venerdì 28 febbraio 2014

Mimì metallurgico ferito nell'onore - Lina Wertmüller (1972)

(Id.)

Visto in tv.

Un siciliano ostracizzato per una votazione decide di emigrare nella fredda Torino. Qui conoscerà una bella militante di sinistra... nonostante sia sposato inizierà una focosa storia d'amore e la stagione degli scioperi di Torino la seguirà da una camera da letto. Purtroppo otterrà un trasferimento per la Sicilia (mai richiesto) e dovrà tornare anche se, con l'amante avrà già avuto un figlio. Una volta tornato scoprirà del tradimento della moglie e la sua vendetta complicherà enormemente le cose.

Se la trama alla fin fine è esile (è un triangolo amoroso condito di politica) la strutturazione è così piena di colpi di scena e sterzate improvvise da rendere dignitoso ogni minuto di pellicola. La storia è comunque affascinante per il continuo muoversi a caso del protagonista, del suo fingersi un uomo diverso da quello che è (è un metallurgico, un uomo evoluto) ed il suo reagire d'istinto che lo porterà a non pochi problemi; il caso comunque è il vero filo conduttore, spesso impersonato dalla famiglia di mafiosi, ma in definitiva presente ovunque. La patetica fine del protagonista sarà per buona parte dovuta alla sfiga.
La descrizione dei personaggi e dei luoghi è terribilmente luogocomunista, ma a mio avviso questo è funzionalissimo alla pellicola, rende il protagonista un simpatico guitto ed il mondo in cui si muovo un assurdo teatro che tutti possono riconoscere.

Forse però non ho ancora detto la cosa più importante; sì c'è il duello uomo donna e la connotazione politica predominante che vanno direttamente a quello che sarà il consueto film della Wertmüller; ma questo è decisamente divertente. Bravissimo Giannini a creare una maschera buffa e la regista a porre ogni situazione sotto la luce del grottesco quando si sarebbe potuto molto facilmente cadere nel patetico (che c'è giusto un po nel finale).
Bravissima la Melato che rappresenta anche l'unica pecca del film; avrebbe potuto essere usata molto di più
Un film da vedere.

mercoledì 26 febbraio 2014

Il capitale umano - Paolo Virzì (2014)

(Id.)

Visto al cinema.

Le storie di due famiglie si incrociano per la relazione fra i due figli neo maggiorenni. Da una parte l'alta finanza, la famiglia ricca con padre assente e impositivo e la madre svuotata e in cerca di un'identità. Dall'altra la famiglia borghese standard, non sono ricchi, ma non stanno male, il padre però ha una voglia smodata di assomigliare al consuocero e fare soldi, facili e veloci, e si gioca tutto. I due figli tengono in piedi una relazione di facciata per il bene delle famiglie, ma tra poco tutto crollerà. Sarà sufficiente il capitale umano, rappresentato da un ciclista investito e non soccorso ad accelerare gli eventi e a far uscire allo scoperto i personaggi

Virzì dirige un drammone che non ti aspetti, venato di velleità noirish assolutamente funzionanti. E in aggiunta Virzì dirige sempre benissimo. molti primi r primissimi piani, qualche macchina a mano, novità che rendono più chiuso un mondo già chiuso e più instabile un mondo già instabile. Una fotografia gelida come le relazioni umane ed il solito uso delle location sempre utili, ma mai da cartolina fa il resto. Poi il cast è sostanzialmente perfetto (personalmente non ho simpatia per la Bruni Tedeschi, quindi il fatto che l'abbia trovata fuori luogo può essere una questione di pelle), condotto magistralmente; personalmente ho ammirato tantissimo soprattutto i due comprimari, la Golino e Gifuni.

Detto ciò la storia è condotta a capitoli, in ognuno dei primi tre gli stessi eventi sono mostrati dall'ottica di uno dei personaggi, il quarto è la conclusione degli avvenimenti. Indubbiamente le sceneggiature di Virzì hanno tutte gli stessi difetti; i ricchi sono tutti arroganti e distaccati se non sono soli e tristi, i medio-borghesi tutti caciaroni e arrivisti, ma sostanzialmente stupidi. Questo il limiti ed il marchio di fabbrica. La struttura a capitoli però rende accettabile i soliti luoghi comuni. Il terzo personaggio poi, la ragazza, un pò come in "Tutta la vita davanti" è il personaggio positivo, ma pieno di contraddizioni che unisce gli altri personaggi e quella parte della storia determina un cambio di prospettive su quanto successo che da un senso al film.

lunedì 24 febbraio 2014

La crisi! - Coline Serreau (1992)

(La crise)

Visto qui.

