martedì 31 maggio 2011

Lo straniero senza nome - Clint Eastwood (1973)

(High Plains Drifter)

Registrato dalla tv.
In un paesino tre balordi uccisero uno sceriffo (a quell’omicidio tutto il paese assistette senza muovere un dito) e furono poi acchiappati, giurarono pure di vendicarsi dei paesani una volta usciti e di li a pochi giorni verranno scarcerati. Tutti sono inquieti, finchè non arriva uno straniero che, dopo aver dimostrato il suo valore alla pistola, viene convinto ad aiutarli, in cambio chiede carta bianca in ogni ambito della vita sociale e legale del paese. Fa diventare sceriffo e sindaco un nano, fa tingere tutte le case di rosso, fa allestire un banchetto luculliano per i tre fuorilegge che vengono a vendicarsi, smembra edifici, insidia tutte le donne che gli capitano a tiro (non che loro non siano contente comunque…), nel finale ucciderà i tre malviventi, e poi se ne andrà, lasciando un paese distrutto dietro di se.

Magnifco film sulla vendetta totale che fonde il western con il surreale in alcune delle sequenze più assurde che si ricordino. Eastwood alla sua seconda regia torna dalle parti dello spaghetti western (nel suo personaggio e nella descrizione dell’ambiente coi volti prima che con gli scenari), ma ci aggiunge molta più ironia, il gusto del bizzarro, un poco di spiritismo e tanti colori accesi.

Il film sulla carta dovrebbe piacermi (vendetta, surrealtà, nani) eppure non mi ha convinto. La storia è affascinante, ma si muove con lentezza e senza una direzione precisa. Si intuisce subito tutto, eppure non si sa mai dove voglia andare a parare. Carino e originale, ma personalmente niente di più.

lunedì 30 maggio 2011

Robin Hood principe dei ladri - Kevin Reynolds (1991)

(Robin Hood: prince of thieves)

Visto in tv. Ammetto che non l’ho seguito con la dovuta attenzione… però mi ha sorpreso in positivo. Disprezzo molto Robin Hood come personaggio e trovo noiosa la sua storia che ormai si conosce a memoria, anche se talvolta per motivi diversi mi metto a guardarne qualche versione (tipo quella di Dwan o quella della Disney).

Beh vedendo questa ci sono rimasto male. Mi sarei aspettato una sorta di “Titanic” nella brughiera e invece si rivela un film americano spigliato e divertente, con il classico super eroe che ha contro di se una antagonista cattivissimo e visivamente oscuro (non per niente lo interprete Alan Rickman prima che si sputtanasse facendo Harry Potter), mentre lui, Robin è biondo e con gli occhi azzurri (non per niente è interpretato da Kevin Costner prima che si sputtanasse con "Le parole che non ti ho detto"… o "Dragonfly"… beh si è sputtanato con troppi film). Ma qui è proprio il segreto, il film è una commedia a tutti gli effetti. La classica commedia romantica/azione all’americana, un film che da un colpo al cerchio ed uno alla botte e riesce ad accontentare un poco tutti tediando il meno possibile (da notare come molte versioni cinematografiche di Robin Hood utilizzino l’ironia come importante leit motiv).

La messa in scena è un poco cialtrona, con un medioevo pulitino e di carta pesta degno di un buon film della Hammer, mentre la regia si permette libertà insperate che culminano con una serie di primi piani con lenti leggermente deformanti mica da ridere.

Come si diceva un prodotto buono un po per tutti… mi pento di averlo criticato prima di vederlo.

domenica 29 maggio 2011

Poltergeist: demoniache presenze - Tobe Hooper (1982)

(Poltergeist)

Visto in DVD.

Una famigliola felice si trasferisce in una casetta nuova e tutto sembra andare per il meglio fino a quando le sedie della cucina fanno numeri da circo sul tavolo, il figlio viene ingoiato da un albero e la bimbetta più piccola finisce dentro la tv.


Film horror oramai classico che ha creato un mondo nuovo, stilemi, mood e idee che vengono citate ed utilizzate ancora oggi.


La cosa migliore del film (oltre all’originalità della trama) è che il tutto inizia velocemente; gli eventi vengono mostrati di continuo, ma non riescono mai ad annoiare evitando il ripetersi delle scene e i comprimari utilizzati sono quanto di meglio ci fosse sul mercato… si sto parlando di Zelda Rubinstein... la medium nana!


Il film si concede so qualche kitscheria anni ’80 (gli oggetti che volano nella camera dei bimbi, il faccione del demonio nell’armadio ecc…). Non fa paura sostanzialmente mai, ma il clima che crea è magnifico e le idee messe in atto sono continue (che dire dell’albero rapitore? Del clown demoniaco?). Val davvero la pena di vederlo; meglio in lingua originale, perché il doppiaggio non rende giustizia alla voce infantile della Rubinstein.

sabato 28 maggio 2011

Always per sempre - Steven Spielberg (1989)

(Always)

Visto in DVD.

Un pilota di canadair abbastanza spericolato (Dreyfuss), che ama ed è amato da una donna (Hunter) ed una selva di amici (tre cui Goodman)... ovviamente muore in missione salvando delle vite… muore e si ritrova in un al di la dove una Audrey Hepburn ormai grinzosa ma sempre impeccabile lo introduce al nuovo compito di “spirito guida” di un altro pilote. Ovviamente quel pilota verrà assunto da Goodman, incontrarà la Hunter, si innamoreranno nonostante la costante, ma invisibile presenza di Dreyfuss; e solo successivamente si salveranno e si ameranno definitivamente grazie a lui.

Come dicono anche loro i vigili del fuoco volanti erano l’ultima categoria sociale che doveva assurgere ad eroe. Non ho ben capito (is the new "m'è parso che, ma non ho avuto voglia di andare a controllare"), ma mi pare che sia il remake di un film in cui i protagonisti erano piloti di guerra (il film è stato aggiornato). Il film non è di per se malvagio, il piglio è da commedia in molte parti e da film d’azione in altre; purtroppo però si infanga troppo spesso e troppo a lungo con il melodramma romantico, affossandone il ritmo e rendendo il tutto più indigesto.

Il film è diretto bene, ma senza guizzi. Gioca con i generi solo nella parte iniziale che risulta infatti la migliore (con tutta la scena dentro l’hangar che sfotte i luoghi comuni dei film romantici utilizzandoli apertamente). Ovviamente questo non basta e per arrivare alla fine ci si annoia abbastanza.

