mercoledì 30 dicembre 2015

Cappello a cilindro - Mark Sandrich (1935)

(Top hat)

Visto in Dvx.

Un attore viene ingaggiato per una prima segretissima a Londra; li incontra una graziosa ragazza che però lo scambia per quello che in realtà è l'amico dell'attore e il produttore dello spettacolo, lei se ne innamora, ma pensando che sia sposato fugge a Venezia; li re incontrerà entrambi e per sfuggire nuovamente si sposerà con uno spasimante di vecchia data.

Commedia degli equivoci a 16 mani in salsa musicale. Difficile definirlo musical vero e proprio, ci sono in totale 2 o 3 canzoni con relativa scena di ballo. L'intreccio comico risulta solido e ben congegnato anche se senza guizzi d'originalità e, per una volta, da la possibilità a Horton di avere una parte decente come comprimario e non di rimanere relegato nelle retrovie. Purtroppo la versione italiana tarpa le ali a diverse gag (e trasforma lo stilista italiano Beddini in uno straniero qualunque dal nome di Bedinsky; al regime dell'epoca non andava a genio la caricatura fatta e la figura da perdente che ne usciva alla fine del film).
Fred Astaire come soggetto comico risulta molto versatile dato che il suo viso è un morphing inquietante tra Stan Laurel e Frank Sinatra.

Ovviamente l'asso nella manica è nella coppia di protagonisti (il motivo per cui ancora si ricorda questo film), che danno luogo a due o tre incontri di danza davvero notevoli, con un'eleganza e una grazia incredibili, senza mai mostrare segni di stanchezza o di difficoltà (qui è presente la notissima sequenza in cui Astaire canta "Cheek to cheek".
Effettivamente le sequenze di danza non sono sempre be congegnate (assurdo il duetto nel parco sotto la pioggia; talmente senza motivo da sembrare la parodia di Shirley Temple dei Simpson), ma le capacità dei due le rendono tutte degne di essere guardate.

Ultimo pregio è la ricostruzione di Venezia, un crogiuolo strepitosamente kitsch di mare balneabile, gondole, ponti giganteschi, piazze lucide per poter danzare e palazzi degni di Barbie. Un capolavoro di cattivo gusto che riesce a essere di per sé motivo d'interesse.

Un film divertente, scorrevole ed elegantissimo.

lunedì 28 dicembre 2015

Qualcosa di sinistro sta per accadere - Jack Clayton (1983)

(Something wicked this way comes)

Visto in Dvx.

In una cittadina americana arriva, con un treno notturno, uno strano circo, condotto da un eccentrico personaggio vestito di nero dall'evocativo nome di Mr. Dark. Gli abitanti della cittadina, piccole personcine con molti rimpianti e grandi desideri, cominciano a veder esaudite le loro richieste, ma tutto ha un prezzo. Quando la giovane coppia di protagonisti verrà beccata a spiare il dietro le quinte del circo, inizierà la ricerca da parte di Mr. Dark.

Noto per essere una delle prime produzioni della Disney di tema apertamente horror ( tecnicamente credo sia stata la seconda dopo "Gli occhi del parco", il film la Davis), ha in questa cvaratteristica l'unico motivo valido per vederlo; questo e il fatto che un bambino viene ghigliottinato (anche se fuori scena).
Tratto da un racconto (che non ho letto) di Bradbury (quindi buono a priori)  ha una plot base buono, non originalissimo oggigiorno, ma sempre adatto a dare una giusta cornice horror a un film per regazzini; si impegna anche un poco a creare l'atmosfera giusta (il senso di attesa della cittadina dove tutti si conoscono, un Pryce perfetto nei panni di Mr. Dark, un circo inquietante), ma cede completamente le armi in tutto quello che si trova oltre il minimo sindacale. Il soggetto c'è, manca la sceneggiatura.
Una serie di scene disgiunte, tenute insieme da un'incredibile mancanza di ritmo; sequenza scarsamente collegate in cui i personaggi fanno cose che sembrano non allineate con il resto della storia (o semplicemente fanno cose che realisticamente non dovrebbero fare); un villain ben costruito che per tutto il tempo si limita ad abbaiare a distanza senza mai mordere (le massime cattiverie che riesce a fare sono, strappare le pagine di un libro e vestire da donna un obeso); una noia devastante dalla metà in poi (a essere buoni).
Un film terribile.

venerdì 25 dicembre 2015

Senso - Luchino Visconti (1954)

(Id.)

Visto in tv.

