal cast messo assieme e speranzoso che sia sufficiente a realizzare un buon film.
Unica scena che mi ha colpito in positivo è le prove di vestito nel negozio di scarpe in cui la ragazza e uno dei protagonisti comunicano con gli occhi i vestiti da scartare. Buona, potenzialmente cult (sottolineo potenzialmente)... ma è comunque troppo poco.

lunedì 31 agosto 2015

Quella villa accanto al cimitero - Lucio Fulci (1981)

(Id.)

Visto in Dvx.

Famigliola si trasferisce in una casa in una nuova cittadina;  questo senza badare ai ripetuti avvertimenti soprannaturali e nonostante il precedente inquilino (collega e amico del padre di famiglia) si sia suicidato male.

Fine de "La trilogia della morte"; più solido e meno randomico dei due assurdi precedenti, qui la storia c'è, decisamente più banale dei precedenti, ma pur sempre costruita meglio; peccato per i molti elementi inutili che fuorviano e fanno perdere il filo; peccato inoltre per uno spiegoncino nel pre-finale che non si capisce da dove venga fuori.

Costellato di bei momenti (senza molta soluzione di continuità l'uno con l'altro) e molte diluizioni perde del tutto la sfida dello splatter fantasioso con i due predecessori; inoltre entra direttamente in competizione per la scena più idiota di sempre nella lunga sequenza dell'aggressione del pipistrello...

Alla regia anche più dinamico (pur essendo realizzato nello stesso periodo degli altri film della trilogia); movimenti di macchina, zoom e parecchie soggettive oltre a molti dettagli sugli occhi. Fulci di nuovo in un cameo, qui fa il professore dell'incipit.

lunedì 27 luglio 2015

...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà - Lucio Fulci (1981)

(Id.)

Visto in Dvx.

La morte violenta di un uomo negli anni '20 in un hotel... non ho capito bene... apre le porte dell'inferno? vabbé comunque sessant'anni dopo una tizia compra l'hotel e si scatenano i morti viventi e le visioni e la morte e la violenza.
Secondo capitolo della trilogia della morte (gates of hell) dopo "Paura nella città dei morti viventi" e, di fatto, questo è gemello del precedente. Dal primo capitolo della saga riprende la porta dell’inferno (strano che siano tutte negli USA...), un libro di profezie, una sensitiva cieca (beh la cecità non c’era nell'altro, ma la sensitiva c'era), sussurri e grida, inquadrature che si allargano per riprendere lo sfondo o per inquadrare dall’alto, inquadrature che si avvicinano per mostrare dettagli sfuggiti ad una prima occhiata, musica gotica al pianoforte (ma c’è pure l’elettronica anni '80 che così poche gioie ha regalato al mondo), un cameo di Fulci (nell’altro era un medico della morgue, qui un archivista della contea).
In questo secondo capitolo c'è però qualche miglioria rispetto al precedente; c'è una vena più surreale e visionaria (l’incontro con Emily ferma in mezzo alla strada è proprio ben realizzato e regala un colpo d'occhio notevole); ci sono omicidi (dalle facce consumate dall’acido, all'aggressioni a morsi da parte delle tarantole) che sono, forse, più fantasiosi del precedente (senza riuscire, però, ad avere la stessa efficacia). E poi viene mantenuto il marchio di fabbrica fulciano; l'accanimento splatter sugli occhi.

In definitiva qualche idea visiva in più; una storia ricalcata sul precedente, ma meno caotica (pur non essendo un fulgido esempio di coerenza e buon senso); ma il mood è nel complesso meno efficace e le idee innovative del primo (almeno in termini di effetti speciali) non sono mantenute allo stesso livello.

venerdì 9 gennaio 2015

La cruna dell'ago - Richard Marquand (1981)

(Eye of the needle)

Visto in tv.

Seconda guerra mondiale, una spia tedesca in Inghilterra scopre che le truppe presenti nelle zone orientali del paese (e che significherebbero un attacco su Calais) sono in realtà dei modellini costruiti per stornare l'attenzione di Hitler dal futuro attacco in Normandia. Dovrà tornare in Germania per dirlo direttamente al Fuhrer; per farlo dovrà trovarsi sull'isola della tempesta entro una settimana e mandare un messaggio a determinate ore per essere recuperato da un sottomarino. In parallelo una coppia inglese con lei incinta subisce un incidente dove l'uomo perde l'uso delle gambe, incazzato con il mondo lui e la famiglia a carico si trasferiscono sull'isola della tempesta. La spia sarà inseguita per tutto il paese, riuscirà a naufragare sull'isola, dove sarà accolto dalla famigliola infelice, sedurrà la donna; ma presto i sospetti si rifaranno vivi.

