venerdì 27 febbraio 2015

Mortdecai - David Koepp (2015)

(Id.)

Visto al cinema.

Un mercante d'arte inglese, di casata nobile, molto british è un competente fanfarone incapace di fare scelte congrue nella vita di tutti i giorni; è affiancato da una moglie affascinante e pragmatica e da un "servitore" dalla faccia (e l'atteggiamento) di un ex galeotto. I tre si ritroveranno invischiati in un'operazione internazionale all'inseguimento di un Goya perduto, tutto a causato dalla morte di una restauratrice.

...alla fine da quest parti si vuol bene a Johnny Depp; negli anni '90 è stato il protagonista di alcuni fra i migliori film indi (poi diventati veri e propri cult) di cui la punta di diamante è stata "Paura e delirio a Las Vegas" (e che cosa sarebbe stato quel film senza di lui nei panni di Raoul Duke?); negli anni zero ha dato il volto ad alcuni personaggi più banali, ma altrettanto affascinanti ("The libertine" o "C'era una volta in Messico")... poi da li ha cominciato a notare che con due faccette e gesti convulsi pigliava anche più soldi e si è bruciato...però da queste parti gli si vuole ancora bene.
Questo film sembra più il tentativo di rivitalizzare una serie di carriere bollite (la Paltrow ormai sembra costretta solo dentro ai vari "Iron man", McGregor lavora a 200 film contemporaneamente senza spiccare mai in uno, Bettany... beh ok, lui non ha mai avuto una carriera fulgida) che con un possibile brand, che non un onesto tentativo di fare un film dinamico e divertente.
Visto tutto questo fa quindi tristezza vedere il povero Depp di nuovo incastrato nello stesso personaggio bizzarro degli ultimi 10 anni.
Visto tutto questo... beh l'idea sulla carta sembra buona; un film quasi corale con personaggi che si fanno ricordare e che giocano sui cliché (il protagonista è la quintessenza del britannico raffinato, truffaldino e incapace) senza lasciarsene ingabbiare (il personaggio di Jock è in totale controtendenza con quella del maggiordomo inglese, basandosi invece sulla fedeltà del servo con le capacità e il physique di un hoolingan). Il film costruisce una serie di rapporti interpersonali che permette un'inesauribile fonte di gag nella maggior parte die casi molto efficaci (in una parola, si ride).

Il problema è il ritmo. Il problema è l'efficacia.
Il ritmo, specie nella prima parte, latita; il film vorrebbe essere un action cartoonesco e comico (de la Iglesia si sta girando nella tomba a sentire queste cose [nella tomba non perché sia morto, ma credo che ci dorma dentro tutte le sere]), ma se il ritmo non funziona, non solo la suspence e l'azione se ne va, ma anche le gag rischiano di cadere nel vuoto.
L'efficacia; è vero che il film è divertente, ma ci sono momenti in cui si percepisce che c'è imbarazzo sulla scena, si percepisce che pur avendo riso, se la sceneggiatura fosse stata messa in anno a qualcuno con più sgurz si sarebbe assistito a una delle sequenze più divertenti dell'anno.

Quello che ne vien fuori è un prodotto divertente perfetto per far passare un'ora e mezza; ma nient'altro

PS:...mamma mia come sono tutti invecchiati...

mercoledì 25 febbraio 2015

Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza - Roy Andersson (2014)

(En duva satt på en gren och funderade på tillvaron)

Visto al cinema.

All'inizio del film compare un cartello che avverte che questo è il terzo capitolo di una trilogia sugli esseri umani; immagino quindi che "Canzoni dal secondo piano" e "You, the linving" (che non ho visto).
Come i precedenti (anzi, il precedente che ho visto) questo film si compone di una trama rarefatta; alcuni personaggi fissi che tornano spesso vivono situazioni assurde divisi in scene autoconclusive (manca una vera e propria trama; volendola a tutti i costi cercare i due personaggi più presenti sono due venditori di scherzi di carnevale che cercano di sopravvivere in un mercato piuttosto fermo).
Dietro la macchina da presa Andersson rimane sé stesso; inquadrature ferme, scene con punti di fuga e linee oblique, colori desaturati clamorosi, una costruzione degli arredamenti perfetta e un uso degli attori come se fossero pezzi di arredamento anch'essi (con corpi spesso disfatti e volti... sempre disfatti). Di fatto una costruzione a tableau vivant che si susseguono creando un mood comune con scene blandamente collegate fra loro. Direi che l'obiettivo ultimo si può intuire, ma non è fondamentale, anche perché gli elementi sono diversi (la morte, di cui tutto il film è il terzo capitolo i cui due precedenti sono brevissime scene iniziali; l'incomunicabilità, con telefonate sempre uguali in cui n on viene detto nulla o segreterie telefoniche mai ascoltate; la solitudine).

