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martedì 4 agosto 2020

Cinq minutes de cinéma pur - Herni Chomette (1926)

(Id.)

Visto su Cineteca Milano.

Chomette volle realizzare un cortometraggio di cinema puro, antinarrativo, doveva avere la bellezza data dalle tecniche cinematografiche e nient'altro.
Idea non nuova che ho trovato particolarmente buffa proprio per questo. Chamotte sembra voler fare un manifesto di cinema puro, ma viene dopo "Entr'acte", "Balletto meccanico", le opere di Ruttmann e quasi qualunque cosa di Vertov (film usciti sia prima di questo corto sia dopo).

Detto ciò, il corto di Chomette, è un susseguirsi di immagini di cristalli che sembrano danzare fra loro, frammentandosi, creando figure, unendosi in strutture geometriche; si passa poi alla natura con una transizione, un grappolo d'uva (al contrario) che diventa un grappolo di acini di cristallo; infine vi sono immagini naturali (un bosco e un mare con gli scogli) in negativo.
L'effetto finale è indubbiamente buono, il video è breve, ha ritmo e un colpo d'occhio quasi sempre azzeccato (ottima l'immagine delle onde del mare in negativo), ma bisogna ammettere che come inventiva ne ha meno degli illustri colleghi. La gran parte delle idee si limitano a sovrimpressioni e il già citato negativo delle immagini, nella prima metà (quella dei cristalli) anche giochi di montaggio per le costruzioni delle figure.
Nell'insieme piacevole, am decisamente poco inventivo (anche per l'epoca), probabilmente più importante dal punto di vista "politico" come presa di posizione (anche se il cinema antinarrativo era già stato messo nei manifesti dada e cubista...).

venerdì 13 aprile 2018

I misteri di un'anima - Georg Wilhelm Pabst (1926)

(Geheimnisse einer Seele)

Visto in Dvx.

Un uomo acquisisce un'acuta fobia per i coltelli a causa di un trauma psicologico; il supporto di uno psicanalista lo aiuterà a superare il problema.

L'UFA aveva un settore di produzione dedicato alle opere di interesse culturale; entro questo ambito da tempo stava progettando un film sulla neonata psicoanalisi, ma per farlo avrebbe voluto l'imprimatur di Freud (che ovviamente non arrivò mai). Dovendo accontentarsi di qualcuno dei suoi sottoposti iniziò un lungo tira e molla sul da farsi fino ad arrivare al risultato finale con questo film.
Ovviamente la psicoanalisi si sposa perfettamente con lo stile obliquo del cinema tedesco di quel decennio e solo le note vicende produttive spiegano il perché abbiano impiegato così tanto tempo a realizzare un opera su questo argomento.
Dietro la macchina da presa c'è un giovane Pabst che si arrabbatta in maniera encomiabile per rendere il film dinamico e suggestivo, gestendo le scene con una sicurezza invidiabile, ma costretto a una serie di porzioni oniriche, dovute alla sceneggiatura, che risultano addirittura più deboli di quelle ambientate nella realtà.
Fa impressione pensare ai precedenti film espressionisti e quanto la psicanalisi trasparisse (volontariamente o meno) da quel mondo onirico fatto da scenografie, fotografie e stili di regia; qui invece le soluzioni delle scene di sogno sono costrette dentro una trama troppo schematica per poter trasmettere adeguatamente l'idea di fondo. Non per nulla le scene migliori si concentrano nella parte iniziale (oltre a una bella macchina da presa a mano nel finale).

mercoledì 9 gennaio 2013

Come vinsi la guerra - Buster Keaton, Clyde Bruckman (1926)

(The General)

Visto in Dvx.