Terza guerra d'indipendenza, Venezia. Una nobildonna sposata con un collaborazionista e cugina affezionata di uno dei promotori della rivolta anti-austrica si innamora di un graduato nemico. Le vicende storiche li costringeranno ad allontanarsi per riavvicinarsi continuamente, sempre più di nascosto, sempre più pericolosamente. La donna, dopo aver ricoperto d'oro il generale, scoprirà che lui è un menzognero, uno che sfrutta le donne per riceverne denaro e poi fuggire; lei lo raggiungerà a Verona e scoperto il misfatto (anche se lui soffre nel farla soffrire) lo denuncerà.

Filmone in costume realizzato con una tracotanza ed una pesantezza d'intenti impressionante.
Come ebbe a dire un critico il cui nome non mi verrà più in mente, il film inizia in un teatro (la Fenice) per non uscirne più. Di fatto il lungo melodramma ha la cadenza manierista ed eccessiva di un'opera lirica, la recitazione esagerata (soprattutto nelle scene d'amore disperato) è molto teatrale, i vestiti eccessivi, musiche classiche e le location enormi (Venezia, ville venete ed il borgo di Valeggio sul Mincio) sembrano essere state scelte perché potrebbe essere anche credibilissimi fondali disegnati. La recitazione, come già sottolineato, è schiacciata da tutto ciò e permette di vedere una Alida Valli molto eccessiva per tutto il film, con una ripresa nel finale, dove la disperazione viene resa (finalmente) in maniera credibile. Questo è un film baci mentre ci si afferra per i capelli, mani baciate, lacrime sulle ginocchia dell'amato...

In poche parole un film invecchiato; forse nato già vecchio (e attivamente voluto così), ma oggigiorno risulta fuori tempo massimo.

mercoledì 23 dicembre 2015

Frankenstein oltre le frontiere del tempo - Roger Corman (1990)

(Roger Corman's Frankenstein unbound)

Visto in Dvx.

Uno scienziato del futuro sta creando un'arma che distrugga le truppe senza danneggiare le strutture circostanti, per farlo vengono gettate in uno squarcio spaziotemporale; l'arma creerà un'apertura che risucchierà lo scienziato stesso e lo getterà nella Svizzera dell'ottocento dove coesistono i due Shelley, Byron e il vero Dr. Frankenstein. Lo scienziato verrà coinvolto nella creazione della compagna della creatura, ma lo squarcio li risucchierà nuovamente in un futuro ancora più distante.

Ultimo film di Corman, dopo vent'anni di inattività (beh alla regia... nella produzione non ha ancora smesso). Ovviamente sono incline ad apprezzarlo proprio per questo motivo.... tuttavia diciamo subito le cose come stanno, la creatura è bruttissima... molto molto molto brutta.
Corman si distingue soprattutto nella gestione dei tempi che, in una trama così caotica e raffazzonata (ma l'andamento della trama non è sempre il punto focale di un film di Corman, non è una condizione necessaria) riesce comunque a portare fuori il film con un unico momento di stanca nella parte finale della sequenza ottocentesca. Viene anche realizzata qualche sequenza splatter inaspettata che definirei di buon gusto (nell'ottica di un horror), senza essere esplosive.

Fantastica la coppia di protagonisti con un Hurt come sempre impeccabile e un Julia... beh, non perfetto, un pò troppo ridanciano e sopra le righe, ma è sempre un piacere vederlo sullo schermo.

Inoltre (ma forse questo è solo campanilismo) ho apprezzato la ricostruzione della Svizzera ottocentesca tra il lago di Como e il centro storico di Bergamo (per chi lo conosce è divertente vedere come venga accuratamente evitata la cappella Colleoni; forse troppo rappresentativa e fuori contesto o forse vincolata in qualche modo)
                                       
In definitiva è un film molto godibile con un buon cast in toto, ma sostanzialmente insignificante.

PS: applausi per la locandina, dopo decenni di Frankenstein non c'era molto da aggiungere.

lunedì 21 dicembre 2015

America oggi - Robert Altman (1993)

(Short cuts)

Visto in Dvx.

