giovedì 18 giugno 2020
L'occhio che uccide - Michael Powell (1960)
Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.
Un uomo schivo e con problemi di relazione fa l'operatore cinematografico e arrotonda facendo foto sexy per un giornalaio intraprendente. Nel tempo libero ama fare foto o riprendere deformità ed eventualmente uccidere in favore di videocamera.
In questo mondo di perfetto voyerismo (lui spia le altre persone, guarda i suoi filmati fatti spiando, guarda i filmati fatti da suo padre mentre lo spiava) viene interrotto da una inquilina del suo stabile, lui se ne innamora non vorrebbe facesse la fine di tutte le altre... si sacrificherà.
Mitico film del Powell post Pressburger e piccolo cult personale che non vedevo da almeno un decennio (o più).
Rivederlo ora è stata una botta incredibile. Questo è un film del 1960 che sembra essere stato realizzato almeno un decennio prima (o più).
Tutto in questo film risulta datato già per l'epoca a partire dalla fotografia dai colori saturi, ma esattamente uguale a quella che Powell utilizzò nei suoi film degli anni '40 e '50, la scelta degli attori e della recitazione sofferta, ma manierista riportano indietro di diversi anni.
Solo la vicenda è incredibilmente moderna e rappresenta (come sottolineato da persone più intelligenti di me) un curioso negativo di "Psycho" uscito lo stesso anno (protagonista psichiatrico, turbe sessuali, rapporto morboso con un genitore scomparso, ma presente, ecc...).
Il clima morboso è però ben costruito anche se la storia di redenzione è trattata in maniera superficiale e fa cedere un pò la credibilità già claudicante. Da ricordare c'è almeno l'incipit tutto in soggettiva (motivata! questa è la vera innovazione) che riesce abilmente a introdurre al tono del film con la giusta dose di claustrofobia e inquietudine (se si arriva senza nessuno spoiler l'effetto è sicuramente ottimale).
Rimane un esperimento interessante e l'ultimo fuoco ragguardevole di un grande regista.
PS: bella anche la sequenza sul set dopo la chiusura del teatro, ben realizzata nell'ottica del thriller che si deve ancora sviluppare del tutto e permette una piccola scena di ballo alla Shearer presente anche qui con una comparsata.
giovedì 11 giugno 2020
La battaglia di Alamo - John Wayne (1960)
Visto su NowTv, in lingua originale sottotitolato.
Il racconto (che molti ci tengono a sottolineare essere non accurato dal punto di vista storico... ma va?!) delle vicende che hanno portato i colonnello Bowie e il più noto Davy Crockett a combattere dentro a Fort Alamo per dare il tempo all'esercito texano (all'epoca parte del Messico) di organizzarsi per combattere quello messicano ufficiale. Il sacrificio di meno di 200 persone per dare il tempo ad altri di vincere.
Fortemente voluto da John Wayne per anni questo è il primo (di due) film da lui interpretato, diretto e prodotto. Fu un investimento gigantesco e un fiasco al botteghino che precluse a Wayne di bissare per quasi un decennio.
Il film è un polpettone sentimentale (in senso di sentimenti machisti, poco romanticismo) inserito nel genere western classicissimo che di li a pochi anni sarebbe stato buttato a gambe all'aria da Leone.
Enfatico nei toni e manierista nella recitazione (bisogna riconoscere a Wayne di essere quello più controllato, ma d'altra parte lui è stato uno dei più grandi caratteristi d sempre) è un inno al cinema più passatista e patriottico che sarebbe stato accettabile almeno dieci anni prima o più.
Posto tutto questo rimane un film molto godibile.
Accettando che la battaglia vera e propria sia solo negli ultimi 10 minuti (ma è solo il titolo italiano che è fuorviante) è un film classicheggiante che nelle sue due ore e mezza si concede solo un paio di momenti di stanchezza.
Togliendo infatti i due o tre monologhi più patetici (su tutti quello di Wayne al fiume con la donna che manderà via) il film si muove con un ritmo costante, rilassato, ma preciso, intrattiene con garbo, diverte il giusto e mette insieme i pezzi giusti per arrivare al climax finale.
In verità, in tutto questo marasma di già visto, è affascinante che il film su Alamo sia un gioco a tre fra i colonnelli, un film con intrighi di palazzo (poco elaborati) e diplomazia (sempre con piglio divertito), dopo circa un'ora si avvicina a una "La sfida del samurai" scanzonata.
