venerdì 30 dicembre 2016

Argento vivo - Victor Fleming (1933)

(Bombshell)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una diva hollywoodiana è perseguitata dal suo press agent (...non sono sicuro che fosse un press agent... non sono neanche sicuro di cosa sia... comunque è un tizio che si occupa dell'immagini della diva) che cerca di creare fama e clamore attorno alla donna con scandali e gossip rosa. Sentendosi presa alle strette cercherà di ritirarsi ad una vita più tranquilla, solo nel finale capirà l'interesse per lei del press agent.

Una screwball comedy dal ritmo enorme, ma dai dialoghi esagitati, battute rapidissime con sovrapposizione fra gli attori, urla e grida ad ogni scena, un tentativo di scena madre da commedia ad ogni inquadratura che rende il film piuttosto pesante.
Fuori discussione che le screwball comedy non siano le mie preferite, tuttavia qui l'intento comico è usato in maniera esagerata e riesce ad irritare più di quanto diverta.
All'epoca però fu un successo e lanciò la, relativamente, nuova Harlow.
Interessante più che altro per vedere un film completamente comico diretto da Fleming.

PS: divertente l'inside joke iniziale in cui l'attrice viene costretta rigirare alcune scene di "Red dust" su indicazione dell'ufficio di Hays.

mercoledì 28 dicembre 2016

Ballata impressionistica - Anton Gino Domeneghini (1954)

(Id.)

Visto in DVD.

Il secondo cortometraggio di Domeneghini dopo "La passeggiata" è simile al precedente... ma migliore.
L'idea è quella di mettere in sequenza dei quadri impressionisti per tentare di creare una specie di documentario sulla Parigi della belle époque dove le immagini sono i quadri messi in scena con una macchina da presa in movimento. Purtroppo la voce fuori campo, pur perseguendo in parte questo intendimento, in parte vuole decantare le opere degli impressionisti disinnescando (o comunque rendendo meno efficace) l'effetto iniziale; funziona molto bene la sequenza del teatro.
Ovviamente rimane ignota la reale capacità di Domeneghini come animatore.

La passeggiata - Anton Gino Domeneghini (1953)

(Id.)

Visto in DVD.

Dopo "La rosa di Bagdad" Domeneghini non diresse più nessun lungometraggio; purtroppo; impedendoci di sapere cosa avrebbe potuto realizzare in una situazione più canonica. Le sue uniche opere dirette sono due cortometraggi.
Il primo dei quali è questo "La passeggiata", un corto realizzato inquadrando i quadri di Arnaldo Carpanetti mentre una voce fuori campo recitano i versi dell'omonima poesia di D'Annunzio... inutile dire che questo cortometraggio potrà anche essere suggestivo, ma ormai terribilmente datato (paesaggi naturalistici e una poesia di D'Annunzio... cosa c'è che suoni più datato di così?) e totalmente inutile per vedere Domeneghini al lavoro.

lunedì 26 dicembre 2016

La rosa di Bagdad - Anton Gino Domeneghini (1949)

(Id.)

Visto in DVD.

La figlia del Califfo vuole scegliere il futuro sposo fra tutti coloro che raggiungeranno la capitale. Un mago malvagio vuole prendere il potere tramite il matrimonio eliminando tutti pretendenti prima che arrivino in città. Un ragazzo senza mezzi riuscirà a salvare la situazione.

Questo è il film che si contende il trofeo di primo lungometraggio d'animazione europeo con l'altro italiano "I fratelli dinamite". Tecnicamente fu iniziato prima ma durante la seconda guerra mondiale è inutile dire dei ritardi di produzione, fu poi inviato a Londra per il technicolor. Le uscite al cinema avvennero a distanza di pochi mesi, forse meno. Onestamente il primato conta poco, possono tranquillamente condividerlo.
La sostanziale differenza fra i due è che il film dei fratelli Pagot è una cavalcata anarchica in un mondo surreale, mentre qui siamo più dalle parti del canonico cartoon favolistico in un ambiente esotico.
L'animazione è decisamente discontinua (non credo che debba sorprendere, la guerra non rallenta solo la produzione, ma avrà inficiato la lavorazione nel suo complesso), ma presa nell'insieme decisamente buona, i disegni sono rotondi e dolci a metà tra la Disney (a cui sembra attingere a piene mani) e l'animazione sovietica.
Buona la gestione degli elementi magici che rendono godibile una storiella piuttosto sdolcinata. E se la messa in scena nel complesso non è originale qualche picco d'idee originali riesce ad ottenerlo (si pensi alla sequenza dei serpenti incantati dal flauto, degna di Fleischer).

venerdì 23 dicembre 2016

Gigantic - Matt Aselton (2008)

(Id.)

Visto in tv.

Un tizio che lavora in una ditta di materassi e vuole adottare a tutti i costi un bambino cinese (?!) incontra un uomo (che vuole comprare un materasso), poi ne incontra la figlia, fanno del sesso fuori contesto, si piacciono, storiella d'amore con problema e risoluzione perché in fondo ci si vuol bene.

Il Sundance ha fatto molto per gli USA dando spazio ad autori, idee e possibilità come non succedeva dall'epoca della new Hollywood... purtroppo ad un certo punto è scoppiato qualcosa nella testa degli americani indie e il Sundance ha creato l'idea che per fare un film intellettualmente figo bastasse creare una storia con un personaggio normale (un pò sfigatino) con un tic eccentrico. Ecco questo film ha quello, un personaggio normale, trattato in tono realistico, con il tic (idiota e folle) che vuole adottare un cinese...
Che dire, colori freddi, tono distaccato, un Paul Dano irritantemente in parte (nella parte dello sfigatello impassibile), una Zooey Deschanel che bissa il personaggio di "500 giorni insieme", e l'ennesimo John Goodman sprecato. La trama che si muove banalissima con un finale scaldacuore... Non so immaginare niente di più inutile.

mercoledì 21 dicembre 2016

L'alieno - Jack Sholder (1987)

(The hidden)

Visto in Dvx.

Un investigatore di Los Angeles viene affiancato da uno strano agente dell'FBI per inseguire due uomini che, incensurati, compiono improvvisi omicidi con una violenza e un sangue freddo inimmaginabile. Il titolo italiano spoilera pesantemente il segreto che, in ogni caso, viene mostrato a 10-15 minuti dall'inizio.

Per questo è un film mitologico. Ricordo da bambino che, poco prima d'andare a letto, vidi di sfuggita sulla tv di papà la sequenza del primo scambio di alieno da bocca a bocca. Fu una scena che mi segnò il resto della mia grottesca esistenza e, pur rivedendola dappertutto (venne citata anche da Dylan Dog), non riuscii mai a scoprire in che film si trovasse.... questo finché l'anno scorso non ho scritto su google qualcosa come "film in cui l'alieno è un vermone che si passa di bocca in bocca".
Vedere finalmente questo film mitico è stata invece una delusione.

L'idea di base è ottima; fondere la sci-fi horror con il poliziesco e mettere due agenti a indagare e inseguire un alieno che vorrebbe fare cose bruttissime è una cosa che potrebbe appagare diverse fette di mercato... purtroppo la realizzazione lascia a desiderare.
Non è la regia insipida di Sholder il problema, ma la sceneggiatura ripetitiva fino allo sfinimento che trasforma un poliziesco ben avviato (e potenzialmente molto ingarbugliato) in un lungo inseguimento di un edgar-abito senza costrutto. Non c'è neppure una vera e propria presa di posizione gore a riempire il vuoto lasciato dall'indagine e quello che rimane sono mezzora di gioa e un'ora di noia.

Ottimi invece gli effetti speciali, sottoutilizzati al massimo. Dettaglio che sottolinea ancora di più l'occasione che si sono lasciati sfuggire)

PS: avendoli visti ravvcinati mi chiedo... che l'alieno non sia stato ripreso dal Tingler?

lunedì 19 dicembre 2016

Il mostro di sangue - William Castle (1959)

(The tingler)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un anatomopatologo studia gli esiti della paura negli esseri umani e nota che, in tutti coloro che ne muoiono, si possono riscontrare le vertebre cervicali fratturate. Ipotizza quindi che la paura, se non espressa urlando, si concretizzi in una creatura che causa la morte dell'individuo. Per un caso fortuito (...fino a un certo punto) si troverà per le mani il cadavere di una sordomuta morta di paura; ne estrarrà la creatura già battezzata tingler (non so la traduzione italiana), una specie di millepiedi dalla forza enorme, che fuggirà e creerà il panico in una sala cinematografica.

