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lunedì 24 dicembre 2018

Paisà - Roberto Rossellini (1946)

(Id.)

Visto in Dvx.

Sei episodi ambientati durante la guerra di liberazione in Italia. A partire dalla Sicilia e sei episodi si spostano verso nord per terminare a Venezia.
Più che mostrare la guerra o i suoi effetti, sembrano voler mostrare i rapporti fra italiani ed esercito alleato; rapporti fatti di diffidenza, accettazione, incomprensioni. Il tema è assolutamente innovativo e interessante; ovvio che i nazisti siano i cattivi (...anche se poi tanto ovvio non è dato il fascismo) e i tanti film sul tema della convivenza con i tedeschi durante la guerra sanno di stantio, ma la convivenza con i liberatori (un esercito di persone culturalmente molto distanti, che parlano una lingua diversa, con intenti che non sono sempre gli stessi degli italiani e che devono rapportarsi con un popolo che fino al giorno prima era il nemico) dà spunti molto più interessanti e continua a rimanere un tema poco trattato.
Seppure gli episodi siano del tutto indipendenti il tema comune lega bene tutto e sembra una sorta di sviluppo della stessa trama, mostrando l'incremento di intimità fra i due personaggi collettivi, mostrando l'evoluzione dei loro rapporti.

Come sempre nei film a episodi la qualità è altalenante. Molto bello il terzo episodio, semplice, veloce, ma emotivamente denso; il quarto risulta uno dei migliori (una cora attraverso una guerra che non appartiene al protagonista e della quale importa solo indirettamente), ma anca una conclusione efficace; non di livello il quinto che si perde dietro il rapportarsi fra religioni diverse; gli altri buoni, con qualche ingenuità o qualche semplificazione eccessiva, ma ognuno raggiunge il suo obiettivo.
Pessima la voice off da Istituto Luce che introduce i vari episodi.

Tutto sommato direi che questo è un film più importante (anche come documento storico) che non ben realizzato, più intelligente che indimenticabile.

mercoledì 16 maggio 2018

Il bandito - Alberto Lattuada (1946)

(Id.)

Visto in Dvx.

Ritornato dalla prigionia in Germania, Amedeo Nazzari, ritrova una casa distrutta dalle bombe, la amdre morta e la sorella cstretta a prostituirsi, poi un nuovo guizzo di sfortuna lo rende completamente solo, dovrà arrangiarsi, ma nella sfortuna si ritroverà a guidare un manipolo di gnagster locali e diventare il bandito per eccellenza della zona; ma il destino saprà di nuovo metterlo alle strette.

Un film che è un noir all'italiana; disillusione, il gioco del fato che decide più dei protagonisti, la facilità con cui si muore e l'impossbilità di amare, una femme fatale che manipola; Lattuada si mette alla regia di quello che, nella parte iniziale, potrebbe essere un film di Fritz Lang e, almeno nella prima parte, riesce a mantenerne il mood senza abdicare al tocco personale.
Si, perché il ritno dal fronte è il classico film italiano di brava gente che cerca di sopravvivere, perché l'arrivo a casa del protagonista è puro neorealismo; ma in ogni momento la fotografia oscura dimostra che l'intento è un altro; dando vita a scene incredibili (la panoramica sulla casa distrutta, fratello e sorella nella scena sulle scale, ma anche la scoperta della sorella stessa) che sono, di gran lunga, la cosa migliore del film.
Nella seconda parte, quella in cui c'è la nascita di un gangster di provincia, pur mantenendo qualità e idee perde in interesse, fino al ritorno di fiamma del finale, eccessivo forse, ma in linea con quanto visto all'inizio (anche se speculare, con l'ambiente innevato che fa da negativo dell'oscurità dell'incipit).
Nazzari ha il portamento giusto per la parte anche se il tono troppo impostato lo sqaulifica spesso; invece la Magnani si mangia ogni scena in cui compare.

In ogni caso uno dei film migliori di Lattuada


mercoledì 22 febbraio 2017

Il castello di Dragonwyck - Joseph Mankiewicz (1946)

(Dragonwyck)

Visto in Dvx.

Un ricco nobile offre ospitalità e finanziamento degli studi alla cugina spiantata. Il suo piano però non si limita a un puro gesto di generosità; desideroso di avere una discendenza vorrebbe eliminare la moglie (probabilmente sterile) e sposare la giovane cugina. Il piano gli riesce, ma la discendenza continuerà ad avere problemi e il malcapitato sarà vittima di pura follia.