Spy story affascinante, calata in un'ambientazione particolare difficilmente toccata da altri film (l'Inghilterra rurale) che parte con la vita tranquilla di una spia tedesca molto competente, per poi dare un senso di accerchiamento di un uomo su un isola (la Gran Bretagna), si prende il tempo per creare un inseguimento vero e proprio (quello in treno) e poi rinchiude il protagonista su un'isola più piccola dove si gioca le carte della lotta psicologica fra i personaggi in costante tensione reciproca; nello showdown finale invece ci sarà una lotta molto fisica (non un corpo a corpo, ma un utilizzo del proprio corpo: dita staccate, elettrocuzione, dead man walking). Tutte le parti riescono a risultare credibili e si alternano l'una all'altra senza salti.
Il film è tenuto in piedi da un Sutherland perfetto; lui infatti riesce a dare il meglio di sé quando deve essere competente e glaciale; in più qui riesce ad essere perfettamente british.
La ricostruzione degli anni '40 e le scelte di fotografia tutte giocate sul marrone e il senso di umidità riescono a rendere il film non databile, quindi sempre attuale.

mercoledì 14 maggio 2014

Il postino suona sempre due volte - Bob Rafelson (1981)

(The postman always ring twice)

Visto in aereo, in lingua originale.

Un uomo si innamora della giovane moglie di un proprietario di una tavola calda; l'uomo viene assunto alla tavola calda e i due iniziano una torrida storia d'amore (quanto amo dire "torrida storia d'amore"). Le cose cominciano a deragliare quando i due tentano di uccidere il marito per intascarne i beni e vivere insieme.

Film tratto dallo stesso romanzo che ispirò "Ossessione" e l'omonimo film degli anni quaranta. In questa versione Rafelson spinge sulla sensualità della vicenda; il rapporto è estremamente carnale, fatto di rapporti sessuali e corpi che si muovono, si amano, si scontrano, si fanno violenza, soffrono; tutto trasuda carne e calore.
Se la prima parte riesce ad interessare ed intrigare parecchio i ripetuti tentativi di omicidio, la lentezza che dalla metà si fa consuetudine e una certa indecisione nella regia rendono il film gravoso e difficilmente empatico, tanto da disfare quanto di buono è stato fatto nell'incipit (o quanto di buono verrà fatto nel finale).
Un dramma poderoso fatto di casualità e incapacità dei personaggi condotto con un cast ottimo (Nicholson lo adoro anche quando gigioneggia, la Lange è semplicemente perfetta).
Nell'insieme l'ho trovato un tentativo buono nei presupposti, ma malriuscito.

venerdì 11 ottobre 2013

Possession - Andrzej Zulawski (1981)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una coppia vive accanto al muro a Berlino, in una Berlino dechirichiana, disabitata, artificiale ed immobile. Quando il protagonista lascia il lavoro per stare accanto alla famiglia (moglie e un figlio) scopre che la moglie lo tradisce da almeno un anno. La moglie fugge per vivere con l’amante, il marito si mette alla ricerca di questo concorrente; lo scopre nei panni di un fricchettone di mezza età… ma scopre pure che lui, l’amante regolare, è da giorni che non vede più la donna… che si scoprirà avere un altro amante, una creatura tentacolare. Nel mentre l’uomo vedrà la maestra del bambino, una sosia perfetta della moglie…

Un film surreale dalla trama assurda, scene ripetitive, una recitazione sempre sopra le righe (spettacolare però il personaggio interpretato da Bennent), intere sequenze obiettivamente esagerate… eppure Zulawski centra perfettamente il pregio maggiore di registi come Lynch, fare un film surreale/simbolista narrandolo benissimo. Azzecca tutti i tempo, distribuisce bene gli acme emotivi, ti fa interessare a ciò che accade e le due ore di film (ho recuperato quella che credo essere la versione uncut) passano rapidamente. Non era un compito facile.
Seppure la recitazione, come dicevo, non mi abbia entusiasmato (troppo esagerati in tutto) il film si fregi di nomi enorme, una Adjani folle e un Sam Neill prima di diventare l’attore degli anni ’90.