PS: un encomio agli sceneggiatori che hanno dovuto inventarsi tre morti eroiche senza che ognuna facesse sfigurare quella degli altri.
venerdì 29 giugno 2018
Crimen - Mario Camerini (1960)
Visto in Dvx.
Sei coppie di italiani si ritrovano a Montecarlo. Un omicidio viene commesso e, per varie vicissitudini, i tre vengono tutti sospettati in una girandola di equivoci e segreti reciproci. La vicenda sarà ricostruita a distanza.
Commedia riuscitissima di Camerini che si sporca di giallo senza esserne mai sovrastata. Di fatto un mix di due generi dove, entrambi, hanno il loro spazio, per lo più disgiunto, ma con un occhio di apprezzamento maggiore alle risate.
Il film si pregia di una serie di interpretazioni eccellenti fatte dal cast stellare coprotagonista dove ognuno ha uno spazio equilibrato per muoversi e dare il meglio di sé, particolarmente apprezzabili Manfredi nei suoi panni migliori, un Sordi macchiettistico, ma adatto e una Mangano a cui viene dato lo spazio giusto per spiccare.
Il film invece non riesce mai a dosare in maniera corretta le varie componenti o le tre storie che, di fatto, prima del finale, sono degli episodi disgiunti; ma ha il vantaggio di architettare un plot a incastro totalmente imprevedibile costringendo lo spettatore a rimanere incollato al video fino alla fine per l'impossibilità di prevedere cosa verrà dopo. Non un capolavoro tout court, ma un capolavoro di imprevedibilità.
lunedì 15 febbraio 2016
I vivi e i morti - Roger Corman (1960)
Visto in Dvx.
Il pretendente sposo di una giovane va a lal vilal della stessa a incontrare il di lei fratello, poiché sospetta che lui la tenga prigioniera nella magione. Scoprirà invece che la famiglia è condannata da generazioni di follia e tare genetiche; la casata è malata quanto la casa che li contiene.
Personalmente non amo il Corman nel suo periodo Poe (di cui tendo ad apprezzare solo "La tomba di Ligeia", ma pur sempre con dei distinguo); tuttavia questo rimane un film rilevante nella sua filmografia in quanto è il primo della serie dedicata allo scrittore gotico, am soprattutto è il primo in cui collabora con Vincent Price (abbastanza giovane, e senza baffi! e biondo!).
Purtroppo è un film con molti dei pregi delle opere di Corman, ma che contine anche tutti (tutti) i difetti dei suoi film tratti da Poe: la lentezza, la noia, la psicologia lamentosa che vorrebbe sostituirsi alla tensione.
venerdì 1 gennaio 2016
Adua e le compagne - Antonio Pietrangeli (1960)
Visto in Dvx.
1958, ultimo giorno prima dell'applicazione della legge Merlin; in due lupanari quattro, ormai ex, meretrici si mettono d'accordo per aprire un ristorante fuori Roma, una volta ingranato ritorneranno a prostituirsi senza dare nell'occhio nelle camere sopra al ristorante. CI mettono i soldi, mettono a posto una vecchia cascina, ma non ottengono i permessi, perché sono schedate. Si avvalgono di un prestanome che acquista terreno e permessi e si mettono in attività. Da incompetenti diverranno ottime gestrici di ristorante e preferiranno non tornare a fare la vita; però il prestanome verrà a pretendere più del dovuto diventando, di fatto, un pappone. Ci sarà uno scandalo dove i più deboli perderanno.
Storia amara sceneggiata a 8 mani (tra cui quelle sapienti di Pinelli e quelle aspre di Scola) che si muove esattamente alle parti del Pietrangeli drammatico (si veda "Io la conoscevo bene"), dove i più deboli o ingenui vengono soverchiati dalla società che non gli permette mai una redenzione. Purtroppo troppa enfasi, troppe scelte facili per strappare consensi (la prostituta che si porta il figlio nel ristorante, quella che sta per riuscire a sposarsi) sono gestite in maniera ovvia e riescono a far perdere mordente alla storia, mentre avrebbero potuto esserne il cuore vero.