Questo è il classico film goticheggiante con nobiltà e segreti in famiglia con un marito arcigno quanto Boyer in "Angoscia" e una struttura che ricorda "Rebecca" o "Dietro la porta chiusa" (quest'utlimo, a dire la verità, di poco successivo ala film di Mankiewicz); purtroppo a inserirsi in un genere così ben rappresentato (numericamente e qualitativamente) nello stesso periodo dei colleghi più capaci bisogna proprio esserne all'altezza e, per quanto Mankiewicz non manchi di eleganza, non raggiunge minimamente gli obiettivi prefissi.
La scelta dei protagonisti è estremamente azzeccata, la Tierney trasuda innocenza come respira, mentre Price riuscirebbe a dare ambiguità all'elenco del telefono. L'impianto della storia è piuttosto scontato, ma perde veramente nella seconda parte in cui si fa raffazzonato e poco incisivo. Il gotico è un'idea che viene paventata in molte occasioni, ma programmaticamente il film sembra volergli girare intorno senza toccarlo mai.
Quello che ne viene fuori è un film con tutti i presupposti, ma totalmente senza grip.

Mankiewicz comunque non è l'ultimo dei cretini e pur non riuscendo a dare ritmo o interesse a una storia un pò scialba, beh, fa il suo; qualche costruzione di scene su più piani, alcuni carrelli ben utilizzati, diverse inquadrature dal basso; niente che salvi l'opera, ma almeno tiene accesa l'attenzione.

venerdì 19 settembre 2014

Sfida infernale - John Ford (1946)

(My darling Clementine)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

La storia di Wyatt Earp e dei suoi fratelli; giunti a Tombstone con la loro mandria saranno derubati ed il più giovane verrà ucciso; Wyatt diventerà sceriffo per trovare gli assassini, nel frattempo si legherà ad un tormentato (e solo parzialmente onesto) Doc Holliday.

Un film western che ha l'andamento calmo e sicuro del classico con poche idee nuove, in realtà del western canonico centra poco; anzi a dirla tutta del western in generale ha poco. La sparatoria finale (quella sfida all'O.K. Corral che qui viene portata sullo schermo per la prima volta) è solo il pretesto per far finire alcuni personaggi, per far muovere il protagonista in quell'ambiente e, credo, anche per giustificare l'ambientazione di frontiera; tutto si conclude in 10 minuti. Il resto del film è il rapporto conflittuale di amicizia virile fra il classico impeccabile protagonista americano e un poco di buono locale con più scheletri che armadi, ma fortemente morale.
Se le battute migliori (e quelle più divertenti) sono tutte di Fonda, l'unico personaggio con un minimo di spessore è quello di Mature (che mi sconvolge non vedere con addosso una tunica)... va detto che comunque non ce n'è per nessuno, Fonda si mangia tutti a uso ridere.

Il film è gradevolissimo nello sviluppo e nel ritmo e riesce magistralmente a gestire le luci e le ombre (soprattutto nelle scene in notturna) dimostrando le capacità di un ottimo John Ford.

venerdì 2 settembre 2011

Notorius, l'amante perduta - Alfred Hitchcock (1946)

(Notorious)

Visto in DVD. Grant è una spia americana che assolda la Bergman (figlia di un collaborazionista nazista) per incastrare Rains una sua vecchia fiamma, tedesco, che lavora in Brasile in oscuri traffici; purtroppo anche lui si innamorerà della donna e il lavoro diventerà sempre più difficile.

Stupendo film di Hitchcock che mescola il melodramma sentimentale con il mystery, mix che gli riesce benissimo come il successivo Vertigo. Ecco, qui sembra esserci il meglio di Hitchcock, non limitandosi a fare un film giallo canonico mette in risalto alcune capacità davvero notevoli, tutta la lunga scena finale è un capolavoro, di romanticismo con l’incontro tra Grant e la malata Bergman e di minaccia suggerita messa in un ambiente che più borghese non si può, con la parte della “fuga”. Affascinante anche il gioco delle parti tra i due protagonisti che non esplicitano mai (almeno Grant) i sentimenti se non quando sembra troppo tardi. Curioso anche notare come il buono della vicenda subordini i propri sentimenti al dovere di stato risultando spesso sprezzante e aggressivo, mentre il nazista della vicenda risulta mostrare un sentimento ingenuo ma onesto… questo Hitchcock fa sempre vedere un lato positivo nei nazisti.