Bravi gli attori, utilizzati tutti benissimo.

venerdì 27 maggio 2011

Minority report - Steven Spielberg (2002)

(Id.)

Registrato dalla tv. In un futuro non eccessivamente lontano i crimini si possono rpevedere grazie ad alcuni umani mutanti. I tre utilizzati a… non ricordo più la città, Boston?... sono gli unici in uso e appaiono sostanzialmente infallibili. Vuoi vedere che tutto il sistema si incrina solo quando il capo di questo reparto speciale viene accusato di essere un futuro assassino? Corri di qua e corri di la, Cruise scoprirà alcuni retroscena sul funzionamento del macchinario della previsione e alcuni loschi scheletri negli armadi.

Credo che negli anni zero Spielberg si sia interessato allo studio delle luci; infatti anche in questo film, come in “Prova a prendermi” i colori sono desaturati (e qui si vira sempre su toni freddi, come sempre nei film ambientati nel futuro) e le luci fanno la parte del leone, con fasci intensi che tagliano le scene e talvolta colpiscono anche la macchina da presa. Ovviamente il sistema è perfetto e ben si adatta a descrivere l’algido ambiente in cui si svolge la vicenda.

Per il resto è un film di Spielberg classico, spigliato, diretto benissimo, con scene girate magistralmente e con chiarezza (le scene d’azione sono orchestrate in maniera impeccabile e mai confusa) e la storia tratta da Philip K. Dick si lascia a dissertazioni filosofiche belle pese (volendo)… però stavolta mi ha preso poco, il sistema mi è parso prevedibile e farraginoso, e questo mi è sembrato un fil come un altro… anche se diretto da dio.

giovedì 26 maggio 2011

La maledizione di Frankenstein - Terence Fisher (1967)

(Frankenstein created woman)



Visto in DVD.


Lui lavora per il conte Frankestein, ha un passato da dimenticare e ama la storpia figlia dell’oste. Lei è la storpia figlia dell’oste. I due si amano, ma sono vessati dai giovani figli di papà del paese che dopo una notte all’arancia meccanica fanno accusare di omicidio lui, che viene decapitato (che tenero non dice niente per salvare la reputazione di lei visto che erano insieme), lei lo scopre tornando da un viaggio della speranza e s’ammazza come niente. Il barone Frankestein decide di salvare lui; gli estrae l’anima e la inserisce (pensa te che burlone) nel corpo di lei; poi le elimina la storpietudine con un intervento banale evitandole altri decenni di psicanalisi (chissà perché non l’ha fatto prima). Lei si risveglia con la personalità che ha sempre avuto, ma un devastante istinto di vendetta e voglia d’uccidere.


Film della Hammer con Cushing, che sulla carta dovrebbe essere un buon prodotto (con “sulla carta” intendo che è un film della Hammer con Cushing,per questo l’ho guardato)… e invece…


Invece è un film spezzato a metà, in cui la prima parte è un melodrammone scontanto che solo alla fine si accontenta di mettere una conclusione non banalmente consolatoria. La seconda parte sarebbe un buono spunto per un pregevole film di serie b… tutte e due le parti però sono insignificanti, fatte alla meglio tanto per tirare a campare senza nessun guizzo. Di nessun tipo, in nessun campo. E con poco, pochissimo, sangue.


Un film solo per completasti di Cushing.

mercoledì 25 maggio 2011

Il caso Thomas Crown - Norman Jewison (1968)

(The Thomas Crown affair)

Visto in DVD.

Un ricco ragazzotto annoiato e dal fascino irresistibile fa rapine alle banche per passare il tempo. Nessuno riesce a beccarlo, quindi l’assicurazione della banca gli mette alle calcagna il mastino più diabolico che hanno, una donna giovane e dal fascino irresistibile. La caccia sarà dichiarata apertamente e condotta in modo tale da sedursi reciprocamente (strano)… beh a questo punto il film si scrive anche da solo.

Il film è registicamente schizofrenico, Jewson sembra voler fare di tutto, in ogni momento, tuttavia la “fantasia” nell’inquadrare e nel muovere la macchina da presa non è quasi mai funzionale, risulta fine a se stessa; sembra quasi che il regista si renda conto di avere in mano determinati strumenti e voglia usarli tutti, sempre (l’esempio più clamoroso è lo split screen, di cui questo film è stato uno dei primi a farne uso; ma viene utilizzato in maniera indiscriminata, talvolta rendendo meno chiara l’inquadratura invece di semplificarla). Alcune scene, come quella degli scacchi, giovano della serie di inquadrature sempre diverse, ma complessivamente è davvero un bambino che gioca coi colori (si veda anche soltanto il bacio che segue la suddetta partita a scacchi).

Un film dalla trama standardizzata e dalla regia esagerata che offre intrattenimento spicciolo, ma che oggi potrebbe essere visto solo da un fan dei due protagonisti

martedì 24 maggio 2011

Il corridoio della paura - Samuel Fuller (1963)

(Shock corridor)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.


Un giornalista vuole scoprire l’assassino di un malato psichiatrico (da ora “matto”) all’interno di un ospedale psichiatrico (da ora “ospedale per matti”)… e va che idea gli viene in mente! Si spaccia per matto lui stesso! Convince la recalcitrante compagna di fingersi sua sorella (!) di denunciarlo per aver tentato di violentarla (!) tanto poi ci penserà lui a convincere i medici che è matto urlando a caso durante la visita e facendo altre cose da matto standard… ma vuoi che non riesca a scoprire chi è stato (mica tanto spoiler, non è uno dei matti!)?! e vuoi che ciò non accada mandandolo oltre la soglia di mattitudine accettabile?!

Diciamo subito i pregi. La regia è buona, anche se di impianto teatrale. Mobile e dinamica con una cura particolare nelle inquadrature costruite su più piani, con l’aiuto delle solite luci e ombre un po stilizzate ma efficaci.

Veniamo ai difetti. Uno solo. Questo film è una cazzata.

Come sempre quando in America (ma non solo) vogliono fare un film sui matti scadono nello schematismo più becero, ritraendo i personaggi in maniera eccessiva e caricaturale, trattandoli come i matti dei fumetti, costantemente urlanti (urlano davvero tutti in sto maledetto film) e le ninfomani come ritardate con tendenza alla zombietà. Qui però ci danno dentro di idee pacchiane toccando il fondo, a mio avviso, con il nero che odia i neri (!) e con l’inseguimento del nero più vecchio da parte di tutti i matti insieme.

