venerdì 29 aprile 2016

Victor Victoria - Blake Edwards (1982)

(Id.)

Visto in Dvx.

Parigi negli anni '30 era una gay Paris; e una cantante dalle notevoli doti vocali dovrà fingere di essere un nobile polacco omosessuale amante del travestitismo per riuscire ad avere successo, per fortuna sarà aiutata da ex stella del vaudeville.

Definirlo musical è eccessivo visto lo scarso minutaggio dei numeri musicali, anche se si tratta di scene perfettamente orchestrate che mostrano interamente le sequenze teatrali. Definirlo film in costume o storico sembra esagerato, ma la perfezione della ricostruzione della Parigi tra le due guerre è impeccabile, per location, scenografie e costumi. Definirla commedia (magari commedia dei sessi) è semplicemente riduttivo, così come cassarlo come semplice film sentimentale (visto il finale piuttosto scontato).
Di fatto Edwards riesce nel complicato compito di coniugare tutte queste caratteristiche in un unico film. Un film storicamente perfetto (e bellissimo), divertente, sporcato di rosa e con numeri musicali costruiti come fossimo alla Warner dell'epoca d'oro. Un lavoro di misurino così preciso che rende questo film senza tempo (di sicuro non avrei mai detto che fosse stato realizzato in uno dei decenni più eccessivi di sempre).

Completano il quadro un cast in forma, con una Andrews (voce e corpo) in piena forma (forse la sua interpretazione che preferisco) e un Preston vero mattatore. Il film inciampa nella mediocrità solo nella chiusura, ma non è una caduta tale da inficiare le due, godibilissime, ore appena trascorse.

mercoledì 27 aprile 2016

Paradiso proibito - Anatole Litvak (1940)

(All this, and heaven too)

Visto in Dvx.

Uomo sposato con donna pazza si innamora dell'amorevole bambinai. Il loro amore (totalmente platonico) verrà scoperto e osteggiato in ogni modo dall'establishment dell'epoca, fino alla condanna vera e propria.

Melodrammone enorme donato alla impareggiabile coppia Bette Davis (all'epoca massima della sua fama) e Charles Boyer (perfetto nella parte del francese dolente). Tratto da un libro basato da una storia vera (entrambi più sensuali di quanto Hays permettesse), edulcorati quanto basta portarono a una produzione di dimensioni titaniche con un profluvio di set ricostruiti e un minutaggio dilatato più simile a un kolossal che a un film romantico standard.
Lo sforzo però riesce a essere ripagato.
Senza voler indulgere in sentimentalismi ammorbanti (se si esclude la cornice, tutto il film è un lungo flashback e le scene nella classe sono effettivamente le peggiori) Litvak riesce nell'impresa di ammucchiare cliché e scherzi del destino in un fluire unico e dinamico commuovendo più di quanto non infastidisca. Utili le già citate scenografie piuttosto cupe dove il regista riesce a sguazzare bene. Fondamentale il cast, in cui i due protagonisti totalmente in parte danno un senso a ogni sguardo (e a quasi tutte le agnizioni subite... anche se non tutte), sostenuti da una O'Neil mai così avversa, mai così fastidiosa e folle.

Per tirare le somme siamo davanti a un melodramma con tutti i crismi e i limiti, che per giunta dura più di due ore. Ma siamo davanti ha un melodramma fatto con stile e recitato anche meglio, in cui il tema e il minutaggio non riescono ad ammazzare del tutto l'interesse.

lunedì 25 aprile 2016

Izo - Takashi Miike (2004)

(Id.)

Visto i Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un samurai di fine '800 viene barbaramente crocifisso. Tornerà in vita e attraverserà il tempo e lo spazio senza un ordine massacrando chiunque capiti sul suo cammino; viene ferito, ma non può morire di nuovo.

Un film linearissimo nella trama, solo una spremuta di sangue che procede senza nessuna logica apparente; di fatto un film sperimentale, pieno di possibili letture (massacra autorità civili e religiose). in definitiva però si tratta di una sequenza anarchica di scene ripetitive che potrebbero essere anche soltanto un percorso iniziatico verso il nichilismo più totale (rappresentando la vita stessa; come viene indicato nel noto sutra in cui viene indicato di uccidere chiunque si incontri per strada, compreso il Buddha)... eppure funziona. Siamo davanti a un film surreale anti-narrativo di due ore che però non annoia troppo, un film ben condotto e ben narrato; dunque un film che funziona nonostante l'assenza di logica (un po' come accadeva per INLAND EMPIRE). Quello che funziona meno, invece, sono i dialoghi; filosofeggiamenti che chiariscono un poc le idee dicendo ovvietà e togliendo gran parte del fascino e tutto questo affossando il ritmo.