Diciamo subito le cose come stanno: non c'è nessun mostro di sangue in questo film.
Detto ciò siamo davanti a un horror con il presupposto più folle e naif che ricordi; ma fa specie che questo presupposto non sia neppure la cosa più assurda del film. Più assurdo è il rapporto patologico fra Vincent Price e la moglie (che sfrutta per un esperimento sulla paura fingendo di volerla uccidere... e il giorno dopo sembra non essere successo niente) o il modo in cui il padrone del cinema prende la notizia della morte della moglie. In ogni caso l'assurdità è tutta nella trama... Ma il nocciolo del film non è lì...
Castle, il regista fece approntare in molti cinema USA delle sedie con un impianto per dare una piccola scarica elettrica (chi ha detto "Matinee"?) da utilizzare nel finale, dove la creatura entra in un cinema a seminare il panico e in cui c'è l'apice del metacinema anni '50 (per quello che mi riguarda), con la pellicola che sembra distruggersi, l'ombra del tingler che passa sullo schermo (muovendosi al ritmo della musica del film muto proiettato nel cinema), una voce che invita tutti gli spettatori a gridare per non venire uccisi.... poi avverte che il tingler è stordito e possono ricominciare la proiezione (e il film riparte dal momento in cui la pellicola si era rotta). Pare evidente che l'intero film sia stato ideato per quest'unica scena, non mi è dato sapere se abbia avuto il successo sperato, ma lo sforzo produttivo per realizzare qualcosa del genere supera di gran lunga la cazzaraggine che ci è voluta per pensarla. Anche perché mi pare difficile riuscire a raggiungere un tale livello di sovrapposizione fra filme realtà, dove la stessa paura che provano gli spettatori finti dovrebbe essere quella degli spettatori veri... in definitiva un applauso.
C'è anche un altro (famoso) dettaglio che Castle utilizzò per colpire il pubblico. In un'unica sequenza un rubinetto butta sangue al poste dell'acqua e una vasca da bagno è pieno del liquido rosso. In un film in bianco e nero, quel sangue è l'unico dettaglio colorato, con un effetto decisamente efficace, soprattutto alla fine di una lunga (e ridicola) sequenza di "paura" totalmente senza suoni (effettivamente mal fatta, ma di una ingenuità molto divertente). L'effetto del colore dà una punta di surreale, che ritenevo lisergica, notevole in un film del genere.

Al di là degli aneddoti, quello che rimane è un film cazzaro anni '50 come ce n'erano molti, con un fattori di divertimento in più rispetto a tutti i suoi contemporanei e un finale bellissimo.
A questo si aggiunga un protagonista (Price) involontariamente molto ben riuscito (dovrebbe essere il buono, ma in realtà un capace e intelligente medico pacato e gentilissimo che diventa un potenziale assassino psicotico senza frenesie o cliché cinematografici classici e che rimane comunque il personaggio positivo che risolverà la situazione).

PS: qui sotto alcune delle pubblicità dell'epoca.




venerdì 16 dicembre 2016

Alla ricerca di Jane - Jerusha Hess (2013)

(Austenland)

Visto in Dvx.

Un'americana appassionata (ossessionata) dai libri di Jane Austen e dalla vita sociale parzialmente disadattata da questo pervasivo dettaglio, si regala un soggiorno a Austenland, un parco di divertimenti ispirato alla scrittrice, dove si vive in una villa d'epoca, con vestiti appositi, linguaggio confacente, giornate piene di attività dedicate (dalla caccia al pizzo) con la possibilità, mai dichiarata apertamente, di un qualche amorazzo con uno degli attori (sexy attori) che si fingono paggi o personaggi della vicenda.

Opera prima di Jerusha Hess come regista, moglie di quel Jared Hess con cui firma sempre le sceneggiature.

Come regia siamo agli antipodi rispetto al marito; macchina da presa mobile, costruzione di scene tridimensionali e concessioni a molti stacchi, dettagli, movimenti. Come fotografia invece siamo in linea, colori vivaci, luci che si adeguano al calore dell'ambiente, il tutto trattato solo in maniera più dolce, più zuccherosa, come la vicenda richiede.

Dal punto di vista contenutistico direi che non siamo distanti ai soliti film della coppia; personaggi emarginati per eccesso di nerditudine che cercano una valvola di sfogo proprio nel mondo che ritengono a loro più simile; ovviamente rimarranno scottati ripetutamente fino allo scioglimento finale. Qui però il tutto è trattato in maniera più convenzionale con il passo della commedia sentimentale e un happy end che sembrerebbe canonico. Ma quello che più impressione è vedere un Hess che permette ai suoi attori di recitare.
Come dicevo il contenuto è simile, ma lo svolgimento più banale. Tuttavia non è da buttare; lo svolgimento arriva alle solite conclusioni hollywoodiane, ma è evidente che Jerusha Hess non è interessata alla meta, quanto al viaggio. Per arrivare all'happy end, si passerà da un ambiente di attori, pagati per sedurre, in cui la realtà e l'ambiente ricostruito si fonderanno determinando cortocircuiti, rotture e incomprensioni; il tutto non si fermerà ad Austenland, ma verrà esportato anche nel mondo reale con la scena dell'aeroporto. Il discorso intrapreso permette di giocare con le possibilità offerte da un sogno che si realizza e con l'impatto che può avere con la vita di tutti i giorni.

Senza raggiungere mai i picchi di sentimentalismo dei film realizzati con il marito, questa commedia romantica riesce a intrattenere con gusto, un piglio più dissacrante e un'intenzione di non trattarti da deficiente che a molti film dello stesso genere manca.

mercoledì 14 dicembre 2016

Viridiana - Luis Buñuel (1961)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una novizia che sta per prender ei voti di clausura, va a salutare lo zio (l'unico parente rimastole che l'ha mantenuta fino a quel momento) prima di separarsi dal mondo. La decisione di salutare lo zio non è una cosa così immediata, data una viscerale repulsione che lei prova per il parente.
Durante la permanenza a casa dello zio, lui la seda nel tentativo, non andato a buon fine, di violentarla. Per quanto il gesto sia terribile, l'intento sarebbe stato quello di costringerla a sposarlo data l'infatuazione dell'anziano. Lei ne rimane sconvolta, ma lui di più e si uccide. Lei erediterà parte die beni, assieme al proprio cugino, ma per sfruttarli decide di non prendere più i voti e aprire la magione ai poveri del paese; neanche questa decisione che non andrà a buon fine.

Per quel poco che lo conosco, questo film è uno dei più godibili di Buñuel; non lesina in simbolismo, contorcimenti psicologici o chiacchiericcio ricco di spiegazioni non necessarie, ma la storia riesce a fluire indipendente da tutto il sovraccarico e gli eventi si dipanano con grazia.
I simbolismi (dettagli fondamentali del film) sono continui, ma spesso poco invasivi, quando invece è pesantemente evidente l'intento allegorico spesso è esteticamente appagante (su tutti la corona di spine che brucia nel finale); personalmente ho trovato esagerata e stucchevole solo la reinterpretazione dell'ultima cena, esageratamente urlata in faccia allo spettatore.

Il film inoltre, al di là di un vago anticlericalismo (più preteso dai critici, a mio avviso, dato che in questo film ne ho visto meno che in molti altri), è un'affresco grottesco sulle tenebre dell'animo umano; viene presentata la storia di una santa in pectore circondata da una serie di personaggi coerenti, ma pessimi, ognuno egocentrico e facile a lasciarsi andare a gesti immorali; una mancanza generalizzata di buon cuore in cui la parte del leone la fanno proprio quei poveri che lei vorrebbe salvare (se posso direi che era ora che Buñuel uscisse dal politicamente corretto socialista). Una mancanza di cuore che però è rivolta solo agli esseri umani, dato l'interesse per gli animali che un paio di personaggi riescono ancora a provare.

Dal punto di vista della regia Buñuel regala tre parti importanti. Una regia di un dinamismo elegante che non avevo mai notato nel regista spagnolo. Una fotografia in bianco e nero densa e interessante. Una cura per il contenuto delle scene mostrate anche maggiore che nei suoi precedenti lavori (basterebbe la notevole costruzione dell'angelus dei poveri nel prato dove montaggio, inquadrature e fotografia sono un tutt'uno con il contenuto; dal lato opposto si pensi invece allo zio che cerca di violare la nipote sedata e vestita da suora mentre la bambina li spia dalla finestra... applausi per il grado di weirditudine raggiunto senza colpo ferire).

lunedì 12 dicembre 2016

Il mio amico Eric - Ken Loach (2009)

(Looking for Eric)

Visto in tv.

Un operaio della dura e pura working class di Manchester vive con il figlio e il fratello, irriverente e distante il primo, problematico e invischiato in traffici poco chiari il secondo. La figlia di primo letto gli ha dato un nipote che tiene alternativamente con la ex moglie. In un momento di totale fallimento personale, difficoltà sociali e rimpianti per ciò che non c'è più gli appare Eric Cantona. Una proiezione della sua mente che gli da suggerimenti di vita, lo spalleggia, lo consiglia e gli scioglie tutti i problemi che l'hanno attanagliato fino a quel momento.

Incredibile vedere un film di Ken Loach, in totale stile Ken Loach (macchina a mano, ambiente proletario, fotografia dai colori pastello), ma dalla trama hollywoodiana, da commedia alla Frank Capra (con la gente normale messa di fronte a delle sfide che vince con l'essere sé stessa e supportata da una comunità bislacca, ma buona). C'è un fondo drammaico in questo film, che in una qualunque pellicola precedente di questo regista avrebbe generato agnizione in maniera cruda, qui invece è la base per la rinascita, per la felicità.