Un uomo viene lasciato dalla moglie e nello stesso giorno viene licenziato, alla ricerca di una spalla amica su cui piangere inizia una serie di peregrinazioni fra famigliari, amici, conoscenti e amici della moglie, ma tutti sembrano presi da una crisi personale (ognuno diversa dall'altro), ognuno incapace di affrontarla se non reazioni isteriche. Unica persona che si interessa dei suoi problemi è un buffo ometto, all'apparenza non completamente in asse, che però lo ascolta volentieri per poter scroccare birra, cibo e viaggi. A partire da quell'unico contatto l'uomo inizierà una crescita personale che lo porterà a capire i motivi della moglie e a scendere a patti con la vita.

Commedia francese frenetica e folle. Nella prima metà il ritmo è altissimo, i dialoghi rapidi come mitragliatrici e due volte più efficaci (divertono moltissimo, criticano la società con il giusto mix di ironia e demenza), le scene sono tutte situazioni surreali ai limiti del paradosso che funzionano perfettamente ed i personaggi messi in gioco (niente più che macchiette) rappresentano un intera classe, sistema o gruppo di persone. In una parola, la prima metà è perfetta.

La seconda metà invece tira il freno a mano. Il film rallenta, la fuga da una persona all'altra cessa (ricomincia brevemente solo come scusa per mostrare i vari sistemi per uscire dalla crisi) e da una commedia demenziale l'opera diventa un film di formazione. La morale è urlata continuamente, il buonismo gronda a litri e le sequenze (pur con alcuni estremi surreali, come lo yoga e la vita ascetica mutuate da un tappeto) divengono prevedibili e stantie.
Peccato; ma la prima metà vale la visione, anche da sola.

venerdì 21 febbraio 2014

Monuments men - George Clooney (2014)

(Id.)

Visto al cinema.

Un gruppo di esperti d'arte o artisti vengono ingaggiati dall'esercito degli stati uniti per recuperare (e restituire) le opere d'arte rubate dai nazisti. Il piano si rivelerà complicato e pericoloso; ovviamente riusciranno a recuperare quasi tutto ciò che gli interessa di più; ma la questione se un'opera d'arte vale la vita di una persona rimarrà aperta (in realtà no, la risposta è evidente durante tutto il film, ma Clooney decide di urlarla in faccia al pubblico nel finale).

Clooney ama la storia americana, quelle del dietro le quinte soprattutto; solitamente ama mostrare i lati oscuri che la compongono e gli occasionali eroi che combattono. Qui il salto però è enorme, non c'è del marcio negli states, qui è il classico film supereroistico di alcuni statunitensi troppo buoni per essere veri; soprattutto se paragonati agli avversari (immediati come i nazisti o futuri come i russi).
Il film quindi perde parecchi punti fin da subito e, dato l'argomenti, Clooney decide di togliere ogni impressione di divertimento e azione (il trailer sembrava una sorta di ocean's eleven nel 45) e lo riempie dio scene madri; agnizione; uomini duri, ma da cuore tenero; un'irritante voice off che offende con le banalità stucchevoli che racconta; enfasi e drammi.
Di fatto la trama è randomizzata, le scene non comunicano le une con le altre se non grossolanamente e il film diventa un grosso spot, un dramma di maniera senza niente dentro; un'enorme sprechi di ottimi attori/caratteristi.

mercoledì 19 febbraio 2014

Il tesoro dell'Africa - John Huston (1953)

(Beatr the devil)

Visto in tv.

Una coppia di pacifici inglesi in procinto di partire per l'Africa, ma bloccati in Italia per una problema della nave, entra in rapporti con Bogart, avventuriero in affari con un gruppo di buffi personaggi. La coppia di inglesi verranno invischiati in questioni più ampie di loro, ma ne usciranno con stile.

Una farsa sul tema noir che ha contraddistinto i migliori film di Huston, in sostanza una presa in giro di se stesso. La storia è un'ironica e confusa versione del classico film con Bogart scritta, anzi co-scritta, (ma sarebbe meglio dire improvvisata, visto che veniva scritta giorno per giorno) da un Capote incredibilmente divertente, ma british e privo di ogni logica nel far muovere i personaggi.
Huston dal canto suo si fa notare in alcune svolazzanti scene in esterno, in diverse scene in interni con i suoi piccoli piani sequenza e nella continua costruzione delle scene a più livelli, pur senza avere una profondità di campo che permetta una messa a fuoco completa.