Alla regia invece ci sono i soliti virtuosismi fatti di piccoli movimenti di macchina, con qualche esplosione qui e la: il risveglio di una delle protagoniste che si accorge di non avere più il figlio vicino è un tour de force incredibile anche se breve o l’arrivo del dottore che visita le camere che inizia con musica di sottofondo e lunghe carrellate per finire in una serie di primissimi piani. Non siamo però dalle parti dell'eccesso (in senso buono) degli anni '60.
In ogni caso un film godibilissimo che vale sempre la pena recuperare, anche per il cast, con quattro protagoniste di una bellezza inverosimile e di capacità di recitazione che fanno a gara a superarsi.
venerdì 11 settembre 2015
Zazie nel metrò - Louis Malle (1960)
Visto ad un cineforum, in lingua originale sottotitolato.
Una ragazzina viene lasciata a Parigi alle cure dello zio (la madre deve passare un weekend con un uomo). Lo zio vorrebbe far visitare la città alla nipote che però è interessata unicamente alla metropolitana. La storia si complica quando della vicenda si interessa un poliziotto piuttosto pedante e la visita alla città costringe lo zio a portare tutti alle prove del suo spettacolo dove interpreta una ballerina.
Personalmente apprezzo Queneau a singhiozzo (l'autore dell'opera omonima alla base del film) e comunque ho sempre considerato ogni suo libro intrasportabile sul grande schermo. Partito quindi con le peggiori premesse mi sono dovuto ricredere fin da subito.
Il libro è una viaggio surreale con una trama piuttosto vaga, dal mood comico e dalla scrittura letteralmente vorticosa, un tour de force letterario per lo stile di scrittura paradossale. Malle si dimostra all'altezza del compito e traforma la scrittura in un caleidoscopio di immagini; l'ironia è continua nelle scene con personaggi utilizzati per la loro fisicità prima che per la recitazione (fantastico un Noiret mai così mastodontico), nei personaggi di contorno che arricchiscono ogni scena di dettagli comici creando un intero ecosistema (si pensi solo al borseggiatore onnipresente), una recitazione sopra le righe e una serie di gag e movimenti eccessivi degni dei Looney tunes, un susseguirsi di scene cucite insieme più per ritmo che per senso (c'è un lungo inseguimento centrale, completamente cartoonistico, solo in parte utile per la vicenda; beh è una serie di scene realizzate benissimo. Inoltre Malle utilizza la macchina da presa in maniera dinamica e con inquadrature particolari (e spesso assurde o deformate); ma soprattutto lavora tantissimo di montaggio, muovendo i personaggi sulla scena, spostando o sostituendo oggetti, affiancando scene paradossali.
Un capolavoro di surrealtà e una delle migliori trasposizioni cinematografiche di un'opera letteraria.
lunedì 16 giugno 2014
La ciociara - Vittorio De Sica (1960)
Visto in tv.
1943, madre e figlia 13enne fuggono da Roma in attesa dell'arrivo degli alleati. Nelle campagne si ricostruiscono una vita in mezzo agli sfollati, fatta di sopravvivenza spicciola, nuovi incontri e il persistere del loro costante ottimismo. Quando finalmente gli alleati arrivano e loro due si mettono in cammino per tornare a casa verranno violentate entrambe da una milizia di magrebini. Il rapporto fra madre e figlia si interromperà.
Film magistrale di un De Sica perfetto nella sua asciutta regia, perfetto nel condurre un film contemporaneamente ampio (le campagne romane, i numerosi gruppi di persone) e minuto (i piccoli personaggi, gli interni insistiti degli edifici, i piccoli dettagli che si contrappongono alla violenza come la coccinella durante il passaggio dell'aereo), che si appoggia sugli attori senza mai basarsi solo sulla recitazione; sempre misurato si butta sul montaggio e su inquadrature diverse solo nella scena dello stupro per mostrare l'orrore di ciò che avviene senza far vedere nulla.
Il film si appoggia ad una sceneggiatura perfetta che con molti dialoghi (senza mai stancare) riesce a chiarire perfettamente i personaggi, soprattutto la grande protagonista e il suo rapporto con la figlia.
Niente da aggiungere sull'interpretazione della Loren, impeccabile nella parte della madre ottimista e gioiosa così come della persona violentata che deve riuscire a gestire il proprio dolore e quello della figlia.
Personalmente non ho apprezzato il finale che mi è sembrato debole rispetto al resto del film, doveva fermarsi prima o aggiungere ancora qualcosa; tuttavia questo rimane un grande film.
martedì 20 marzo 2012
Il mattatore - Dino Risi (1960)
Visto in DVD.