La scelta di Cantona come spirito guida riesce a più livelli. Il volto stranito del calciatore è perfetto; il suo dare consigli banali con frasi fatte è un dettaglio antologico che viene sfruttato. Ma soprattutto quello che viene realizzato con la scelta di Cantona è uno scarto rispetto alla filmografia di Loach; pur rimanendo in un contesto dove l'aspetto sociale è fondamentale, per la prima volta la lotta di classe viene messa sullo sfondo per andare più in profondità; i personaggi non sono utilizzati per mostrare la vita dura della working class o i loro sentimenti, ma ne mostra lo spirito, la storia, i miti e la cultura. Il passaggio dal disegnre il disagio sociale (come ogni etnografo snob saprebbe fare) alla descrizione della mitopoisi permette di mettere in luce i rapporti sociali che cementano i rapporti (dando al calcio una dignità che la Cultura alta non gli concederebbe mai), ne riconosce l'aspetto culturare che sfrutta per i già citati insegnamenti di vita, ma anche come forma d'arte a sé stante (vengono mostrati diversi gol di Cantona, sottolineandone il gesto atletico, mostrandone la bellezza estetica e dichiarando l'effetto catartico sul pubblico).
Loach, pur parlando del contesto, per la prima volt sembra voler capire i suoi personaggi.

venerdì 9 dicembre 2016

I prodigi del 2000 - David Butler (1930)

(Just imagine)

Visto qui.

Nel futuro (è il 1980) il matrimonio viene deciso da un tribunale e obbligato; un uomo combatte per il suo desiderio di sposare l'amata e decide di dimostrare il suo valore compiendo l'ardimentosa missione esplorativa su Marte; ad accompagnarlo l'amico di sempre e un tizio colpito da un fulmine nel 1930 e riportato in vita dalla possente scienza medica.

Film particolarissimo essendo il primo musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità). Fu un totale insuccesso e il motivo è lampante: è un musical fantascientifico (con un'insistente voglia di comicità).
All'epoca il sonoro era appena arrivato e il musical era l'innovazione, che però essendo agli albori veniva mischiato con ogni altro genere per valutarne l'efficacia; ecco quindi il motivo di questa scelta bislacca.
Al di là della scelta del peggior crossover di sempre, il secondo motivo dell'insuccesso è da ricercare nel fatto che questo è un film totalmente cretino. Trama ridicola, attori inadeguati (El Brendel, comico noto all'epoca e qui l'uomo del passato, è semplicemente irritante), la ricostruzione di Marte è risibile, il razzo fallico per raggiungere il pianeta rosso sarà adeguatamente scherzato nei decenni successivi (verrà riutilizzato per la serie di "Flash Gordon" e quindi verrà parodiato nei film fantascientifico erotici di "Flesh Gordon"), canzoni dimenticabili quando non cretine loro pure ("Never swat a fly" è una canzone folle) e balletti di gruppo (pochi per fortuna) di rara bruttezza.

Al di là della rarità del crossover e della curiosità il film offre qualche (minimo) motivo d'interesse (che non riscattano per nulla il resto!): sono l'impegno nella costruzione dei mondi (la città alla Metropolis o le scenografie di Marte sono notevoli), ma soprattutto gli effetti speciali, dalle braccia mobili dell'idolo marziano alla retroproiezione di alcune scene, come la partenza del razzo o quella iniziale in volo (che rappresentano anche la prima volta dell'utilizzo della retroproiezione in una grossa produzione).

mercoledì 7 dicembre 2016

The fourth dimension - Zbigniew Rybczynski (1988)

(Id.)

Visto qui.

Un uomo e una donna si preparano per uscire insieme, cenano e fanno sesso. Il tutto è ripreso con i personaggi sempre fermi e "mossi" con un movimento circolare che ne determina l'anamorfosi del corpo.

Dopo "Tango" ho cercato un altro corto di Rybczynski per vederne le differenze.
In un ambiente dalle atmosfere magrittiane, con deformità che rendono i protagonisti dei personaggi alla Francis Bacon (si veda l'immagine sotto), con citazioni di stampo classico e rimandi leonardeschi, la storia è di una semplicità imbarazzante, ma viene stravolta dalla tecnica di animazione.
Va detto, l'idea è splendida, ma il corto dure 27 minuti e a lungo annoia.
Affascinante comunque il gioco delle trasformazioni degli oggetti che si dimostra innovatore in gesti semplici come l'apertura delle porte e delle finestre o durante la cena.

Inutile dire che siamo davanti, di nuovo, a un corto di arte video; decisamente più bello (esteticamente) di "Tango", innovatore, ma meno interessante del precedente... che poi in ste cose l'opinione è totalmente soggettiva e senza alcun valore (pure di più che nei film normali).

Tango - Zbigniew Rybczynski (1981)

(Id.)

Vis to in Dvx.

Macchina da presa fissa, inquadra una stanza in cui un bambino getta una palla dentro dalla finestra aperta ed entra per recuperarla; una volta uscito, il suo gesto si ripete sempre uguale; a uno a uno entrano una galleria di personaggi enorme, tutti che effettuano in loop un gesto, integrandosi alla perfezione e uscendo dalla stanza fino a riempirla completamente.

Film di animazione a tecnica di animazione mista (i singoli personaggi sono persone vere)  vincitore di un incredibile Oscar nel 1983.
L'intento è chiaramente quello di creare una danza (un tango appunto, incalzato da una musica sostenuta) con un parossismo di personaggi che si agitano, si schivano, si evitano senza mai interagire davvero; solo nel finale avverrà un'interazione indiretta che sembrerà mettere fine a tutto.
Il corto è ovviamente d'intento artistico, nel senso di arte video, più che cinematografico in senso stretto, ma l'effetto finale funziona e il continuo aggiungersi di eventi (oltre al minutaggio contenuto) lo rendono tutt'altro che noioso.

Rybczynski è considerato uno dei maestri dell'animazione europea (prima) prestato (con successo) ai videoclip una volta emigrato negli USA. Questo corto è da sempre ritenuto il suo capolavoro.



lunedì 5 dicembre 2016

Snowden - Oliver Stone (2016)

(Id.)

Visto al cinema.

La vicenda del caso Snowden vista attraverso gli occhi del protagonista; inutile dire per chi tifi il regista (il finale con il vero Snowden è un capolavoro di retorica liberal).
Al netto dell'intento smaccatamente politico Oliver Stone decide di raccontare la storia attraverso la descrizione di un personaggio e l'idea si rivela vincente. Raccontare l'ennesimo thriller politico con le consuete dinamiche sarebbe lavoro banale, ma fattibile; raccontare la vicenda complessa che basa tutte le sue dinamiche sul fumoso mondo della rete e della raccolta dati, in cui la violenza è tutta nella violazione della privicy, beh tutto questo sarebbe semplicemente suicida. Stone decide di virare recisamente e spostare l'attenzione dalla vicenda (chi fa cosa a chi, chi è il cattivo e chi la vittima) sul protagonista; un giovane che si trova (viene proprio dichiarato) nel meccanismo come un contabile del periodo nazista; non sta facendo nulla di male, aiuta la sua patria, ma per farlo aggira ogni regola con il plauso dei superiori. Un protagonista non ideologizzato, ma "normale", con più dubbi che certezze e una nausea in costante aumento per quello che fa, nonostante ciò che fa continua a fargli avere l'ammirazione dei colleghi e nuove posizioni di rilievo.

La regia è sempre la stessa, con fotografia curata, inquadrature sghembe, giochi di montaggio classici per Stone; decisamente dalle parti dei suoi film anni '90... tuttavia il ritmo è incredibilmente rallentato. La storia si segue volentieri e le oltre due ore si fanno seguire bene, ma uscendo dalla sala si ha la sensazione di averci messo più del dovuto.

venerdì 2 dicembre 2016

La terrazza - Ettore Scola (1980)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amici di mezz'età si ritrova a una festa su una terrazza romana, da lì alla festa successiva si seguono le vite di ognuno di loro, viste singolarmente a episodi separati, notando come ognuno di loro sia un uomo solo sempre più triste e ipocrita.

Considerato la pietra tombale della commedia all'italiana... e devo ammettere che rappresenta bene il genere anche se, con una ombelicalità eccessiva, parlando di un gruppo di uomini dell'intellighenzia con un tono negativo, ma in fondo autoindulgente (come sempre in questo genere, dove il perdente è comunque il guascone per cui si parteggia). Tutto sommato una commedia all'italiana imborghesita (ma in fondo tutti coloro che vi hanno partecipato ormai erano abbondantemente imborghesiti), spesso mal recitato (non dal cast principale che, apriti cielo ad averlo ora, però le retrovie spesso deragliano), imbolsito dagli anni, eppure alla fine riesce a essere un buon esempio del genere.
Eppoi è sempre divertente vedere il cinema che sfotte sé stesso, che spiega e si giustifica sul perché il cinema italiano stia morendo (e c'è Tognazzi che critica il classico film a episodi con Sordi, Manfredi, Tognazzi, Pozzetto e Muti).

