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lunedì 30 settembre 2019

La signora mia zia - Morton DaCosta (1958)

(Auntie Mame)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un regazzino viene affidato alla buffa, ricca, newyorkese, eccentrica zietta. Il film ripercorre il loro incontro, le difficoltà economiche, la nuova ricchezza, l'età adulta del figlioccio.
Film basato sull'omonimo romanzo da cui viene preso il ritmo spigliato e l'atteggiamento picchiatello un pò fuori tempo massimo, ma ben ricreato. Ecco, la sensazione principale nel vedere questo film (almeno la parte iniziale) è che sia una screwball comedy in ritardo di una decina d'anni. L'incipit, dunque, è un po forzato, ma funziona, anche grazie all'intelligenza nel scegliere la Russell come protagonista (perfetta, nonostante esageri spesso con la recitazione sovrabbondante). Rapido, ironico, sconclusionato, ipercolorato e con una leggerezza incredibile (anche nel trattare la morte) il film nei primi minuti funziona alla perfezione.
Purtroppo a mano a mano che le oltre due ore procedono il film si perde nel sentimentalismo, nella ricerca di soldi, nel rischio del distacco, ecc; a poco serve l'introduzione di nuovi personaggi comici (su tutti l'irritante segretaria), il mood non riprende.
Scene divertenti o battute taglienti ce ne sono, ma è evidente che hanno cercato di ripetere un genere senza portarlo fino in fondo; il personaggio "picchiatello" non lo è davvero; i sentimenti e il romanticismo ci sono sempre stati anche nel genere originale, ma l'emotività è tutta posticcia.

Seppure un film superficiale e sbilanciato, la regia però riesce nel miracolo di tenere in piedi il ritmo preteso dalla sceneggiatura e si impegna anche in costruzioni ardite con scene lunghe, ampi movimenti di macchina e un fade to black creato con le luci di scena anziché con il montaggio.

venerdì 30 marzo 2018

Cenere e diamanti - Andrzej Wajda (1958)

(Popiól i diament)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un giovane, ex partigiano anti-nazista, viene incaricato dal suo gruppo di nazionalisti di eliminare un anziano capo di partito (comunista), tornato dopo un esilio causato dalle sue idee politiche.

Terzo capitolo di un'ideale trilogia ad opera di Wajda, viene dopo il gigantesco "Kanal".
Questa volta la guerra è finita, ma il contesto storico è, forse, ancora più importante che nel precedente film; un contesto storico estremamente localizzato essendo stato vissuto da pochi paesi e di difficile comprensione per chi non ne è già a conoscenza.
Wajda però non si limita a descrivere una situazione, ma la spezza in settori distinti, ognuno perfettamente lineare, con ogni personaggio che presenta le sue ragioni, spesso condivisibili, ma ogni settore è pieno di incomunicabilità, di impossibilità al confronto anche quando sarebbe possibile o voluto. L'elemento vicente di questo film infatti è proprio la creazione di un mondo frammentato, unito dai festeggiamenti per una vittoria nominale, ma distrutto dall'alienazione.

A livello estetico Wajda fa un lavoro enorme simile a quello del precedente film. Una fotografia in bianco e nero che si conferma una delle migliori degli anni '50, pulita, espressiva, che trasforma ogni luce (poche) in un lama. Il resto del film, a livello di regia, si gioca tutto su una profondità di campo che permette un uso enorme del montaggio interno e che evita l'effetto statico di una fotografia magnifica senza nessun'altra idea.

Ecco, duole dirlo, ma di fronte a tutto questo enorme sforzo positivo, per me, il film muore sul piano del ritmo. A fronte di una vicenza storica complessa e mai spiegata allo spettatore digiuno, c'è anche l'aggravante di una storia lenta nel muoversi che si accascia spesso verso la noia. Il lungo finale è un insime di simbolismo e realismo che si tira le fila dell'intero film dando vita a scene madri e inquadrature spettacolari che non può non piacere (l'immagine del morto abbracciato al suo assassino sotto ai fuochi artificiali, la scena di danza a festa finita, ecc...) e non può non appagare, ma a che prezzo si riesce ad arrivare fino a li?

mercoledì 13 settembre 2017

Nata di marzo - Antonio Pietrangeli (1958)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una ragazza a mala pena maggiorenne si innamora di un uomo di mezza età (per l'epoca). Dal carattere lunatico e precipitoso, decide di sposarsi, ma la vita coniugale diverrà presto usurata e tesa fino al breakdown.