Dal punto di vista tecnico è enorme. Si cerca sempre la buona inquadratura come minimo (ma d'altra parte è evidente da anni che Miike è prima di tutto un esteta del cinema, bastino i suoi mediometraggi per "Masters of horror" o in "Three extreme" per definire quanto può essere pesante la mano del regista sulla fotografia). Il registro del film permette anche picchi di lirismo come nella scena dell'incontro con le famiglie (che verranno massacrate) o nel campo dei fiori che parlano al protagonista. Vi sono anche continui giochi di montaggio, dove i più frequenti sono con brevi segmenti di scene che si riferiscono ad episodi indipendenti, ma che suggeriscono quanto sta avvenendo in parallelo.
Da sottolineare anche (e soprattutto) il lavoro del sonoro (anzi, più che altro della sua assenza) come mezzo espressivo; si pensi anche solo alle canzoni alla chitarra (con cantante presente sulla scena... e mai ucciso!) con serie di scene di repertorio di brutalità o sesso.

venerdì 22 aprile 2016

Il momento di uccidere - Joel Schumacher (1996)

(A time to kill)

Visto in tv.

Un uomo di colore nel sud degli USA si vendica della morte della figlia uccidendone l'assassino, un ragazzo bianco e razzista. La comunità si mobilita, chi a favore e chi contro, verrà riesumato il KKK e le tensioni razziali esploderanno. Il caso della difesa dell'uomo di colore sarà preso, pro bono, a un giovane avvocato locale di belle speranze e buon cuore.

Questo è un film visto da regazzino di cui ho sempre conservato un buon ricordo; leggendo in giro noto di essere l'unico a considerarlo bene; inevitabile sfruttare un passaggio televisivo per rivederlo.
Beh diciamolo subito, l'ambientazione mi è sempre piaciuta e la fotografia sudata e virata sul giallo mi è sempre sembrata calzante; allora come oggi.
Anche il cast, di attori che neanche ricordavo ci fossero (ma come ho fatto a dimenticarmi della presenza di Jackson?!), mi è parso buono; certamente i fondamentali (Jackson ovviamente, ma anche McConaughey che è assolutamente in parte e Sutherland Jr che nella parte dello stronzo ha sempre fatto la sua bella figura; per non parlare della presenza di Sutherland Sr e Spacey che sono sempre encomiabili) sono all'altezza, la tanto vituperata Bullock fa la sua parte senza infamia e senza lode.
Non vorrei però dare un'idea sbagliata. Questo film è carino, ma non riesce a entusiasmare.
Fallisce nella storia, non tanto per la banalità, ma perché mette di tutto sul fuoco; dilata i personaggi importanti (c'era così tanto bisogno di dare spazio al personaggio di Sutherland Jr? e Sutherland Sr nella parte scontata del mentore redivivo c'era davvero bisogno?) rendendo inutilmente più laboriosa la vicenda (dovrebbe essere un legal movie o un dramma razziale? conta di più la vita degli avvocati o quella delle vittime?). Troppi elementi che non servono e dilatano il minutaggio senza costrutto.
Inoltre c'è una regia nella migliore delle ipotesi inutile, spesso fuori luogo, che appesantisce un film già non fluido di suo.
Ammetto che la memoria migliora di molto il passato.

mercoledì 20 aprile 2016

Operazione paura - Mario Bava (1966)

(Id. AKA Kill baby kill)

Visto in Dvx.

Un medico deve effettuare un'autopsia su una ragazza in un paesino sperduto. Verrà accolto da una comunità chiusa e respingente, da una serie di fatti inquietanti e inspiegabili e, in ultimo, ovviamente un mistero.