Nonostante i difetti i vari episodi sono ben condotti, divertenti nel loro dolore e mantengono un buon ritmo (un poco rallentato solo in quello di Gassman); considerando che è un film di 2 ore e mezzo va via molto velocemente. Di buon interesse l'incrociarsi dei personaggi nella scena sulla terrazza ripetuta e i piccoli tocchi di classe della sceneggiatura (Mastroianni che spiega che la cosa più importante in una scena è il tono mentre il ristorante dove si trova mostra che il tono di quella scena è la commedia). La Gravina (premiata a Berlino) è effettivamente la più brava nel mucchio di attori.

Delude il finale un pò debole.

PS: nei panni della ragazzina alla festa è la giovane figlia di Trintignant.

mercoledì 30 novembre 2016

Estasi - Gustav Machatý (1933)

(Ekstase)

Visto in Dvx, in lingua originale.

Una ragazza è sposata con un uomo più anziano di lei... e impotente. Fugge dal matrimonio sfortunato e ripara dal padre. Lì conosce un ingegnere (oddio... non so se è un ingegnere, ma la professione conta poco) di cui s'innamora e con cui ha una soddisfacente relazione. Il marito torna per riprenderla e li scopre con tutte le conseguenze del caso.

Di fatto un film muto. Ci sono alcuni dialoghi, ma di fatto il film si sviluppa senza bisogno di parole, ma con le immagini.

Questo film è qualcosa di grandioso, una regia pazzesca che non lesina dettagli nella costruzione delle scene; movimenti di macchina da presa incredibilmente moderni per quasi tutta la durata; inquadrature costruite su più piani; uso della luce in senso emotivo; soggettive; inquadrature con punti di vista costantemente diversi e un montaggio efficace nel legarle e molti dettagli; ma c'è anche una sequenza di avvicinamento alla finestra illuminata resa con una serie di inquadrature fisse in sequenza.
Da manuale del cinema alcune sequenze. L'incipit con l'impotenza sessuale mostrata con evidenti metafore e la frustrazione di lei palpabile dovuta ai continui contrattempi è fantastica; la sequenza del primo incontro notturno fra i due amanti o quella della morte sono entrambe un capolavoro. Uh, per non citare la sequenza finale in cui il montaggio serrato dà un ritmo incredibile e ci sono le inquadrature letteralmente attaccate agli oggetti. Vabbé direi di fermarmi qui perché rischio di citare l'intero film.

Ma questo è anche il film con la Lamarr nuda (anche se la Lamarr sostiene di essere stata ingannata; doveva essere ripresa con un campo lungo, ma il regista utilizzò un teleobiettivo e lei lo venne a sapere alla prima del film), il primo nudo integrale in un film non porno amatoriale; è il film del primo orgasmo (la cui espressione, sempre la Lamarr sostiene, sia stata ottenuta pungendola con uno spillone). Ma molto più di questi due eventi, questo è un film erotico per come gronda sesso in ogni sequenza; le allegorie sono continue, il desiderio della Lamarr è palese da metà film in poi. Ed è il film che rende iconografica la natura come mezzo per significare/scatenare il desiderio, dai fiori in primo piano alla Malick, agli insetti (che sono i veri specchi dei personaggi interpretando la libertà tarpata, l'imprigionamento del dolore, il sesso appunto e la decisione irrevocabile del finale), nonché i cavalli che sono tra le metafore più sfacciate del film.

lunedì 28 novembre 2016

Re-animator - Stuart Gordon (1985)

(Id.)

Visto in Dvx.

Uno studente di medicina che frequenta la figlia del rettore diventa il coinquilino di un nuovo arrivato, arrogante e misterioso. Presto scoprirà che il coinquilino ha ideato un liquido per far rivivere i morti, ma le conseguenze degli esperimenti non saranno all'altezza delle aspettative.

E poi, a metà anni '80 è arrivato Yuzna. Se l'horror c'è sempre stato, Yuzna però ha reso programmatico lo stile cazzaro, senza esagerazioni, ma con la giusta dose di autoironia. Qui nelle vesti di produttore e affiancato da uno Stuart Gordon agli inizi ma già competente. I due mettono insieme un film horror splatter che pur rimanendo sempre serio riesce a prendersi alla leggera, quindi senza dover inserire gag o battute riesce ad avere il passo della commedia.
Non si inventa niente, ma diventa capostipite di una serie e pur senza esserne il migliore si lascia ricordare piacevolmente. Distante dalle splendide farse low budget di Peter Jackson, ma lontano anche dalla splendida follia di "The society"; qui viene creato un film vero e proprio che vive di un'idea che non viene concentrata solo nel finale, mentre la regia di Gordon rende dinamico e ritmato tutto il minutaggio.

venerdì 25 novembre 2016

L'avventura di Teri - William Dieterle (1932)

(Jewel robbery)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una donna viene sedotta (si fa sedurre) da un ladro gentiluomo che con incredibile eleganza e charme rapina la gioielleria dove lei si sta facendo comprare un costoso anello dal marito. Ovviamente neanche lui sarà completamente immune al fascino di lei e la cercherà a casa sua.

Commedia sentimentale upper class pre codice Hays... come si può ben notare per gli ammiccamenti sessuali e il riferimento più che evidente per la marijuana.

Io ho indubbiamente una passione per i personaggi british che siano uomini o donne, tuttavia credo di non esagerare nel dire che Powell è strepitoso e nelle vesti del ladro gentiluomo potrebbe anche battere un Niven qualunque.

Regia dinamica, rimane sul pezzo e cerca di non farsi notare, ma quando viene lasciata libera si sfoga con controcampi di profilo o piccoli piani sequenza. Le dinamiche però sono piuttosto ingessate con lunghe sequenze ambientate negli stessi locali a tirare di lungo, quando per seguire il dinamismo dei dialoghi e dei personaggi avrebbero dovuto essere più snelle.
La storia in sé non è originale, ma si risolve alla svelta con un minutaggio minimo. In definitiva però l'intero film (e l'intera regia) però si basa moltissimo sui volti, sui corpi, i movimenti e le smorfie degli attori, e come detto, non sbaglia.

Un un film impeccabile, ma sicuramente efficace.

mercoledì 23 novembre 2016

Joshû 701-gô: Sasori - Shunya Itô (1972)

(Female prisoner #701: Scorpion)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una donna viene sedotta da un poliziotta che la convince ad aiutarlo per incastrare dei criminali. Facendo da esca verrà picchiata e violentata e il poliziotto si dimostrerà totalmente disinteressato, lui puntava solo agli arresti e lei era solo un oggetto. Cercherà di vendicarsi, ma sarà arrestata; nel carcere diventerà la vittima preferita dei secondini e il target delle frustrazioni delle altre detenute.

Il film è di per se una risibile e grottesca galleria di violenze psicologiche e fisiche su una donna forte, dico risibile per il piglio cartoonesco che rende il tutto per nulla impressionabile e per l'insistenza voyeristica. Tutto ciò però può far perdere rapidamente interesse per un film che, per il resto, vive solo del numero (decisamente ragguardevole) di tette che vengono esposte. Per carità, queste sono le direttive per ogni buon film del genere donne in carcere... ma qui c'è di più.

Qui c'è una regia pazzesca, dinamicissima, fatti di montaggio rapido, inquadrature articolate e sghembe, rapidi movimenti di macchina da presa e zoom; il tutto con un occhio all'estetica generale (costruzione delle immagini e fotografia complessiva) senza farsi prendere troppo la mano sul colore. In poche parole, il meglio della regia tipica anni '70.
Ma ancora Itô non si accontenta e aggiunge alcune sequenze che rappresentato dei picchi di autorialità inaspettata (il flashback realizzato quasi in un'unica sequenza con scenografie mobili simile a quello che farà Coppola con "Un sogno lungo un giorno"), crossover di generi (la collutazione nella doccia con la donna trasformata in un demone da teatro kabuki) e spunti espressionisti (il cielo durante la rivolta delle carcerate con i badili).

Un film da vedere.

PS: protagonista la bellissima (e cinematograficamente violenta) Meiko Kaji (futura "Lady Snowblood") che canta la tarantiniana "Urami bushi".

PPS: il costume di Sasori (così come il nome) è citato in "Love exposure" di Sono... come un pò l'intera struttura del finale.

lunedì 21 novembre 2016

Fiori nel fango - Douglas Sirk (1949)

(Shockproof)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato.

Una donna esce dal carcere sulla parola dopo una condanna per omicidio. Il suo parole officer (non so come si dica in italiano) la mette in guardia circa il tornare a frequentare le stesse persone che l'hanno portata sulla cattiva strada. Per portarla verso una vita nuova le trova un lavoro come donna di compagnia della propria madre cieca. Il parole officer si innamora, si dichiara e i due si sposano. Quando l'ex della donna viene trovato morto lei viene sospettata e i due scappano insieme.