L’altro grande pregio del film è nella regia. Se Hitchcock è sempre grandioso qui lo è di più. La famosissima scena della festa in cui da un’inquadratura a campo lungo finisce sul dettaglio della mano con la chiave della cantina è solo al punta dell’iceberg. Mille sono i momenti meritevoli, i continui ed insistenti dettagli sparsi per tutto il film, il primo piano dei due innamorati che li segue per le varie stanze nella loro prima scena d’amore nell’albergo, l’inquadratura che suggerisce l’avvelenamento tramite il caffè senza bisogno che nessuno l’abbia mai detto e la successiva inquadratura della tazzina che incombe sulla Bergman, ecc…

Un film sorprendentemente buono che mette in ombra anche gli altri film dello stesso regista; probabilmente uno dei migliori Hitchcock anni ’40.

giovedì 31 marzo 2011

I migliori anni della nostra vita - William Wyler (1946)

(The best years of our lives)

Visto in DVD.
Non lo so con certezza, ma così, ad intuito direi che questo è uno dei primi film sui reduci mai realizzato, considerando che è stato fatto nel 1946… e comunque è quasi di sicuro il primo sui reduci della seconda guerra mondiale.

La storia è proprio questa, 3 militari di ritorno dalla guerra pendono lo stesso aereo per tornare nella stessa città; in quel breve viaggio i 3 si uniscono molto e si incontreranno spesso. Ognuno porta con se una storia dolorosa, un trauma e delle aspettative. C’è March con una moglie vista in totale per 20 giorni, ovviamente non sarà la donna che pensava e finché lui avrà soldi andrà tutto bene, ma per un reduce trovare lavoro non è facile. C’è Andrews che ritornerà ad una famiglia che ancora gli vuol bene nonostante i molti anni di silenzio, tornerà anche al suo lavoro in banca, ma si scontrerà (neanche tanto) con il capo per la gestione dei finanziamenti ai reduci. Infine c’è la storia più pesante, quella di Harold Russell, marinaio che durante un incendio ha perduto entrambe le mani e ora se la cava da dio con una paio di uncini (Russell non è un attore professionista, ma un vero reduce, e realmente invalido; questo però non impedirà all’Academy di fargli avere un oscar come miglior attore non protagonista); ovviamente lui dovrà affrontare la vita di tutti i giorni in questa nuova ottica, ricucire i rapporti famigliari, e soprattutto con la sua fidanzata, cercando di non farsi compatire.

Diciamolo subito, il film è melo drammone enfatico più lungo del dovuto, che però, incredibilmente, non pesa troppo. L’happy ending totale sarebbe stucchevole, se non fosse completamente in linea con tutto quanto accaduto fino a quel momento.

Ciò che però salva realmente il film è Wyler, che imbastisce una regia, a mio avviso, inferiore a quella di “Piccole volpi”, ma comunque degna di nota (su tutte è da antologia la scena di March dentro la carlinga dell’aereo distrutto). Wyler però, anche in questo caso, si fa aiutare da Toland (per chi non lo conosce è il grande direttore della fotografia che ha reso possibile “Quarto potere” di Welles, oltre che il già citato “Piccole volpi”), le sue impressionanti profondità di campo sono poco sfruttate, è vero, (giusto qualche scena costruita su due piani e qualche carrello le utilizzano) ma i giochi di specchi che tanto gli piacciono, impazzano, rendendo fenomenali alcune sequenze che senza di questi sarebbero state piuttosto piatte (su tutte, la scena delle due donne in bagno a rifarsi il trucco è un capolavoro).

In definitiva risulta godibilissimo, e funzionale. Può appagare tutti, se si sopportano le due ore e passa di durata.

domenica 30 gennaio 2011

Gilda - Charles Vidor (1946)

(Gilda)

Visto in DVD.