Non è un film horror, non classico almeno; la paura, nonostante il titolo, non se ne vede molta.
Anche qui limitazione di budget e vicende produttive fallimentari hanno reso difficoltosa la realizzazione del film. Pertanto risulta sorprendente la qualità estetica e tecnica raggiunte.
La messa in scena è lussureggiante; c'è tutto il comparto gotico standard per quegli anni (case diroccate, ragnatele, nebbia, colori vivaci, il mix Corman per intenderci), ma ogni scena è costruita benissimo sfruttando i vari elementi senza mai scadere nel kitsch.
Movimenti di macchina fatti da semplici spostamenti d'inquadratura, zoom bellissimi (e io di solito trovo lo zoom respingente) e carrelli (da applausi la scena dell'altalena, prima in soggettiva poi a camera fissa).
Oltre a ciò riescono anche ad essere aggiunte alcune buone idee ormai aneddotiche; la bambina con la palla (pur non essendo inquietante) è veramente un valore aggiunto; la surreale scena dell'inseguimento del doppio del protagonista; il finale (idea buona visto tutto il potpourri fatto prima; purtroppo non è recitato all'altezza e anche la realizzazione complessiva qui latita).

Il vero problema del film è l'enorme confusione della sceneggiatura che mischia troppi elementi e il ritmo sempre troppo rilassato, sempre troppo verso la noia.

lunedì 18 aprile 2016

I saw the devil - Kim Ji Woon (2010)

(Ang-ma-reul bo-at-da)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un serial killer che uccide e sevizia alcune donne, cattura ed elimina la figlia del capo della omicidi (nonché la futura moglie, incinta, di uno dei suoi sottoposti). Inizierà ad indagare, scoprirà chi è, ma l'assassino fuggirà, inizierà quindi una caccia al'uomo che porterà a più effetti collaterali di quanti ci si possa aspettare.

Film classicheggiante nel plot, ma atipico per l'andamento del mood e per la violenza esposta.
Il film ha un incipit cupo e distaccato, da thriller classico, con una calma surreale inquietante e poi l'esplosione di violenza. Da li parte un film su un maniaco che uccide le donne e le indagini di conseguenza; ma presto parte per la tangente e si trasforma in un revenge movie classico, realizzato come una lunga, estenuante, caccia. Nel finale si affianca anche allo scontro fra menti.
Ma il tutto condito con un'occhio per l'action classico.

Al di là dell'andamento della trama imprevedibile, il vero punto di forza di questo film sono la qualità delle immagini (la macchina bloccata nella neve all'inizio è bellissima), ma soprattutto la costruzione delle scene di azione, le colluttazioni sono realizzate con un cura e una fantasia encomiabili. Bella, ma confusa, quella nella serra, impeccabile invece quella nell'ambulatorio medico. Va anche sottolineato il doppio omicidio nel taxi, una scena tecnicamente fantastica; ben rappresentativa della regia molto dinamica.

Unico neo il minutaggio male utilizzato, per il resto, un'ottima sorpresa.

venerdì 15 aprile 2016

Donne - George Cukor (1939)

(The women)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amiche passano da un matrimonio all'altro mentre Norma Shearer (la protagonista) pensa di avere un matrimonio ideale. Le sue amiche faranno di tutto per farle sapere dell'amante del marito. Il mondo le crollerà addosso, cercherà di superare il momento ignorandolo, ma poi capitolerà e chiederà anche lei il divorzio.

Film totalmente al femminile (letteralmente, gli uomini sono solo al telefono o fuori scena) sul modella della commedia upper class rapida e raffinata con pesanti inserti melodrammatici.
Il film, nella prima parte (quella prettamente comica), funziona bene, anche se con qualche tentativo comico di troppo (le due donne che, malignando, cadono nel cesto del negozio di profumi... davvero c'è bisogno dello slapstick?!); ma regge comunque bene.
Nella seconda, dove il dramma si fa strada invece si esagera in senso opposta, con talmente tanta agnizione da rendere stucchevoli molti momenti.

In definitiva risulta un po’ vecchio nei temi, ma molto ben scritto, dialogato da dio e recitato magnificamente. Cukor gestisce bene le attrici, anche se riesce a dare dignità solo a quelle che non si limitano a essere delle macchiette. Un po' troppo diluito nel minutaggio; migliore nella prima parte nel descrivere un mondo wasp in veste da commedia, meno efficace nella seconda, dove la commedia si stempera nel romantico e nel dramma.

C’è anche un (non fondamentale) inserto a colori della sfilata di moda. Inutile ai fini del film, ma un'evidente prova di forza della produzione.

mercoledì 13 aprile 2016

La famiglia - Ettore Scola (1987)

(Id.)

Visto in Dvx.

