mercoledì 30 gennaio 2019

So che mi ucciderai - David Miller (1952)

(Sudden fear)

Visto in Dvx.

Una autrice di opere teatrali si innamora di un attore, bravo, ma che deve scartare. Lo sposerà e lo porterà a vivere con sé in California. Dopo mesi di vita gioiosa una donna tornerà del passato del neo marito.

Un noir nettamente diviso in due parti. La prima è un film romantico, molto zuccheroso, ma incredibilmente spigliato, senza melodrammi, ma semplice, lento innamoramento e poi vita di coppia con un florilegio di espansività affettuose, ma scarno di picchi drammatici; a conti fatti buono, fuori contesto e fuori dal mood che ci si aspetterebbe, ma è una ventata di freschezza per la sobrietà.
La seconda parte è un noir più classico per temi, ma dinamico per lo svolgimento della storia; con un'idea piuttosto cretina, il gioco di gatto col topo viene capovolto due volte e lo showdown finale riesce, con un colpo solo (e questa volta, sarà poco credibile, ma non mi è sembrato così cretino) a sistemare tutto per il meglio. Alla luce della seconda parte, la lunga prima metà è estremamente utile per disseminare quegli elementi fondamentali per il passaggio al noir vero, ma rimane anche un esercizio di stile interessante (sicuramente Miller intendeva rendere più spietata la svolta noir, ma sarebbe potuto bastare un minutaggio più contenuto).

Il film si pregia della presenza di una Joan Crawford (qui anche produttrice esecutiva) estremamente brava nelle vesti della donna innamorata e semplicemente in parte per la metà thriller; come partner c'è un Jack Palance che ha gli stessi pregi e difetti del suo personaggio, bravo attore, ma senza il physique du rôle dell'affascinante seduttore.

lunedì 28 gennaio 2019

Arrivederci amore, ciao - Michele Soavi (2006)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un ex brigatista fuggito in Sud America torna in Italia rimanendo fuori dal carcere vendendo gli ex colleghi. Ma vorrebbe di più; oltre ai soldi intendo, vorrebbe anche la riabilitazione e per ottenere tutto ciò sarà disposto a tutto.

Io litigai con Soavi molti anni fa, ma vedendo ora questo film mi rendo conto che, forse, è stata colpa mia. Questo film è fenomenale.
La regia è estremamente dinamica con frequentissimi dolly, inquadrature atipiche (dall'alto, dal basso, deformanti), colori fluo e costruzioni atipiche delle location; uno stile che sembra una versione edulcorata del post moderno anni '90, una sua versione riadattata per essere fruibile ancora oggi. Ma soprattutto Soavi si dimostra un enorme costruttore di immagini, di scene a effetto, di inquadrature patinate.

Ma quello che colpisce di più è la perfezione nel ricreare il mondo del romanzo, un mondo fatto di stronzi dove il protagonista è il più stronzo di tutti, ma non in senso buffo o simpatico, lo è senza attenuanti. L'ottimo romanzo di Carlotto è un libro pulp perfetto e Soavi riesce a mettere in scena un hard boiled non consolatorio, strafottente e ritmato; una versione del noir che in Italia non mi risulta neppure avesse dei precedenti (almeno dei precedenti riusciti).

Protagonista un Alessio Boni (di cui non ricordavo neanche la faccia) che non meritava la parte principale; ottimo invece Michele Placido in quella che al momento mi sembra la sua migliore interpretazione; la Ferrari, incapace di recitare, ma utilizzata in maniera molto funzionale.

venerdì 25 gennaio 2019

Brivido - Stephen King (1986)

(Maximum overdrive)

Visto in Dvx.

A causa di una cometa (ma quanti casini fanno le comete?!) le macchine della Terra prendono vita e cercano di fare fuori gli esseri umani. Un gruppo di sconosciuti si trova a dover resistere ad un assalto di camion in una stazione di servizio.