Poteva essere un film piacevole; ed invece è un'agonia.
Apprezzo le versioni originali, ma non sono un giannizzero dei sottotitoli; qui però il doppiaggio è criminale; ammazza tutto, appiattisce tutti, rende nevrastenici dopo 15 minuti (che sembrano 45); e ripeto, tutto solo per colpa del doppiaggio. Non pensavo si potessero fare così tanti danni con voci sbagliate, piatte e fuori sincro, ma Bogart sembra invecchiare in ogni scena, Lorre è un piatto ectoplasma, la Lollobrigida e la Jones potrebbero essere una qualunque attricetta svampita anni '50. Un delitto continuo.
Credo che di per se il film non risulti molto riuscito neppure in originale; ma così è davvero una tortura.

lunedì 17 febbraio 2014

Carnival of souls - Herk Harvey (1962)

(Id.)

Visto qui, in lingua originale sottotitolato.

Una ragazza sopravvive fortunosamente ad un incidente (l'auto finisce in un fiume); dopo questo evento lascerà la città per andare a lavorare come suonatrice d'organo. Ben presto si accorgerà di essere curiosamente attratta da un edificio fatiscente utilizzato come parco divertimenti, si renderà conto di essere perseguitata da uno strano uomo e le accadranno alcuni fatti difficilmente spiegabili.

Un horror d'atmosfera figlio di Tourneur, cugino di Clouzot e che darà i natali ad un'ampia schiera di horror moderni, cinematografici e videogame, di cui val la pena ricordare Silent hill e ha in sé anche caratteristiche successivamente riscontrate nel cinema di Lynch.

Vabbè parentele a parte il film è un b movie onesto, diretto dall'esperto Harvey (regista di documentari, ma la mano non digiuna dalla macchina da presa si vede nelle inquadrature interessanti) che mette in moto una corazzata di effetti sonori più che visivi che vanno dall'organo (grande classico del cinema di genere) ad un utilizzo fenomenale del silenzio come forza straniante. A questo si aggiunge l'utilizzo di location (il parco divertimenti abbandonato) estremamente buono; altrettanto non si può dire del comparto visivo dei persecutori, francamente risibile.
L'idea in linea con un certo cinema è buona anche se non geniale; la gestione è ottima ottenendo il massimo utilizzando il minimo (il budget fu men che risibile all'epoca) e gli stratagemmi messi in pratica sono encomiabili. Purtroppo il film è invecchiato, affascina e può dare spunti, ma non inquieta e non sorprende più.

venerdì 14 febbraio 2014

Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica - Lina Wertmüller (1996)

(Id.)

Visto in tv.

Un metalmeccanico comunista rimane "attratto" da una giovane parrucchiera leghista proprio il giorno della vittoria di Berlusconi nel 1994. Farà di tutta per cercare di dimenticarla, finché, ovviamente, non cederà; qui cominceranno i problemi veri.

Film di una Wertmüller che ripete se stessa all'infinito. Qui parte dall'idea di mostrare il nuovo risvolto politico, ma un soggetto del genere negli anni '60-'70 poteva diventare un film grottesco e divertente, di quell'ironia feroce, ma divertente; oggi (anni '90) invece si trasforma in un pretesto per mettere in scena quello che già si conosce, condito con molti eccessi.
Se la prima parte funziona pure (merito di buoni personaggi e buoni interpreti), la seconda sembra tutta una diluizione inutile ed estenuante.
La Wertmüller regge bene il colpo dietro la macchina da presa e il cast è assolutamente di livello (incredibilmente strepitosi i due protagonisti!), ma quesot non basta a salvare un film nato malissimo.

mercoledì 12 febbraio 2014

Il vaso di Pandora - Georg Wilhelm Pabst (1929)

(Die Büchse der Pandora AKA Lulù o Lulù - Il vaso di Pandora)

Visto qui.

Una ragazza ha tra le sue numerose relazioni quella di un facoltoso uomo pubblico, che frequenta per poter sfondare nel varietà. Durante uno spettacolo (messo in piedi dal figlio dell'uomo che lei frequenta, ovviamente anche lui innamorato della ragazza) la fidanzata dell'uomo li scopre insieme, il matrimonio salta ed il ricco decide quindi di sposare la ragazza. Durante la festa di  matrimonio però il neo marito fraintendi i rapporti fra la nuova moglie ed un anziano sfruttatore, ingelosito inscenerà una lite che porterà alla sua morte accidentale. La ragazza accusata dell'omicidio fuggirà dalla Germania riparando in Francia, dove diventerà succube delle minacce di denuncia di tutti gli uomini che la circondano.