Un film particolare, un dramma sentimentale in ambiente poliziesco ben realizzato, una storia ancora molto godibile. Il dettaglio più interessante della trama è la discesa verso il basso, il crollo dalla vita borghese a quella da latitanti scontenti che inizia dal momento della dichiarazione d'amore; da quando l'amore arriva alla luce del sole, li la coppia dovrà darsi alla macchia.
L'idea dunque è buona, ma viene affossata nel finale che è più idiota che sdolcinato...

Dietro la macchina da presa c'è un Sirk che sembra più competente nella gestione del ritmo che della regia vera e proprio (in cui viene costruita qualche buona inquadrature e ci piazza un paio di carrelli veloci, ma per lo più passa inosservata); anche grazie alle capacità di Sirk il film scorre via piacevolmente.

I protagonisti sono incredibilmente legnosi.

venerdì 18 novembre 2016

The congress - Ari Folman (2013)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un'attrice, dopo un inizio carriera enorme negli anni '80, ma ormai di secondo piano viene contattata per essere scansionata e digitalizzata. Quello sarà il primo passo verso la completa digitalizzazione dell'industria cinematografica. A malincuore, ma l'attrice accetta. 20 anni dopo, l'azienda cinematografica è divenuta una struttura a sé che sembra poter controllare ogni cosa; invita l'attrice a un congresso in cui verrà presentata una nuova droga. In questo mondo si può accedere solo utilizzando una sostanza che altera la percezione facendo sembrare tutto un cartone animato.

Il passato e la realtà vengono realizzate con il live action classico, anche se indorato da una fotografia fatta di luci diffuse e colori decisi; lo stato alterato di percezione viene realizzato con un'animazione fatta tramite rotoscope.

Folman realizza un film originale, non tanto per la fusione fra live action e  animazione, quanto per la complessità della trama raccontata che prende le mosse da una sorta di critica all'industria cinematografica per approdare a un discorso molto articolato con il passato e i ricordi, ma soprattutto con il rapporto che si decide di instaurare con essi. La protagonsita che viene tentata dall'idea della giovinezza, ma soprattutto del ricordo di quello che è stata due decenni prima; una galleria di personaggi che assumono l'aspetto dei miti del passato nelle loro versioni più iconografiche; la ricerca spasmodica dei figli come legame con il passato (per cercarli rinuncerà anche a una love story hollywoodiana) e l'intero percorso costellato da riferimenti a quel mondo passato che la protagonista cerca di ricostruire (gli aquiloni o i continui riferimenti al volo o la presenza continua di Danny Huston)

Nel mondo dell'animazione le citazioni e i dettagli sono ovunque, con personaggi che interpretano icone del passato (un applauso a Grace Jones), citazioni di Bosch e un tratto cartoonesco che sembra riprendere quello dell'animazione americana anni '20-'30.

A questo va aggiunta la presenza di Robin Wright che concede la possibilità di sfruttare anche la propria storia personale e il suo nome e che riesce perfettamente a muoversi a suo agio in continui cambi di prospettiva. Supportata da un cast interessante per l'uso che ne viene fatto (mai visto un Keitel così paterno e rassicurante) e assolutamente sul pezzo.

Al di là delle indubbie competenze tecniche e di contenuto il film si distacca dalle attuali produzioni occidentali d'animazione per due dettagli importanti. La parte animata di fatto è una lunga cavalcata nel surreale con contatti con la storia e la realtà più nelle assonanza e nella struttura generale anziché nelle sequenze inanellate. Ma soprattutto per una capacità incredibile nel costruire scene bellissime e dal contenuto poetico enorme (si pensi al rapporto sessuale che fiorisce con le fiamme dell'incidente che incombono), capacità che viene sfruttata anche per la aprte in live action (la mappatura nella prima parte o i dirigibili con i medici raggiungibili tramite aquilone nella seconda parte); queste sono scene che non aggiungono niente alla vicenda e che avrebbero potuto essere realizzate con minor dispendio, ma che regalano complessità e mood a un mondo sfaccettato.

mercoledì 16 novembre 2016

About Elly - Asghar Farhadi (2009)

(Darbareye Elly)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amici si prende qualche giorno di vacanza al mare, con le varie coppie (sposate!) si aggiunge un amico in cerca di una compagna e una ragazza, insegnante della figlia di una coppia e amica di amici. Durante la vacanza un incidente fa irrompere la tragedia, quando finalmente il dramma rientra si rendono conto la ragazza è scomparsa, è fuggita o è scomparsa nell'oceano? e l'uomo che continuava a chiamare chi è?

Film precedente al bellissimo e ambiguo "Una separazione" di cui sembra una emanazione.
Con il capolavoro successivo condivide la medesima messa in scena; una ambientazione "neorealista" (quanto è oramai abusato questo termine per descrivere il cinema mondo iraniano?); una fotografia verosimile, ma tirata a lucido; una macchina da presa a mano che però non lesina nella costruzione delle scene e nella gestione degli spazi (così come degli attori sulla scena).

Ovviamente però quello che fa la differenza è la trama e la gestione di ciò che succede. A fronte di una prima metà solare, non proprio commedia, ma uno spaccato di vite in una giornata felice, dal momento dell'incidente nell'oceano si scoprono le carte e quello che si vede è che la verità non esiste. In primo luogo non si riesce a capire che cosa sia successo; Elly se ne è andata come aveva paventato o è scomparsa al largo tentando di salvare il bambino? se ciò fosse dov'è finita la sua borsa? Anche qui dunque inizia a essere evidente che la verità non potrà comunque essere dimostrata. La verità instabile risulta meno programmatica che nel successivo; tuttavia qui si innesta presto un altro fattore; la menzogna e l'omissione. SE in "Una separazione" la verità è di per se irrintracciabile, qui si dimostra che tutti nascondono qualcosa, tutti mentono e tutti omettono; nessuno in malafede, tutti candidamente, ma ognuno si adopera attivamente per nascondere la verità proprio mentre la sta cercando.
Inoltre, dopo un'apertura solare, il film si chiude nella cupezza, perché una volta che si è esplicitata l'inaffidabilità delle persone, il dubbio altera le coppie e distrugge i rapporti sociali e nessuno ne è indenne.

lunedì 14 novembre 2016

Capitan Blood - Michael Curtiz (1935)

(Captain Blood)

Visto in Dvx.

Un medico inglese dal cuore puro e ardimentoso in spirito viene condannato al carcere nei Caraibi per aver soccorso un ribelle. Nei Caraibi sarà vessato come schiavo, ma per le sue acute capacità mediche entrerà nelle grazie del governatore. Durante un assedio da parte degli spagnoli ruberà una nave con altri fuggitivi e diventerà in breve uno dei pirati più temuti. Dopo mesi arriverà per lui la possibilità di un riscatto.

Solo ora che lo vedo non posso che dare ragione a Sloth per la sua passione per questo film.

Il film si pregia di un Errol Flynn in piena forma che, nonostante la solita parte dell'eroe senza macchia, riesce a tenere lo schermo con piglio scanzonato dall'inizio alla fine che non può non risultare simpatico
Magnifiche la scenografie; sia degli interni, spigolosi e irrealmente spogli dove le ombre hanno gioco facile a farla da padroni nella fotografia; sia della ricostruzione del ponte della nave che, completamente in antitesi con gli interni, ricostruito al dettaglio con un profluvio di oggetti. Una cura che mostra un'attenzione all'effetto che si vuole ottenere sullo spettatore prima che sull'aderenza alla storia.
La macchina da presa che rimane salda a costruire inquadrature sempre piene specie nella seconda parte; addirittura sfruttata (con lievi movimenti paralleli alla scena o in avvicinamento) per rendere il beccheggio della nave con un'idea semplice quanto intelligente. Inoltre la regia si dimostra particolarmente sul pezzo nelle scene d'azione, dove spicca l'arrembaggio nel finale; dinamico, fastoso, con un numero incredibile di comparse e un effetto finale ottimale ancora oggi.
Non ho visto molti film di pirati, ma è fuori discussione che questo è, al momento il migliore; ma dirò di più; questo è un film d'avventura realizzato nel 1935 e invecchia per nulla, ancora attuabile e fruibile.

PS: l'ho detto che c'è Michale Curtiz alla regia? no per dire che non ha fatto solo "Casablanca" e che "Casablanca" non è stato un caso isolato.

venerdì 11 novembre 2016

...e giustizia per tutti - Norman Jewison (1979)

(...and justice for all)

Visto in tv.

Un avvocato d'esperienza decennale, si muove fra casi di giustizia sociale sempre frustrati da un giudice troppo intento a dare esempi che a dare giustizia. Quando il giudice si troverà accusato di violenza sessuale contatterà l'avvocato e lo obbligherà a difenderlo. L'avvocato si troverà moralmente alle strette fra aiutare un uomo da condannare per la sua storia pregressa e il suo carattere e cercare di fare il proprio lavoro.