L'intero film è raccontato tramite due o tre lunghi flashback a un amico anche lui innamorato di lei. Di fatto il film è una lunga e dettagliata storia di una crisi di coppia e, in quell'ottica, molto ben realizzato, con tutti gli elementi già presenti fin dall'inizio, ma che divengono problematici solo con il passare del tempo. Una sceneggiatura molto buona, ma priva di fantasia, una dissezione di un rapporto di coppia che va alla malora, ma senza grinta.
Per il resto il film è decisamente vittima di lungaggini, pur con dei personaggi interessanti, non riesce a mantenere un ritmo accettabile.

Alcuni vedono un motivo d'interesse per la descrizione dell'ennesimo personaggio femminile alla pietrangeli. Idea parzialmente vera, ma con qualche differenza. Seppure la protagonista è la stessa ingenuità di vivere della protagonista di "Io la conoscevo bene" e forse anche la superficialità de "Lo scapolo", questo personaggio non è un solitario, è un outsider, ma con un'evoluzione grazie alla quale riesce a rimanere all'interno di una società senza cercare scappatoie. Non sarà felice, ma è pur sempre accettata (ancora una volta vittima più di sé stessa che degli altri).

Interessante, invece, il contorno, con un certo gusto nel mostrare alcune architetture (il Sancarlone dell'inizio o il Pirellone in costruzione... tutto in one...). C'è pure un cameo di Dario Fo.

venerdì 19 maggio 2017

La leggenda di Narayama - Keisuke Kinoshita (1958)

(Narayama bushikô)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

In un villaggio nel Giappone medievale, la tradizione prevede che, raggiunti i 70 anni, gli anziani debbano essere portati sul monte Narayama e lì essere abbandonati a morire. Una donna, amata dal figlio, ma disprezzata dal nipote (disprezzata per l'egoismo del nipote, ma in fondo solo perché lei è vecchia), si prepara al viaggio con una luminosa rassegnazione.

La trama del film viene da una leggenda tradizionale a cui, in questo film, viene data la cadenza (e la crudeltà) della fiaba. Il tema è trattato quindi con una leggerezza invidiabile, la remissività attiva della protagonista, la sua accettazione serena come di qualcosa di logico e inevitabile sono spiazzanti; così come sono alternativamente tenere o irritanti le reazioni dei parenti riuscendo, con pochi personaggi, a costruire una parabola sul rapporto umano con la morte (enorme l'idea del personaggio dell'anziano vicino di casa che non vuole morire e pertanto viene vessato dal figlio) e con l'età avanzata; non c'è un filo di intellettualismo in questa visione, ma un poco di cinismo anche nei sentimenti migliori.

Il film è strutturato come uno spettacolo di Kabuki, con canzoni che fungono da voice off (personalmente le canzoni le ho odiate quasi tutte, ma è fuori discussione che l'accompagnamento musicale quasi costante dato dal shamisen sia perfetto e calzante); addirittura la messa in scena si prostra al teatro realizzando una entusiasmante commistione fra cinema e kabuki (che è la cifra vincente di un film quasi perfetto).
Il film alterna scorci realisti a fondali palesemente dipinti, magnifiche scenografie mobili (con gli edifici che si aprono o la vegetazione che si fa da parte) per alcuni cambi di scena, luci irreali che virano il colore dell'intero ambiente e alcuni occhi di bue a isolare i personaggi; oltre a un'evidente gestione teatrale nella disposizione e nei movimenti di alcuni attori (si pensi al concilio degli anziani del villaggio). La macchian da presa si tuffa in questo ambiente così complesso con ampie carrellate (soprattutto circolari ad abbracciare personaggi e scenografie), molti piani medi, mentre i primissimi piani vengono tenuti per i momenti più emotivi. La costruzione delle immagini, dato il controllo totale permesso dalla ricostruzione in studio, è assoluta con inquadrature sempre belle che si fanno d'impatto notevole nel finale sul monte Narayama coperto di scheletri.

venerdì 3 marzo 2017

La diabolica invenzione - Karel Zeman (1958)

(Vynález skázy)

Visto in DVD.