Quello che viene sempre esposto è un senso dell'attesa di qualcosa di grande, un mood tragico anche se non avviene niente e un'ironia amarissima (ho sentito molti ridere apertamente durante la proiezione!).
Quello che però ha di diverso è  che qui compaiono molte scene in esterni, esteticamente sempre impeccabile, anzi pure più curate (e percettibilmente false) che non gli interni; inoltre qualche picco dell'assurdo buono (l'incursione di Carlo XII in marcia verso Mosca in un bar di periferia o l'episodio nel 1943 con la proprietaria del bar che offre grappa in cambio di baci cantando), ma che non competono con quelle di "Canzoni dal secondo piano"; ma soprattutto non ci sono impennate di poesia come nel primo capitolo della trilogia (basterebbe il canto nell'autobus o l'incredibile finale). Altra importante differenza è che qui non c'è un senso apocalittico come nel precedente, ma un'amarezza anche maggiore.
Inoltre qui ci sono alcuni punti che dall'assurdo si passa alla esagerazione poco efficace.

Di fatto è comunque un evento incredibile vedere un film di Andersson al cinema e permette a chi non lo conosce di entrare in contatto con un regista a sé (e nel 90% dei casi di odiarlo per i tempi dilatati e la trama, eufemisticamente, rarefatta), per chi già lo conosce è un piacere sentire altra gente che ne ride... in una sala cinematografica.

PS: la scena iniziale nel museo di storia naturale, senza dire nulla e senza che succeda nulla (anzi, proprio per questo) già dice tutto del film e dello stile di Andersson.

lunedì 23 febbraio 2015

La città delle bestie incantatrici - Yoshiaki Kawajiri (1987)

(Yôjû toshi... AKA Wicked city, AKA la città delle belve)

Visto in Dvx.

La razza umana è in perenne attrito con le creature del "lato oscuro", mostri mutaforma che, usualmente, si trasformano in donne bellissime per sedurre gli uomini e succhiarne (...) ogni energia durante l'amplesso. Da secoli questo stato di cose è tenuto a bada da accordi ufficiali (ma tenuti nascosti) fra gli illuminati delle due razze, anche se i terroristi e le violazioni dei trattati sono continui. Dopo un trentennio si stanno per firmare dei nuovi accordi a Tokyo; un umano, esperto di lato oscuro, arriva dall'Italia per presenziare alla cerimonia (senza di lui gli accordi salterebbero). Inutile dire che avrà bisogno di una scorta per poter superare la notte in vista della firma del giorno successivo. La scorta viene formata affiancando un uomo con una donna del lato oscuro. Verranno attaccati, rapiti, feriti fino alla conclusione... a sorpresa.

Film dalla trama esile (è tutta una fuga dagli assalti dei cattivi), ma esplicito nelle scene di violenza e di sesso. La violenza (sempre presente, ma non disturbante) ha il gusto e lo stile di Ken il guerriero. Il sesso invece è evidentemente il vero motivo per cui si è deciso di fare questo film (esplicito e pervasivo all'interno della pellicola); questo, nelle intenzioni, non doveva essere un thriller erotico, ma un vero e proprio hentai da esportazione, difficile altrimenti capire perché mettere una scena di tentacle rape o decretare la morte della donna ad opera dei demoni a colpi di gangbang.

L'animazione è piuttosto piatta e non particolarmente soddisfacente; i personaggi dalla personalità inesistente, l'unico costruito un minimo è la spalla comica maniaco sessuale nelle vesti del vecchio italiano (figura molto diffusa negli anime, ma altrettanto irritante).