Alla regia c'è Jewison, alla sceneggiatura Levinson, due personaggi che continuo ancora a confondere, ma che rappresentano il meglio del cinema mainstream che cerca di fare film politici o sociali. Ovviamente figuriamoci se in questo incontro si smentiscono.
Fin dal titolo è evidente dove si voglia andare a parare, quindi tutti i casi seguiti da Pacino sono casi di giustizia sociale che cozza contro un sistema giudiziario troppo rigido o miope; non sorprenderà che tutti, tutti, i processi che avverranno durante il film finiranno per distribuire ingiustizia.

La regia asciutta con una fotografia che asseconda il voler essere sullo sfondo, immerge del tutto i suoi personaggi dentro enormi aule giudiziarie o li fa muovere per lo più di notte, o in carceri.
Al Pacina ha del miracoloso, facendo una parte stucchevole e banale, recitando con molta, troppa foga, eppure rimane sempre entro i limiti del verosimile regalando una performance splendida che in mano a chiunque altro sarebbe stata semplicemente inguardabile.

La vera differenza la fa una sceneggiatura a tesi che da una parte sembra un giorno in pretura (mostrando la vita e i dubbi di chi lavora nel sistema della giustizia, umanizzandoli e disumanizzandoli secondo le necessità), dall'altra rasenta la farsa con un villain ai limiti della credibilità (se fosse stato del tutto innocente ci sarebbe stata meno agnizione, ma ne avrebbe guadagnato di significato) e con un giudice aspirante suicida che da leggerezza, ma che è del tutto fuori luogo.

mercoledì 9 novembre 2016

La divorziata - Robert Z. Leonard (1930)

(The divorcee)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

La felicità di una coppia viene infranta dal tradimento di lui. I due si parlano, sembrano chiarirsi, lui insiste sul fatto che in fin dei conti quel tradimento non abbia valore. Lei sconfortata, cede e lo tradisce a sua volta... stavolta però il marito non sembra più di così larghe vedute e chiede il divorzio. La donna si trascina cercando conforto in un vecchio amore, ma si farà da parte per non essere lei la causa della fine del matrimonio dell'amico. Happy end finale.

Una commedia romantica; addirittura stucchevole nella parte iniziale che si trasforma poi in un dramma (che in un altro decennio avremmo definito borghese) con spunti di melò piuttosto riusciti. Il finale positivo è, come spesso succede, fuori posto, ma dopotutto, in questo caso, sopportabile.
Quello che risulta più indigesto è piuttosto l'inizio, eccessivamente enfatico verso il lato rosa della vicenda, ma indubbiamente è necessario per creare un contrasto maggiore con l'agnizione della separazione.

Dietro la macchina da presa c'è Leonard, regista che conosco pochissimo, ma di cui penso molto male per quanto concerne il ritmo, ma penso molto bene circa la costruzione di immagini. Se il ritmo qui è adeguato, ma senza sprazzi, e la regia in generale sembra sottostare a questo profilo basso; qualche tocco molto positivo lo si può notare, su tutto la serie di amanti e di avvicinamenti mostrati solo attraverso le mani dei protagonisti.

Buono il cast con una Shearer sempre credibili e che rimane il vero motivo per cui guardare questo film (oltre al gusto di vedere un film sentimentale ancora libero dal codice Hays).

Purtroppo il limite di questo film è proprio la sua intenzione, Vuole essere un dramma intimo su un divorzio e tale rimane, solo la storia di un divorzio; poca empatia, poco allontanamento dal piccolo per poter diventare universale; godibile, ma rimane chiuso in sé stesso.

PS: innegabile non fare il paio fra questo film e il successivo "Donne"... il film di Cukor non è impeccabile, ma innegabilmente riesce molto di più a farsi empatico.

lunedì 7 novembre 2016

La casa nera - Wes Craven (1991)

(The people under the stairs)

Visto in Dvx.

Un regazzino del ghetto viene convinto a rubare in una casa sigillata dall'esterno dove vive una coppia di ricchi pazzi; rimarrà bloccato li dentro e scoprirà di non essere l'unico ad avere difficoltà ad uscire.

Che poi gli si vuole bene a Craven, perché ha avuto un inizio carriera che ha creato uno standard e perché poi ha fatto cose da urlo reinventando di nuovo il genere e rendendolo anche intellettualmente pesante. Poi però ogni tanto da di matto e sputtana tutto. Qui ci sono troppi elementi tutti insieme, cannibalismo, mostri in cantina, genitori psicopatici, una casa-trappola, un pazzo vestito di latex e borchie che spara al soffitto, un bulldog come antagonista principale, porte e pareti fatte di polistirolo... tutto ciò diventa eccessivo quasi fin da subito e considerando che in diverse occasioni il tono è quasi da commedia (i due villain sono delle macchiette).
La cosa peggiore è che Craven sembra incerto sul timbro da dare, continua a cambiare, inizia con un horror classico, passa all'avventura (in salsa horror) per regazzini sul filone ben rappresentato da "I Goonies", poi passa al blando film di denuncia sociale e finisce con un film anticapitalista. Perché? Non li fonde mai insieme, li alterna soltanto riuscendo a rendere insoddisfatto chiunque abbia un'aspettativa seppur minima.

Non c'è mai un brivido vero, non c'è un briciolo di splatter (a chi interessa quell'aspetto), non c'è un'idea innovativa. Un film perdibile.

venerdì 4 novembre 2016

Love exposure - Sion Sono (2008)

(Ai no mukidashi)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Giappone, il figlio di un pastore cristiano vive una vita religiosa e felice. Orfano di madre ha da sempre un ottimo rapporto con il padre; le cose cambiano quando una donna entra nella loro vita, seduce il padre e lo abbandona. Da gioioso compagnone, il padre, diventa un apocalittico predicatore totalmente apatico nei confronti del figlio, il quale, per attirare l'attenzione, comincia a cercare peccati da confessare. Le confessioni di peccati sempre più importanti causano reazioni violente nel padre e il ragazzo recepisce queste reazioni come interesse provandone piacere. Nel cercare nuovi peccati da compiere entra in una gang di voyeur che passano il tempo a fare fotografie sotto le gonne delle ragazze. Neanche da dire che la passione per il peccato del ragazzo lo trasformerà presto in un Guru. Per un gioco il ragazzo deve travestirsi da donna e girare per la città; a parte che sceglierà il vestito borghese di Sasori (e ne copierà il nome); ma lungo la strada incontrerà una ragazza insidiata da un gruppo di uomini. La aiuterà a eliminarli a colpi di kung fu. Ovviamente i due si innamoreranno, ma mentre il ragazzo si innamorerà della ragazza, quest'ultima si innamorerà di Sasori. Bon mi fermo qua, ma non è ancora tutto, perché al di la del gioco degli equivoci di questo innamoramento, tornerà sulla scena la donna che sedusse il pastore a inizio film ed entrerà a gamba tesa una nuova setta. La vicenda finirà a colpi di katana.

Film fiume di Sion Sono della durata di 4 ore, dalla trama articolata (con continue commistioni fra sesso, religione e disturbi sociali), dai personaggi che se ne vanno dalla vicenda solo per tornare più tardi e dal tono incredibilmente positivo. Ecco, la prima cosa che colpisce di questo film è il passo da commedia, in certi momenti di farsa, in altri da commedia romantica. Crea situazioni impossibili (la ricerca del peccato da parte del figlio) e le risolve in momenti di grottesco entusiasmo (i voyeur che si allenano a fotografare le donne come se si allenassero in un film di kung fu; addirittura con delle macchine fotografiche attaccate a dei nunchaku) e codifica la commedia romantica attraverso visioni di per se ironiche o alternative all'usuale (il ragazzo capisce di aver trovato la donna della sua vita per le poderose erezioni cartoonesche che gli provoca la sola vista della ragazza; o ancora la storia d'amore a tre con la ragazza che si innamora di un amore lesbico). Solo nel finale il tono cambia per diventare una sorta di revenge movie classico (con lo stesso piglio rapido e la stessa violenza dentro al palazzo supercontrollato che c'è proprio nel finale di "Female prisoner 701"), ma questo lascia presto il posto a un nuovo finale scanzonato.

La regia dinamicissima sembra anche lei un tributo ai film anni '70 giapponesi (con l'aggiunto di alcune scene costruite con il gusto per la costruzione di vere e proprie icone; si veda l'immagine della croce qui sotto come esempio) e riesce perfettamente a dare ritmo a una vicenda lunga e ridondante. Ecco, se dovessi dire il maggior pregio del film è quello di andare avanti per 4 ore con una serie di storie paradossali e non pesare mai troppo; Sono si dimostra capace di creare una narrazione fluida e svelta nonostante i gravi problemi della trama.
Il neo ovviamente è già detto, è proprio la storia. La magnifica premessa iniziale del religioso che cerca il peccato è bellissima, ma conduce a una serie di rivoli talmente numerosi da non poter essere seguiti tutti; mentre Sono sembra dell'idea di doverne seguire il maggior numero possibile. Quindi il film si riempie di personaggi che escono o entrano in scena continuamente; di vicende che si ripetono; di un continuo ritornare a un apparente punto iniziale. Non pesa mai troppo, proprio per la regia fluida, ma indubbiamente affossa la godibilità del film (e ne ipertrofizza il minutaggio).