In più ci si aggiunga una sceneggiatura verbosa fino allo sfinimento, una voice off irritante come sempre ed una trama schematica e precisa come un compito in classe, ma a tutti gli effetti poco chiara (alla fin fine, perché lui impazzisce? Non ne ha dei gran motivi e sembra quasi che sia stato contagiato dagli altri matti e basta).

Pessimo film. Per vedere un buon film sulle malattie mentali bisogna ancora ricorrere a “La fossa dei serpenti”.

lunedì 23 maggio 2011

Ong bak, nato per combattere - Prachya Pinkaew (2003)

(Ong-bak)

Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.

Ong bak è il fratello povero di The protector (ed è anche il fratello maggiore visto che viene prima); se la rubavano due elefanti interi, qui rubano solo una testa di Buddha; se la viaggiavano fino all’Australia, qua viaggiano fino a Bangkok; se la il cattivo era un transessuale mafioso, qui è solo un vecchio tracheotomizzato.


Complessivamente però il risultato non cambia. Pinkaew ci da dentro quanto può con la dinamicità in regia, crea situazioni irreali e sfrutta al massimo le potenzialità di Jaa (combattimenti esagerati, una scena di fuga tra ostacoli improponibili, ecc…) fino all’eccesso (vero la fine il film accusa un po di stanchezza e la ripetitività che è insita in ogni film di combattimenti supera il limite) e, purtroppo, si lascia condurre dai suoi leit motiv, i ralenty e le moviole (!) delle scene più riuscite (!). Ovviamente si può permettere meno piani sequenza.


Il risultato non cambia anche perché Tony Jaa è sempre Tony Jaa e fa cose che neanche Jackie Chan… Un film complessivamente buono anche se inferiore al successivo per il minor investimento, la minor esperienza e per il quantitativo esorbitante di persone con voci irritanti.

domenica 22 maggio 2011

L'ultimo imperatore - Bernardo Bertolucci (1987)

(The last emperor)

Visto in VHS. La biografia dell’ultimo imperatore di Cina, dall’infanzia nella gabbia dorata della città proibita, alla giovinezza tra i locali in, all’età più matura come imperatore fantoccio di Manciuria nelle mani dei giapponesi, finito poi in un campo di rieducazione del regime comunista e infine giardiniere a Pechino.

Una parabola discendente descritta in maniera completament naturalistica, che si avvale di una fotografia eccellente come poche (ovviamente applausi a Storaro), costumi perfetti ed un cast azzeccato.

C’è di bello che quando Bertolucci è di buon umore e non si lascia prendere dall’intellettualismo diventa uno dei migliori narratori di storie del cinema italiano. Descrive la trama con un ritmo tutt’altro che serrato, ma che permette di godersi quasi 3 ore di film senza mai accusare il colpo. Sottolinea i vari momenti con movimenti e scene costruite in maniera adeguata al soggetto senza mai spiccare, con un ‘invisibilità invidiabile. Ciò senza essere mai a scapito dell’estetica, che ha reso giustamente famoso il film.
Decisamente da vedere.

sabato 21 maggio 2011

Habemus papam - Nanni Moretti (2011)

(Id.)

Visto al cinema. Il neo-papa (Piccoli), eletto due minuti prima al conclave, durante la proclamazione da di matto; non riesce a reggere il peso dell'incarico affidatogli. Viene chiamato un medico che afferma la salute fisica del pontefice, quindi si chiama uno psicologo (Moretti) che però incontra una serie di problemi tecnici. Mentre tutti i prelati (più Moretti) devono obbligatoriamente rimanere dentro al Vaticano fino alla proclamazione, il Papa fugge, si mischia con una compagnia teatrale e ritrova la vita che ha appena perduto.

Il film non parla di fede neanche di striscio e non sbeffeggia il Papa neanche per sbaglio. Anzi, la figura del neo eletto pontefice è archetipica, mostra un uomo soverchiato dalla responsabilità, obbligato ad una serie di scelte non volute ed estremamente compromettenti, mostra desideri disillusi (la passione del teatro, tarpata per la sua incapacità come attore) e il tentativo di rifarsi una vita con la fuga. Dall'altra parte c'è Moretti con i prelati vaticani, la loro presenza in scena è ininfluente ai fini della trama, ma fa da splendido contraltare comico al dramma personalissimo di Piccoli e in più crea una galleria di personaggi, quantomai umani ed infantili.

Il film riesce a fondere il tragico con la commedia in maniera invidiabile; esteticamente curato e ben recitato (anche Moretti non è malvagio, solo un po sopra le righe un paio di volte). La trama non fa sconti a giornalisti (stupendo quello di rai2) e psicoanalisti, prima ancora che alla chiesa.

PS: chi critica questo film perchè dileggia la chiesa è evidente che non l'ha visto.

venerdì 20 maggio 2011

Red river - George Sherman (1938)

(Red river range)

VIsto in VHS.
Dieci anni prima di Fiume rosso (Red river) fu realizzato questo film quasi omonimo (sia in italiano che in originale) sempre con Wayne…

La storia è quella di un villaggio nel west funestato da alcuni rapinatori di bestiame, tanto da chiamare degli specialisti per fermare il disastro; arrivano questi tizi che si fanno chiamare i tre moschettieri, di cui fa parte anche Wayne, che però decide di presentarsi sotto mentite spoglie per indigare con più discrezione… ovviamente ce la faranno, neanche da dire.

Il film non è un western in senso stretto e, i ogni caso, pigia sulla commedia ad ogni piè sospinto, con alcuni personaggi apertamente comici (come la madre dell’innamorata di Wayne o le sequenze con il pupazzo da ventriloquo). Inoltre inserisce qualche scazzottata qua e la e qualche momento di tensione(?). Si, insomma, una versione anni ’30 di Bud Spencer e Terence Hill (ok, ok, sto esagerando).

La regia è completamente insipida, ed il film complessivamente è senza appeal… si salva però per il minutaggio minimale… solo per completasti della filmografia di Wayne.

giovedì 19 maggio 2011

Fiume rosso - Howard Hawks, Arthur Rosson (1948)

(Red river)

Visto in VHS.
John Wayne perde l’amore della sua vita, decide quindi di ripiegare sulle vacche… ma a distanza di anni anche quelle lo tradiscono, e deve vendere la mandria per poter sopravvivere; si fa accompagnare nella missione da un gruppo di uomini e dal figlioccio Monty Clift (un ragazzo che ha allevato anni prima), nel tragitto perde alcuni uomini e altri fuggono, la cosa non gli va giù e diventa sempre più brutale finché i sottoposti non decidono l’ammutinamento… ma un ammutinamento ragionato e condotto da Clift, il ragazzo infatti si preoccupa affinchè gli interessi del patrigno vengano difesi… eppure Wayne sembra non comprendere il suo sforzo e si ripromette di uccidere Clift.