Nove storie indipendenti, una ventina di personaggi, uno spaccato di miriadi di vite che si intersecano, si intrecciano, si schivano, si influenzano; senza eventi eclatanti, senza twist plot spettacolari. Su tutto poi i rapporti di coppia, idiosincrasici e difficili, più estetici che di sostanza.
Altman prende da Carver tutto quello che riesce (non ho controllato, ma ho letto in giro che dovrebbero essere 9 racconti e una poesia; almeno sei di questi racconti li ho identificati come parte di "Vuoi star zitta per favore?"; in ogni caso per chi li volesse sono stati raccolti ad hoc) e costruisce un film che è la copia perfetta di "Nashville", migliaia di personaggi, centinai di eventi senza importanza che si accumulano, poi pochi secondi prima della fine uno showdown inaspettato e dirompente, che però non cambia praticamente nulla...
...però "Nashville" non mi è piaciuto affatto, mentre questo "America oggi" è splendido.
Il merito è sicuramente in parte di Carver, scrittore che non amo, ma che rispetto molto. Carver ha l'incredibile capacità di raccontare il nulla in maniera angosciante, rendere la vita di tutti i giorni un esperienza talvolta interessante, spesso terribile. Altman prende il Carver migliore e lo fa suo; lo mixa alla propria poetica della coralità e dell'apparenza riuscendo a dare ritmo e interesse a 3 ore di vicende di tutti i giorni creando una di quelle rare trasposizione cinematografiche efficaci.
In secondo luogo c'è Altman, ma un Altman più maturo, che non butta alla rinfusa i suoi personaggi per vedere cosa ne viene fuori lasciandone molti sullo sfondo; qui tutti hanno un peso, uno spazio, tutti convergono attivamente a creare il mondo in cui sono immersi. Inoltre la sua poetica delle apparenze riesce a essere impeccabile, senza gridare e senza avere scene apocalittiche, Altman riesce a dare il senso di un'inquietudine che è più efficace di molte scene madri.

Un film minimalista, scorrevole, efficace e rispettoso del materiale originale.

venerdì 18 dicembre 2015

Il bruto e la bella - Vincente Minnelli (1952)

(The bad and the beautiful)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

La storia di un produttore Hollywoodiano dalle origini al successo, il tutto in tre lunghi flashback di tre suoi ex amici che vengono chiamati ad aiutarlo dopo un tracollo finanziario. Si vedrà il genio, il pragmatismo e la faccia tosta nel tradire (sempre per pragmatismo) e nel passare sopra gli altrui sentimenti.

Titolo indecente (per una volta non è colpa degli italiani che si limitano a imitare quello originale) che non rende minimamente il film che dovrebbe rappresentare. Qui siamo dalle parti di un "Citizen Kane" nel mondo del cinema ritagliato su un Minnelli decisamente meno cinico e tracotante di un Welles.
L'incipit è dirimente nel capire il piglio del film; si apre con un abuso (in senso buono) di dolly (cifra di tutto il film), un personaggio odiato dai suoi amici che si negano al telefono e un incontro in piena notte che rievoca il passato (se a questo si aggiunge che il protagonista sacrificherà i sentimenti in favore del successo credo che il parallelismo con "Quarto potere" sia completo).
Il film si muove come un'opera sul ventennio cinematografico precedente con il protagonista che nel primo episodio cita direttamente Val Lewton (ovviamente affiancato dal suo Tourneur) con gli "uomini gatto" che si decide di non mostrare mai;  poi indubbiamente il protagonista diventa un Selznick, ritrovandosi a essere un arrogante titano che imporrà le sue idee ai registi (specie durante la lavorazione di un film ambientato nel sud degli stati uniti durante la guerra civile).

Al di là delle strizzatine d'occhio e dell'idea alla base il film funziona per il ritmo ben tenuto, per l'ironia continua e il divertimento evidente e giocando con le aspettative dello spettatore (il protagonista che riesce a produrre i primi film perdendo al poker anziché vincendo; i commenti sul film horror per lo più positivi tranne l'unico mostrato; la Turner gettata in piscina; ecc...), tuttavia riesce a mantenere un alone generale di amarezza per la fine della carriera che già si vede all'inizio e per i dettagli deprimenti nelle vite dei personaggi.

Ma pure il comparto tecnico è impeccabile; se del dolly come cifra base del film si è già detto, va anche sottolineato l'uso enfatizzato delle luci nelle scene dove più è necessario (si pensi anche solo all'ideazione del film degli uomini gatto); inoltre si aggiungono alcuni twist di vera classe come la bella scena dell'incidente in macchina tutta ripresa dall'interno dell'auto.

Infine il film si avvale di un cast di classe dove però un Kirk Douglas lasciato a briglia sciolta titaneggia divorandosi tutti, compresa Lana Turner.

Un film magnifico, una scoperta bellissima.

mercoledì 16 dicembre 2015

Hellraiser: deader - Rick Bota (2005)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una giornalista viene mandata a Bucarest per indagare su una setta religiosa che costringe i suoi adepti a suicidarsi... il punto è che dopo il suicidio il guru riesce a riportarli in vita... Ovviamente in questa cosa saranno coinvolti anche la scatola di Lemarchand e i Cenobiti.

Nuovo capitolo a basso costo direct to video di una delle saghe horror più fortunate (perché non merita tutta la fama che ha); nuovo capitolo diretto dal parvenu mestierante dell'horror Rick Bota; nuovo capitolo con una sceneggiatura pensata per un film indipendente a cui sono stati attaccati a forza Pinhead e compagni. Insomma, si ricalca quanto fatto con il precedente "Hellseeker" (che a conti fatti, era un brutto film, ma decisamente ancora nella scia positiva, pur se tendente all'insipido e all'incasinato. Curiosamente entrambi i difetti esploderanno in questo settimo capitolo.