Un dramma notevole diretto con una solidità incredibile, tanto da renderlo un film che potrebbe essere realizzato allo stesso modo anche oggigiorno. Viene però ricordato di solito per essere il primo a introdurre un motivo saffico nel cinema; la giovane ragazza farà innamorare di sé anche una donna, manipolata ed ingenua è l'unica figura completamente positiva del film.
Notevole anche la trama che si snoda nella vita di una ragazza che (come viene dette durante il processo è come Pandora) distrugge tutto ciò che tocca, nella prima parte tutti gli uomini che ha attorno, nella seconda, porterà tutti con sé fino a distruggersi da sola.

Il drammone si fa portatore di una regia encomiabile che gioca bene con una luce spesso cruda, diverse situazioni con ombre ricche di significato (la scena della camera da letto dove avviene il dramma), nel finale utilizza anche la nebbia (poco sfruttata a dire la verità), usa diverse inquadrature inconsuete per mostrare le stesse scene e nel finale ci da dentro anche con un montaggio parallelo rapido ed interessante (basti la sequenza sulle scale).
A questo va aggiunta una recitazione perfetta della Brooks assolutamente credibile anche al giorno d'oggi.

...detto ciò devo ammettere che il film non mi ha convinto; anzi mi ha convinto, ma non mi ha coinvolto. Sarà la gestione gelida della vicenda (siamo fin troppo al di fuori della storia che si svolge) o il repentino cambio di prospettiva (nella prima metà la protagonista è una carnefice, nella seconda una vittima), ma complessivamente il film non mi ha lasciato molto. Questo nonostante gli indubbi pregi.

lunedì 10 febbraio 2014

La signora scompare - Alfred Hitchcock (1938)

(The lady vanishes)

Visto qui.

Una ragazza conosce sul treno che la riporta in Inghilterra da un paese straniero un'anziana signora. Durante il viaggio la lady del titolo (spoiler alert) scompare... Inizierà una ricerca ossessiva dato che nessuno sembra averla notata.

Un film che è di fatto una commedia in un ambiente giallo, unico momento senza gag è la sparatoria finale; per il resto i personaggi sono macchiette divertenti, il rapporto fra i due protagonisti è una commedia dei sessi all'acqua di rose ed il ritmo è quello di una commedia sofisticata con una vecchia che scompare.
Però c'è Hitchcock.

In primo luogo per tutto il film nessuno è quello che sembra, senza spoilerare voglio citare solo i due gentiluomini inglesi che fin dall'inizio sembrano ossessionati dall'idea di avere notizie da Londra e, dato il momento storico, sembra evidente che cosa cerchino di sapere, invece...
Inoltre Hitch ci da dentro con un film realizzato per tre quarti negli angusti spazi di un treno, dove deve dare sfogo a lunghe scene di chiacchericcio, qualche colluttazione e almeno un momento puramente suo (quello dei bicchieri avvelenati con l'inquadratura che li mostra sempre in primo piano). Se ciò non fosse sufficiente c'è pure un incipit da manuale con una lunga carrellata che mostra una valanga che blocca un treno, l'ingresso d'un hotel e un mucchio di gente accalcata all'interno; non viene detta una parola, ma è chiarissimo cos'è successo.
Solo un ritmo leggermente troppo lento per i giorni attuali lo smascherano come un film degli anni '30 (ma potrebbe essere anche degli anni '50), per il resto appare sostanzialmente al passo.

Personalmente considero questo il miglior film inglese di Hitchcock... anche se devo confessare di non aver mai visto Sabotaggio.

Il film ottenne un remake (con Angela Lansbury) che in base ai miei offuscati ricordi sembrerebbe ricalcare fedelmente l'originale.


venerdì 7 febbraio 2014

He got game, Egli ha vinto - Spike Lee (1998)

(He got game)

Visto in Dvx.

Ad un uomo, in prigione per l'omicidio della moglie, viene proposta una riduzione di pena da parte del governatore se, in cambio, convincerà suo figlio (campione di pallacanestro dei college) a iscriversi all'università dello stato. Avrà una settimana di tempo, purtroppo il figlio ancora lo odia per l'uxoricidio. Quella settimana diventerà nello stesso tempo un assaggio di vita normale, un tentativo di ricucire i rapporti strappati con la famiglia, un tentativo di far firmare l'adesione all'università e il ficcarsi in situazioni che non lo riguardano (più ovviamente dover fare i conti con il passato).