C'è stato un tempo, negli anni '80, in cui i regazzini venivano considerati; da una parte Stephen King collaborava per progetti seri nei loro confronti, dall'altra parte Steven Spielberg realizzava i migliori film per ragazzi mai creati e infine, sempre King decise di dare una deriva cretina a tutta l'operazione, la sua comparsata in "Creepshow" e questo film sono le evidenze più eclatanti.

Grazie a Notte horror l'opera prima (e al momento unica) di King come regista è arrivata sulla tv italiana lasciando strascichi, almeno su di me e Tiziano Sclavi (ok, in realtà era di Chiaverotti).
Il ricordo era decisamente positivo... una nuova visione ridimensiona il tutto.
Il film è girato con il pilota automatico e un certo fascino per la cazzoneria e strizzatine d'occhio ai più giovani (su tutto, l'uso ironico degli AC/DC prima ancora della loro musica, usata in modo pervasivo). Gli attori non sembrano impegnati al massmo per portare a casa il risultato e la sceneggiatura, seppur con una certa facilità di movimento, è piuttosto ridicola in diversi dialoghi e nella risoluzione di molte scene e, cosa ancora più importante, non riesce mai a creare paura.
D'altra parte King riesce decisamente meglio a dare vita a immagini che colpiscono (il camion con il volto del Goblin) e situazioni paradossali che, in altri film, sarebbero potute essere qualcosa di grandioso o di disturbante (gli uomini usati dalle macchine per il rifornimento).
Le diverse scene ricche di pathos (la cameriera che grida alle macchine "Perché ci fate questo. Vi abbiamo creato noi!") o di inquietudine (il rifornimento obbligato, la mitragliatrice che comunica con il morse) per un regazzino vengono completamente perse ad una visione adulta, ma credo possano ancora fare la loro figura se viste alla giusta età.
Di fatto, niente più di caro ricordo.

mercoledì 23 gennaio 2019

Choyonghan kajok - Kim Ji Woon (1998)

(Id. AKA The quiet family)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una famiglia coreana rileva un lodge in montagna. Gli affari latitano e loro sembrano essere perseguitati dalla sfortuna, in un modo o in un altro i primi avventori muoiono dentro le camere dell'hotel. La famiglia si vede costretta ad occultare i cadaveri, ma troppi corpi in giardino e un pò di confusione con troppi clienti una notte e la situazione degenera.

Commedia nera molto grottesca e divertente di un Kim Ji Woon agli inizi. Pur essendo la sua opera prima, il regista si muove con grazia e competenza fra virtuosismi tecnici, gestisce benissmo gli spazi interni e, nonostante la ripetitività della vicenda, tiene sempre alto il tono generale; facendo da spalla a una scrittura dei personaggi molto divertente tiene l'attenzione dello spettatore senza problemi.
L'unico vero neo è il lungo finale; dopo una serie di scene di un cinismo incredibile (ma perfettamente in linea con il resto della vicenda), con la figlia che guarda la tv mentre un doppio incendio (per giocare con le aspettative dello spettatore), il film si smorza, non finisce, si sceglie un ending da serie televisiva o da commedia d'altri tempi e bassi intenti, si sceglie di non scegliere davvero e il film sembra allora aver girato un pò a vuoto. Niente di fondamentale, ma è un peccato una conclusione del genere.

Cast eccezionale, completamente in parte, dove spiccano un Song Kang Ho e un Choi Min Sik in versione cogliona, veri motori comici del film.

PS: remake giapponese di pochi anni dopo realizzato da Miike.

lunedì 21 gennaio 2019

Capitani coraggiosi - Victor Fleming (1937)

(Captains Courageous)

Visto inDvx.