C’è poco da dire, ci si trova davanti ad un noir classico che potrebbe essere il più didattico di tutti.
La storia, al contrario di altri film di questo genere, è semplice e lineare; un trianglo amoroso tra un magnate e gestore di una casa da gioco illegale a Buenos Aires, il suo braccio destro ed unico amico (umano almeno) fuggito dagli USA a causa di una donna; e Rita Hayworth, neomoglie del magnate e causa della fuga del braccio destro dagli stati uniti. Tutti e 2 gli ex amanti saranno costretti a vivere gomito a gomito fin alle ovvie conseguenze.
La Hayworth, in questo film, rappresenta l’archetipo perfetto della dark lady, sensuale, vivace e gonfia d’odio, disposta a tutto pur di giungere ai suoi obbiettivi, e nello stesso tempo vincolata dalla situazione. Il rapporto fra i due è, assieme a quello dei protagonisti di “Duello al sole”, la migliore rappresentazione di una relazione sorretta in egual misura dall’amore e dall’odio, entrambi spietati.
C’è tutto in questo film; personaggi scolpiti nella pietra, attori e caratteristi in parte, inutili numeri musicali, dialoghi perfetti degni di un’antologia di aforismi… tutto è perfetto tranne il finale, troppo positivo per essere la degna conclusione di un noir così torbido, buonista, ma almeno ha l’attenuante di essere ironico.
PS: la Hayworth canta "Put the blame on mame" in un vestito senza spalle che farà la storia del cinema.

giovedì 20 gennaio 2011

La bella e la bestia - Jean Cocteau (1946)

(La belle et la bête)

Visto in VHS.

Questo film è palesemente la base da cui la Disney ha tratto il suo cartone!!! È evidente dall’estetica dei personaggi, e dal fatto che nella storia originale ci fossero solo le 2 sorelle e non Gaston, che viene invece introdotto da Cocteau (anche se in questo film non si chiama così, ma poco importa)!!!
In ogni caso, lo dico subito il film Disney è decisamente superiore.
L’opera di Cocteau invece risulta abbastanza incomprensibile e noiosetta nella trama; è infatti ripetitiva negli avvenimenti e troppe cose vengono date per scontate (il fatto che la bestia fumi a causa degli omicidi che compie l’ho capito dopo un po e solo perché Cocteau stesso ne fa un rapido accenno nell’intro)… ma d’altra parte non è da vedere per questo motivo.
Cocteau è famoso per il suo stato sognante, per l’onirismo che impera nei suoi film, e questo certo non fa eccezione. Se la maschera della Bestia è già di per se ottima, le idee di scenografia cono imbattibili, come i candelabri sorretti da mani che escono dai muri o le stanze rese enormi da un’ombra costante che non ne mostra i limiti. Oltre ovviamente agli effetti speciali, realizzati per lo più facendo tornare indietro le immagini, creando un effetto straniante e perfettamente riuscito.
Curioso notare che, come nel successivo film Disney, la Bestia risulti decisamente più interessante del principe in cui si trasforma.

sabato 15 gennaio 2011

La vita è meravigliosa - Frank Capra (1946)

(It's a wonderful life)

Visto in DVD.

Commedia dolcissima ma non sdolcinata, imperniata su di un uomo buono che ammazza le sue ambizioni a causa degli altri e, come solo nei film di Capra succede, viene poi ripagato con l’altrui generosità.
Il film si fa seguire con una storia dalle giuste dosi di ritmo e grazia e con alcuni magnifici momenti di reale maestria nelle storie d’amore, come da bambini quando mary sussurra il suo amore nell’orecchio sordo, il dialogo al telefono a tre in cui i due innamorati si attraggono e respingono contemporaneamente… ecc…
Godibile oltre ogni dire e soprattutto non irritante, neppure nello zuccheratissimo finale. Un film che incita alla vita senza mai scadere nel già visto o nel già detto.
La vita è meravigliosa risulta anche importante nell’immaginario cinematografico statunitense per alcune idee poi ripetutamente sfruttate, come Dio rappresentato come una galassia (o una nebulosa, non me ne intendo benissimo di astronomia), l’angelo inviato dal cielo che mostra come sarebbe il mondo se il protagonista non fosse mai nato, o il canto in coro di canzoni natalizie nel finale (che si ritrova in quasi tutti i telefilm made in USA).

mercoledì 5 gennaio 2011

Sciuscià - Vittorio De Sica (1946)

(Id.)

Visto in VHS.