Una storia d'ambientazione verniana; in un '800 piuttosto steampunk, uno scienziato viene rapito da alcuni pirati che lo portano su un'isola remota dove, il loro capo, sta progettando la conquista del mondo, ma per farlo deve avere l'arma definitiva.

Un film visivamente magnifico; lo stile dominante è quello che riprende (per toni, linee e impatto visivo) le incisioni letterarie del 1800 con linee ovunque ad imitare il metodo della incisura (sui fondali, sui vestiti, sugli oggetti); i luoghi, le costruzioni o i fondali hanno un misto di cartoonesco e di concreto con linee quasi espressioniste, che è la cifra di tutto il film. Questo infatti è un mix fra live action classica e qualunque altra tecnica (stop motion, animazone disegnata classica, burattini, sovrapposizioni, fondali disegnati e oggetti bidimensionali) con un effetto che riprende lo stile dei film di Méliès, ma con consapevolezza e molta raffinatezza (una raffinata ingenuità che fa impallidire i tentativi di Gondry).

Il film si risolve in un godibile romanzo d'avventura moraleggiante abbastanza godibile, soprattutto per i ragazzi; il ritmo purtroppo latita in diverse occasioni e l'eccesso di avvenimenti rischia di far perdere interesse.
Ma l'effetto finale complessivo lascia comunque a bocca aperta.

mercoledì 18 gennaio 2017

Bab el hadid - Youssef Chahine (1958)

(Id. AKA Cairo station)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Se dovessi raccontarla velocemente la trama direi che è una storia di un amore tormentato (tormentato perché lei non ci sta ed è pure stronza) fra un facchino e una venditrice ambulante presso la stazione. Il finale porterà a un rapido twist della situazione e del tono del film.

Un ambiente norealista con una storia con violenza, follia, pulsioni erotiche, un filo di politica e un accenno ironico alla religione... tutto quello che in un film egiziano del 1958 non mi aspetterei mai.
Invece c'è tutto questo e anche di più, almeno una storia nella storia accennata solo in tre momenti, ma che riesce ad avere uno sviluppo. Il tutto unito a una fotografia in bianco e nero davvero bellissima.
Lo stile della regia sarebbe stato bene sia in un film espressionista tedesco, sia in un film di Welles; con l'uso della profondità di campo per creare scene su più piani, un'abbondanza caotica di carrelli, inquadrature spesso ravvicinate, molte oblique (o leggermente rialzate o ribassate rispetto ai personaggi) e nel finale anche una serie di giochi d'ombre noireschi.
Una serie di stilemi che sembra essere la summa del meglio (per me) prodotto dal cinema fino a quel momento; messi insieme per mostrare un film che sembra partire con il tono del racconto di riscatto o romantico, per poi deragliare verso il thriller e la follia. Un'opera magnifica e originalissima.

venerdì 20 aprile 2012

Fluido mortale - Irvin S. Yeaworth Jr. (1958)