 Lo spocchioso figlio di un miliardario americano è un ragazzino che crede di poter ottenere tutto con i soldi del padre e senza sforzo... ora, siamo ancora in una Hollywood ideale, quindi, dopo essere stato accusato di aver tentato di corrompere un professore il padre decide di passare più tempo con lui (suggerimento pedagogico del preside); purtroppo durante la traversata oceanica di riappacificazione padre e figlio, cade in mare, salvato da una nave di pescatori dovrà collaborare con loro perché portare ospiti porta fortuna, portare un regazzino stipendiato per l'aiuto che da no.

Personalmente sopporto male le storie di mare e non sopporto i film di formazione classici; tuttavia questo film è il perfetto esempio del perché la Hollywood classica fosse grandiosa. Ha tutte le caratteristiche per farsi odiare, sulla carta, ha uno svolgimento piuttosto banale (scaldacuore, anche se non totalmente consolatorio), ma il progetto iniziale, messo in mano a un serie di professionisti, riesce a diventare qualcosa di ottimo. Non c'è un intervento determinante che rende il film un capolavoro, ma una serie di lavoratori, ognuno esperto nel proprio ambito che danno vita a un film godibilissimo e dalla realizzazione quasi impeccabile. La sceneggiatura riesce a non edulcorare quello che può esserci di più forte e riesce a rendere godibile anche le parti che potevano essere più zuccherose, con un ritmo sempre presente e tempi perfetti; la fotografia è sempre di livello nella parte iniziale diventa bellissima con le ombre della nave; regia invisibile, ma sempre presente per essere funzionale alla vicenda più che protagonista della scene; in ultimo un cast ottimale con Barrymore (che adoro sempre, qui perfetto), un giustamente rinomato Tracy (vincitore dell'Oscar per questa perfomance), un Bartholomew a cui va dato atto di non essere stato troppo fastidioso, un Carradine in secondo piano e un Douglas che fa il suo. Unico vero neo, il montaggio che, incredibilmente, commetti sbagli e distrazioni immotivate.


venerdì 18 gennaio 2019

Excision - Richard Bates Jr (2012)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese

Una adolescente con parecchi problemi sembra molto interessata al sangue e alla vivisezione, ha indubbi problemi di relazione con la madre stronza, ha un padre inesistente, ma è estremamente legata alla sorella... che però ha la fibrosi cistica.

Al di là che è evidente fin dalla prima scena (una delle innumerevoli sequenze oniriche) che il film finirà con lo scorrere del sangue, tuttavia se in una città il pastore è Waters, l'insegnante McDowell e il preside Wise... beh direi che c'è un problema che esploderà presto o tardi.

Inevitabile il paragone con "Carrie", in quanto entrambi film basati sul sangue, entrambi con adolescenti disfunzionali e con relazioni madre-figlia a dir poco problematiche. Inevitabile pure che il paragone sminuisca il film di Bates. Anche se, a parte i dettagli citati, per il resto questo film corra su binari molto diversi.
Questo è un film totalmente femminile. Tutti i protagonisti principali sono donne, i vari uomini che si susseguono sulla scena sono, come minimo, personaggi di contorno, deboli e ininfluenti (vedi il padre), se non proprio figure di secondo piano utili solo per una sequenza o due. Tutte le donne del film, invece, sono donne forti; tutte: protagonisti, antagonisti, vittime e carnefici.

La realizzazione è buona, con una fotografia patinata che si addice allo stile e inserti onirici degni di un body horror kitsch giapponese (mi ha fatto pensare a "Devil woman doctor")... ecco, a essere onesti questi inserti sono ben realizzati, ma decisamente fuori contesto; apprezzabili in sé, ma non inseriti in questo film.