Il bello di De Sica è che riesce a raccontare melodrammi con una leggerezza, una facilità impressionante; storie ricche di sentimenti che non risultano mai banali o scontate.

Una coppia di amici che di lavoro fanno i sciuscià e che progetta di comprarsi un cavallo viene arrestata a causa del fratello di uno dei due, e in carcere verranno divisi. Inutile dire che faranno esperienze diverse ed uno dei due sarà portato a tradire con un trucco del direttore. Il rapporto fra i due cambierà radicalmente…

Un’amicizia assoluta distrutta con l’inganno e a quel punto inizia un gioco di vendette reciproche e tentativi di riappacificazione fallimentari che hanno un sentore di tragedia greca (pur con la grazia di una favola infantile), fino alla conclusione, non scontata, ma neppure a sorpresa, semplicemente giusta per il tono della storia. Finale definitivo che, nel suo piccolo, ha un che di epico (e come si è già detto, ha il tono e l’ambientazione di una fiaba).

De Sica si dimostra poi uno storyteller raffinato, tutto teso a rendere credibile e realistico il contorno ed i personaggi secondari prima ancora dei protagonista; stupendi quindi i piccoli riferimenti alla vita privata dei comprimari, le continue incursioni in vari ambiti della vita di tutti i giorni (come i riferimenti allo spiritismo che ricorrono spesso nella sua cinematografia, qui ad esempio vi è la cartomante derubata) o le correlazioni con il periodo fascista appena finito (l’uso del voi del direttore della prigione o il saluto romano).

In un unico film riesce a parlare della vita di strada dei minorenni, dei carceri, dei tribunali e incidentalmente denuncia anche la situazione dei sanatori, delle forze dell’ordine e delle condizioni di vita a vari livelli sociali.

E come non citare poi la regia oggettivamente stupenda, libera e precisa oltre le aspettative considerando l’anno di realizzazione. Neanche un anno dalla fine della guerra e già usavano il dolly! (o simili).

domenica 7 novembre 2010

Lo specchio scuro - Robert Siodmak (1946)

(The dark mirror)

Visto in VHS.

Un uomo viene assassinato, si riesce a rintracciare la presunta colpevole, ma c'è un problema, ha una sorella gemella identica, ed essendo irriconoscibile la legge ha le mani legate, non può accusare 2 persone dello stesso crimine e non può dimostrare con certezza quale delle 2 abbia commesso il fatto. Uno psichiatra si metterà ad indagare per proprio conto scoprendo in una delle due sorelle la follia.
Stupendo film sul tema del doppio e della manipolazione con la costruzione di un personaggio (Terry) tra i migliori pazzi di sempre (cerca di rendere folle la sorella per potersene disfare, e ammazza tutti quelli che non le mostrano le dovute attenzioni).

Noir oscuro al di la delle ombre del bianco e nero ben diretto dall'adatto Siodmak e stupendamente interpretato dalla de Havilland che nella follia sembra proprio sguazzarci, dando credibilità ad entrambe le protagoniste. Primo caso, che io sappio, di un attore che interpreta due gemelli.

martedì 2 novembre 2010

Crisi - Ingmar Bergman (1946)

(Kris)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Al suo primo film Bergman vuole già fare l’adulto e mette insieme un drammone famigliare melodrammatico al massimo, con madri putative buone e morenti che vengono defraudate del loro bene più caro, la figlia, dalla madre biologica dopo che questa s’è divertita per tutti gli anni in mezzo, fregandosene della prole. Poi ci mette in mezzo pure la differenza fra villaggetto di campagna e grande città e pure i primi amori di una ragazza; un po’ tutto quello che si può mettere in un melò (ci sono pure le lacrime trattenute).

La regia è quanto di più novelle vagueano sia mai stato fatto prima di Truffaut, con temi adulti mostrati con realismo, ambienti essenziali ma credibili, quel tanto di intellettualismo che fa applaudire la critica e tutta la messa in scena che si interessa tanto dell’estetica quanto della naturalità di come vengono mostrate le cose. Ottimo, nel dettaglio, l’uso insistito dei lenti carrelli utilizzati in zoom in avanti ed indietro per rendere ariose le scene con un solo piano sequenza.

Un buon inizio, un poco noiosetto; anche se il suo difetto maggiore è la voce fuori campo all’inizio e alla fine del film, decisamente pessima.

martedì 19 ottobre 2010

Venere peccatrice - Edgar G. Ulmer (1946)

(The strange woman)

Registrato dalla tv, in lingua originale sottotitolato.