Bon, cominciamo dai pregi. Bota ha molte buone idee; sfruttare scene molto illuminate, ma desolate, per creare suspense senza sfruttare l'eterna paura del buio; la scena dei muri che si stringono e pieni di insetti; l'idea iniziale che mette la giornalista sulle tracce del guru; l'ambientazione europea, ma fuori dai percorsi canonici (va ammesso però che la scelta della Romania è stata presa per motivi economici). Le idee ci sono, purtroppo mancano le capacità. La cornice Rumena è sfruttata malissimo (anzi è proprio sprecata); i vari momenti di suspense (vera e propria) sono pochi e soprattutto nella prima parte; Bota ha una macchina da presa molto mobile (cosa buona), ma la usa a sproposito (cosa cattiva), i finti VHS in bianco e nero hanno tanti di quei tagli di montaggio che sembrano più professionali di un film di Kevin Smith.
inoltre i Cenobiti sono incollati così raramente a una storia praticamente indipendnete che anche il concetto di franchising comincia a scricchiolare (sul serio, Pinhead comparirà in 3 scene in croce); ritorna vagamente l'idea di dolore e piacere, ma in maniere abbastanza blanda e confusa da essere ininfluente nella storia; infine c'è un enorme (enorme) problema di casting con una protagonista vagamente irritante e un antagonista  (il santone della setta dei deader) che ha la faccia come il guru (erano anni che volevo usare questa frase in un contesto corretto), insipido e fuori luogo in ogni momento.

lunedì 14 dicembre 2015

L'ottava moglie di Barbablù - Ernst Lubitsch (1938)

(Bluebeard's eighth wife)

Registrato dalla tv.

Un ricco americano che si trova a Monaco si innamora di una ragazza conosciuta per caso in un negozio di pigiami, le chiederà rapidamente di sposarla e lei acconsentirà per amore, ma anche per interesse (del padre). Poco prima delle nozze scoprirà di essere solo l'ultima di altri sette matrimoni e credendo l'uomo inaffidabile decide di lasciarlo.

Commedia dei sessi di un Lubitsch in grande spolvero aiutato (nella sceneggiatura) da un ottimo Wilder. Il bello di Lubitsch è che quando si trova a suo agio non è detto che faccia un film perfetto, ma azzecca delle sequenze magnifiche anche in film che nel complesso sono solo passabili (come "La vedova allegra", film che ho abbastanza odiato, ma con molte idea imperdibili); in questo caso vince la palma d'oro l'incipit, con i due protagonisti che si incontrano per una delle idee più cretine in assoluto, il fatto che Cooper non voglia comprare i pantaloni del pigiama; inoltre questa sequenza dà il là ai commessi che salgono a chiedere numi ai dirigenti, andando, fisicamente, sempre più in alto.
Da sottolineare anche una macchina da presa abbastanza libera, con carrellate laterali o a inseguire, per continuare a inquadrare i personaggi anche mentre salgono le scale... Ma in un film del genere, la macchina da presa passa in secondo piano. Forse è più corretto sottolineare lo scoppiettio dei dialoghi (che sia merito, anche, di Wilder?) e la perfezione nei cambi di tono improvvisi; inoltre va sottolineato che, nonostante sia una commedia fra i sessi, c'è rimasta abbastanza maestria per rendere gustosi anche i dialoghi fra uomini (soprattutto Cooper con Niven e con Horton).

                                              

venerdì 11 dicembre 2015

Hausu - Nobuhiko Ôbayashi (1977)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo di ragazze decide di passare le vacanze a casa di una parente della madre (morta da tempo) di una di loro. Inizialmente tutto sembra andare per il meglio con una gita in cmapagna di un gruppo di giapponesine (quindi regazzine entusiaste anche di fare i mestieri in casa al posto della donna paralitica), però iniziano a scomparire una dopo l'altra, mentre la più fantasiosa di loro sembra avere elle allucinazioni in cui vede teste volanti che le mordono il sedere.

Film giapponese che rappresenta la punta di diamante dell'impossibilità di classificazione. Oggetto strano parte come una commediola kawai adolescienziale, vagamente sentimentale, passa poi all'horror con punte splatter notevoli con immersioni in ambienti action e tanta comicità di dubbio gusto.
Ma quello che più sconvolge è come il tutto stia perfettamente unito insieme senza soluzione di continuità e ben rappresentato da un'estetica al limite dello schizofrenico.ù
Si perché quello che vince è un gusto estetico kitsch unito a una regia perfettamente consapevole di ciò che fa (e molto competente). Per capirci siamo dalle parti de "Le lacrime della tigre nera", ma con molte più capacità, molta più autoironia e molta più fantasia.