Il vero problema però è un altro. Bates sembra voler cercare lo shock fine a sé stesso (e devo ammettere che nella nostra, o mia, cultura il sangue mestruale riesce ancora a dimostrarsi un tabù) con scene inutili per l'avanzamento della storia mostrando una protagonista esagerata e insopportabile fin dall'inizio e concludendo con un (prevedibile) finale che è folle per contenuti più che per realizzazione (piuttosto buona)... anzi più cretino che folle. Inoltre i siparietti durano troppo a lungo; per giustificare la serie dis cene inutile vengono realizzati estenuanti dialoghi madre-figlia pieni di risentimento e reazioni psichiatriche che a furia di ripetersi annoiano.

mercoledì 16 gennaio 2019

Driver, l'imprendibile - Walter Hill (1978)

(The driver)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un uomo senza nome vive facendo l'autista per rapinatori; esperto nella fuga è un artista nel guidare ogni veicolo. Verrà preso di mira da un ispettore, ma aiutato da una sconosciuta. Tentando di incastrarlo, l'ispettore, metterà in mezzo una serie di malavitosi, dando inizio a un vero e proprio noir.

Film di veicoli sui generis (ci sono 3 scene in macchina, una in apertura e una chiusura, più una centrale che è però una dimostrazione di forza e non un inseguimento) che nasconde invece un vero e proprio noir ispirato a "Il samurai" di Melville. Da quel film prende la trama (che viene un poco complicata), prende i dialoghi scarnissimi, prende l'impassibilità del protagonista, ma soprattutto prende quel senso di calma potenza, di efficacia silenziosa e non eclatante, di professionalità quasi sovraumana.
Hill realizza quindi un noir con scene d'auto, che diventa essenziale nei caratteri e nelle motivazioni, duro e geometrico rasentando l'inumano (con solo l'ispettore, Dern, a dare una nota di colore e calore alla vicenda).
Ma Hill realizza anche un film formalmente impeccabile, con fotografia cupa, ma impeccabile, auto lucide, vestiti perfetti e un aura cool che aleggia quanto il buio della notte perenne in cui è ambientato.Un film dall'impianto verosimile al massimo, ma decisamente più attento all'effetto delle scene che alla loro reale riproducibilità nel mondo reale.
Un film con diversi difetti, ma che rimane un esempio lampante di potenza della messa in scena e di costruzione di un mondo mostrando solo 3 personaggi.

PS: l'ambiente e l'assenza di recitazione come precisa indicazione di regia rendono la rpesenza di O'Neal sopportabile e, addirittura, utile.

lunedì 14 gennaio 2019

Gojira-Minira-Gabara: Oru kaijû daishingeki - Ishirô Honda (1969)

(Id. AKA Godzilla's revenge)

Visto qui, doppiato in inglese.

Un bambino entra in contatto onirico (nel senso che se lo sogna e basta) con Minilla (il figlio, adottivo, di Godzilla), lo incontra sull'isola dei mostri dove scopre che il buon mostrillo parla fluentemente. Tutti e due i cuccioli (d'uomo e di mostro) sono bistratta da un bullo che condivide lo stesso nome, Gabara, anche se in un caso è un bambino, nell'altro un mostro gigante vagamente rospesco (sarebbe una rana toro mutata) con poteri elettrici. Entrambi dovranno affrontare le proprie paure e superare i propri limiti.