Una ragazza educanta ad arrangiarsi anche a spese degli altri diventa una donna bella e desiderata, riesce così a sposarsi con un anziano possidente ed a raggiungere uno status sociale alto che consolida con gesti di inaspettata generosità... ovviamente però non è felice e per potersi sposare con il suo figliastro (amato fin dall'infazia) causa la morte del marito... il nuovo amante però roso dai sensi di colpa sarà accantonato per uno dei suoi dipendenti (il mio amico di sempre George Sanders) e arriverà a suicidarsi...
Film nerissimo assolutamente ai limiti di ogni genere che molto si avvicina a "Lady Vendetta", senza però averne le medesime motivazioni. La protagonista del film è una dark lady assolutamente atipica, capace di slanci di generosità, che però spesso sono dovuti ai traumi infantili che lei ha subito e pertanto mai del tutto gratuiti. La stessa donna però passa sopra ad ogni uomo senza pensarci due volte fino ad autodistruggersi per amore (!).
Film a basso costo realizzato da dio, originale e ben condotto da un Ulmer onesto, e che permette di allargare i confini del noir oltre i soliti cliché del periodo. Una notevole sorpresa.

venerdì 16 aprile 2010

Il grande sonno - Howard Hawks (1946)

(The big sleep)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Dall'omonimo e intricatissimo romanzo di Chandler viene tirato fuori questo film, che è un pò la summa delle diverse intelligenze che si sono messe a realizzarlo.
In primo luogo c'è Faulkner alla sceneggiatura, ed essendo uno dei migliori scrittori americani riesce a tirare fuori una storia coerente e neppure troppo complicata (se sembra difficile da seguire, assicuro che in confronto al libro questo film sembra un gingerino) da quella esondazione di parole che è l'opera originale (addirittura Chandler non si ritrovava in quella storia, e diceva di non sapere con esattezza neppure lui chi avesse compiuto tutti gli omicidi). Ma non basta, perchè oltre a dargli struttura, crea uno dei film dai dialoghi meglio realizzati di sempre, graffianti, rapidi, sempre a tono, davvero magnifico.
Poi ci sono gli interpreti, Bogart che riesce a recitare, ma non solo, recita pure bene!!! e la Bacall che è assolutamente impeccabile (come dicevano all'epoca, l'unica donna in grado di tenere testa a Bogart). Meglio vederlo in originale, il doppiaggio italiano stona e ammazza metà della recitazione.
E poi c'è Hawks... ad essere sincero io non vedo un suo tocco particolare, una magia nelle sue riprese; certamente è un cultore dei movimenti di macchina, ma per il resto non mi è sembrato nulla di evidente. Però è certamente un ottimo narratore, riuscendo a far scorrere una storia complicata come fosse un giallo di Angela Lansbury.
Già qualche anno prima avevano provato una miscela simile per "Acque del sud", ma la bellezza e la perfezione di questo film non sono neanche paragonabili... e questo con tutti gli elementi al loro posto... questo a dire che i componenti sono fondamentali, ma pure la fortuna non è inutile.

mercoledì 2 dicembre 2009

Bedlam - Mark Robson (1946)

(Id.; in Italia è anche noto come "Manicomio")

Visto in VHS, registrato dalla tv.

Un film piuttosto convenzionale per regia, che regala solo alcuni momenti davvero interessanti.
Il film è stato prodotto da Val Lewton, va precisato, perchè come di consueto si basa più sul non visto e sulle atmosfere piuttosto che sui fatti che vengono mostrati; ed i questo riesce abbastanza bene, anche grazie a Karloff che a fare il bastardo riesce sempre (buona la sua interpretazione).
La storia è quella del manicomio di Bedlam appunto, diretto da Boris Karloff, i cui metodi verranno messi sotto accusa da Anna Lee, ma Karloff sparà come difendersi...
Ovviamente finisce come deve finire un film di quegli anni, ma la scena del giudizio dei pazzi (che chissà perchè mi ricorda "M, il mostro di Dusseldorf") è decisamente ben realizzata.

Il trio Robson, Lewton, Karloff si era incontrato solo un anno prima per l'ancora più modesto "Il vampiro dell'isola".