Una libertà formale estrema e molto cazzara, fatta di stilemi semplici ed esagerati con il tono paradossale di un cartone animato. C'è di tutto, mascherine, dissolvenze di una scena in un'altra, cieli e fondali finti e chiassosi, decorazioni degli interni esagerate, fermi immagine, musiche enfatiche (quelle dell'inizio sono piuttosto fastidiose e dal volume troppo alto), luci alla Sirk e viraggi di colore e giochi di montaggio mai visti (l'incipit mostra una riquadro centrale dello schermo virato in bianco e nero con una ragazza con un velo in testa e circondata di candele, la porzione attorno a questo riquadro è l'intenro di una classe che non si incastra con l'inquadratura centrale; poi il dettaglio al centro si muove verso sinistra finché non si sovrappone con il riquadro per poi continuare come un'unica inquadratura... difficile da spiegare, va visto); nel mezzo ci sono personaggi con nomi che caratterizzano il personaggio come nei 7 nani o nella spice girls (le protagoniste si chiamano Fantasy, Melody, Gorgeus, Prof, Sweet, Kung fu e Mac), sequenza fatte in stop motion e un finto film muto che serve a mostrare la storia di famiglia raccontata da una di loro con le amiche che fanno commenti in sovrapposizione.
Ci sono così tante idee messe sul fuoco (molte delle quali splendidamente cazzare) che è difficile ricordarle tutte.
bastino le prime scene. L'incipit è quello descritto sopra, poi cambio di scena e si assiste a un dialogo ripreso con un piccolo piano sequenza fatto da un lungo carrello posteriore; poi cambio di scena con un intermezzo da videoclip con molte mascherine, quindi nuovo cambio di scena si è a casa della protagonista sul balcone, un cielo di fuoco dipinto sullo sfondo, viene presentata la nuova compagna del padre che cammina al rallentatore con il vento che le muove costantemente il foulard.

Si concede inoltre quadretti decisamente più idioti con giochi con i suoni delle parole (la sequenza della ragazza che parla della testa decapitata nel pozzo), gag imbarazzanti (l'incidente di Mr. Togo che è degno di Mr. Bean, con l'insegnante che va all'ospedale per farsi togliere il sedere incastrato nel secchio; mentre nelle immagini prima ci sono alcuni personaggi che si muovono a ritmo di musica e si chiamano fra loro con il nome della professione).

In tutto questo, come già detto, ma è bene sottolinearlo, c'è dell'horror, con una casa infestata, presenze maligne, cannibalismo evidente. Ci sono morti continue, fontane di sangue e qualche buon momento splatter.

indubbiamente questa è una prova di forza più che un film in sé, ma è encomiabile come sia perfettamente bilanciato; si lascia andare solo nell'incasinato finale, dove la confusione (e la voglia di strafare) affossa il ritmo e lo rende piuttosto noioso.

Che possa piacere o meno, questo è uno dei pochi film che bisogna vedere, tutto quanto scritto non rende assolutamente quello che si avrà davanti agli occhi.

mercoledì 9 dicembre 2015

Metropolis - Fritz Lang (1927)

(Id.)

Visto al cinema.

In un futuro dove le forze lavoro sono oppresse dalla catena di montaggio e ritmi forsennati, nelle catacombe una ragazza carismatica li motiva a cercare un futuro migliore; intanto il figlio del padrone di tutto scende anche lui nelle viscere e rimane affascinato dalla ragazza. Il padre però decide di disinnescare il potenziale pericolo sfruttando un automa appena inventato, gli fa mettere addosso le fattezze della ragazza e la getta a creare il caos nei bassifondi. La rivolta incalza, ma l'azione violenta sarà controproducente per i lavoratori.

Di "Metropolis" chiunque ha già detto tutto; dall'estetica che influenzerà quasi ogni film di fantascienza fino ai giorni nostri, alla lungimiranza nel cogliere alcuni fenomeni sociali del recente futuro (per loro).

Quello che colpisce rivendendolo oggi è che, nonostante il fatto che sia un capolavoro, la trama è piuttosto raffazzonata, specie nella prima parte. Detto ciò va sottolineato che è un film dal budget enorme, dalle tendenze bankable anche prima della sua uscita e dalla durata importante, ricco di effetti speciali; in poche parole è un blockbuster, e proprio come oggi, la trama non è il primo degli obiettivi, anche se la manona di Lang permette di veicolare qualunque messaggio.