Storia sentimentale in ambientazione western; il film è in realtà una storia di amicizia virile e di rapporto padre/figlio e in quest’ottica la trama funzione e risulta anche piuttosto originale data la contrapposizione tra i due protagonisti positivi; inoltre la storia d’amore che inevitabilmente c’è è utile per introdurre il personaggio femminile che farà da mediatore tra i due. Ovviamente il finale è positivo per tutti, anzi è addirittura stucchevole oltre la media… la cosa decisamente abbassa il livello complessivo del film.

Altro fattore positivo, a mio avviso, è un personaggio originale per Wayne, non proprio negativo, ma egocentrico e megalomane a cui il mondo crolla addosso, l’impero da lui fondato sta morendo e l’unico membro della sua “famiglia” gli volta le spalle; la vendetta appare l’unica possibilità. Si insomma un personaggio originale che però mantiene la fermezza granitica di Wayne.

La regia di Hawks, non proprio memorabile è però quietamente originale ed utilizza alcuni accorgimenti base per rendere migliore la fruibilità (come i primi piani tenuti per la partenza della mandria per renderla dinamica e sottolinearla, oppure la panoramica da Wayne a Wayne per mostrare la vastità della mandria da spostare). Complessivamente un buon lavoro; ben realizzato.

mercoledì 18 maggio 2011

RED - Robert Schwentke (2010)

(Id.)

Visto al cinema. Bruce Willis, ex agente CIA, si innamora a distanza di una ragazzetta (40enne) del call center dell’INPS americano. Poi improvvisamente si rende conta che qualcuno cerca di farlo fuori; decide di rimettere in sesto la banda di colleghi ormai geriatrici e si getta alla caccia del cacciatore.

Il film è divertente e vorrebbe essere realizzato come un orologio svizzero, beh il piano finale è abbastanza idiota nella pianificazione, ma l’effetto è adeguato, divertente, come dicevo, e rende fighi i buoni e stupidi i cattivi (così come dovrebbe essere).

Commedia action corale come va tanto adesso, con una serie di personaggi invidiabilmente caratterizzati e pensati e costruiti sulla pelle degli attori che li avrebbero interpretati. E proprio qui è il punto di forza; il cast. Il cast è fatto da tutta una serie di ex cavalli di razza che si divertono a recitare sopra le righe; l’effetto riesce e il film funziona alla perfezione. Su tutti vince John Malkovich che a fare il matto è sempre il migliore, poi c’è pure Borgnine che a 94 anni suonati (è del 1917!!) sembra un settantenne e fa sempre la sua porca figura e Morgan Freeman mi pare essere tornato in salute.

Bravi tutti.

martedì 17 maggio 2011

L'ombra del passato - Edward Dmytryk (1944)

(Murder, my sweet)

Visto in DVD.
Film su Philip Marlowe, di conseguenza siamo di fronte ad un Chandler classico; Marlowe viene assunto per un motivo, si trova invischiato in tutt'altro con una cascata di personaggi in più ed un paio di femmes fatale, ovviamente sarà tutto collegato in maniera abbastanza inaspettata.

Detto ciò voglio subito specificare che Dmytryk è un grande; perchè credo che la messa in film di un libro di Chandler sia un'operazione impressionante, la trama è talmente intricata che lo scrittore stesso si confonde; il regista riesce comunque a mantenere una certa chiarezza, a fare ordine fra la selva di personaggi e a mantenere brillante il ritmo senza perdere pezzi del racconto. Di per se un'opera colossale.

Poi bisogna aggiungerci la grande capacità di sguazzare nel noir di Dmytryk, che inquadra con classe e con una fotografia quasi espressionista da urlo.

Da ricordare anche l'idea di rendere lo svenimento con quella sorta di mascherina fluida, utilizzata reiteratamente dato il grande numero di traumi che subisce il protagonista.

Il film avvince e convince e coninvolge come ogni buon noir sa fare, in più si dota dell'ironia di Chandler e da, per la prima volta nella storia del cinema, un volto a Marlowe, con l'ottimo Powell... che però verrà poi superato da Bogart.

Da riscoprire assolutamente.

lunedì 16 maggio 2011

Nightmare V: il mito - Stephen Hopkins (1989)

(A nightmare on Elm Street: the dream child)

Visto in Dvx.
Il film si potrebbe riassumere con: Krueger ha imparato una parola nuova; “puttana”, e la usa di continuo… già questa è la novità più incisiva del quinto capitolo…

Allora la storia vera e propria è che la protagonista dello scorso episodio si ritrova di nuovo faccia a faccia con Krueger che le ammazza gli amichetti, solo che stavolta lei è incinta e pare che Freddy sfrutti proprio questa via per agire nel mondo… servirà il ritorno della madre del mostro per rimettere a posto le cose.

Un film sulla maternità tout court insomma.

C’è da dire subito che questo film è decisamente migliore del precedente; per carità non ha idee titaniche o immagini simbolo, però riesce a trovare la via giusta per intrattenere; molta ironia (finalmente) una regia molto dinamica e alcune sequenze che sono un pout purri degli anni ’80 cinematografici. Ci sono ad esempio una scena con un labirinto di scale pari pari a quella di “Labyrinth” dove c’è Freddy Krueger al posto del ben più inquietante David Bowie con pantaloni attilati, e poi si vede un buon esempio di body horror poppettaro (dal settimo minuto) con i corpi umani manipolati o direttamente fusi con le macchine (come nel magnifico ibrido organico/inorganico del ragazzo unito alla sua moto).

Alcune scene WTF sparse in giro non mancano, come al solito, ma io candido al primato quella con il Giustiziere Fantasma Vs SuperFreddy (dal quarto minuto).

Complessivamente un film migliore dei numeri 2 e 4 (che finora considero i peggiori della serie), ma ancora abbastanza povero d’idee originali, anche se finalmente risulta curato sia dal punto di vista della trama (inutilmente intricata) che della regia.