L'unico vero motivo di interesse (a parte il sesso of course) è rappresentato dalle trasformazioni delle creature del lato oscuro; il film regalo un vero catalogo degno di Cronenberg, dalla donna aracnoide dell'impressionante incipit (completa di vagina dentata ben prima di "Denti"), alla donna che si scioglie, dall'uomo con i tentacoli e l'ombra allungabile, alla citazione de "La cosa" di Carpenter (citazione ben fatta, anche migliorata e ben utilizzata) nella sena dell'aeroporto.

venerdì 20 febbraio 2015

Convoy, trincea d'asfalto - Sam Peckinpah (1978)

(Convoy)

Visto in tv.

Un gruppo di camionisti perseguitati da un poliziotto, divenuti ricercati a causa di una rissa cercano la fuga fuori dallo stato; a loro però si aggiungono decine di altri veicoli in una sorta di protesta.

Tratto da una canzone (sic) dallo stesso titolo questo è una sorta di western fuori tempo massimo che alle carovane di carri e agli assalti dei banditi sostituisce i camion e la polizia in un inseguimento a distanza che sembra essere stato basato sul modello de "L'imperatore del nord" (film che avrebbe voluto girare Peckinpah) già con Borgnine come antagonista.
Al contrario del film di Aldrich però questo è un film noioso. Certo non viene in aiuto una trama ripetitiva per struttura, ma il non averci messo dentro nessuna scena interessante, avendo annacquato tutto con una storiella d'amore fin troppo scontata e non avendo sfruttato affatto l'idea degli inseguimenti (c'è giusto un camion ribaltato, ma senza troppa convinzione). Pure il finale è una commediola accomodante.
Il film è a tal punto inutile che i rallenty alla Packinpah mi sono sembrati inutili e fuori luogo (rallentano ulteriorment eun film non velocissimo) e le scene che più si fanno ricordare sono quelle dei camion che viaggiano nei deserti con musica country di sottofondo...
Uniche note positive: un Borgnine solido e roccioso, ancora più luciferino del controllore di treni de "L'imperatore del nord" (se possibile); e un film in cui, finalmente, vedo Paulie fuori da un incontro di boxe.

mercoledì 18 febbraio 2015

Kuchisake-onna - Kôji Shiraishi (2007)

(Id. AKA Carved, o The slit-mouthed woman)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una donna dalla bocca lacerata comincia a seminare il panico in una città del Giappone rapendo bambini sempre alla solita ora... Saranno una magrissima maestra e i suo attonito collega a mettersi a indagare.

Horror giapponese classico che vuol fare paure non nascondendo, ma mostrando la fonte della paura stessa. Purtroppo per riuscire a fare una buona pizza non basta essere italiano, sennò io starei facendo i soldi nella ristorazione; allo stesso mod  per fare questo genere di horror particolarmente complicato non basta essere giapponesi, bisogna essere in grado di creare suspense.
Ovviamente il povero Shiraishi dimostra di avere più chance come pizzaiolo.
Tratto da una leggenda popolare (in cui si può battere la donna lanciandole contro della frutta.. immagino angurie).
Horror noiosissimo, con un mostro che sarebbe quasi credibile la primissima volta che lo vedi, ma poi si svacca diventando una figura immobile che riesce a rapire bambini e uccidere persone solo perché i suoi antagonisti rimangono immobili dallo shock. Carina l'idea di non poterlo eliminare perché si impossessa di donne con la tosse e una volta uccise muore solo il corpo ospite... però neppure questo fa abbastanza paura da solo... ci vogliono delle doti.
Se a questo si aggiunge una coppia d protagonisti risibile, un twist plot finale che sarbebe ragguardevole se non fosse condito con l'idiozia di un attore cane che pensa di trasmetter eil dolore rimanendo impassibile.
Perdibilissimo... nonostante il successo di pubblico in patria che ha portato ad almeno due seguiti.

lunedì 16 febbraio 2015

Rapsodia satanica - Nino Oxilia (1917)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una donna ormai anziana firma un contratto con il diavolo, riavrà la giovinezza, ma in cambio deve rinunciare all'amore. La donna riuscirà a rimanere negli accordi fino a quando uno dei suoi due spasimanti, preso dalla disperazione della sua indifferenza, si suiciderà.