Detto ciò il comparto tecnico è ancora oggi impeccabile. I fondali sono magnifici, evidentemente ispirati alla New York dell'epoca (che era la vera metropoli del futuro tra gli anni '20 e i '30); scenografie titaniche sfruttate tantissimo con ampie scene in esterni, corse per le strade (futuristiche) colluttazioni sui tetti della cattedrale e lunghe scene nel sottosuolo.
Gli effetti speciali non sono molti, ma sono magnifici; sarebbero dignitosi in un film attuale, figuriamoci alla prova del tempo.
Infine non va dimenticato che c'è Lang dietro la macchina da presa... e non si può dimenticare. Uso delle luci magnifico, montaggio ben ragionato, scene costruite sempre con uno sviluppo simmetrico (anche quando vengono utilizzati singoli oggetti asimmetrici) e addirittura qualche movimento di macchina sempre incisivi (per lo più carrelli, ma anche qualche movimento laterale e addirittura una macchina a mano che insegue un personaggio). Sono bellissime e assolutamente riutilizzabili fin da subito in un film moderno la strepitosa scena dell'inseguimento di Maria nelle catacombe (con un gioco di luce e buio perfetto, movimenti di macchina e un montaggio da urlo che riesce tuttora a dare tensione); inoltre la scena onirica del protagonista malato mentre la falsa Maria balla è un gioco di montaggio (di nuovo) magnifico, che da un ritmo impeccabile e una costruzione delle scene anche con suture di dettagli e primi piani. Applausi.
Regia modernissima che riesce a dare ritmo a un film muto di due ore e mezzo... ho già detto applausi?

Ovviamente questa era la copia restaurata con l'aggiunta delle scene trovate in Argentina qualche anno fa. Le scene aggiunte sono alcuni riempitivi che probabilmente tolte per snellire il minutaggio, più una sequenza in taxi e quasi tutte le scene ambientante nell'appartamento di Josaphat (manca ancora la colluttazione fra il padre del protagonista e l'inventore). Se fa piacere rivedere un'opera di questa entità quasi completo, bisogna però ammettere che il reintegro di queste nuove porzioni non aggiunge nulla al film in sé.

lunedì 7 dicembre 2015

Crimson Peak - Guillermo Del Toro (2015)

(Id.)

Visto al cinema

Per la trama vedere qui.

La prima cosa che va detta è che questo non è un horror. Non fa mai davvero pura, ma neppure la vuole fare, siamo più dalle parti del thriller in un ambiente gotico, siamo più dalle parti del melodramma vagamente hitchcockiano (dove per vagamente intendo che grida Rebecca a ogni inquadratura).
La scelta è da una parte in linea con il Del Toro che conosciamo ("Il labirinto del fauno" non era un horror, sfruttava solo quell'immaginario weird fantasy), mentre dall'altra è un'operazione che io condivido sempre, perché dimostra che l'horror non è solo il genere più maltrattato del mondo, ma è uno stile applicabile anche a storie diverse.
Inoltre l'idea alla base del film, quella dei fantasmi come allegorie del passato (urlata all'inizio del film e giustificata con la chiusa dei titoli di coda) anche quella rimane in linea con il pensiero standard di Del Toro. In tutti i suoi film il sovrannaturale vive in un mondo parallelo al nostro e le sue ingerenze non sono determinanti per le nostre vite, ma cercano di aiutare o rallentare a seconda dei punti di vista.
Inoltre, sempre in linea con le capacità già note del regista, c'è la tendenza a creare immagini in maniera preponderante rispetto alla capacità di creare una storia. Anche qui mi trovo d'accordo con Del Toro, e non posso fare a meno di sforzarmi notevolmente per cercare di ricordare nel dettaglio la trama del già citato "Labirinto del fauno", mentre molte delle creature e delle immagini di quel film sono diventanti punti di riferimento culturale, anche se non fondamentali per la trama stessa (su tutte l'ovvio creatura con gli occhi sui palmi delle mani). E poi siamo sinceri, quando mai la trama di uno qualsiasi dei film horror di Bava (quindi tolgo fin d'ora dal conto "Cani arrabbiati") è determinante per la qualità dell'opera?

