venerdì 29 novembre 2019

Parasite - Bong Joon Ho (2019)

(Gisaengchung)

Visto al cinema in lingua originale sottotitolato.

Una famiglia povera costretta a vivere nei bassifondi (letteralmente) riesce a sfruttare con l'inganno una famiglia ricca e a farsi assumere, uno per volta per ricoprire mansioni d'insegnate, autista e tuttofare. Dire di più sarebbe uno spoiler imperdonabile.

Bong Joon Ho deve essere al settimo cielo, fino a 10-15 anni fa se lo filavano in due, ora tutto si sperticano in complimenti. Obiettivamente però siamo di fronte al suo miglior film dai tempi di "Memories of murder" (ok, non ho visto "Snowpiercer") e le lodi sono meritate.
Supportato dall'eternamente in parte Song Kang Ho (mamma com'è invecchiato) che lavora di profilo basso per 2/3 del film per poi dare il meglio nel finale e da un cast affiatatissimo e con poche sbavature, Joon Ho firma il suo film di critica sociale (la lotta di classe nominata da molti è, però, un'altra cosa) più metaforico e diretto nello stesso tempo.
Ecco l'eccesso di metafora avrebbe potuto essere un difetto, ma Joon Ho la prende e la rende, non solo un'allegoria che sta sullo sfondo, ma un personaggio: le eterne scale (come le salite e le discese) che esemplificano il livello sociale, sono parte integrante della trama, sono il luogo dove ci si nasconde, la via di fuga o la via da cui arrivano i nemici, sono i determinanti di insuccesso di un piano di risoluzione dei problemi, il luogo dove si mostra l'animalità di un personaggio e soprattutto sono l'ambiente della scena thriller migliore del film. Assieme alle scale anche le finestre (quella sul vicolo dove pisciano gli ubriachi o quella sul calmissimo giardino interno) come schermo della realtà di cui si fa parte e l'architettura in toto delle case (minuscola e senza senso quella della casa povera, razionale, estetizzante quella della casa ricca) che diventa parte del gioco del gatto col topo della metà film in poi.

Ma al di là di utilizzare il limite del film per renderlo migliore, Joon Ho azzarda anche un continuo cambio di genere riuscendo a gestirlo in maniera quasi impeccabile.
Il film parte un po heist movie, un poco commedia all'italiana, comunque molto divertente e leggero, per poi virare nell'inquietudine con venature thriller e una lunga sequenza da home invasion al contrario. l'ultima parte però cambia ancora e diventa dramma, quasi tragedia greca con un'illusione di risoluzione positiva.
L'effetto è straniante, ma ben condotto e ogni momento è perfettamente calibrato.
Da vedere.

lunedì 25 novembre 2019

La favorita - Yorgo Lanthimos (2018)

(The favourite)

Visto in aereo.

Io e Lanthimos abbiamo un rapporto contrastato. Lui fa film shockanti che sulla carta non possono non piacermi, ma spesso si limita a espandere l'idea iniziale senza costruirci attorno un vero e proprio film, se tanto basta piace, se ciò non basta, lo si odia... io appartengo alla seconda categoria.
Da un paio di film a questa parte sembra essersi sforzato sempre di più di mettere in scena una trama oltre a un'idea forte (che rimane comunque la sua cifra) e se all'inizio sembrava un caso, si sono avute conferme piacevolissime.
Con "La favorita" si ha, finalmente, un cambio di paradigma. L'idea di fondo è un rapporto a tre, lì'idea di base è un mondo di sopraffazioni con intrighi di palazzo. L'idea di fondo è una trama prima che un singolo dettaglio shockante; non sarà originalissimo, ma il film ne guadagna.

Lanthimos costruisce una sfida fra due favorite della regina inglese (una regina adulta, ma mentalmente infantile) che si dimostra una lotta tra cani disposti a sbranarsi. L'idea vincente, però , è il trasformare il tutto in una sfida di sopraffazione che coinvolge chiunque. Lathimos prima crea un mondo di violenza trattenuta e volontà di prevaricare ad ogni costo e poi vi fa muovere due personaggi magnifici (anzi tre vista l'importanza della regina nell'economia del film).
Per costruire questo mondo in maniera credibile si concentra in maniera gustosissima nei dettagliatissimi interni e nei costumi eccessivi arrivando a vette quasi pornografiche di precisione per poi aggiungere elementi stranianti (idea a mio avviso senza utilità che diventa ridicola solo nel ballo) senza particolare motivo. Per dare vigore e fiato agli interni e aumentare il senso di weirdness riprende con grandangoli quasi ogni scena e frequenti movimenti di macchina.