Ovviamente adoro i film di truffe e alla fin fine non me ne frega niente di com’è il film in sé se in cambio mi mostra trucchi nuovi. Qui di trucchi ce ne sono, anche se molto caserecci, posso dirmi parzialmente soddisfatto; poi per fortuna è anche un bel film.
Divertente commedia all’italiana molto spinta nel versante comico, che utilizza la versatilità di Gassman e lo affianca ad una serie di comprimari di lusso (ovviamente su tutti c’è De Filippo) e realizza una galleria di volti, situazioni e personaggi davvero notevole. Ovviamente è un’ottima commedia perché diverte, quello che manca è la capacità di dire qualcosa, l’essere graffiante come dovrebbe essere la commedia all’italiana; questo film invece mantiene sullo sfondo tutto ciò che non fa ridere e presto lo accantona.
martedì 13 marzo 2012
Il testamento d'Orfeo - Jean Cocteau (1960)
Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.

Ancora una volta Cocteau attinge agli effetti scenici base, soprattutto il rewind creando una serie di scene sempre efficaci (la bolla piena di fumo nell’incipit e nel finale; la ricostruzione del fiore); utilizza anche il colore in una sequenza fondamentale e si appoggia ad un’estetica più basilare come quella del teatro (tutta la parte iniziale è girata in un teatro di posa esplicitato). Il mondo fantastico che lo circonda lo interessa meno questa volta e l’intero film non è proteso a mostrarne l’irrealtà, si limita a descrivere Cocteau in una lunga pubblicità di se stesso.
Molte le comparsate per lo più mute di personaggi del calibro di Aznavour o Picasso; ma chi più mi ha stupito è stato un impensabile Yul Brynner.
Meno affascinante ed interessante dei due capitoli precedenti, ma li conclude coerentemente.
martedì 17 gennaio 2012
La lettera non spedita - Mikhail Kalatozov (1960)
Visto in Dvx.

Tecnicamente fantastico come Kalatozov sa fare con piani sequenza continui, inquadrature enfatiche ricche di movimenti frenetici della macchina da presa, inquadrature da punti di vista meno scontati (per lo più dal basso), controluce su campi medi o lunghi ricchi d’effetto, primissimi piani evocativi e sovraimpressioni di fiamme sulle immagini fin dall’inizio del film, come ad anticipare quello che succederà più tardi. Dovendo dare un premio direi che la scena tecnicamente più azzardata e meglio riuscita sia il piano sequenza della caccia.
Dall’altro lato le ambientazioni sono perfette, un inno alla natura all’inizio che poi si trasforma in un inferno dantesco fatto di fuoco ed in una sorta di ambiente post-apocalittico quando l’incendio si spegne.
Peccato che il film sia eccessivamente enfatico fin dalle prime scene e complessivamente annoi più di quanto intrattenga. Ma esteticamente rimane imbattibile.
venerdì 9 dicembre 2011
Occhi senza volto - Georges Franju (1960)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Film assurdo sotto ogni punto di vista che fa della recitazione azzerata la sua caratteristica principale ed il finale è talmente insoddisfacente che fa venire il dubbio che sia stato tagliato…
Però il comparto visivo è magnifico. Il volto sfigurato che non viene mai mostrato se non con immagini alterate, l’inquietante maschera di gomma bianca che la ragazza indossa, il finale con il mostro in mezzo alla natura o l’evoluzione di uno dei trapianti mostrato attraverso una serie di foto che ne descrivono il fallimento. Ecco, tutto questo, oltre alla storia in se, rende lodevole questo film sempre sul limite fra serie A e B.
PS: pensa te dove in che film ha recitato Alida Valli...
venerdì 2 dicembre 2011
Tirate sul pianista - François Truffaut (1960)
Visto in DVD.

Il film racconta di Aznavour pianista di successo che per una disgrazia accaduta per colpa sua si cambia nome e si nasconde suonando il pianoforte in un localino di cui diventa la piccola attrazione. Tutto va per il meglio finché non arriva il fratello inseguito da due ladri con cui aveva fatto un colpo e a cui non vuol dare la loro parte. Il pover’uomo verrà trascinato verso il fondo con il parentado e a farne le spesa sarà pure la nuova sua nuova fiamma con cui proprio in quel momento intreccerà una storia d’amore.