Un film che Spike Lee voleva realizzare per mostrare a cosa sono sottoposti i giovani bravi negli sport da parte di un sistema monetizzato fin nel midollo (al ragazzo vengono offerti soldi, auto e donne a non finire); tuttavia questo è quasi il difetto del film. Chiariamoci, la parte della scelta del protagonista (e il crollo di tutte le persone che gli stanno attorno perché tentate dal danaro) è affascinante e ben realizzato, ma toglie spazio alla storia famigliare che sembra più interessante. Più interessante perché qui i personaggi sono esseri umani, Washington da vita ad un padre certamente amorevole, ma autoritario e malato di basket che commette più sbagli che altro (strano poi come Washington mi risulti sempre fuori luogo tranne che nei film di Lee dove è semplicemente perfetto).
Il film si arrotola troppo sui suoi due personaggi facendoli interagire in maniera limitata (anche le lunghe sequenza della prostituta a cosa servono?).
In ogni caso la storia regge e interessa per oltre due ore senza molte cadute.
Da parte di Lee poi ci sono i suoi movimenti di macchina (da non perdersi i titoli di coda, decisamente una sequenza alla Spike Lee senza una trama), i suoi colori saturi, le sue inquadrature particolari e le inserzioni di sequenze che non hanno a che fare con la scena complessiva (il suo montaggio alla Eisenstein).

Molto belle le canzoni dei Public enemy, su tutte questa, con base di For what is worth.

mercoledì 5 febbraio 2014

4 mosche di velluto grigio - Dario Argento (1971)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un musicista si trova per caso coinvolto in un omicidio; un pazzo con una maschera lo fotografa e comincia ad ossessionarlo. Il musicista cercherà di scoprire chi è e per quale motivo viene perseguitato.

Un film ricco di invenzioni visive e di trama, forse più dei precedenti; tuttavia non mi ha convinto.
Se i dettagli (il coltello durante l'omicidio della cugina/amante) e la soggettiva (dei personaggi, ma anche l'inquadratura dall'interno della chitarra dell'incipit) sono cose note, soprattutto per Argento; la rapida scomparsa dei bambini nel parco con un montaggio parallelo, così come i rallenty della pallottola (condotto con un ottimo gioco di montaggio) così come dell'incidente finale, sono due novità assolute. Nella trama poi compare l'indizio fondamentale (che da il titolo al film) con un'idea totalmente fantastica, inoltre c'è l'idea di un sogno rivelatore; si insomma viene introdotto il paranormale ed il fantascientifico in un film giallo, idea che (migliorata tantissimo) tornerà in Profondo rosso.

Per quanto mi riguarda però una certa lentezza nella trama e l'utilizzo di alcuni accorgimenti (come il già citato montaggio parallelo per far sparire le persone nel parco; o la notte improvvisa sempre nella stessa scena) rendono il film più indigesto, meno credibile (e considerando l'introduzione del surreale che già potrebbe sollevare critiche direi che non è stata un'idea geniale). Un finale che, per quanto sia lavorato bene, risulta frettoloso non aiuta molto. Inoltre Argento inserisce massicce dosi di ironia, talvolta divertente, ma più spesso straniante, se non proprio fuori luogo.
Da molti (tutti?) è considerato il miglior film di Argento prima di Profondo rosso e contestualizzato è effettivamente qualcosa di importante... personalmente, e visto alla luce di quanto fatto dopo, lo salvo più per la presenza di un inaspettato Bud Spencer che per altro.

PS: musiche incredibili di un incredibile Morricone.

lunedì 3 febbraio 2014

Rain man, L'uomo della pioggia - Barry Levinson (1988)

(Rain man)

Visto in tv.

Un uomo, alla morte del padre, scopre di avere un fratello autistico a cui è stata versata l'intera eredità. Lo porterà via con se per convincere le autorità di meritare la gestione dei beni del fratello; lungo la strada imparerà a conoscerlo.

Zuccheroso film che ebbe il pregio di mostrare al grande pubblico una malattia prima sostanzialmente sconosciuta. Lo fa con una storia di amore odio classica, dove due persone molto diverse imparano a conoscersi e ad apprezzarsi. Lo fa inoltre scegliendo una sindrome di Asperger, dando quindi al grande pubblico una visione comunque positiva di una malattia che molto spesso non ha risvolti incredibilmente remunerativi...
Levinson ci prova a dare qualche idea d'autorialità, ma si riduce tutto a qualche scossone alla macchina da presa; la sceneggiatura butta nel finale un'apparenza di originalità, ma di fatto tutto il percorso fino a quel punto è il classico e consolatorio svolgimento hollywoodiano. Infine Hoffman fa la sua porca figura portando altra pubblicità all'Actors studio.
Al di la di questo non ho trovato molti altri pregi.