Forse vi ricorderete di me per scene come: beh… come dicevo nessuna idea particolarmente entusiasmante; però mi è piaciuta abbastanza l’uscita di Freddy dal corpo di Alice, così come la fuga di anime dal corpo di Krueger (si trovano entrambe qui, dopo il quinto minuto)… niente che non si fosse già visto qui e la comunque…

domenica 15 maggio 2011

Lorna - Russ Meyer (1964)

(Lorna)

Visto in Dvx
Una neo-mogliettina si trova con il marito ad abitare in una sperduta casetta sul fiume, lui lavora in una cava di sale, mentre lei rimane a casa tutto il giorno senza aver nulla da fare; il rapporto tra i due non può che deteriorarsi e arriva all’apice dell’attrito il giorno del loro anniversario, lui finge di dimenticarsene per farle un regalo la sera visto che quel pomeriggio riceverà lo stipendio, lei invece pensa che fra loro tutto si sia raffredddato e coglie l’occasione di un pescatore (che in realtà è un evaso che cerca un rifugio) e se lo porta a casa… purtroppo il marito torna prima (come succede sempre)…

Chi ha sentito parlare di Russ Meyer, certamente lo conosce per la sua passione per le maggiorate e di conseguenza penserà ad un certo tipo di cinema… in realtà per questo film il regista americano si è ispirato a “Riso amaro”, no, tanto per dire… ed in effetti un gusto quasi neorealista (dico quasi) nella messa in scena e nella storia è evidente, anche se la trama non centra niente con il film di De Santis. Meyer però va oltre il neorealismo e ci piazza alcune sequenze simboliche, talune notevoli (come le immagini di Lorna coperta di sabbia) altre abbastanza patetiche (la morte con falce e mantello nel finale), ma tutte comunque funzionali alla storia. Il regista dosa con sapienza i vari stili tirando fuori un film esteticamente buono con molte idee ed un uso sensato di queste idee; soffre solamente negli attori (che sono dei cani) e nella sceneggiatura, lenta e noiosissima nonostante il minutaggio contenuto. Quest’ultimo difetto è il peggiore in assoluto, quello che rendo poco godibile tutta l’opera.

La storia comunque è buona, drammatica e crudele il giusto, inquadra dal basso un gruppo di perdenti che riescono a venire fuori dal fango in cui sono immersi solo grazie all’amore… che però non può salvare ogni situazione. Il film appare più che altro come un dramma morale (il predicatore che introduce molte scene è un esempio esplicito) circa la fedeltà e l'amore; e la perdizione ovviamente.

Poi ovviamente c’è la maggiorata di turno, Lorna credo abbia più taglie di reggiseno che speranza di vita, ma Meyer appare pudico nel mostrarla; l’attrice è nuda in diverse scene, ma il massimo che viene mostrato è la silhouette…

sabato 14 maggio 2011

Paranoia agent - Satoshi Kon (2004)

(Môsô dairinin)

Visto in Dvx.



Una disegnatrice di… pupazzi diciamo, viene aggredita da un ragazzo su rollerblade impugnante una mazza da baseball, dopo di lei vengono colpite altre persone che gravitano attorno a quel caso, due poliziotti si mettono ad indagare, ma le aggressioni proseguono aumentando in numero sempre su persone che si trovano in una situazione senza via d’uscita… che l’aggressore non esiste e si tratti solo di una scusa o di isteria? D’altra parte aumenta a dismisura anche la pervasività di Maromi, un pupazzo (ma in realtà una sorta di marchio, un po come Pukka) disegnato proprio dalla ragazza aggredita per prima; le cose ovviamente saranno collegate.

Contenitore di tutto quello che il grandissimo Satoshi Kon non era riuscito a infilare nelle sue opere precedenti, questa serie televisiva si fa ricordare per la fantasia sfrenata e le idee magnifiche (la puntata dei tre suicidi, o il micro episodio del ragazzo che deve passare l’esame ma starnutisce fuori le formule oppure l’episodio realizzato palesemente solo per spiegare la realizzazione di un cartone animato), ma anche per l’andamento altalenante alla “Twin peaks” dove ad ogni risposta data corrisponde una nuova domande. Ovviamente essendo questa un’opera-patchwork soffre di una certa indipendenza dei vari episodi collegati in maniera solo superficiale tra loro.


A favore dell’operazione va anche concessa un’accuratezza nel disegno, nei movimenti e negli sfondi paragonabile a quella dei lungometraggi del regista; inoltre bisogna sottolineare la grandezza realizzativa nei diversi stili di disegno che delineano alcuni episodi o alcuni “mondi” di cui non dirò di più. Infine gli va concessa un lodevole lavoro di fino nell’inserire migliaia di riferimenti propri della cultura giapponese che rendono la comprensione molto più ostica per un occidentale, ma che rendono l’anime molto più sfaccettato e denso della media dei lavori televisivi.

Alla fin fine l’ho trovato un bel lavoro, con momenti migliori e altri episodi quasi al limite del semplice riempitivo; un anime obbligatorio per gli estimatori del regista, ma ovviamente non a livello dei lungometraggi. Inoltre l’ho visto per godermi l’ultima opera realizzata dal regista recentemente scomparso, in attesa del suo film che uscirà postumo...

PS: un encomio anche alla sigla d'apertura con tutti i coprotagonisti che ridono sguaiatamente in scenari improbabili (bella anche la canzone), nonchè a quella di chiusura dove gli stessi dormono circondando Maromi sottolineandone la centralità nella storia; inoltre bella anche l'idea delle anticipazioni dell'episodio successivo poste come il racconto di un sogno (e quindi poco comprensibili) fatte da un vecchio presente nella storia messo nelle stesse ambientazioni della sigla d'apertura.

venerdì 13 maggio 2011

Lettera da una sconosciuta - Max Ophüls (1948)

(Letter from an unknown woman)

Visto in DVD. Nella solita Vienna d’inizio novecento una ragazzetta si innamora di un giovane vicino di casa, musicista dalla vita sregolata, ma dal talento ineccepibile. Lei lo seguirà da distante, innamorata, ma timida, senza interferire nelle sue avventure galanti o nella sua vita obliqua… poi una sera, anni dopo, sarà lui ad avvicinarsi a lei, si ameranno, ma solo per un poco, lei rimarrà incinta e lui sarà già fuggito; eppurelei continuerà ad amarlo; lo incontrerà anni dopo, quando lei sarà sposata e con una vita borghese magnificamente avviata (non mi si fraintenda, la vita borghese non in senso dispregiativo), lei lo rivede, si riaccende il suo amore ed è immediatamente disposta ad abbandonare tutto…

Il film, tutto presentato in flashback, che a mio avviso danno un poco più di dinamicità alla vicenda; è un inno gigantesco all’amour fou, amore estremo, ma sincero e nascosto, disposto a sopportare ogni cosa per poterlo avere.