In ogni caso per me rimane una delle prove migliori di Sono dopo "Cold fish".


mercoledì 2 novembre 2016

L'uomo del banco dei pegni - Sidney Lumet (1964)

(The pawnbroker)

Visto da registrazione dalla tv.

Steiger è un sopravvissuto di Auschwitz che ora lavora a un banco dei pegni a New York, mantenendo la moglie di un amico morto nel campo e cercando di venire a patti con i propri demoni allontanando da sé tutte le persone che cercano di avvicinarsi. Alle sue dipendenze c'è un ragazzo che vorrebbe essere un suo discepolo, rispettandolo e stimandolo a livello professionale; ma ne viene tenuto alla larga e reagirà di conseguenza cercando uno sbocco per il futuro in altro modo.

Steiger in una dolente versione di un borghese piccolo piccolo uscito da Auschwitz è un'evidente tentativo di fargli vincere un premio (e infatti vinse a Berlino). Per carità è bravo, ma soprattutto riesce a dare una nota dolente costante anche all'iniziale apatia del suo personaggio (oltre ad azzeccare le due scene madri, il dialogo con la donna e il finale; ma questo è il minimo che mi aspetto da Steiger), però non mi è sembrata la sua interpretazione di una vita.

La regia di Lumet è ovviamente interessante, con molte inquadrature oblique e una gestione del montaggio encomiabile (il montaggio rapidissimo e l'inquadratura a salire dopo il colpo di pistola è perfetto).

La sceneggiatura vorrebbe descrivere un film sul dolore presentandolo come un'opera teatrale (non mi risulta che ne sia tratto, ma potrebbe), viene fuori un film verboso oltre ogni dire, anche se il protagonista vince con i suoi silenzi.
Un film carino, ma non eccezionale.

PS: tra le comparse c'è la prima apparizione di Morgan Freeman.

lunedì 31 ottobre 2016

Il cerchio - Jafar Panahi (2000)

(Dayereh)

Visto in Dvx.

Una coppia di donne fuggita dal carcere cerca di trovare rifugio, nella famiglia o nella fuga. Una donna incinta chiede a un'amica infermiera di aiutarla ad abortire. Una donna in macchina con un uomo (che non è suo marito) viene portata in carcere.
Storie di donne che si affiancano, si incrociano e poi si lasciano. Storie disgiunte unite da un ambiente in comune e dalla mancanza di libertà personali.

Con uno stile estetico più vicino ai Dardenne che a quello de "Il palloncino bianco" (che era molto più rigoroso in confronto a questo) Panahi racconti di questo gruppo di donne che si passano l'interesse della macchina da presa sottolineando la banalità del sessismo della società iraniana che impedisce a loro di poter comprare un biglietto d'autobus, poter andare in taxi da sole, o fumarsi una sigaretta. Proprio la sigaretta diventa il più forte simbolo reiterato della amncanza di libertà e della castrante società iraniana.
Proprio come nei Dardenne si cammina molto, si inseguono i personaggio, ci si concentra sui corpi e sui volti, senza rinunciare ad alcune scelte prettamente geometriche nella costruzione di alcune scene (le due donne sedute ai due lati della panchina nello spogliatoio, divise dalle intenzioni e dallo schienale).

Se in "Dov'è la casa del mio amico?" (ma anche nell'opera prima dello stesso Panahi) venivano usati i bambini come espediente per parlare dei conflitti sociali senza incorrere nella censura; qui Panahi si butta a uso duro senza nascondersi dietro alle metafore, ma usando le metafore per rafforzare ed esemplificare quanto sta dicendo.
Il film è indubbiamente lento, indubbiamente presenta lunghi momenti di noia, ma altrettanto indubbiamente riesce a trasmettere un sentimentalismo frustrato in un film di denuncia; cosa non facile.

venerdì 28 ottobre 2016

Il pianeta selvaggio - René Laloux (1973)

(La planète sauvage)

Visto in Dvx.

Su un pianeta alternativo gli esseri umani sono animali in un mondo popolato e controllato dai Draag, creature umanoidi che allevano gli umani da compagnia, ma sterminano quelli selvatici per tutti i rischi collegati a questo animale allo stato brado. La storia segue le vicende di un umano da salotto che impara nozioni sul pianeta dove vive grazie a un apparecchio usato dai Draag al posto della scuola; fugge dalla casa dove è allevato, si congiunge agli umani selvatici e insieme tentano di ricostruire una civiltà.

Il film è un'animazione di scarsa qualità, ma dalle molte idee che dovrebbe essere riscoperta. La qualità dell'animazione, come appena detto, non è ai massimi livelli, si notano le limitazioni produttive o tecniche dell'epoca, ma per essere un'opera prima è comunque di livello accettabile. Quello che fa più la differenza è il tratto, naif e perturbante insieme, di Topor che crea inquietudine anche con i soli paesaggi e appare evidentemente interessato a creare un mondo articolato e complesso (per il tratto e la fantasia zoologica e botanica mi sembra fare il paio, e chissà non sia stato lo spunto, del Codex Seraphinianus). Interessanti inoltre gli influssi surrealisti perpetrati dal disegnatore, con oggetti che sembrano tratti da Dalì e situazioni bretoniane.

L'altra intuizione interessante (oltre al coinvolgimento di Topor) è l'ntroduzione nel cinema dell'antispecismo, la situazione per cui gli esseri umani non sono le creature al top dell'evoluzione. Un cambio di prospettiva drastico che riesce a rendere inquietanti anche le lunghe scene iniziali di vita quotidiana dei Draag, scene che di per sé sarebbero totalmente scevre di emozioni.
Nel computo finale vanno anche considerate in positivo l'uso delle musiche e dei suoni.

mercoledì 26 ottobre 2016

Thermae romae - Hideki Takeuchi (2012)

(Terumae romae)

Visto in dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Un antico romano, architetto dell'imperatore specializzato sulle terme, viene risucchiato da un recidivante gorgo temporale che lo manda nel Giappone contemporaneo dove troverà spunti e nuove idee per creare qualcosa di mai visto per l'imperatore Augusto... e far vincere la guerra ai romani.

Da sempre, quando fanno un film, di qualunque genere, i giapponesi hanno uno sgurz in più; che sia un thriller drammatico o un erotico (horrorifico), sia che si tratti di un tema onirico e pure quando si tratta della parodia. Qui però lo sgurz sembra tutto proteso a creare la situazione più cazzare possibili.
Eccessi di emozioni per vaccate (Adriano che non verrà divinizzato! Le terme che salvano roma. Il nirvana raggiunto grazie allo spruzzo dal water giapponese!); attori giapponesi che fanno gli anitchi romani pure in mezzo a una serie di occidentali che interpretano il popolino (terribile, a livello degli statunitensi wasp che interpretavano neri o asitici nei film di Hollywood anni '30-'50), pupazzetti utilizzati per mostrare le persone che passano nel turbine d’acqua; ma soprattutto un incomprensibile cantante lirico (pavarottiano) che introduce ogni passaggio da un mondo all’altro... credo che i giapponesi confondano l'antica Roma con l'Italia attuale con il rinascimento.

Se a questo si aggiunge una ripetitività irritante e prevedibile fin dalla prima serie di viaggi il dramma è servito; si prende poco sul serio, ma offre anche molto, molto poco.
Adatto solo per una serata cazzara.

lunedì 24 ottobre 2016

JFK, un caso ancora aperto - Oliver Stone (1991)

(JFK)

Visto in tv.

La ricostruzione dell'indagine del procuratore di New Orleans Jim Garrison sull'omicidio di Kennedy. L'indagine verteva sull'idea di un complotto ad ampio raggio che comprendeva anche istituzioni quali il pentagono.
Film a tese creato ad hoc per spiegare che Kennedy era un comunista odiato dai suoi che avrebbe fatto finire la guerra fredda con 20 anni di anticipo ed evitato completamente la guerra del Vietnam.

Stone stoneggia come al solito, ma con molta più leggerezza dei film successivo e con più controllo e classe dei film precedenti. Ci sono i suoi movimenti di macchina, ma senza strappi; c'è il montaggio alla Eisenstein, ma con immagini più consone; cura della fotografia (e tutto quello che c'è dietro, dalle location agli abiti). A questo si aggiunge un cast enorme per quantità con attori all'apice ed emergenti in egual misura e con attori enormi messi in parti secondarie (come Sutherland) o in veri e propri camei (Matthau).