(The blob)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in italiano.
Un liquido vischioso venuto dallo spazio si nutre degli esseri umani diventando sempre più grande, ma quel che è peggio è che sembra indistruttibile.
Ingenuo film anni ’50 incredibilmente ben realizzato, sia come trama (non eccezionale, ma non ha i classici voli pindarici), sia, soprattutto, come realizzazione (la realizzazione del blob con del silicone, così come i suoi attacchi al cinema e al fast food fatti con dei modellini sono molto credibili); sia, infine, come personaggi, dove pur ei secondari sono incredibilmente ben delineati nonostante non ci sia Mankiewicz alla sceneggiatura.
Inoltre è questa la prima apparizione di McQueen in un film e bisogna ammettere che ha veramente una faccia qualunque e che come attore non ci sapeva fare. Trivia, nella scena dell’incontro fra McQueen e la ragazza nel giardino dalle spalle del protagonista si vede levarsi del fumo, perché Steve stava nascondendo una sigaretta dietro la schiene che fumava fra un ciak e e l’altro.
C’è anche da dire che questo è il primo film in cui un mostro attacca un cinema (…ne sentivamo il bisogno), tradizione che da allora si è propagata almeno fino a “Mant”.
L’idiota canzone dei titoli di testa “Beware of the Blob”, hit dell’epoca, fu il primo successo di uno sconosciuto Bacharach… come a dire che blob ha fatto del bene a tutti nel mondo dello spettacolo.
Negli anni ’70 ebbero la folle idea di dargli un seguito, mentre negli ‘80s pensarono bene di realizzare un (brutto) remake.

venerdì 26 agosto 2011

La congiura dei boiardi - Sergei Mikhailovic Eisenstein (1958)

(Ivan Groznyy: Skaz vtoroy)

Visto in DVD. Il secondo capitolo sulla vita di Ivan il terribile cambia completamente registro. Se ne vanno le grandi conquiste, il ruolo predominante del popolo e si ricomincia a lavorare sugli intrighi di palazzo che diventano centralissimi. Il film elimina la figura di Ivan come condottiero e lo mostra dal lato umano, in preda a paure, ossessioni e sentimenti in una storia drammaticissima che ha un aroma molto shakespeariano, con un protagonista che giganteggia nel suo isolamento.

Il film realizzato nello stesso momento del precedente (e che era stato pensato per essere il secondo tempo di un unico film) non verrà reso pubblico se non molti anni dopo la morte del regista… i motivi non sono ben chiari… forse per l’estromissione del popolo come personaggio, forse per il cambio di tono meno enfatico e più melodrammatico, forse perché Stalin non si riconobbe nel personaggio mostrato nel film (giuro, pare che abbia detto “Non mi somiglia”…).

La regia poi è la stessa del film precedente; Eisenstein fa un po quel cazzo che vuole con ogni mezzo cinematografico gli passi per le mani, curando ogni scena come fosse la più importante e rubando a chiunque senza ritegno (il cinema muto, l’espressionismo tedesco, Dreyer, ecc…) riuscendo ad ottenere un capolavoro. Poi quando viene fuori la scena del banchetto girata tutta a colori (virata in rosso, secondo me più per sottolineare il mood di ciò che accade che per accontentare i committenti), anche se sapevo perfettamente che c’era e che sarebbe venuta fuori, è realizzata talmente bene che mi ha fatto sobbalzare.

PS: in certi momenti qui Ivan sembra proprio Mr. Burns.

martedì 8 marzo 2011

La parete di fango - Stanley Kramer (1958)

(The defiant ones)

Visto in DVD.


Un bianco del sud degli Stati Uniti ed un nero, entrambi carcerati, vengono incatenati insieme per essere trasportati ai lavori forzati. Il mezzo su cui viaggiano ha però un incidente, e i due riescono a fuggire. Ci si può ben immaginare l’imbarazzo di andare in giro insieme, razzista uno e nero l’altro, in un mondo razzista come quello degli anni ’50… ovviamente il cameratismo avrà la meglio, anche sugli interessi personali…


Per carità, visti gli anni è certamente un film coraggioso… però è veramente banale, quasi sempre prevedibile e senza ritmo. Molti i dialoghi, molto spesso troppo lunghi e verbosi per mantenere l’interesse e con eccessivi significati francamente inutili.


Poche le scene significative (come quella dentro la cava d’argilla) e comunque troppo enfatiche.


Si unisca quanto detto con un Tony Curtis assolutamente fuori parte nei panni dello sprezzante carcerato razzista e si ottiene un film anni ’50 wannabe cult, ma senza nessuno stigma del genio.

mercoledì 23 febbraio 2011

Buongiorno tristezza! - Otto Preminger (1958)

(Bonjour tristesse)
Visto in DVD.