La regia di Ophüls è quella standard, fatti di carrelli e piani sequenza, ma in questo caso il regista si trattiene, e realizza panoramiche e movimenti di amcchina più brevi e slanciati, più asciutto e quindi più efficace.

Il vero punto negativo del film è proprio nella storia. Al di la della contestabile teoria di base (lei è l’esempio perfetto della donna succube, non innamorata, ma accecata; oltre al fatto che lei si innamora solo perché lui è il figo locale, artistoide e maudit), la storia si muove in un enfasi eccessiva, in un formalismo romantico veramente troppo intenso, specie nel drammatico finale; non c’è nessun momento che risulti completamente autentico e nessun episodio che appaia minimamente dinamico.

Ophüls vince, il film no.

giovedì 12 maggio 2011

Lisbon story - Wim Wenders (1994)

(Id.)

Visto in VHS.

Un tecnico del suono viaggia dalla Germania al Portogallo per cercare un suo amico regista a cui deve dare una mano per la realizzazione di un documentario su Lisbona. Una volta giunto sul posto non lo troverà, rinverrà però il suo lavoro, attraverso il quale ricostruirà il suo peregrinare attraverso la capitale portoghese…

Il film comincia da dio. Inaspettatamente per un film di Wenders è immediatamente virato verso la commedia (quasi cartoonesca nelle disavventure con la macchina) con qualche venatura di quell’ottimismo pan-europeo figlio di Schengen. E li, in quel momento, il film funziona. E la cosa è strana perché riesce a farsi seguire senza noia anche se mostra semplicemente il lento rivelarsi della relatà portoghese agli occhi di un tedesco, si mostrano gli ultimi giorni noti del regista e si mette in scena un po del lavoro di un tecnico del suono. Niente di esaltante, ma il tutto è presentato nella luce giusta…

Poi l’amico regista viene trovato… e li il film diventa wendersiano per davvero; si fa intellettuale, tutto proteso a spiegare i massimi sistemi, sul significato del cinema, sulla non affidabilità delle immagini come mezzo di comunicazione, e altre altissime teorie che affossano ritmo e storia ammazzando in colpo solo tutto il buon lavoro fatto fina a quel punto.

In definitiva un film inutile, che nell’esigenza di voler essere profondo perde ogni filo del discorso possibile.

PS: comparsata di un ottantenne de Oliveira che saltabecca per una strada vestito da Chaplin (!).

mercoledì 11 maggio 2011

Machete - Ethan Maniquis, Robert Rodriguez (2010)

(Id.)

Visto al cinema.
Allora la storia conta poco, Trejo è Machete, un poliziotto incorruttibile che combatte il crimine (lo stesso crimine che gli ha ammazzato la moglie con una katana) con abbondanza di sangue inseguendo i cattivi anche oltre il confine con il Texas. Ma come si diceva la trama conta poco, è stata fatta giusto per metterci dentro tutte le sequenze realizzate per il finto trailer originale (svilendone alcune come il salto con la moto-mitragliatrice con esplosione).
Quello che conta è che questo film promette di essere un film action senza pretese e senza il senso del limite con Steven Seagal che fa il cattivo... Beh e devo dire che ci riesce. Anzi fa di più, si getta a capofitto nel grottesco, nello splatter e nelle tette. Il film dona una serie di momenti indimenticabili: Danny Trejo che si fa Michelle Rodriguez, una vagina porta oggetti, Danny Trejo che si fa Lindsay Lohan, un prete inchiodato ad una croce, Danny Trejo che si fa Jessica Alba, un panzerotto che usa la Katana, un volo con 20 metri di intestino, ecc...

Si insomma un film con molte idee ed un modo di metterle in scena che fa tenerezza (la regia svogliata, fatta giusto perchè bisognava farla, mi pare perfettamente in tono con il mood del film).
I veri problemi sono due. Un film così meritava dei dialoghi migliori, qualche frase cult, qualche battuta più ragionata per poter entrare nell'immaginario comune delle frasi da film. L'altro grande problema è sempre Steven Seagal; per carità, fa la sua porca figura, e vederlo enorme che non riesce più a muovere le articolazioni fare la parte del cattivo per la prima volta è un momento importante per il cinema, ma lo scontro finale fa pietà; visto che i due antagonisti sono stati tirati fuori a forza dal geriatrico tutta la scena è realizzata inquadrando la schienona di Steven e dello scontro vero e proprio si sente solo il clangore delle lame... abbastanza deludente; però il colpo di classe del modo in cui muore Seagal è notevole... poco comprensibile, ma notevole.

PS: De Niro, anche se svogliato è perfetto nella parte del senatore repubblicano, è notevole vederlo uccidere per 3 volte ed è impagabile quando ammazza a cazzo vestito da immigrato.

martedì 10 maggio 2011

Come eravamo - Sydney Pollack (1973)

(The way we were)

Visto in DVD.

La vita di un uomo ed una donna statunitensi dagli anni del college (negli anni ’30) alla vita adulta (negli anni ’70) vista attraverso il loro rapporto a due.

Si in una parola un film d’amore. Ma non solo.

In primo luogo il film sviluppa i personaggi in relazione agli sviluppi sociali degli Stati Uniti, lei (la Streisand) è una contestatrice ricca di ideali, ma senza particolari capacità (parte criticando la neutralità statunitense nella seconda guerra mondiale e finisce protestando contro la bomba atomica); lui (Redford) è un uomo dotato d’un talento superiore (nella scrittura) ma privi di ogni ideale, disilluso, ma pieno di quella felice ignoranza consapevole di se che tanto si addice ai giovani americani.

In secondo luogo il film mostra la parabola umana dei due (sentimentale, ma anche sociale e lavorativa) inarrestabilmente destinata al fallimento, con il loro rapporto tutto fatto di incomprensioni e di felicità protese verso l’autodistruzione. E questo è un altro valore aggiunto, che si innalza nel delicato finale in cui i due, ormai entrambi falliti, mostrano i due volti di una sconfitta; lei che perdendo la sua lotta continua comunque a combattere (protesta appunto contro la bomba atomica in mezzo ad una strada piena di gente disinteressata), mentre lui si è adagiato sul successo economico facile facile accettando una mortificazione professionale che lo rende anch’esso un perdente, ma un perdente rassegnato (è passato da romanziere a sceneggiatore per Hollywood e nel finale si è ridotto a sceneggiatore per la tv).

