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mercoledì 10 aprile 2019

Rotaie - Mario Camerini (1929)

(Id.)

Visto registrato dalla tv.

Due giovani che si amano contro il parere delle famiglie decidono di suicidarsi insieme. La stanzetta che hanno preso per l'estremo gesto è vicino alle rotaie e il treno che passa all'improvviso li fa desistere all'ultimo. Alla stazione trovano un portafoglio, con i soldi partono e si mantengono sopra le loro possibilità giocando al casinò. Quando la fortuna girerà tornerà la crisi.

Considerato la resurrezione del cinema italiano dopo la crisi degli anni '20 (crisi che ancora non ho visto) è in effetti un film dalla storia molto semplice (e piuttosto altalenante), ma ha uno stile modernissimo, quasi contemporaneo.

Regia molto mobile, segue i movimenti degli attori, le mani e i volti; utilizza diversi carrelli che inseguono i personaggi in una stanza; gioca benissimo con il montaggio affiancando spesso due eventi collegati per rinforzarli (i due amanti con le mani intrecciate e il veleno; i due coricati assieme sul treno e le ruote che girano) o dando ritmo con sequenze d’immagini in rapida successione (come nella fabbrica, o arrivando fino alla sovrapposizione, come nella sequenza del gioco alla roulette).
Un encomio particolare la scena del tentato suicidio con la macchina da presa che continua  muoversi tra i volti degli amanti e le loro mani in montaggio alternato con il bicchiere.

Inoltre nell'ultima parte del film la trama prende una piega inaspettata anticipando di sessantanni "Proposta indecente".

venerdì 12 ottobre 2018

Alleluja! - King Vidor (1929)

(Hallelujah)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Negli anni '20 diversi film (cortometraggi) con protagonisti afro-americani cominciarono a fiorire, o con contenuti apertamente caricaturali o per autoproduzioni a basso costo. Alla fine del quel decennio, con l'arrivo del sonoro ("Il cantante di Jazz" è solo di due anni più vecchio), le grandi produzioni americane divennero, cautamente, più propense ad aprirsi a film che garantassero di aumentare il mercato verso le minoranze razziali. A questa minima apertura si appigliò Vidor, cresciuto nel sud, allevato da una donna di colore, da anni avrebbe voluto realizzare un film sulle condizioni dei neri. Oltre all'apertura mentale, Vidor, si appigliò anche al fatto che parte dei soldi li avrebbe messi lui. Il film venne realizzato.
Per rimanere nell'anedottica anti-razzista, per la scrittura della sceneggiatura venne ingaggiata l'unica sceneggiatrice donna dell'epoca, Wanda Tuchock.

Il film parla di un lavoratore dei campi di cotone del Tennessee che rimane invischiato nell'omicidio del fratello, a seguito del quale, riscopre la fede e si fa predicatore; ma la carne è debole e per una donna abbandona tutto e tutti (i numerosi familiari).

Ecco, sicuramente la produzione accettò anche per l'intenzione di Vidor di costellare il film di molti momenti musicali (non è un musical vero e proprio, ma la musica permea tutto il film), così da sfruttare al meglio il sonoro. Quello che però mi rimane in sospeso è sapere chi ha voluto dare a questo film un taglio così leggero. La trama è un ottimo materiale per il melodramma, ma tutto il film ha il respiro della commedia di redenzione, con l'aggravante di un incipit (20-30 minuti) che ha intento più ridanciano. Spesso questo film viene accusato di mostrare lo stereotipo dell'epoca dei neri come dissoluti incapaci di controllare i propri impulsi (anche se Vidor sembra toccare apposta questi temi per smentirli; con il protagonista che vuole baciare la donna, ma si trattiene e se ne scusa, o che riesce a resistere alla voglia del gioco d'azzardo, almeno all'inizio); a mio avviso più di quello, il film può essere accusato di una visione caricaturale fino all'imbarazzo proprio in quelle scene iniziali. Che sia stata la produzione a pretenderlo o un'idea di Vidor per alleggerire il tono di un film altrimenti troppo cupo; direi che comunque non funzione e, anzi, stride molto, con la sensibilità attuale, ma anche con l'ambientazione totale del film.

A livello di regia il film sembra non farcela mai a staccarsi dal consuetudinario. Vidor sembra più interessato alla storia che al come raccontarla. Cose buone ce ne sono sempre e, qui, le migliori sembrano essere i vari primissimi piani ottimamente curati (molto da cinema muto) e il montaggio perfetto della scena della "conversione" del protagonista (quella in cui decide di diventare predicatore) o la scena della fuga di Zeke; a questo poi aggiungere il mood dell'inseguimento nella palude nel finale riesce ad essere ancora efficace.

Interessante per tutti i precedenti motivi storici (più che per la godibilità bassina) ha anche qualche, misero, motivo aggiuntivo come anello di congiunzione fra il muto e il cinema sonoro maturo degli anni '30, con una recitazione molto fisica (in qualche momento slapstick) e un'eccessiva mimica facciale nonostante i dialoghi.

PS: questo film non riuscì ad essere il primo film all-black della storia perché pochi mesi prima la Fox Batté la MGM portando in sala "Hearts in Dixie"; sempre all-black, sempre musicale.

lunedì 26 ottobre 2015

La perle - Henri d'Ursel (1929)

(Id.)

Visto qui.