Al decimo film della serie una botta di onestà sembra aver colto la Toho.
Siamo onesti, nonostante faccia del male il solo pensiero, scendere a patti con la realpolitik di questa serie e trasformare Godzilla in un film per bambini totalmente infantile sarebbe una scelta logica. Spiace che per poterlo fare abbiano dovuto utilizzare Minilla, il personaggio più brutto, inutile e fastidioso del franchise.
Spiace che per farlo abbiano diviso il film in due segmenti separati, uno per gli umani e l'altro per i mostri dove i vari kaiju, in una botta di inventiva, combattono fra loro a caso (vengono resuscitati i kamacuras, Ebirah e citati molti altri). Questa divisione così netta è un peccato, da sempre Godzilla è stato soprattutto l'effetto sulle persone (molto di più nei primissimi film ancora horror), vedere mostri giganti di gommapiuma che combattono era un interesse relativo (più o meno interessante in base al dinamismo delle scene, generalmente dato dalla presenza di Fukuda alla regia); disgiungere le due parti normalizza la storia degli esseri umani (perdendo lo spunto peculiare di un drago che invade la città) e rende molto più noiosa la parte dei mostri.
Ci si può aggiungere un antagonista, Gabara, incredibilmente ridicolo, infantilmente minaccioso che serve solo ad allungare la lista di kaiju nel parterre della Toho.
Dietro la macchina da presa c'è ancora il fidato Honda, regista che ha dimostrato da tempo di non avere più il polso di una serie iniziata 15 anni prima; in realtà fa ben sperare con una parte iniziale (quella tutta fatta dai bambini) incredibilmente dinamica, dove il gioco delle inquadratura, qualche movimento di macchina e un ottimo montaggio interno danno un dinamismo mai avuto prima; peccato che il meglio lo lasci a quelle sequenze e non se lo porti sull'isola dei mostri dove avrebbe giovato molto di più.
Complessivamente quindi, si rimane sulla china discendente, con un'idea di trasformare il brand in un romanzo di formazione per bambini interessante, ma mal costruita.

PS: questo film risulta ancora inedito in Italia.

venerdì 11 gennaio 2019

Des nouvelles de la planète Mars - Dominik Moll (2016)

(Id. AKA News from planet Mars)

Visto in aereo, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un uomo vive una vita passiva, vessato dalla ex moglie, sfruttata sul lavoro, disprezzato dai figli, non considerato dalla sorella. La situazione tenderà a sfuggire di mano quando un collega squilibrato si insedierà in casa sua.

Il poco prolifico regista Moll torna a parlare di uno squilibrio mentale che si inserisce in un nucleo famigliare indipendente per sovvertirne gli schemi... decide però di farlo in versione commedia... purtroppo decide di farlo nella maniera sbagliata.
Si perché il film parte bene con un tono sommesso e ironico e una voglia di grottesco che non riesce mai a venir fuori fino in fondo, ma comunque si lascia accarezzare. Per buona metà del minutaggio la trama sembra voler dare una versione apatica e divertita di un Giobbe moderno. Purtroppo il film rinuncia troppo presto a questa idea, semplice, ma efficace per tornare rapidamente dalle parti del convenzionale.
Si, perché il lungo finale è la classica rivalsa dello sconfitto che scuote la propria vita; ma la cosa peggiore non è la banalità, ma il modo in cui ci arriva. Il finale ha motivazioni nulle e la presa di coscienza collettiva viene seguita da azioni dal peso assente; in poche parole il finale si conclude con una dichiarazione d'intenti e i personaggi che si comportano di conseguenza.

Sì, insomma, un film carino, confezionato nella media (francese, che equivale a una sufficienza piena), ma completamente svuotato da tutti gli elementi interessanti e svolto malissimo.

mercoledì 9 gennaio 2019

Hunger Games: il canto della rivolta, Parte 2 - F. Lawrence (2015)

(The Hunger Games: Mockingjay - Part 2)

Visto in DVD.

Il film di chiusura della saga di Katniss conclude il discorso portato avanti negli ultimi due: l'uso delle immagini come fonte di propaganda, la manipolazione del potere e i dubbi morali sull'essere utilizzati o nel sostenere una parte.
Decisamente moderno nel mostrare la morte degli ideali e aggiornato nel mostrare la lotta per ottenere una giustizia personale (non giustizialismo, ma etica) è la derivazione più moderna del supereroe. Unito al fatto che la protagonista è una donna, non forte, non indipendente, ma decisa e autonoma (e la dama da salvare, sempre in pericolo, è un uomo) la cui storia d'amore è la meno convenzionale possibile (un amore hollywoodiano con l'uomo perfetto che viene sorpassato a destra da un amore di comodo che diventa volontà di salvare e vero affetto); l'effetto che ne viene fuori è che ci sit rova davanti al blockbuster più anticonvenzionale di sempre.