Un encomio all'intero cast completamente in parte riuscendo a sostenere perfettamente il trio di coprotagoniste che non sbaglia un colpo.

venerdì 22 novembre 2019

No, i giorni dell'arcobaleno - Pablo Larraín (2012)

(No)

Visto in Dvx.

Nel 1988 Pinochet dovette cedere alle pressioni internazionali e indire un referendum sulla possibilità di aumentare il numero di mandati del presidente. Il referendum divenne l'occasione per l'opposizione di avere la possibilità di parlare pubblicamente e fu, di fatto, un voto su Pinochet stesso. La campagna pubblicitaria per il No, venne data in mano a esperti di marketing che la portarono dal piano politico a quello puramente pubblicitario.

Il film di Larraín è un film politico per forza di cose; politico senza essere troppo requisitorio, politoc mostrando una certa frantumazione del fronte che dovrebbe sostenere, politico pieno di enfasi, ma con poche sottolineature caricaturali dei buoni e dei cattivi in gioco. A fronte di questi pregi, però, il film di Larraín è un film politico a distanza di sicurezza dai fatti avvenuti, che si permette la superiorità della storia ormai unanimamente accettata. Un film politico ben fatto, ma senza coraggio.

Ecco tutto questo è quello che si dovrebbe dire di questo film se non fosse realizzato così bene. Larraín prima che un film politico, realizza un film storico, ma un film storico per la qualità di ciò che mostra, non per il suo contenuto. Riprendendo gli attori con pellicola e attrezzature di fine anni '80 crea un film esteticamente simile alle immagini di repertorio (pur con tutta l'attenzione possibile per la fotografia), gioca ricreando immagini televisive d'epoca con cui interrompe di continua la narrazione e che alterna o mischia a quelle originali in un continuo ingannare lo spettatore.
L'effetto finale è perfetto e, tutto sommato, tranquillamente accettabile, dato che il gioco non viene esplicitato e notarlo è una scelta dello spettatore. Si può decidere di vedere un fil  politico o un grandioso film politico.

lunedì 18 novembre 2019

20,000 days on earth - Iain Forsyth, Jane Pollard (2014)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un documentario su Nick Cave, che non ne ripercorre la storia, ma lo affianca durante la registrazione dell’allora nuovo album (Push the sky away) infarcito di considerazioni personali sulla musica, la vita, la memoria.
Di fatto questo non è un documentario, ma un film di pura fiction con molti personaggi che interpretano sé stessi. I registi infatti costruiscono scene impegnative, richiedono determinati movimenti e posizioni agli “attori”, creano una fotografia satura bellissima, ma soprattutto creano location che interpretino il personaggio e ne parlino. In questo senso è magnifico l’ufficio di Nick Cave.
A conti fatti, più che un film sulla musica, questo è un film sulla memoria e il lavoro visivo (e cinematografico in genere) fatto per rappresentarla o avere la scusa di parlarne è encomiabile: “l’intervista” tenuta dallo psicoanalista che ripercorre i ricordi del cantante; le opinioni dei vecchi amici che vengono mostrati come fantasie di Cave mentre guida (una delle idee migliori); ma soprattutto l’archivio dei ricordi.
Un’opera colossale che dice molto di più di quanto non venga espresso con i lunghi dialoghi, riesce ad avere picchi di surrealtà (con Warren Ellis) e di immagine iconiche... tuttavia può facilmente deludere i fan che otterranno poche informazioni, ma soprattutto deluderà chi si aspetta un film (o un documentario) vero e proprio; se si ha la pazienza di vederlo, però, si avrà un dei documentari più belli e più strani.

venerdì 15 novembre 2019

Iron man - Jon Favreau (2008)

(Id.)

Visto in tv.

Il primo capitolo della nuova vita della Marvel cinematografica è una delle operazioni meglio riuscite di sempre e uno dei film di supereroi più belli dell'epoca (a parte alcuni Batman).