Film rimasto nelle enciclopedia di cinema per essere l'ultimo del giovane ( molto apprezzato) regista Oxilia morto nella pria guerra mondiale e il primo musicato appositamente da Mascagni. Se in più ci mettiamo che vi ha recitato la Borelli, il mito è pronto.
Di fatto il film è la classica storia d'annunziana di amore e morte con frasi piuttosto belle, ma enfaticissime; e con un enorme, ed evidente, debito nei confronti del Faust.
La recitazione della Borelli, nonostante utilizzi gli stilemi di recitazione già approntati in "Ma l'amor mio non muore", qui mi è sembrata più contenuta, più naturale (se la Borelli può essere naturale).
A parte questo il film è abbastanza ovvio, scontato nella trama già vista parecchie volte (credo anche per l'epoca) e non ho trovato scelte estetiche così determinanti o invenzioni cinematografiche così evidenti da farlo rimanere impresso nella memoria; certamente la parte iniziale con la Borelli anziana e con la comparsa del diavolo è ben condotto, ma la gran parte (con la protagonista giovane) non spicca.
Grande successo di pubblico.

venerdì 13 febbraio 2015

Secondo amore - Douglas Sirk (1955)

(All that heaven allows)

Visto in Dvx, in lingua originale.

Una donna, borghese e amaramente felice, che abita in un paese dai colori pastello con due figli giovani, ma già saccenti, si innamora dell'impassibile giardiniere. L'amore corrisposto la porterà ad accettare la proposta di matrimonio del giovane, ma le conseguenze sociali saranno enormi, la famiglia la lascerà sola e lei deciderà di mollare il giovine. Ma poi la malattia (l'equivalente in un melodramma della magia in un film Disney) li farà riavvicinare, lei se ne fregherà delle regole sociali e l'amor trionferà.

Questo è il mio primo film di Sirk; finora li ho evitati accuratamente; ma essendo un fan di Fassbinder volevo vedere questo prima del remake "La paura mangia l'anima".
Quello che posso dire è che... tutto sommato non mi è dispiaciuto. L'irritante borghesia americana anni '50, la trama ovvia fin dall'inizio con un finale telefonato, l'ambiente che è la base da cui Burton ha tirato fuori (in versione ironica) il paese di Edward mani di forbice, i grandi sentimenti esposti, ecc... Beh tutto questo non mi ha disturbato troppo.
Non è il mio genere, ma è un film che si lascia guardare senza problemi.
La regia senza guizzi di un Sirk assolutamente invisibile si tralascia volentieri, ma la fotografia dai colori pastello, gli abiti perfetti e puliti, le location enfatiche sono molto convincenti e si vede che tutta l'arte è stata riversata li, in una versione zuccherosa e a modino della realtà.
La Wyman è assolutamente in parte (anche se mi risulta più giovane di quanto dovrebbe), mentre Hudson è magnificamente mono espressione con una convinzione che farebbe tremare anche John Wayne.

PS: punto in più per u uso della neonata tv come simbolo della castrazione del sistema borghese (e siamo proprio agli albori); punto decisamente in meno per la figlia saputella e irritante.

mercoledì 11 febbraio 2015

Grey Gardens, Dive per sempre - Michael Sucsy (2009)

(Grey gardens)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Film per la tv che mostra la vita delle due protagoniste dell'omonimo documentario degli anni '70; il favoloso passato negli anni '30 ricco di speranze e traumi, la vita fatua degli anni successivi, il degrado e la follia dagli anni '60 in poi, il posto al sole ricevuto, brevemente, dal successo di critica del film dei fratelli Maysles.

Come si è già avuto modo di dire, i film per la tv hanno raggiunto picchi di qualità insperata, in molti casi il merito è della HBO. Questo film non fa eccezione.
E credo sia da sottolineare quanto sia didattico questo film; idea di partenza bellissima e bankable fin da subito (il documentario è un cult negli USA e le due donne sono parenti dirette di Jackie O, La First Lady per definizione); messa in scena di primo livello con location costruite al computer senza troppo ferire e interni impeccabilmente ricostruiti (bellissimi per opulenza quegli degli anni '30, bellissimi per specularità con quelli reali quelli degli ultimi anni delle protagoniste); cast enorme che riproduce alla perfezione i personaggi già visti. A fronte di ciò un eccesso di fretta nel risolvere nel minor tempo possibile il maggior numero di anni; inoltre una tendenza all'ipertrofia, al voler mettere tutta la carne al fuoco anche se non ce ne sarebbe bisogno.