Con una messa in scena ormai ben codificata, ma sempre più sporca (salvo che nel finale), pecca in una generale mancanza di idee potenti; ottima la scena della trappola tra gli edifici, ma è poca cosa rispetto a un finale che poteva essere decisamente più maestoso.
Gioca comunque benissimo le sue carte trasformando il capitolo finale di una saga adolescenziale in una discesa all'inferno dove è più facile morire che amare (cit.), con punte da cinema horror vero e proprio nelle fogne. Non delude nel confronto finale fra Katniss e Snow riuscendo a renderlo estremamente breve e cordiale spostando completamente l'attenzione.
E per concludere realizza un finale antieroico come solo Nolan è riuscito a fare, con Batman, nel recente passato.

Complessivamente il più debole dei quattro, ma soffre della sfortuna di essere stato anticipato da ottimi film e, in ogni caso, rimane un buon film e tra i più originali nella sua nicchia.

lunedì 7 gennaio 2019

L'indiscreto fascino del peccato - Pedro Almodóvar (1983)

(Entre tieneblas)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Una cantante di night club ricercata per la morte del compagno si rifugia in un convento un pò particolare. La madre superiora si innamora di lei, ma le sue attenzioni (discrete, ma continue) tenderanno ad allontanare la donna.

Al terzo film Almodovar smette di essere un energetico dilettante e decide di fare il regista; la differenza è chiara fiin dalla prima sequenza, dove fotografia, punti di inquadratura e composizione delle scene sono professionali.

Il ritmo è decisamente più rallentato rispetto ai due film precedenti, ma la trama aumenta di spessore e la storia dipana il primo, vero, melodramma amoroso di Almodovar.
Al netto di una serie di fantasia grottesche (la tigre, la tossicodipendenza, ecc...) che portano il film, soprattutto nella prima mezzora, ad avere un taglio ironico e divertito (anche se piuttosto semplicistico), la storia è un amore impossibile di una donna talmente ossessionata dal raggiungimento dei propri obiettivi che non si rende conto di essere abbandonata da tutti; l'urlo finale (unico momento in cui la controllatissima protagonista si lascia andare) è una coltellata.
Il film è, di fatto, un dolcissimo film d'amore non corrisposto (e molto ossessivo, sia chiaro) che ha i suoi picchi in alcune scelte geniali del regista, dall'arrivo della cantante in chiesa (la suora la vede, si stacca dalla fila per la comunione e con lo stesso passo si muove verso di lei mentre la macchina da presa si alza) alla dichiarazione d'amore tormentato cantata da entrambe. Ma l'intera opera è costellata da continue, minime, scelte di regia che trasformano ogni scena fra le due in qualcosa di particolare.

Da evitare assolutamente la versione doppiata in italiano. Dato il tema particolare, credo che i distributori italiani abbiano cercare di vendere il film come un nuovo Buñuel (regista spagnolo, film con ambientazione religiosa, amore per il grottesco) modificando il titolo in una brutta citazione e cambiando colpevolemente diversi dialoghi (e tagliando alcune scene). Il doppiaggio mitiga alcune scelte, aggiunge dettagli non presenti cercando di aumentare il grottesco (in maniera infantile, pensando che facendo dire cose assurde ad ogni religiosa allora venga fuori una critica sociale), aggiungono dialoghi dove non ci sono per spiegare a voce il senso di alcune scene, ma soprattutto (con il tono e le parole scelte) hanno trasformato la protagonista (da dolce donna sola con manie di controllo a una cinica calcotrice) modificando del tutto il senso e l'empatia del film.

venerdì 4 gennaio 2019

Gattaca. La porta dell'universo - Andrew Niccol (1997)

(Gattaca)

Visto in Dvx.