Quello che qui viene aggiunto, invece, è un'idea di mondo in linea con il miglior Tim Burton (anche se sembra realizzata dal kitschissimo Burton contemporaneo), come in molti (tutti?) hanno già avuto modo di sottolineare. Un mondo dove le creature esteticamente terribili (gli outsider di una società illuminista) non sono malvagie, ma aiutano i buoni; e dove i nobili affascinanti nascondono segreti incestuosi e terribili. Un concetto non in linea con Del Toro che però non appesantisce. La realizzazione estetica è barocca e oppressiva come nel Burton moderno, ma si salva per un uso accortissimo dei dettagli e dei colori (quelli si, chiassosi e presi pesantemente da Bava, ma lavorati da uno che sa giocare benissimo con le immagini; e questo vale in sé un intero film).
Infine la realizzazione barocca si slava per il non insignificante dettaglio della casa. La dimora inglese isolata e "viva" che faccia da personaggio a sé è un'idea abusata come poche altre... tuttavia qui è forse l'idea principale, anzi l'idea migliore mai avuta da Del Toro. Sfruttando tutti i cliché sull'argomento, raggruppandoli e utilizzandoli alla meglio crea qualcosa di enorme. Un edifico metaforico e reale allo stesso tempo; enorme e possente come il casato di un tempo, ma costantemente marcescente, rovinato dall'incuria e dal tempo atmosferico (i cui strali non riesce a tenere fuori dalle sue mura dato il tetto sfondato), piena di fantasmi del passato, di rumori e scricchiolii, respiri e ansiti già condannata al lento sprofondare nella terra e talmente pregna di eventi negativi da trasudare melma rossa dalle assi dei pavimenti o dalle tubature (la casa stessa che sanguina). Niente di nuovo, ma tutto giostrato da dio e con il dettaglio della terra rossa che rappresenta l'ideale salvezza e il denominatore comune di tutta la vicenda.

In definitiva un film che nel comparto visivo (dove più ci si aspetta qualcosa da Del Toro) funziona perfettamente.
La storia banale e un pò troppo enfatica per me non rappresenta un vero problema. Il problema, casomai, è nella gestione dei tempi, un ritmo mai sostenuto (ma anche mai mollato del tutto) che aiuta a introdurre, ma non accelera quando dovrebbe e un climax che sembra sempre stare per arrivare da qualche parte per poi disattendere le aspettative. Questi sono i veri problemi con cui un film di questa portata deve fare i conti e, innegabilmente, soccombe.

venerdì 4 dicembre 2015

The visit - M. Night Shymalan (2015)

(Id.)

Visto al cinema.

Una coppia di regazzini vanno a trovare i nonni per la prima volta in vita loro (dietro c'è una brutta storia di dissidi e rancori) per permettere alla madre di andarsene in vacanza con il nuovo toyboy.
Nella casa dei nonni tutto procede noiosamente bene, finché non cala la notte... cominciano quindi strani divieti e inquietanti rumori.

Io sono un appassionato nemico di Shymalan; amo talmente tanto odiarlo da andare al cinema a vedere i suoi film ogni volta che posso, ma da "The last airbender" avevo deciso che basta così; era andato talmente oltre che ormai tutti l'avrebbero preso a pernacchie e non c'era bisogno del mio disprezzo. Questa volta però è diverso; per la prima volta dal 1999 ho letto una recensione positiva! Giuro è stato un colpo.

Da sempre tutti noi sosteniamo che Shymalan sarebbe un buon regista (concreto nella gestione degli spazi e degli attori, perfetto nella messa in scena e maniacale nella fotografia), purtroppo come sceneggiatore fa abbastanza cagare il cazzo (per dirla in francese, non è capace).
Qui però, miracolosamente (is the new grazie al produttore) sembra funzionare.
La storia è impeccabile; si percepisce fin da subito che qualcosa non funziona, ma non si riesce a capire cosa; le prove si accumulano, ma vengono tutte irrimediabilmente disinnescate (arrivando molte volte a ritenere che l'orrore sia insito nella vecchiaia come non succedeva dai tempi di Whale). Ma perché funziona così bene? perché Shymalan conosce perfettamente i cliché del genere e li sfrutta per creare aspettative enormi, generare tensione e poi concludere il tutto con un nulla di fatto che non lascia l'amaro in bocca, anzi, genera maggiori aspettative su quanto avverrà dopo (incredibile quanti dettagli vengano distribuiti durante il film che vengono tutti giustificati alla fine, ma che a conti fatti non sono nulla). Incredibile quanta maestria dimostri nel costruire scene horror come non se ne vedevano da anni; l'inseguimento, in pieno giorno, sotto la casa (e il modo semplice e banale con cui conclude) sono qualcosa di notevole.

Da sempre poi, sono nemico giurato del found footage. Solitamente non aggiunge nulla, non arricchisce il discorso, toglie la sospensione dell'incredulità (found footage con un montaggio ottimale o con le inquadrature sempre precise o con una fotografia pazzesca) e rende il film meno godibile (noia, macchina a mano che fa venire il mal di mare). Qua il found footage funziona, perché giustifica tutto. La regazzina vuole girare un documentario sulla sua famiglia, dunque cerca l'inquadratura ottimale, la mise en scene perfetta e la camera fissa il più possibile. In più questa tecnica concede a Shymalan di aumentare la tensione con i fuori fuoco, con ciò che succede alle spalle e con la famosa macchina a mal di mare.
Il finale nella camera buia è un concentrato di J-horror, "REC" e "The Blair witch project" (che è anche apertamente citato poco prima); un insieme che genera la migliore scena del film con una tensione invidiabile. Se ci si aggiunge che tutto questo succede in un film in cui tutto fa, fin da subito, riferimento al sovrannaturale, inteso come fiabesco.... beh applausi.