Il film è una classicissima origin story e deve portare a casa il risultato presentando un personaggio sconosciuto a più, raccontarlo nel dettaglio prima, mostrare come c'è arrivato e poi farlo scontrare con il villain del caso.
Il metodo scelto per farlo è vincente.
Il film si concentra tantissimo sul personaggio, lo manipola rendendolo cool e divertente e lo mette in mano a Robert Downey Jr (il personaggio è proprio ritagliato su di lui). Mai una scelta di casting fu più azzeccata. Oggi nessuno avrebbe dubbi ad affidare a Downey Jr le chiavi di casa, ma all'epoca l'attore (con tutti i suoi problemi) arrivava da una serie di film imbarazzanti, alcuni ottimi film che abbiamo visto in due, e altri film dove semplicemente non lo si poteva riconoscere (e comunque li abbiamo visti in due). Questo personaggio invece gli permette di gigioneggiare al meglio e dare sfoggio di una gamma di possibilità attoriali (esagerate) che gli verranno buone e lo rilanceranno.
Il film si poggia integralmente sul suo attore/personaggio e gira intorno distruggendo quello che era l'archetipo supereroistico sopravvissuto fino a quegli anni (quello anni 80-90 di Batman) con un personaggio principale triste e esolitario e prieno di problemi e un supoerpotere visto con fatica o con responasibilità; qui si vira il tutto verso l'edonismo.
Il tutto condito da una fotografia ottimale, molto illuminata e tendente ai colori caldi.

L'altra grande scommessa è quella di creare un film con un antagonista quasi inesistente; certo il villain arriva, ma molto tardi, dall'interno e quasi per sbaglio, dando vita a una delle (estremamente efficace) sequenze action di un fil m d'azione povero d'azione.

Un film non scontato che diventerà seminale che azzecca tutto, dall'estetica al tono al ritmo fondando una nuova linea di supereroi.

lunedì 11 novembre 2019

Voices - Jason Moore (2012)

(Pitch perfect)

Visto in tv.

In un college americano i gruppi di canto a cappella se le suonano di santa ragione, ci sarà l'outsider che deve combattere per essere inserita fra le ragazze che contano e la grande sfida da vincere a New York.

Buffo film americano che si basa sulle classiche dinamiche del cinema sulle università americane, con i personaggi macchiettistici che dovranno andare d'accordo per lo show finale; la trama è un lento progredire nel rendersi conte che alla fine "non siamo così diversi".
Quello che mi spacca sempre di un certo cinema facile dagli States è il riuscire a far sembrare centrali degli argomenti estremamente marginali. Qui il canto a cappella sembra essere l'unica attività realmente valevole nel college e l'unica che distingua gli studenti più cool da tutti gli altri.

Questo film vorrebbe staccarsi dalla calca di commedie positive per ragazzine con un piglio più controcorrente, per lo più lasciato alla comicità e alla presenza scenica di Rebel Wilson e mischiandolo con dettagli divergenti dall'usuale (picco di nonsense con le due scene del vomito che rappresentano davvero il, piccolo, cambio di passo del film), ma che viene velocemente eclissato dall'andamento sempre più ovvio e banale che si conclude con il gran finale.

Un film, come tanti, con solo un angelo di vomito per distinguersi.

PS: ho una speciale idiosincrasia per la Kendrick che me la fa odiare quasi subito, in questo film mi è parsa più tollerabile dle solito.

PPS: trovo ridicola l'idea di utilizzare la musica di Guetta

venerdì 8 novembre 2019

Il libro della giungla - Jon Favreau (2016)

(The jungle book)

Visto in tv.

La versione live action del film classico Disney ha ben poco di live action.
Nell'anno dell'uscita de "Il re leone" questo "Libro della giungla" sembra essere stata la prova generale per valutare la realizzazione di animali verosimili con il la CG.

L'effetto è sbalorditivo con animali estremamente realistici anche senza il supporto di inquadrature distanti o di ombre e nebbie e rappresenta anche una delle prime (assieme a "Cenerentola") rielaborazioni di classici di animazione, facendo da apripista alla selva di film a cui stiamo assistendo in questi anni. Il tono qui sembra chiaro, tutto improntato alla verosimiglianza, alla credibilità, alla riattualizzazione dei temi e a una nuova taratura del target.
Le canzoni vengono relegate a qualche canticchio a mezza voce e non diventano più minutaggio importante; l'atmosfera è più adulta con momenti estatici (gli elefanti) e altri di maggior inquietudine (la stupenda sequenza con Re Luigi). Il tema di fondo, dell'accettazione delle differenze nel film originale diventava una presa di coscienza di appartenere a un altro mondo a cui tornare, qui invece diventa la consapevolezza di essere diversi, ma nello stesso contesto sociale e vira verso l'inno all'accettazione (scarto di prospettiva importante per la Disney che per decenni ha rappresentato la pubblicità dello status quo più reazionario).
La verosimiglianza è invece tutta nella scelta estetica degli ambienti dei personaggi in CGI e determina la qualità del film, fantastica e curatissima, limita l'espressività dei personaggi per ovvi motivi (gli orsi non sorridono), ma riesce lo stesso a veicolare i messaggi necessari.

lunedì 4 novembre 2019

Latin lover - Cristina Comencini (2015)

(Id.)