Film lento ed anempatico che sproloqui sui massimi sistemi senza motivo e fa accadere le situazioni come se dietro non ci fosse nessuno che decide cosa ci sarà nella scena successiva. Il protagonista è inquietantemente grigio e distacca lo spettatore dal film in maniera impensabile. In una sola frase direi che è la quint’essenza del luogo comune discriminativo del cinema francese.
Alcune sequenze rimangono comunque degne di nota (è pur sempre Truffaut) come la scena in cui il protagonista ci prova con la ragazza, tutta una serie di decisioni e ripensamenti che risultano poi in un nulla di fatto; bella anche la battuta sul fatto che “al cinema, più di così, non ti fanno vedere”…
martedì 22 novembre 2011
La fontana della vergine - Ingmar Bergman (1960)
Visto in DVD.

Che film enorme. La trama è di una semplicità e una banalità impressionanti, ma tutto quello che ci gira intorno lo rende titanico.
Bergman ci imbastisce una storia densa di significati metafisici, ragiona sulla ragione e sui sentimenti, ma soprattutto (come sempre nei suoi film) su Dio, anzi in questo caso sugli dei. Il rapporto principale in questo film è quello fra il paganesimo della cameriera e l’insistente religiosità cristiana della famiglia. Entrambe verranno messe alla prova, entrambi gli dei risponderanno alle chiamate, ognuno a modo suo.
Inoltre la fotografia del film è quella perfetta di Nykvist quando gioca con il bianco e nero e la regia si mette a posizionare la macchina da presa in posizioni sopraelevate e in primissimi piani come poche volte aveva fatto in precedenza. Le scene sono costruite con un’estetica maggiore rispetto agli altri film di Bergman… inoltre questo è l’ultimo film del regista svedese in cui Dio risponderà alla chiamata di Max von Sydow.
sabato 12 febbraio 2011
E l'uomo creò Satana! - Stanley Kramer (1960)
Visto in VHS.
In un bigotto paesino del sud degli stati uniti un insegnante viene arrestato per aver insegnato l’evoluzionismo (e viene arrestato a ragione visto che citano una legge che viete di insegnare cose che vadano contro le sacre scritture, per carità legge sbagliata, ma tecnicamente il processo era praticamente inutile). Come avvoltoi arrivano subito giornalisti ed un paio di avvocati prima amici, ora dalle parti opposte della barricata, e cominciano una lotta all’ultimo sostantivo per difendere la tradizione bigotto-cristiana l’uno, e la libertà di pensiero l’altro.
Pesante e verboso legal movie che fa di un fatto idiota un caso mondiale senza rispettare le più ovvie regole di un processo (ho visto abbastanza film e telefilm per rendermi conto che gli avvocati si prendono, entrambi, troppe libertà). Per carità, le prime scene (prima del dibattimento), sono stupende, scritte dai migliori dialogisti di Hollywood e con aforismi cinici di prim’ordine (detti quasi tutti da un Gene Kelly credibile e incredibilmente nichilista)… poi arriva il processo vero e proprio, ed il film sbraga nel moralismo più scontato, nelle invocazioni alla libertà francamente eccessive e si dilunga in scene melodrammatiche senz’anima.
Abbastanza bravi gli interpreti, ma stupisce March, fighetto anni 30, declassato a macchietta anni ‘60 (comunque in parte).
Unica mozione completamente positiva la regia di Kramer, continuamente intenta in sinuosi carrelli laterali che portano a costruire le scene su più piani (arriva ad utilizzarne 3) senza bisogno di panfocus o altro artifizio. Bravo!
domenica 6 febbraio 2011
Il buco - Jacques Becker (1960)
Visto in VHS.
Un altro film francese di fuga dal carcere più o meno dello stesso periodo di “Un condannato a morte è fuggito”. Per pura fatalità li ho visti vicini e non riesco a considerarli separatamente…
Le due opere sono diametralmente opposte, solitaria, silenziosa e scarna l’altra, tutta costruita sui rapporti tra i 5 condannati la questa. Una fuga tutta cerebrale, pensata e preparata più che attuata la prima, un lavoro quasi improvvisato e tutto muscolare il secondo…
Fra i due preferisco la maggior inerenza alla realtà di questo film di Becker piuttosto che il sottile gioco metafisico di Bresson, anche se pure questo film non è scevro di difetti.