Opera prima e opera unica del regista d'Ursel e dello sceneggiatore Hugnet. Il film è una cavalcata surreale che parte dalla scoperta di una perla che verrà utilizzata per fare una collana, scelta da un uomo da regalare alla sua ragazza... purtroppo gli verrà rubato ripetutamente. Il film è però in un ambiente sospeso, vagamente surreale appunto, tendenzialmente onirico.
Personalmente non l'ho trovato eccezionale; di ottimo ha il ritmo, il film si muove degnamente senza annoiare mai; riesce a cogliere alcune ottime inquadrature nella scena dell'inseguimento della ladra in tuta aderente (movimenti di camera, gestione ottima degli spazi, buona estetica generale).
Certo, se si considera l'opera prima di sceneggiatore e regista allora appare come un film molto solido e ben realizzato, però i punti di interesse latitano parecchio.

Interessante però la questione che viene sollevata qui. Le due musiche, quella inquietante della versione originale o quella più positiva moderna, modificano radicalmente il tono delle immagini (e in certa misura anche il ritmo che appare più lento nella versione originale); una sorta di effetto Kuleshov musicale.

mercoledì 12 febbraio 2014

Il vaso di Pandora - Georg Wilhelm Pabst (1929)

(Die Büchse der Pandora AKA Lulù o Lulù - Il vaso di Pandora)

Visto qui.

Una ragazza ha tra le sue numerose relazioni quella di un facoltoso uomo pubblico, che frequenta per poter sfondare nel varietà. Durante uno spettacolo (messo in piedi dal figlio dell'uomo che lei frequenta, ovviamente anche lui innamorato della ragazza) la fidanzata dell'uomo li scopre insieme, il matrimonio salta ed il ricco decide quindi di sposare la ragazza. Durante la festa di  matrimonio però il neo marito fraintendi i rapporti fra la nuova moglie ed un anziano sfruttatore, ingelosito inscenerà una lite che porterà alla sua morte accidentale. La ragazza accusata dell'omicidio fuggirà dalla Germania riparando in Francia, dove diventerà succube delle minacce di denuncia di tutti gli uomini che la circondano.

Un dramma notevole diretto con una solidità incredibile, tanto da renderlo un film che potrebbe essere realizzato allo stesso modo anche oggigiorno. Viene però ricordato di solito per essere il primo a introdurre un motivo saffico nel cinema; la giovane ragazza farà innamorare di sé anche una donna, manipolata ed ingenua è l'unica figura completamente positiva del film.
Notevole anche la trama che si snoda nella vita di una ragazza che (come viene dette durante il processo è come Pandora) distrugge tutto ciò che tocca, nella prima parte tutti gli uomini che ha attorno, nella seconda, porterà tutti con sé fino a distruggersi da sola.

Il drammone si fa portatore di una regia encomiabile che gioca bene con una luce spesso cruda, diverse situazioni con ombre ricche di significato (la scena della camera da letto dove avviene il dramma), nel finale utilizza anche la nebbia (poco sfruttata a dire la verità), usa diverse inquadrature inconsuete per mostrare le stesse scene e nel finale ci da dentro anche con un montaggio parallelo rapido ed interessante (basti la sequenza sulle scale).
A questo va aggiunta una recitazione perfetta della Brooks assolutamente credibile anche al giorno d'oggi.

...detto ciò devo ammettere che il film non mi ha convinto; anzi mi ha convinto, ma non mi ha coinvolto. Sarà la gestione gelida della vicenda (siamo fin troppo al di fuori della storia che si svolge) o il repentino cambio di prospettiva (nella prima metà la protagonista è una carnefice, nella seconda una vittima), ma complessivamente il film non mi ha lasciato molto. Questo nonostante gli indubbi pregi.

mercoledì 22 giugno 2011

L'uomo con la macchina da presa - Dziga Vertov (1929)

(Chelovek s kino-apparatom)

Visto in DVD.
Dziga Vertov fu un regista futurista, propugnatore della teoria secondo cui il cinema è l’arte suprema, disgiunto completamente da letteratura e teatro dai quali dovrebbe sempre rifuggire. È in quest’ottica che l’opera di questo regista risulta essere inusuale per il periodo.

Elimina i set, i teatri di posa e si mette a riprendere direttamente dalla realtà. Ovviamente elimina gli attori e riprende la gente comune. Il suo modo di far cinema ricalca molto lo stile dei documentari, ma è qualcosa di diverso, non vuole spiegare una situazione, un concetto o un ambito della società; vuole solo comunicare con le immagini; riprende scene di vita in vari ambiti e legate fra loro più per assonanza che per logica, abusando ad ogni scena del montaggio intellettuale di Eisenstein. I suoi film risultano essere delle opere d’arte visiva tratte da scene di vita vera.

In questa chiave viene creato L’uomo con la macchina da presa, film manifesto dell’idea di cinema come arte a se; una sorta di documentario dedicato al cinema stesso e alle possibilità che lo strumento della macchina da presa permette. Ecco allora che le immagini si affiancano per assonanze poetiche o paragoni, creando una sorta di sinfonia di sequenze, mentre tecnicamente Vertov fa di tutto, tutto quello che il mezzo gli permette: stop motion, rewind, ralenty, sovrapposizioni, fermo immagini, split screen, carrelli, immagini sfocate e rimesse a fuoco, inquadrature azzardate che vengono poi smascherate mostrando la macchina da presa che le sta registrando, ecc.

Il tutto inquadrando immagini di vita vera senza censura o limiti (mostra tutto anche barboni che dormono in un parco o il parto di una donna).

Il film riesce alla perfezione, è esteticamente perfetto e godibilissimo, senza una narrazione o la necessità di cartelli.