In un futuro in cui la lettura del DNA permette di prevedere le percentuali di rischio di ogni malattia, solo gli individui più geneticamente dotati vengono scelti per lavori superiori, mentre i portatori di, possibili, tare vengono relegati alla serie B senza possibilità di ascensione sociale. Un ragazzo con una buona probabilità di avere problemi cardiaci in giovane età vuole a tutti i costi diventare astronauta, metterà in piedi un elaborato sistema per eludere i continui controlli (con l'aiuto di un uomo dal DNA strabiliante, ma in sedia a rotelle per un incidente) e partire per la prima missione su Marte. Purtroppo i suoi piani sembrano dover essere scoperti a causa di un omicidio che porterà la polizia a indagare.

Un film che parte da una distopia vagamente huxleyana per portare avanti l'eterno topos americano della volontà che batte ogni costrizione, del self made man più forte dei suoi limiti e dell'ottusità del sistema. A conti fatti niente di veramente nuovo, ma, considerando l'anno d'uscita (la pecora Dolly nacque l'anno prima e il progetto genoma umano si trovava esattamente a metà percorso) è affascinante l'aver preso un concetto scientifico nuovo e pieno di potenzialità per immaginarne le storture in un futuro in cui questo sarebbe stato completamente sfruttabile; si, insomma, la fantascienza alla sua prova di forza speculatoria massima.

Alla sua opera prima Niccol scrive e dirige.
Scrive in maniera fin troppa convenzionale, ma provando a gestire il tutto come un thriller con twist plot e agnizione finale.
Dietro la macchina da presa riesce a fare anche peggio; elimina ogni punta di interesse e di ritmo, riducendo una storia semplice, ma potenzialmente interessante, in una lunga sequela di scene mal recitate (non da tutti, ma la media è negativa).

Quello che davvero si salva è il comparto estetico. Con un cast fatto di attori e attrici bellissimi, con vestiti impeccabili, location moderne senza futurismi impossibili e una fotografia da colori terrei e caldi con luci soffuse degni di ben altri sforzi. Ma ancora più di tutto questo c'è l'idea (da allora riutilizzata periodicamente) di creare un'idea di futuro non localizzabile nel tempo con dettagli (su tutti i vestiti anni '50) retrò, creando un mabiente futuribile, ma comprensibile, affascinante (sfociando facilmente nel dandy) e non databile.

A conti fatti, però, rimane solo una splendida scatola.

mercoledì 2 gennaio 2019

The disappointments room - D. J. Caruso (2016)

(Id.)

Visto in aereo in lingua originale.

Trasferiti nella casa nuova dopo la morte di una figlia (rimane ancora un figlio da far fuori), la famigliola infelice comincia ad assistere a strani fenomeni collegati con una camera chiusa. Che non sia una disappointments room, una vecchia abitudine delle famiglie nobili della zona (quella di chiudere i figli deformi in una camera della casa... per sempre); e che quella disappointment room non contenga uno o due spiriti irrequieti.

Terribile film horror di Caruso; dove per terribile intendo proprio brutto. Trama trita che tenta la (falsa) originalità con l'idea di queste stanze prigione, ma senza un minimo di inventiva, senza riuscire a trovare un qualcosa che catalizzi davvero l'interesse o che riesca a distinguere il film rispetto alle centinaia di horroretti senza nerbo prodotti ogni anno.

Ma sinceramente non è la mancanza di originalità il problema (come il magnifico "", antitesi all'originalità); così come non è la regia piatta. Il vero problema è la mancanza di tensione; la trama farraginosa che impiega una vita a venir fuori e fatica a farsi capire ingloba, con il suo fastidio e la sua noia, anche i pretesi momenti di paura, realizzati con il pilota automatico e senza una vera comprensione di come gestire tempi e spazi.
In poche parole un fallimento laddove ogni film horror, per quanto scalcinato, deve riuscire.

PS: in tutto questo la Beckinsale affoga senza possibilità di salvezza, non spicca, non migliora, a mala pena ci si accorge chi lei sia.