Questo poi è un film fatto solo di sceneggiatura, tutto intento a raccontare, a dare voce, e poco propenso a mostrare… ecco personalmente non apprezzo molto i film del genere che vedo molto più vicini alla tv o alla radio come mezzo espressivo piuttosto che al cinema, tuttavia bisogna concedergli che la sceneggiatura, i dialoghi, sono magistrali, non annoia mai nonostante la logorrea e sa sempre cosa dire.

lunedì 9 maggio 2011

L'uomo invisibile - James Whale (1933)

(The invisible man)

Visto in VHS.

Uno scienziato vuol battere tutti i record di scoperta ganza della storia (e lo vuol fare sostanzialmente per fare colpo sulla figlia del suo capo), vuole inventare il siero dell’invisibilità. Per carità ce la fa… peccato che lo testi su di se prima di inventare l’antidoto, ma soprattutto ignora che la sostanza che rende invisibili rende anche pazzi.

Horror classico che è, giustamente, passato alla storia per gli effetti speciali, quasi tutti fatti in casa (il primo piano mentre l’uomo invisibile si toglie le bende è stato fatto con garze rigide e vuote dentro) che sono rimasti ineguagliati per anni.

Alla regia c’è Whale, che ormai per me è secondo solo a Browning nel cinema gotico anni ’30, e si pregia di un cast non di primo piano, ma decisamente adatto (il capo dello scienziato pazzo è il tenero Henry Travers; nei panni dell’uomo invisibile c’è invece una delle prime interpretazioni di Claude Rains, visibile solo nell’ultimissima sequenza, scelto per la voce e la recitazione).

domenica 8 maggio 2011

La voce della luna - Federico Fellini (1990)

(Id.)

Visto in VHS.
Più che una storia unitaria è la solita collezione di momenti, di scene disgiunte alla Fellini, tutte che rincorrono un tema comune, nella fattispecie l’elogio della follia come fonte principale dei sentimenti veri, della vita autentica e bla bla bla…

Si insomma il tema non è originale, ma Fellini lo esalta e lo migliora col suo tocco leggero e surreale, con le sue ricostruzioni antinaturalistiche degli esterni in studi di posa e con la scelta del solito corredo di volti felliniani. In più il film si pregia della partecipazione di Benigni (personaggio non sempre in parte e che rischia sempre di sfociare nell’irritante) che viene usato al meglio e diventa semplicemente fondamentale, in più c’è pure un Villaggio che, pur non eccellente, riesce bene nel suo sporco lavoro.

Nell’insieme il film, l’ultimo del regista emiliano, risulta il migliore fra quelli dell’ultimo decennio (ammetto di non aver mai visto "E la nave va”), poetico e godibile nella sua illogica distribuzione dei fatti.

sabato 7 maggio 2011

Orizzonte perduto - Frank Capra (1937)

(Lost horizon)

Visto in DVD.

Questo è il primo film su Shangri-la che vedo, non pensavo esistessero davvero… già perché questo film parla proprio di Shangri-la, una comunità paradisiaca e gandhiana che vive nascosta da qualche parte nell’Himalaya a fare la bella vita in attesa che il mondo si distrugga da solo per poterlo poi rifondare. Poi rapisce un po di gente, dapprima incattiviti col mondo, ma che poi si integrano, tranne qualcuno che proprio non ci sta, tenta la fuga…ecc…

Non è proprio originalissimo, eppure questa paradisiaca commedia di Capra è proprio come tutte le commedie di Capra, stucchevole nell’idea originale, ma trattata nel modo giusto riuscendo a renderlo godibile e non troppo ridicolo (il vecchio monaco fondatore è atroce lo ammetto). Detto in altre parole? Se qualunque altro regista l’avesse preso in mano, questo film sarebbe inguardabile ed invece non stanca. Per dirla tutta il film fece storcere il naso all’epoca per quel retrogusto amaro (l’attesa della fine del mondo civilizzato per poi ricrearlo in meglio) atipico nelle commedie ricche di sentimenti positivi del regista americano. Dovendo scegliere però meglio guardare altre opere di Capra.

Il film è stato ampiamente rimaneggiato nei decenni successivi alla sua uscita e solo un’imponente opera di restauro lo ha, oggigiorno, restituito alla sua integrità… anche se in realtà un totale di 7 minuti non è stato ritrovato, se non nel formato audio, e pertanto è stato reintegrato in quest’ultima versione, con foto di scena e fotogrammi fissi.

PS: è evidentissimo che Colman è stato scelto come fac-simile di Clark Gable.

venerdì 6 maggio 2011

Riso amaro - Giuseppe De Santis (1949)

(Id.)

Visto in VHS.La ragazza (Dowling) di un ladruncolo con pochi scrupoli (Gassman) ruba una collana del valore di diversi milioni di lire, ma deve fuggire e nascondersi tra un gruppo di donne che vanno a fare le mondine nella pianura piemontese. Viene assunta anche lei e mentre attende che il suo uomo le annunci che le acque si sono calmate lavora cercando di non dare nell’occhio. Una ragazza (Mangano), anche lei li a lavorare nelle risaie scopre il furto ed inizia un gioco di amore e odio con la Dowling, che esploderà con l’arrivo di Gassman, che presto vedrà nella Mangano una ragazza molto più plasmabile dell’ormai stanca Dowling (sfruttata oltre l’eccesso) e preparerà un nuovo colpo, ai danni proprio delle mondine, alle spalle delle due donne. Ovviamente siamo in un dramma e le cose arriveranno ad un inevitabile finale.

Quando si pensa ad un melò neorealista italiano degli anni 40, magari sviluppato dentro l’ambiente delle mondine si potrebbe (con un certo razzismo) pensare ad un’opera noiosa. Un luogo comune non fu più sbagliato di questo.