Mi pare evidente che questo non sia altro che non un film a tesi. E i film a tesi di solito li odio perché lavorano ogni secondo del minutaggio per farti concordare con la loro opinione. Ma Stone è un figo; sa gestire i tempi e sa sfruttare l'emotività; anzi, la crea dal nulla (beh parte dalla morte di uno dei presidenti più amati è ovvio, ma ci lavora sopra), ti spiega perché dovresti essere triste e riesce fartici sentire. Ovviamente neppure Stone è onnipotente e nella seconda (lunga) parte cede agli spiegoni (tutto Sutherland è usato per descrivere il contesto in cui si sarebbe sviluppata l'idea dell'omicidio) e sfocia in un finale eccessivamente enfatico dove Costner viene sfruttato per farti piangere con un lungo monologo patriottico... eppure, nonostante la caduta di stile, Stone riesce a mantenersi a livello, il ritmo rimane e per quanto si possa avere l'orticaria per l'ovvietà nella scena in cui un Costner commosso guarda in camere chiedendo cosa puoi fare tu... beh, funziona tutto.

venerdì 21 ottobre 2016

Xanadu - Robert Greenwald (1980)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una musa scende sulla terra (coi pattini) per far aprire un locale di vaudeville facendo collaborare una vecchia star del clarinetto e un giovine pittore di belle speranza. Quando riuscirà nell'intento sarà però combatutta... ormai infatti si sarà innamorata del giovine.

Musical pop-imbarazzate creato ad hoc per sfruttare il successo di Oliva Newton-John e in parte quello di Michael Beck. Fu, giustamente, un fiasco totale, ma tuttora rimane un interessante faro sul kitsch di quel decennio complesso e senza gusto che furono gli anni '80. Non intendo criticare gli effetti speciali oggigiorno imbarazzanti poiché all'epoca potevano anche essere all'avanguardia; ma credo sia doveroso criticare le luci flou, la musica pop elettronica, i fade out fatti con il dos, i pattini a rotelle usati in maniera pervasiva... e non cito i costumi o i capelli perché credo che i responsabili siano ancora in libertà vigilata... in pche parole gli anni '80 at their finest.

La storia è striminzita e, salvo poche aggiunte (come Zeus che deve decidere se inviare di nuovo la musa sulla terra), c'è davvero poco altro rispetto a quanto ho già detto; il resto del minutaggio è dato da scene musicali, d''amore, di raccordo e alcune anche senza senso (il protagonista che prende in prestito la moto da una sconosciuta senza avere rimostranze e la sua caduta slapstick in mare), in più c'è una sequenza d'animazione debitrice della Disney in maniera totale.

Realmente interessante invece è la tipologia di musical che si sceglie. Questo è un film musicale classicheggiante, con musiche e scene di ballo (che nel finale si fanno massive per scenografie e numero di persone) più che canzoni; sembra quindi che l'operazione fatta rispecchi quella che viene intrapresa dai due protagonisti del film stesso, cioè riadattare uno spettacolo ormai morto negli anni '40. Operazione intelligente anche se riuscita solo in parte; molto ben rappresentata dalla sequenza musicale in cui le due band si fondono in una

Una perla kitsch ad alto budget degli anni '80 e l'ultima interpretazione cinematografica di Gene Kelly. Da vedere se si è amanti di uno dei due.

mercoledì 19 ottobre 2016

Corruzione - Robert Z. Leonard (1949)

(The bribe)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un aqgente federale viene inviato su un'isola del Sud America per indagare sui furti di motori d'aereo. Sull'isola incontra una coppia, si innamora della donna, viene avvicinato da un losco individuo che gli offre soldi per andarsene, infine si scontrerà con l'uomo che è andato ad arrestare. Nel mentre fingerà di andare a pesca di marlin.

Visto grazie al "Il mistero del cadavere scomparso" questo è un film dalla grande potenzialità, ma dallo svolgimento debole.
L'idea di base (l'eroe bloccato su un'isola in Sud America in cui tutti, o quasi, lavorano per il villain di turno) è buona e ha le pontezialità massime per un noir inquietante e nichilista; ma senza voler arrivare agli estremismi è comunque una base di partenza per un noir d'effetto. Il villain stesso poteva essere titanico (quella è l'impressione che se ne può evincere fin dall'inizio), ma appena appare in scena si riduce rapidamente al rango di un malfattore qualunque che vive fianco a fianco con l'eroe.

La regia con il pilota automatico non aiuta; anzi, il ritmo carente di quasi tutta la vicenda può allontanare anche i più motivati. Tuttavia azzecca un paio di momenti in maniera incredibile; la sparatoria nel buio con gli occhi che risaltano dalla tenebre è perfetta e l'inseguimento finale tra i fuochi d'artificio è dignitosissimo ed encomiabile per l'idea (di fatto poteva essere realizzato meglio, ma la morte del villain è comunque ben riuscita).

L'altro motivo di interesse per un film potenzialmente buono, ma in realtà mediocre è il cast (ed è anche il motivo per cui l'ho guardato); la Gardner è bravissima (e bellissima), Laughton è impeccabile (e magnificamente viscido) e Price è totalmente in parte.

lunedì 17 ottobre 2016

Una separazioni - Asghar Farhadi (2011)

(Jodaeiye Nader az Simin)

Visto in  tv.

Una coppia sposata chiede la separazione; la moglie ha ottenuto i permessi per andare all'estero (cosa non facile in Iran), ma il marito non vuole lasciare il paese (il padre, affetto da demenza rimarrebbe da solo). La donna vorrebbe solo forzare la mano al marito che però non cede e lei lascia la casa. L'uomo deve cercare qualcuno che tenga d'occhio il padre per poter andare al lavoro e trova una donna, fervente mussulmana, disposta. I rapporti con la "badante" non sono semplici, lei tentenna molto (non se la sente di lavare l'anziano per motivi religiosi) e a causa di alcuni mancamenti vorrebbe che il lavoro lo facesse il di lei marito (che non sa nulla della vicenda, visto che non accetterebbe che la moglie andasse a casa di un uomo separato). Durante l'ultimo giorno di lavoro della donna, lei deve assentarsi e lega l'anziano al letto; ritornato in anticipo il protagonista scoprirà la cosa e litigherà con la donna, spingendola fuori di casa. Riceverà una denuncia in quanto, a causa della spinta ricevuta la donna ha perso il bambino di cui era incinta.
In realtà neppure qui è finita la vicenda, ma spoilererei troppo.

Stile realistico senza sforare nell'autorialità alla Dardenne, con un occhio sempre alla qualità dell'immagine e, quando può, alla costruzione equilibrata dell'inquadratura (anche se è evidente che non è una priorità).
La trama articolata non inficia la scorrevolezza che rimane sempre alta e l'interesse è mantenuto attivo dai vari canoni che si sovrappongono. Ovviamente questo è un family drama con un'intensa emotività esposta, ma ha le peculiarità di un thriller (o di un poliziesco televisivo) per l'insistenza nel trovare la verità durante il processo (non è il processo in sé a essere centrale, ma la ricerca della verità su quanto successo da parte dei personaggi coinvolti) il tutto inserito in una ricostruzione della quotidianità iraniana interessantissimo (e maggiore che non nei capofila del neorealismo iraniano che hanno invece prodotto delle fiabe) e uno svolgimento complessivo che è intricato quanto un noir (ma voglio sottolineare che non è un poliziesco o un film di genere).

Ma quello che determina il salto di qualità dal bel film al capolavoro è l'obiettivo. Questo non vuole essere un film accomodante, anzi, vuole mostrare l'impossibilità di stabilire la verità. Tutto in questo film è in bilico, tutto è impossibile da dimostrare; le ricostruzioni dei fatti divergono, i personaggi ometto o mentono candidamente, anche quando si giunge allo scioglimento finale si arriva con il dubbio rimasto intatto (in quanto nessuno può essere sicuro di quanto affermato dagli altri); addirittura nell'ultima scena, dove deve essere presa una decisione da parte della figlia della coppia, la risposta a quella semplice domanda non ci viene rivelata (ma è altrettanto interessante l'episodio dei soldi rubati, dove il protagonista dice di sapere che non è stata la donna accusata ad averli presi, ma non arriveranno mai a esplicitare la soluzione).
Impossibile quindi arrivare a una soluzione; risulta quindi difficile parteggiare del tutto per qualcuno, anche perché in presenza del primo personaggio apparentemente negativo, nel finale si rivelerà essere la vittima di tutta la vicenda.
L'ambivalenza della trama riesce anche ad avere un (evidente) risvolto politico. Tutte le situazioni passibili di censura non possono essere tagliate perché il film non permette di capire se sono reali o meno (la mancanza di religiosità del protagonista, gli atti di violenza, ecc...). Quando invece sono esplicitati vengono apertamente avversati dagli altri personaggi senza che per questo vengano sminuiti; sono quindi messi a tacere con una contro tesi (e quindi sono accettabili per la censura) pur senza esserne indeboliti (basti il bellissimo incipit con i due coniugi che parlano in macchina da presa e la donna spiega che vuole andarsene dall'Iran per cercare una vita migliore, interrogata sulla questione dal giudice viene zittita con la fedeltà alla patria del suo stesso marito, ma la sua idea non cambia e le due tesi vengono solo rese esplicite, ma non sostenute da fatti o motivazioni, dunque tutte e due restano valide).

PS: in tutto questo non sono neanche riuscito a dire quanto sia appropriato il cast e quanto siano capaci i protagonisti e gran parte dei comprimari; una recitazione complessiva da applauso.