Per chi non ha visto, e non vuole vedere, il documentario; questo è un buon film che mostra come si possa partire dall'alto e morire rinchiusi in sé stessi senza che le persone a te più vicine si rendano conto di nulla o, peggio, coinvolgendo anche loro. In più ci sono due interpretazioni favolose delle protagoniste.

Per chi ha visto il documentario questo film è fondamentale; non so quanto sia vero, ma il perché del foulard della figlia o il come si sia arrivati a quel livello sono domande che il il film del '75 pone senza spiegare; qui invece si ottengono tutte le risposte.
In più c'è una Barrymore identica al personaggio reale nel muoversi, nei tic, nelle espressioni folli e negli atteggiamenti; dall'altra parte c'è una Lange meno copincollata esteticamente, ma che riproduce in maniera perfetta l'irritante vocetta stridula dell'originale (una ottima interpretazione in ogni caso).

lunedì 9 febbraio 2015

Grey Gardens - Ellen Hovde, Albert Maysles, David Maysles, Muffie Meyer (1975)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Documentario anni '70 su una zia e una cugina di Jackie O, molto matte, che vivano in condizioni iginiche contestabili in una casa di Long Island, dopo vicissitudini legali con i vicini che volevano costringerle ad andarsene se non avessero messo a posto almeno il giardino della magione e dopo un intervento determinante della signora Kennedy-Onassis rimasero lì ad aspettare la vecchiaia. Furono riscoperte da una coppia di fratelli documentaristi i Maysles.
Di fatto è un lungo documentario su due donne anziane (la più giovane in verità è di mezza età) vittime ognuna dell'altra, ma anche di sé stesse, che devono convivere con la propria follia. I registe le fanno parlare in maniera eccessiva e spesso noiosa del loro passato, le fanno cantare, chiedono opinioni sui più disparati argomenti.
Il film non ha ritmo e indugia in lunghe inquadrature ripetitive mostrando una vecchia gattara e sua figlia.
Unico vero motivo d'interesse è il fatto che fossero parenti di una delle donne più potenti degli anni '60.
In realtà, se si supera lo stordimento delle chiacchiere inutili si ha di fronte a sé una figura tragica (quella della figlia), pazza certo, ma vittima delle proprie paura che odia e ama la matriarca che la tiene ancora più affossata in un ambiente che odia con tutta sé stessa.

venerdì 6 febbraio 2015

The last stand, L'ultima sfida - Kim Ji Woon (2013)

(The last stand)

Visto in Dvx.

Uno sceriffo di una sonnacchiosa cittadina del sud degli Stati Uniti; uno che ha visto di tutto nella narcotici (cito a caso, non ricordo in che reparto della polizia fosse) di Los Angeles; uno che ha solo voglia di calma. ma è anche uno integerrimo, che soffre a dover fare favori al sindaco e che non si incazza se lo chiami di notte perché il tuo fornitore di latte non è ancora arrivato.
Beh in questo paesino sta per passare un fuggiasco; un fuggiasco che è anche un capo di un cartello della droga messicano, che ha tantissimi soldi e una spiccata tendenza alla violenza gratuita.

Per il grande ritorno di Schwarzenegger, dopo anni di inattività politica, in un mondo dove l'action si è notevolmente cambiato negli ultimi 20 anni... ok mi sono perso, comunque è un grande ritorno. Il migliore possibile.
In una ambientazione western (western moderno of course) del tutto nuova per l'austriaco, dove fa il veterano esperto, pratico e saggio ci si rende conto che questa è proprio una parte perfetta per lui, per la sua mole enorme, ma anche enormemente invecchiata.
Il tono da commedia della prima parte ci sta perfettamente, in fondo Arnie ci ha sempre giocato e nel finale dimostra di saper ancora sparare con una mitragliatrice nazista, saper guidare uno scuolabus contro i cattivi e di saper menare le mani.
E tutto questo con una regia che non si limita al minimo sindacale, ma cerca l'inquadratura interessante, il colpo d'occhio sghembo o la ripresa perpendicolare con il suolo.