La vita di un uomo dalla nascita nei primi anni del 900 al suo 80esimo compleanno, vista tramite gli episodi della sua vita svoltisi dentro il suo appartamento nel quartiere Prati di Roma. I rapporti con i parenti, gli studi, il fascismo, il matrimonio, l'amore vero per un'altra donna (la cognata), la professione, i figli, ecc...

Questo è un film di uno Scola che torna a sperimentare e la cosa fa estremo piacere. Purtroppo, come spesso accade, sperimentare può portare anche a risultati mediocri; e purtroppo questo è il caso.

Il film si dipana su nove decenni di storia patria, ma tutti ambientati dentro la stessa casa; le sezioni sono introdotte da una carrellata del corridoio d'ingresso che da la cifra alla regia, fluida, ma calma e un lavoro di interni che mantengono assonanze comuni pur cambiando con le mode del periodo.
Anche se il lavoro maggiormente interessante è quello sugli attori. Dovendo mostrare personaggi che vanno dagli 0 agli 80 anni deve, per forza, cambiare spesso attori, nel farlo però non sia accontenta di alcune chicche (su tutte sostituire Massimo Dapporto con il padre, mantenendo però la voce del primo ridoppiando il secondo), ma sostituisce gli attori anche all'interno della stessa sequenza, in alcuni casi, credo, per sottolineare che il personaggio è lo stesso nonostante gli attori abbiano più o meno la stessa età (è il caso dell'introduzione della Ardant), in altri casi senza un motivo apparente se non la bellezza del concetto in sé (la Sandrelli nello specchio). Utile lo scambia fra Occhipinti e Gassman (attori di età e aspetto piuttosto diversi), ma che proprio in funzione della poca affinità fra i due stride in maniera incredibile (pure la cadenza è diversa).

Se, dunque, la messa in scena è interessante, anche se un po' sgualcita, il problema è tutto all'origine.
Voelva essere (e poteva essere) un film sulla storia del paese come "Novecento", ma rimane troppo chiuso in sé stesso (e, letteralmente, chiuso in casa); poteva essere una saga familiare vera e proprio, ma non riesce ad andare oltre al film a episodi disgiunti. Quello che rimane è un film amaro sul passare del tempo come grande livellatore, con l'età che smussa gli angoli dei sentimenti di ogni tipo e con il cerchio della vita che prosegue stancamente.
Di fatto è solo un film che gira in tondo dicendo poco, ma lo fa benissimo.

lunedì 11 aprile 2016

Cani arrabbiati - Mario Bava (1974)

(Id. AKA Semaforo rosso; AKA Kidnapped; AKA Rabid dogs)

Visto in Dvx.

Un gruppo di rapinatori, inseguiti dalla polizia devono fuggire prendendo una macchina direttamente dalla strada, costringendo il conducente a portarli fuori da Roma, sulla strada rapiscono anche una donna. Il film segue la loro costante fuga e il rapporto sempre più teso che si crea all'interno della macchina.

Questo è un film epico di Bava fin dalle note vicende di distribuzione. Realizzato negli anni '70, la produzione fallì prima di poterlo distribuire. Circolò per decenni solo come (poche) copie pirata finché a metà anni '90 (1995) Lea Kruger (vero nome Lea Lander), che impersonava la donna rapita, riuscì a farlo distribuire in VHS. Da allora ne sono uscite quasi una decina di versioni in DVD, ognuna con scene aggiunte o finali alternativi (con montaggi lievemente diversi o aggiunte sonore che, spesso, cambiano il senso del finale). La prima della versione definitiva originale si avrà su sky solo nel 2004.

Detto ciò passiamo al travagliato film...
...e inizierei con i difetti. L'incipit con la rapina (scena potenzialmente molto bella) è una overture imperfetta, confusa, poco efficace e con un ritmo scarso.
Inoltre questo è un film interamente girato in automobile e per tutta la prima parte la regia soffre della ristrettezza, dove si concentra soprattutto in primissimi piani (per stringere lo spazio aumentando la claustrofobia e la tensione); nelle scarse scene in esterni Bava dimostra di poter fare molto meglio (con dolly, carrellate laterali, zoom e fughe nel mais!).