Un macchinista di una locomotiva, Keaton, è innamorato dell’immancabile ragazza, giusto in quel mentre scoppia la guerra civile americana e i sanguigni uomini sudisti fanno la fila per scendere in prima linea, la ragazza tanto amata non può non essere una fervida sudista anch’essa e pertanto si disamora del suo Keaton che viene rigettato (e solo perché un macchinista fa più comodo sopra una locomotiva che non dietro ad un moschetto. Proprio mentre la ragazza si trova dentro ad un vagone il treno su cui stava viaggiando viene rubato dai nordisti, l’unico che se ne accorge e accorre a salvarla è proprio Keaton a bordo della sua locomotiva (il General del titolo originale), il lungo inseguimento sarà una corsa a ostacoli di difficoltà circensi crescenti fino all’arrivo in terra straniera. Tra mille vicissitudini riuscirà a carpire il piano segreto dei nordisti, trovare la amata e fuggire sulla sua locomotiva; a questo punto l’inseguimento a ostacoli dell’inizio diventa una fuga speculare a quanto fatto prima. Ovviamente Keaton riuscirà a diventare militare (ad honorem), ritrovare l’amore e fermare l’attacco nemico in una delle sequenze più folli della storia del cinema; quella in cui un vero treno viene fatto correre su un vero ponte in fiamme per poter crollare nel fiume sottostante.

Film godibilissimo anche oggi con la facilità di quella maschera impassibile di Keaton di creare gag slapstick al limite dello stunt, con una recitazione (per sottrazione) che è ritornata attualissima e una storia ritmata in maniera perfetta; ci si rende conto che il film è muto solo perché talvolta si è disturbati da qualche cartello.

venerdì 13 gennaio 2012

Mantrap - Victor Fleming (1926)

(Id.)

Visto in DVD.
Un avvocato divorzista stressato dal lavoro e dalle donne vuol rifugiarsi nel mondo selvaggio dei canadesi, lontano da città, caos, donne e rapporti umani più complessi di uno sbadiglio. Andrà a casa di un canadese tipo… ma li troverà la neo moglie dell’uomo, una ragazza bella e un poco ninfomane, che è appena giunta da Minneapolis, scegliendo l’isolamente perché il neo marito è diverso dagli uomini di città. Ci metterà un secondo netto a flirtare con l’avvocato e a rimpiangere la vita di città. I due fuggiranno, ma la ragazza flirta come se respirasse e le cose si complicheranno.

Commedia di un giovane Fleming, tutt’altro che alle prime armi. Il film risulta spigliato e decisamente godibile e, cosa assai rara in un film muto, divertente. Neppure i film di Leni più apertamente comici mi hanno fatto ridere, al massimo sono simpatici, qui in diverse occasioni (soprattutto nella parte iniziale) si può ridere davvero. Gli attori, soprattutto Clara Bow, sono fantastici anche nell’ottica del cinema sonoro. Alcune battute sono degne del primo Woody Allen o quantomeno di Groucho Marx (“non considerarmi come un uomo, ma come un mezzo di trasporto” o i giochi di parole inglesi fra ankle e uncle) e i volti dei comprimari sembrano scelti da Jared Hess.
Decisamente non è un film epocale, ma l’impressione è positiva, oltre ogni aspettativa.

martedì 8 dicembre 2009

Faust - Friedrich Wilhelm Murnau (1926)

(Faust - Eine deutsche Volkssage)

Visto in VHS.

Conosco poco di Murnau, e quel poco è pura altalenante, "Nosferatu" non mi aveva colpito, mentre "Aurora" mi aveva proprio entusiasmanto. Con il Faust torno ad essere entusiasta.
Murnau crea un film elegantissimo e visivamente ricco, con una costruzione delle inquadrature da fare impallidire (si veda, ad esempio, la splendida sequenza iniziale con il dialogo fra Satana e l'arcangelo), un tripudio di effetti speciali (d'epoca) ed un uso delle ombre che diventano presto la forma di linguaggio più importante del film, le ombre qui mostrano o nascondono, scompaiono o o scavano i volti ( si veda ad esempio tutta la parte iniziale da quando il diavolo porta la peste in città); più avanti quando comparirà il personaggio di Gretchen allora saranno i fasci di luce a veicolare i messaggi allo spettatore, ed infatti è proprio in questa parte il calo più importante del film, che diviene decisamente più consueto banale.

E pensare che il personaggio di gretchen avrebbe dovuto essere interpretato da Lillian Gish, peccato.