Questo non è un film perfetto; anzi i difetti ci sono e sono enormi. Prima di tutto un villain assolutamente senza appeal; un Whitaker sprecato fare il capo dell'FBI sempre incazzato; un Johnny Knoxville che personalmente "Basta!" (capisco in Jackass, ma nei film di fiction deve sempre fare il coglione?); un finale con una ricostruzione degli esterni particolamente finta...
Ma in fondo va bene così; Schwarzenegger è tornato, ed è tornato bene.

PS: e c'è pure una locandina così:

mercoledì 4 febbraio 2015

Va' e uccidi - John Frankenheimer (1962)

(The manchurian candidate)

Visto in DVD.

Un gruppo di soldati americani vengono catturati in Corea, ma riescono a fuggire quasi tutti. Una volta tornati negli States vengono tutti funestati da uno strano (e comunitario) incubo...

Thriller psicologico condotto con mano pesante da un Frankenheimer in spolvero. Di fatto questo regista è stato relegato alla serie B concettuale dei film di nicchia anni '70, ma (a parte "Il braccio violento della legge 2") in realtà è stato autore di film godibilissimi girati con vera maestria, pochi come lui (specie in quegli anni) hanno utilizzato così tanto la profondità di campo.
Anche qui ci siamo, la profondità di campo è utilizzata in diverse occasioni e si usano parecchie inquadrature enfatiche dal basso o sghembe.
Ma quello che fa davvero la differenza stavolta sono le idee di messa in scena, gli usi di montaggio e le alternative al mostrare direttamente le cose. Fenomenale la parte del sogno/lavaggio del cervello in cui tutti i soldati vedono in parte gli ufficiali comunisti inframezzati dalla propria versione delle signore anziane che parlano di giardinaggio. Bellissima la sequenza del discorso alla stampa del segretario con l'azione che avviene in secondo piano, mentre in primo piano vengono mostrati i televisori delle troupe che fanno vedere i primi piani dei personaggi. Ma anche semplicemente il tetrapak del latte che fa le veci della ferita sanguinante.

La trama, forse non regge più per la parte della tensione, ma certamente mantiene interesse fino in fondo, fino al finale prevedibile, ma incredibilmente efficace.

Se a questo uniamo un buon cast con un Sinatra (che spesso non sopporto) estremamente solido e una Angela Lansbury magnifica stronza.

PS:per chi l'ha visto fino alla fine... beh tutto questo prima della morte di Kennedy!


lunedì 2 febbraio 2015

Amore sublime - King Vidor (1937)

(Stella Dallas)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una ragazza del proletariato industriale statunitense si innamora (ricambiata) del loro capo; si sposa e avrà un figlio, ma presto vorrà tornare alla sua vita di prima, con feste, balli e amici sgradevoli. Il marito preferirà trovarsi un lavoro nella distante New York e i due si ricostruiranno una vita indipendentemente. La figlia crescendo rimarrà legata ad entrambi, ma la madre si renderà conto che le possibilità per lei saranno maggiori s eandrà a vivere col padre e la sua nuova compagna; sceglierà quindi di inscenare la gioia per l'assenza della figlia.

Filmon strappalacrime anni '30 praticamente perfetto; melodramma dai sentimenti purissimi ed esposti che però risulta efficace. Vidor si conferma capace di gestire le emozioni e nel finalone (SPOILER) con la madre che spia il matrimonio della figlia dalla finestra e viene allontanata da un poliziotto e lei se ne va con il sorriso sulle labbra (FINE SPOILER) si raggiunge un picco di sentimenti contrastanti bellissimo.

Il film poi si regge egregiamente sulle capaci spalle della Stanwyck (un'attrice dal taglio degli occhi e della bocca che bastano ad illuminare una stanza) che passa con capacità dalle vesti di una ragazzina fastidiosa, a quella di madre con troppi grilli per la testa, da quelli di matrona kitsch, a quelli di una perdente dolente, ma felice.