La regia di Zulawski è qualcosa di magnifico, nervosissima e sinuosa, si muove di continuo, vorticosa sino all’inverosimile. Il mostro creato da Rambaldi (che secondo le leggende fu richiesto da Zulawski essere pronto in pochissimo tempo, quindi ecco spiegato l’approssimazioni della creatura nelle inquadrature ravvicinate) è invece un essere non particolarmente interessante.

Definirlo un horror questo film è un’esagerazione tassonomica; personalmente (senza pretendere d’averlo capito in toto, ma avendolo semplicemente apprezzato) mi metto nella scia di chi sostiene essere solo un dramma (o una disquisizione) sui tormenti del rapporto di coppia.

Per gli amanti del surreale è assolutamente da vedere.

giovedì 13 gennaio 2011

Lili Marleen - Rainer Werner Fassbinder (1981)

(Id.)

Visto in DVD.

La storia del successo della canzone “Lili Marleen” è legato a storie di amore e spie nella Germania nazista; almeno secondo Fassbinder. Il film è proprio la storia d’amore, per lo più a distanza fra una cantante di locali notturni (Schygulla) e un ebreo svizzero che lavora per far fuggire nel suo paese gli ebrei tedeschi (Giannini); fra loro si opporranno il ricco padre di lui, il nazismo, la guerra, e ancora il nazismo, mentre lei riuscirà a raggiungere il successo nonostante limitate capacità canore, e lui sarà invece catturato.
Storie di amore e spie, come si diceva, e fraintendimenti, dalla storia estremamente canonica, eppure condotta con uno stile asciutto che fa perdonare ogni cosa. La regia di Fassbinder è appena sotto a quella di “Un anno con 13 lune”, appena meno originale, mantiene però tutto il dinamismo con continui carrelli (quanto è bello vedere un film del genere).
Molti i tocchi d stile; l’incontro con Hitler che viene mostrato con l’entrata della cantante dentro un’enorme porta da cui esce una luce accecante; i soldati che cantano la canzone del titolo ormai diventata proibita mentre partono per il fronte con la cantante che se ne va impettita (ok, è vero, è piuttosto di maniera come scena, ma è messa nel momento giusto, con la giusta freddezza); oppure che ogni volte che la Schygulla canta vengono intercalate scene di battaglia con quelle del suo spettacolo, come a continua memoria che mentre tutto questo succedeva fuori impazzava una guerra.
Bravo Fassbinder.

lunedì 22 marzo 2010

1997: Fuga da New York - John Carpenter (1981)

(Escape from New York)

Visto in DVD.

Piccolo antefatto; visto il titanico numero di crimanili gli Usa hanno la bella idea di murare Manhattan e trasformalre in un carcere... Bene, il presidente degli Stati uniti, mentre vola verso un'importante conferenza con l'Urss precipita proprio su New York, ci vorrà uno come Kurt Russel per tirarlo fuori.
Mi spiace ammetterlo ma il film fa schifo. Piuttosto noioso, tira per le lunghe una storia che potrebbe finire anche in fretta presentando invece una carrellata di personaggi che sarebbero pure belli se solo durassero più di 5 minuti (Borgnine poteva tranquillamente starsene a casa che poco sarebbe cambiato).
Il budget è evidentemente risicato fino all'osso, e allora non commento alcune pacchianerei da pezzenti, ma mi sento invece libero di criticare il terribile puzzo anni '80 che questa distopica New York ha in ogni inquadratura, e non mi interessa proprio se è stato fatto negli anni '80; quel decennio è una colpa per chiunque ci sia vissuto.
Bella invece la ricostruzione aerea della città (fatta con un modellin)incredibilmente ben curata.
Unica nota positiva il personaggio di Jena Plissken (che in originale si chiama Snake, il che giustifica l'enorme cobra tatuato sull'addome...) ex militare disilluso e strafottente; personaggio questo che riesce a definire una sua unicità pure nella banalità della descrizione che ne viene fatta.
Il film francamente delude, non so come abbia fatto a diventare un cult. Ma della coppia Carpenter/Russel io preferisco ancora e per sempre "La cosa".

PS: c'è pure Lee Van Cleef, com'è invecchiato in sto film...