Un viveur si districa tra feste parigine e spiagge della costa azzurra con la figlia a cui lascia enormi libertà e una selva di amanti del momento. Quando però deciderà di mettere la testa a posto sceglierà una donna abbastanza rigida, ma incredibilmente alla mano, almeno fino alla proposta di matrimonio, dopo la quale si sentirà in dovere di tutelare la ragazza. Peccato che lei non voglia essere tutelata e farà in modo (con uno stratagemma non proprio geniale, ma efficace) di farla lasciare. La donna non reggerà al dolore e si ucciderà. Da quel momento la vita del padre e della figlia riprenderà identica a prima, ma se in precedenza la loro felicità era autentica, ora sarà solo una pretesa di allegria.

Storia narrata in flashback in cui il grigio presente è girato in B/N, mentre il felice passato è a colori.

La trama è incredibilmente intimista, non originale, ma narrata col giusto piglio, sempre interessante e giustamente patetica nel finale. Il tono è sempre azzeccato e se anche Preminger non guizza per inventiva intrattiene nel modo giusto.

Un dramma da camera garbarto ed efficace. Cast perfetto.

giovedì 5 agosto 2010

La donna che visse due volte - Alfred Hitchcock (1958)

(Vertigo)

Visto in VHS registrato dalla tv.

Un poliziotto (Stewart) è costretto alla pensione a causa delle vertigini. Verrà contattato da un suo vecchio amico perchè sorvegli la moglie a causa di svariati sospetti di un suo possibile suicidio; ben presto il poliziotto si innamorerà della moglie, ma non riuscirà ad impedirne il suicidio. Disperato, troverà una ragazza identica alla morta, e lui la costringerà a vestirsi e truccarsi per assomigliare sempre più all'amata perdute. Ma ovviamente c'è un mistero, anzi un delitto.

Film sui generis nella produzione di Hitchcock, molto più metafisico di chiunque altro, non solo per l'accenno soprannaturale ma anche per lo svolgimento e l'interpretazione. Anche qui c'è un delitto, anzi il delitto perfetto; ma è in un assoluto secondo piano, completamente dimenticato tanto dai personaggi quanto da chi guarda il film. Quello che conta in questo film è la passiano accecante che investe Stewart, tanto da non fargli capire di essere stato usato. Sulla questione hanno scritto in tanti e il concetto che più spesso è esposto è quello del lato oscuro della mente, raggiunto in questo caso dalla passione, dall'amore (concetto molto ironico) e di cui la vertigine è semplicemente una metafora esposta; lato oscuro che annulla la volontà o la razionalità in favore dell'oggetto del proprio desiderio.
Questo concetto che mostra la passione come una perversione della mente trova quindi logico il finale dove la morte avviene in un campanile a causa dell'arrivo di una suora, simboli piuttosto evidenti.
Il film è quindi la discesa agli inferi di un uomo che non riesce a resistere ai suoi impulsi e che ha perso il contatto con la realtà; le prime parole che vengono dette infatti sono "dammi la mano" e vengono rivolte proprio a Stewart per cercare di salvarlo dalla morte, ma Stewart non riuscirà a prendere quella mano; inoltre il suo unico contatto con la realtà è il personaggio interpretato dalla Geddes, personaggio che verrà messo sempre più in disparte a causa dell'avvicinamento tra Stewart e la Novak.

Un film, soffocante, con uno Stewart costantemente eccessivo, nella passione per la donna, nel plasmare la ragazza incontrata; sottolineato da alcune invenzioni di regia davvero notevoli. Su tutte i baci sempre abbracciati da una macchina da presa che gira intorno agli amanti; con la visualizzazione delle vertigini realizzate con uno spostamento indietro della macchina e uno zoom in avanti contemporaneo (immagine che ha fatto scuola ed è stata poi copiata da tutti) nonchè una scena onirica ai limiti del ridicolo, ma che fa un uso notevole del colore (e siamo solo nel 1958) e che sembra prevedere lo stile psichedelico che si formerà solo 10 anni più tardi.
Il titolo italiano è certamente bello, ma risulta completamente avulso dal significato e dal mood del film.