Becker si preoccupa di mostrare una fuga tutto sommato semplice in ogni dettaglio, mostrando ogni attimo di lavoro e rendendo la fatica dell’abbattimento di un muro in cemento come l’atto eroico di questi 5 carcerati; l’idea certamente funziona, ma esagera, rallenta molto il film, ma soprattutto rischia di annoiare; l senso sarebbe stato ben trasmesso anche con se il lavoro non fosse stato seguito quasi in tempo reale.
Il due finali poi risultano molto diversi, questo è terribilmente amaro e cinico, e francamente potente nella sua normalità. Assolutamente il film di fuga migliore mai realizzato, data la sua assoluta verosimiglianza.
mercoledì 20 ottobre 2010
The amazing trasparent man - Edgar G. Ulmer (1960)
Registrato dalla tv, in lingua originale sottotitolato.
La storia di un ladro fatto usciri di prigione da un militare folle che vuole fargli rubare delle componenti radioattive per un suo certo piano che comprende l'intero pianeta. Per rubare quanto detto lo rende trasparente grazie all'invenzione di un russo o giù di li che sta testando un certo raggio... Film nella scia dell'uomo invisibile con una povertà di mezzi che fa tenerezza, ma con molte idee (ed un'ingenuità che lo fa sembrare più vecchio di quel che è). Punta tutto sui personaggi e francamente i rapporti fra di loro sono quanto di meglio il film offra, con il loro asservirsi al militare pur odiandolo e cercando di fregarlo e quanto lui si circondi di persone sempre disposte a farlo fuori, che lui sfrutta per i propri scopi.
Per il resto il film non offre tantissimo, certi effetti speciali a basso costo che son carini da vedere, e una morale aleggiante per tutta l'esigua durata che si concretizza nel finale con lo scienziato che si rivolge direttamente agli spettatori (sig).
Non un buon film, ma un film che aveva potenzialità maggiori dei mezzi a disposizione e, per sfortuna o disimpegno, manca un po tutti gli obbiettivi. Comunque è gradevole da vedere.
venerdì 3 settembre 2010
L'ultima donna sulla terra - Roger Corman (1960)
Un uomo d’affari americano, sua moglie e il suo avvocato si ritrovano fortuitamente gli unici sopravvissuti din un disastro inspiegabile; l’aria è scomparsa e con essa la razza umana. In realtà si trovano a Portorico e non sanno se qualcun altro si è salvata.
Per riuscire a sopravvivere l’uomo d’affari prende in mano la situazione e si incorona leader del gruppo… chiaramente una società fatta da due maschi ed una sola femmina non ha molte prospettive di andare avanti, le personalità i scontreranno e la situazione esploderà.
Horror psicologico che mette in scena il lato oscuro ed egoistico dell’uomo, con dialoghi non eccezionali, ma un’idea di fondo magnifica e ben direzionata a toccare tutte le questione principali sul tema. Con superba arroganza Corman non risponde a nessuna domanda (cos’è successo non si saprà mai, ma i personaggi non sembrano neppure intenzionati a scoprirlo, intenti come sono a sopravvivere), semplicemente mette in scena l’animo umano, e senza bisogno di mostri in gommapiuma.
Con il classico piglio sicuro alla regia e location non eclatanti, ma adatte, Corman da vita ad uno dei suoi film migliori.
venerdì 7 maggio 2010
La piccola bottega degli orrori - Roger Corman (1960)
Visto in DVD.
Da un fioraio di periferia, un dipendente mezzo idiota, porta una pianta strana che ha trovato... Presto si accorge che la pianta per crescere ha bisogno di sangue (e tra le altre cose parla pure), e dopo un pasto cresce a dismisura...proporzionalmente cresce la sua fame.
Piccolo gioiello di surreale comicità spicciola anni '50, che si avvale di una trama assurda ma splendida, di una struttura assolutamente libera e di una serie di gag inutili ma completamente inaspettate (come il cliente che mangia i fiori); non fa mai ridere, ma mantiene un tono, un livello stabile per tutta la sua durato fin nel non porevedibilissimo finale.
Non è certo privo di difetti, i personaggi (più che altro il protagonista) sono talvolta esagerati e ripetitivi e presenta alcuni inserti che tentano di strappare risate ma risultano solo patetici (come il becchino masochista, cameo, questo, di Jack Nicholson).