Due sono i dettagli che vanno comunque sottolineati.
Il primo è l'ironia. Il film è costellato da continui riferimenti inquietanti, ma descritti in maniera ironica, a volte quasi ridicola... se da una parte questo sembra essere un preciso piano e, quando funzionano, sono una stella in più da appuntare al petto del regista, spesso però eliminano parte della tensione (poi per carità, ero al cinema con una mandria di adolescentelli, che continuavano a fare battute, alcune anche molto calzanti, ricordandomi perché dentro la sala odio tutte le persone che non sono io).
Il secondo dettaglio è il twist plot finale. Si c'è; è ovvio, questo è un film di Shymalan. Tuttavia funziona; è efficace, coerente con quanto successo prima, spiega completamente gli avvenimenti, getta nuove domande, aumenta l'inquietudine anziché diminuirla e non manda tutto in vacca.

Ci sono altri piccoli difetti, i dettagli inutili seminati in giro per dare spessore come la fobia dei germi; tuttavia stavolta, davvero, bravo Shymalan.

PS: oltre al rischio risata, il problema più grosso è tutto una questione italiana (credo e spero). Ci sono tre rap improvvisati dal regazzino dentro al film... posso immaginare che neppure in inglese siano dei poemi incredibili visto che vengono fatti da un 13enne, ma in italiano sembrano pensati da una scimmia bonobo con scarsi mezzi linguistici e una ancor minima capacità di comprensione su concetti come "rima" o "metrica". Non c'era bisogno di Tupac, ma almeno un misero Moreno potevano ascoltarlo prima.

mercoledì 2 dicembre 2015

La fuga di Logan - Michael Anderson (1976)

(Logan's run)

Visto in Dvx.

Un futuro postapocalittico, una città coperta dove tutto è organizzato dalle macchine (in definitiva un computer), tutti vivono comodamente, ma c'è un limite, raggiunti i trentanni devono consegnarsi al Carousel, una cerimonia dove vengono (buffamente) uccisi per esplosione nell'aria... Uno dei guardiani (si ci sono dei guardiani che ti uccidono se tenti di fuggire o se ti rifiuti di partecipare al Carousel) viene incaricato di sabotare l'unica organizzazione che finora è riuscita a far fuggire delle persone, dovrà fingere di essere uno di loro, scappare dai colleghi senza poterli avvertire e raggiungere il luogo dove vivono fuori dalla città. Ovviamente riuscirà a scappare, ma quello che troverà una volta fuori non sarà quanto era previsto dal computer centrale.

Un'action fantascientifico con la tipica estetica futuristica molto anni ’70, costumi molto brutti (rielaborazione colorfull dei peplum), ma scenografie molto buone (invecchiate è vero, abbastanza brutalista è vero, però buone) tutte tese a rendere sterile e perfetto l'interno artificiale. Gli effetti speciali risultano un pò datati quando vengono utilizzati a pieno regime, ma ancora sono ancora apprezzabili (quelli di bassa lega d’oggigiorno sono allo stesso livello, quindi per chi è anche solo minimamente avvezzo a syfy non può storcere il naso).
Come comparto estetico quindi direi che il film riesce ancora a essere all'altezza di un pubblico moderno... certo bisogna dimenticare uno dei più brutti robot della storia del cinema, ridicolo oltre ogni dire (e non voglio credere che fosse accettabile neanche all'epoca) e poi bisogna anche tollerare un Michael York come protagonista, ma accettati questi due nei, ci siamo. A stemperare c'è una comparsata di Ustinov nella parte del vecchio pazzo che è un piacere (la sua parte è da vedere in lingua originale se possibile).

Quello che manca è il mordente della storia. L'idea di base, seppure un pò abusata, avrebbe il tono e la cadenza giusta (una delle guardie, costretta dal sistema a fingersi ribelle, fugge, non trova ciò per cui era stato assoldato, non ha alternative e torna; potrebbe essere un dramma degno di Ken il guerriero). Invece si incanta nella descrizione di quel mondo, si incarta nella fuga senza fine, si concede troppo tempo nel mostrare i capisaldi dell'americanità (oltre all'americocentrismo questa parte difetta anche di ritmo) e infine conclude il tutto con un improbabile happy ending (mentre avrebbe potuto virare per un finale oscuro e orwelliano).

PS: no dai, il povero York mi sta anche simpatico, ma ha una faccia facciosa che spesso mi sospende la sospensione dell'incredulità... e poi lo confondo con Ryan O'Neal che invece non sa recitare, vabbé son tutti problemi miei.