Quindi veniamo ai pregi. Questo film rappresenta la versione bavesca (mi si perdoni l'aggettivo) del poliziottesco anni '70; genere che evidentemente al regista va molto stretto. Prende un paio di archetipi del genere e lo trasforma in un thriller di una modernità impressionante dove non esiste una figura positiva, un eroe, ma c'è solo la gente comune faccia a faccia con il male.
L'idea di realizzare un film tutto in interni strettissimi è folle e la regia ne risente, ma Bava riesce comunque a mantenere un ritmo pazzesco, tolto l'incipit, quando il film ingrana con la storia vera è una costante fuga (senza inseguitori) che, senza picchi di adrenalina, mantiene un climax crescente costante riempiendolo di situazioni e problemi senza permetterti mai di annoiarti o cedere alla distrazione, ma continuando a chiedersi cos'altro può succedere a questo punto?
Perfetta anche la creazione di un ambiente fatto prima di tutto dai corpi dei personaggi; questo è un film che vive del sudore degli attori quanto della loro recitazione, il calore dell'estate romana è trasmesso dalla pelle degli attori più che dal sole e collabora a creare un senso di fastidio e inquietudine costante.
Infine i tre rapinatori sono splendidi. Recitano sopra le righe, ma recitano comunque con una credibilità (nei panni degli psicotici) da fare impressione; tutto quello che fanno concorre a renderli credibili in parti poco credibili; le risate insistite, la tensione sessuale che si respira fin dall'inizio, il sudore e gli sguardi laterale. Bravissimi. Gli altri due attori presenti sulla scena si limitano a fare da ottime spalle (con qualche concessione in più a Lea Kruger che si prende i suoi momenti da applausi).

Tutto questo senza mai citare il finale. Credo che anche nelle versioni alternative il film possa essere comunque epocale. Ma il twist plot alla fine ha il dono di cambiare le carte in tavola quando ormai tutto si è già concluso, dando un altro piano di lettura ai comportamenti che sono stati tenuti durante lo svolgimento della trama.

venerdì 8 aprile 2016

La grande abbuffata - Marco Ferreri (1973)

(La grande bouffe)

Visto in Dvx.

Quattro amici si chiudono nella casa di uno di loro per suicidarsi a forza di cibo; mangiano in continuazione manicaretti fino a scoppiare. Tra i quattro serpeggeranno crisi e risentimenti, ma soprattutto determinazione ad arrivare fino in fondo.

Denuncia sociale del capitalismo e della società dell'epoca o semplice affresco grottesco di quattro persone paradossali? Con Ferreri tutto è possibile.
Bisogno ammettere che il senso di nausea e di eccesso è reso magnificamente da questo continuo mangiare in maniera ininterrotta, anche preferendolo al sesso (sesso richiesto invece da Mastroianni, tanto per cambiare).
Il vero punto di forza del film però sono i quattro attori, perfetti, ognuno a interpretare una psicologia che, mi sembra, rappresenta una versione distorta di sé stessi (Mastroianni donnaiolo, Tognazzi che cucina, Piccoli intellettuale ascetico, Noiret bambacione), bravi a sostenere con un ninete una storia ripetitiva...
SI perché, come spesso in Ferreri, il limiti è l'idea stessa. Anzi l'intero film vive di un'idea sola e la sceneggiatura a tesi non fa nulla per spostarsi da quel punto, rendere dinamica una vicenda statica o mantenere l'interesse con altro che non sia l'assunto iniziale; ed è un peccato. Come al solito Ferreri si rifugia in un intellettualismo che, forse, in quegli anni era accettabile (o addirittura richiesto), ma oggigiorno rallenta la godibilità di un film che ormai si guarda solo per la perfezione nella definizione di eccesso.

mercoledì 6 aprile 2016

Il traditore - John Ford (1935)

(The informer)

Visto in Dvx.

Anni '20 Irlanda del Nord, un membro dell'IRA ricercato dalla polizia inglese torna a casa dalla propria famiglia per vederli, ma prima passa a incontrare l'unico suo amico fidato. Quello che purtroppo non sa è che i problemi economici (e l'alcolismo) possono trasformare una persona. L'amico lo tradisce in cambio della taglia. Da quel momento inizia una caccia all'uomo all'interno della comunità irlandese per scoprire il traditore.