Complessivamente il film funziona, più che altro perchè non si sa dove voglia andare a parare e quindi non può fallire gli obbiettivi. Rappresenta il Corman più libero e anarchico possibile, non soffocato da patetiche scenografie gotiche o da assurde storie di brividi che riecheggino o copino Poe; qui siamo di fronte a semplice intrattenimento surreale.
sabato 20 marzo 2010
La maschera del demonio - Mario Bava (1960)
Visto in DVD.
Il primo film di Bava è un horror dalla storia confusa che ormai non da più neppure un brivido. Ciononostante rimane un'opera importante nel panorama italiano, in quanto primo film di questo genere ad essere realizzato.
Le ristrettezze dei mezzi non sono un impedimento alla realizzazione di un'opera che attinge a piene mani dall'immaginario dei film horror anni '30, dall'ambienatazione, alle scenografie spoglie ma suggestive, al tema del mostro senza che deve essere eliminato senza se e senza ma. Bava poi ci mette del suo, con ariosi movimenti di camera che ampiano le possibilità espressive di una stessa scena inquadrando su più livelli e in momenti diversi tutti i personaggi in scena, oppure mostrano o nascondono oggetti e personaggi.
Come si è detto l'effetto horrorifico è, come negli anni '30, lasciato all'atmosfera, all'ambiente gotico e decadenti, agli ampi saloni vuoti, alle ragantele ed alla polvere; e ancora una volta Bava dimostra di saperci fare con le inquadrature ad effetto, e alla creazione di un clima stagnante.
Di per se non è un buon film, non credo abbia particolari pretese e d'altra parte non ha una struttura originale o decisamente ben fatta, eppure le mani del regista cercano una loro via in un genere all'epoca già usurato, e a mio avviso, ci riescono.
lunedì 8 febbraio 2010
Fino all'ultimo respiro - Jean-Luc Godard (1960)
Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.
Il film manifesto della Nouvelle Vague, mi spiace dirlo, ma mi sembra un pò una vaccata.
E' la storia di un idiota infantile (Belmondo) che si innamora di un'americana, cerca di sedurla, lei un po ci sta e un po no, poi alla fine ci sta, lei scopre che lui ha ucciso un poliziotto, ma ci sta lo stesso e lo aiuta a nascondersi, poi si stufa e lo denuncia...
La sceneggiatura è forse la cosa peggiore del film. L'impostazione generale della trama non sarebbe neppure male, ma per lo più tende ad essere inutile, ripetitiva e noioso; c'è una scena di almeno mezzora di chiacchericcio tra le lenzuole peggiore di quello che riuscirebbero a fare in una telenovela sudamericana. I dialoghi sono degni di un ritardato e tutta la vicenda va avanti a, metaforici, calci nel culo; un passo alla volta, molto lentamente, e sempre dolorosamente per chi guarda.
Gli interpreti non mi paiono particolarmente brillanti, e Belmondo proprio non m'è piaciuto in questo film, mi sorprende di leggerne così bene in giro (credo sia stato Mereghetti a definirlo "un Belmondo in stato di grazia").
Poi beh, il montaggio, per lo più all'inizio, sembra fatto con un'accetta.
Godard però dimostra di essere all'altezza delle aspettative, si vede che proprio vuol fare come gli americani, e confeziona una regia tutto sommato valente, con panoramiche a più di 360 che inquadrano lunghi piani sequenza; segue o anticipa gli attori con la camera a mano; utilizza le maschere del cinema muto (in un'occasione anche con un motivo valido); cerca inquadrature non convenzionali ecc... Decisamente di livello superiore.
In definitiva: senza nulla togliere all'importanza storica del film (anche "Il cantante di jazz" ne ha, però è legale dire che è brutto), è proprio un'opera prima con tutti i difetti del caso, una realizzazione grossolana e una scenegiatura impresentabile; Godard si mostra per quello che è, un grande regista, e per farlo ammorba lo spettatore per un'ora e mezza...
Un film che, credo, piace a critici e cinefili (snob) più perchè deve piacere che per altro.
PS: c'è una scena di Belmondo in bagno che fa una mossa di karate che mi fa ancora tenerezza per l'ingenuità molto anni '80; il mai abbastanza compianto maestro Miyagi si ricvolta ancora nella tomba da allora, anche se è morto solo da pochi anni.