Visto in DVD.

Le quattro figlie di un grande attore del cinema italiano fino agli anni '70, ne devono onorare il decennale della morte con una retrospettiva. L'occasione, come si può immaginare, è il momento buono per far esplodere tutti i problemi e i segreti di una famiglia allargatissima.

Si muovo in un ambiente già molto usato, la Comencini, e nel farlo vorrebbe fare onore al cinema italiano di una volta. Con uno sguardo nostalgico enorme e una continua citazione diretta di molti film ("Il sorpasso", "Per qualche dollaro in più", "La classe operaia va in paradiso", "Divorzio all'italiana", "L'armata Brancaleone", ecc...), la regista non sembra però trovare mai la via per arrivare al punto di vista giusto, all'occhiata interessante. A livello di contenuti la storia è tracciata in maniera piuttosto consueta e semplicistica (seppure con migliaia di "colpi di scena"); dal punto di vista estetico ci prova ad essere originale o citazionista in maniera concreta, almeno all'inizio, ma rimane sempre superficiale e non riesce mai a spingersi oltre un gusto superiore solo a quello televisivo.

Il film vive sulle spalle di un cast tutto femminile (con due o tre comprimari maschili più o meno secondari) ovviamente molto discontinuo. Meravigliosa la perfetta Candela Peña, completamente in parte, tanto da non sembrar recitare; enfatica, ma aggraziata, Virna Lisi (scelta corretta?); una Finocchiaro e una Bruni Tedeschi che si limitano a rifare lo stesso personaggio su cui sono rodate; infine uno Scianna, nella parte del protagonista assente che non mi sembra essere la scelta di casting giusta, possibile non ci fosse nessuno con più fascino?

Nel complesso questo film zoppicante si fa vedere, con abbastanza gusto nella prima parte e sempre più zoppicante a mano a mano che prosegue. Un film adattissimo a una pigra domenica pomeriggio mentre fuori piove, ma nulla di più.

venerdì 1 novembre 2019

Non aprite quella porta - Tobe Hooper (1974)

(The Texas chain saw massacre)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amici va a in gita nelle profonde campagne texane; il motivo che li spinge è poco attraente: una serie di profanazioni nel cimitero locale spingono due del gruppo a cercare la tomba e la casa del nonno per vedere se sono stati coinvolti. Finiranno tutti nelle mani della peggior famiglia di redneck dedita al cannibalismo.

La storia è nota e il dietro le quinte produttivo pure (un film amatoriale realizzato con studenti e colleghi del professor Hooper) per questo che non si può candidare come il primo slasher della storia per essere stato superato dalla mosca bianca Gordon Lewis, ma si propone come il primo horror extraurbano (quelli di gruppi di persone che si perdono e vengono massacrati da maniaci). Risulta anche essere il primo della new wave horrorifica degli anni '70 che portò uno svecchiamento incredibile nel genere (incancrenito sui film d'atmosfera iniziati negli anni '30 e codificati nei '50) e che fece da base per l'horror come lo conosciamo ancora oggi. Hooper però è lontano anni luce dalla patinata perfezione formale di "Halloween" o dal puritanesimo di fondo di "Venerdì 13"; si trova più vicino al gusto del primo Wes Craven, seppur in anticipo sul collega.

La visione horrorifica di Hooper è piuttosto chiara e semplice; l'orrore deve essere immediato e senza tanti fronzoli: atmosfera creata con immagini che lasciano poco all'immaginazione (cadaveri in decomposizione, ossa, sangue, ecc..), niente abbellimenti cinematografici (anche se la fotografia non modificata o l'assenza di musiche sono motivate pure dal progetto amatoriale) e la violenza che esplode improvvisa, rapida e feroce. il film si concede una fuga e un inseguimento solo con l'ultima vittima, nel resto del film faccia di cuoio salterà fuori ucciderà e tornerà dietro la porta senza attendere o permettere il minimo di suspense; è l'orrore puro, non un film di Hitchcock.

La regia è interessante e mostra che dietro la macchina da presa non c'è un semplice esordiente, ma a vincere è la visione d'insieme, il tocco quasi documentaristico (termine esagerato, me ne rendo conto), la verosimiglianza come unico metro.

Il film comunque mostra tutti i difetti dell'opera artigianale, sia dal punto di vista visivo, sia in quello del ritmo, con un dilungarsi della cena finale che annoia più che aumentarne l'effetto. Ci si trova comunque davanti a un film basilare che diverrà archetipico, un classico che farà scuola.