Ford stupisce tutti (e con me c'è riuscito in pieno) cambiando genere in maniera assoluta, spostandosi dagli assolati deserti americani, alla cupa, nebbiosa e noiresca Irlanda. In realtà questo è un cambiamento che può colpire solo chi si immagina Ford con il luogo comune del regista di western, e non ricordando l'enorme quantità di film di generi diversi.
Detto ciò il film che ne viene fuori è, a livello di immagini, potente. Ombre e nebbie che delineano tutti gli esterni, l'uso delle luci, appunto noiresco, per una storia torbida dove l'accerchiamento psicologico del protagonista (che solo noi sappiamo essere colpevole) braccato fa il paio con la fuga finale.
Non vorrei esagerare con dietrologie, ma nella struttura base della storia ho trovato una simmetria perfetta con "M", un colpevole sconosciuto, una società segreta che indaga indipendentemente dalla polizia, la cattura, il giudizio da parte di un tribunale underground, la fuga e l'inseguimento.
Vabbé, senza addentrarsi troppo in speculazioni, direi che è un noir esteticamente ben fatto, ma dalla storia molto più dinamica e psicologica rispetto al solito e un finale evangelico. Il vero limite, per me, è stato il ritmo piuttosto basso che tende a distrarre più che a interessare... a dirla tutta a limitare l'interesse potrebbe essere stato un doppiaggio imbarazzante... peccato perché il film è davvero ben gestito e condotto.

lunedì 4 aprile 2016

Qualcosa è cambiato - James L. Brooks (1997)

(As good as it gets)

Visto in tv.

Lui scorbutico scrittore di libri d'amore, vive solo intrappolato in fobie complesse. Lei verace e autentica cameriera è l'unica che riesce a tenergli testa, ma vive per il figlio gravemente malato. I due si ritroveranno a viaggiare insieme (con il vicino di casa gay di lui), inutile dire che dopo gli screzi nascerà l'amore. Inutile dire che dopo l'amore ci sarà un'incomprensione per una vaccata... indovinate come finisce.

Storiella d'amore che redime e buoni sentimenti di cui non si sentiva il bisogno. Però devo ammettere che il ritmo viene tenuto e il cast rende gustoso un piatto ormai freddato da decenni. Di fatto questo è un film che si guarda per vedere duellare i due protagonisti. Nicholson fastidiosamente gigioneggiante come se non ci fosse un domani (chi ama il Nicholson che fa le faccette amerà questo film, chi non lo sopporta quando fa così lo potrà odiare, personalmente lo tollero). La Hunt invece genuinamente brava; inzaccherata in una parte insapore riesce a tirare fuori il meglio dal peggio; sempre all'altezza del partner, riesce a fare la donna innamorata e la madre preoccupata, riesce a gioire senza freni o a disperarsi spezzata dal dolore, tutto come se non stesse mai facendo una scena madre; davvero brava.
Nella parte del vicino di casa gay c'è un Kinnear sotto tono e fuori luogo che si impegna nei più triti cliché; dall'altra ogni tanto compare un Gooding Jr su cui non voglio commentare tanto riesce a essere fuori parte qualunque parte faccia.

venerdì 1 aprile 2016

Sin nombre - Cary Fukunaga (2009)

(Id)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gangster messicano (se non ricordo male) affiliato a una banda viene pizzicato troppo spesso con la sua ragazza anziché a gestire gli affari del gruppo, il capo, in un momento di alterazione si vendicherà con eccessiva violenza; il ragazzo a sua volta cercherà vendetta mettendosi contro tutto il gruppo; per salvarsi dovrà scappare e per farlo salirà su "La bestia", il treno dei migranti ispanici verso gli USA, li sopra incontrerà una ragazza hondurena che lo seguirà nonostante lui cerchi di allontanarla.

La trama sembra banale e, a conti fatti lo è; c'è una storia d'amore in nuce, c'è un rapporto virile che si spezza, c'è la ricerca di salvezza e e quella di redenzione, c'è una caccia all'uomo. C'è parecchia roba che sa tutta di già visto, ma è innegabile il fatto che venga trattata in maniera abbastanza delicata (dove serve) o superficiale (se serve per non affossare il film) da rendere il già visto interessante e catchy per tutta la durata del film.

Dietro la macchina da presa Fukunaga si muove invisibile, imbastendo un racconto sorretto, più che altro, da una fotografia realistica unita a una costruzione delle inquadrature equilibrata e simmetrica. Un modo elegante per fare un film di fiction con tutti i crismi pur mantenendo un alone di veridicità. Un metodo che in questo caso paga, creando un film, non imperdibile, ma che, una volta cominciato, devi portare a termine (e non è poco).