Riso amaro è un drammone denso e straziante come pochi, con un Gassman egocentrico e luciferino come mai in vita sua, tutto orchestrato su una trama solidissima e su immagini costruite con una coscienza del mezzo incredibile. È proprio qui che il film, a mio avviso, sorprende di più; questa è un’opera che parla con le immagine molto di più che con le parole e lo fa pure con immagine stupende. Nonostante l’epoca non proprio adatta ai budget elevati, De Santis fa un lavoro di piccoli carrelli continui e panoramiche da fare invidia, costruisce le scene in una maniera maniacale con inquadrature precise disposte su più piani e dense di atmosfera (si vedano le sequenze nel magazzino del riso con le dune bianche sullo sfondo o il finale nel macello, ad esempio). Stupendo anche il gioco di montaggio serrato che si esplicita in alcune scene come il ballo tra la Mangano e Gassman nelle risaie.

l film va avanti per inquadrature curatissime dense d’atmosfera, regalando alcune sequenze da manuale come quella sotto la pioggia dopo la violenza sulla Mangano o il già citato finale nel macello.

Un film giustamente famoso, ma comunque ancora sottovalutato.

PS: vogliamo trovarci un difetto a tutti i costi? Ok, allora io voto la voce fuori campo del finale, se l’incipit spiegato dall’uomo che guarda in mdp era stato elegantemente messo sotto forma di trasmissione radiofonica (applausi per l’idea) il finale è chiuso proprio nell’unico sistema non prettamente cinematografico che c’è.

giovedì 5 maggio 2011

I misteri del convento - Manoel de Oliveira (1995)

(O convento)

Visto di DVD. Malkovich gira va in un monastero in Portogallo cercando le prove del fatto che Shakespeare fosse un ebrei spagnolo. Viaggia in compagnia della moglie con la quale non ha più argomenti in comune e vengono accolti da un paio di figuri che rappresentano il diavolo e l’acqua santa già dal modo di vestire giusto per ulrare “METAFORA!” fin dalle prime scene (l’uomo è vestito come Dylan Dog, mentre la ragazza come una suora laica).

I misteri del convento è un film di Oliveria classico, presenta quindi sostanzialmente gli stessi difetti di “La lettera”. Qualche importante differenza però ce l’ha.

Intanto la storia è più incasinata, in teoria sarebbe più interessante, ma è sfiancata dai discorsi tracotanti e criptici, antinaturalistici come un quadro di Kandisky e ripiegati su se stessi fino allo sfinimento. Poi ha pure qualche un fare enfatico generale, dato dal tono generale e dall’uso della musica da film horror ma senza motivo, come anche dai discorsi tendenti al satanismo all’acqua di rose senza neppure un mezzo demone (fosse anche morale). Poi c’è un Luis Miguel Cintra che dovrebbe essere l’oscuro e misterioso tombeur des femmes dall’inferno… il che mi pare improponibile per uno che sembra il mio salumerie travestito da Piton per carnevale.

Di positivo però c’è una recitazione all’altezza di un film decente e una cura particolare per le location e, soprattutto, per la fotografia (finalmente un film di Oliveria che assomiglia ad un film, con le sequenze ambientate nella foresta che hanno colori fantastici).

Complessivamente il film è noioso, inguardabile e talmente pieno di se che potrebbe esplodere; aggravato da un’idea generale di inquietare e filosofeggiare sul male che rende ancora più ridicolo il fallimento e più anempatico il tutto.

mercoledì 4 maggio 2011

Il processo di Giovanna d'Arco - Robert Bresson (1962)

(Procès de Jeanne d'Arc )

Visto in DVD.

Uno dei registi più spirituali della storia del cinema, nonché francese, prima o poi doveva incappare in Giovanna D’Arco.


La storia è quella nota, e si basa sugli atti ufficiali resi pubblici ad inizio 900, Bresson affermò di non aver quasi toccato per nulla i dialoghi, si butta quindi a capo fitto nel mostrare i sentimenti unicamente con le immagini, in un campo-contro campo precisissimo interrotto da alcune sequenze fuori dal tribunale che tornano al gusto per i dettaglio dei film precedenti.


Inoltre, cosa nuova per Bresson, il ritmo è molto sostenuto, per i dialoghi serrati e anche in virtù di un minutaggio limitato (dura circa un’ora).


Quello che ne viene fuori è il ritratto, piuttosto originale specie per l’epoca, non di una vittima (com’è invece nell’opera di Dreyer), ma di una donna forte, artefice del suo destino, sicura di se e senza paura di fronte ad un nemico decisamente più vigliacco. Si insomma, risulta lei la vincitrice di questo processo. In questo senso il film è decisamente da vedere, ma ancora preferisco la sofferta opera di Dreyer.

martedì 3 maggio 2011

Giungla d'asfalto - John Huston (1950)

(The asphalt jungle)

Visto in DVD.

Un uomo appena uscito di carcere organizza una rapina di gioielli, con il finanziamento di un avvocato ormai nelle acque stagnanti della crisi economica e con l’aiuto di un manipoli di piccoli criminali locali. La cosa andrebbe anche a buon fine se non ci fosse la sfortuna (o meglio, il destino avverso), un po di cupidigia e tradimenti e infine uno dei complice che vuota il sacco. Il piano perfetto diventa una fuga casuale verso una fine già ampiamente prevedibile (come nel migliore dei noir).


John Huston ci riprova con il miglior genere inventato dagli americani, ma cambia completamente i toni e i modi rispetto al suo “Il falcone maltese”. Qui non c’è un filo di ironia, siamo davanti a un noir duro e puro. Il regista ci mette il suo stile libero e preciso solo un poco più verso l’invisibilità. Tiene bene il ritmo e gestisce ottimamente una storia non particolarmente complessa, ma ampia; con molti personaggi ognuno con il suo background ed i propri intenti.

Il film mi ha molto ricordato “Rapina a mano armata”. Un film corale con una serie di personaggi vari, più o meno duri, più o meno ostentati, più o meno deboli. Il film verte tutto attorno ad una rapina, ma la storia è completamente nelle mani del destino, che si diverte a far andare male le cose e a sfottere i protagonisti. Infine il pessimismo di fondo e la durezza della messa in scena concludono le similitudini tra due tra i migliori film noir mai realizzati in USA.

lunedì 2 maggio 2011

The millionaire - Danny Boyle, Loveleen Tandan (2008)

(Slumdog millionaire)

Visto in Dvx.

La storia la sanno tutti... comunque eccola qui.

A me Boyle piace e molto anche. Perché è uno che la macchina da presa la usa un casino, cura la fotografia fino all’eccesso e non teme di strafare (è uno dei pochi che ancora si fida ad usare le inquadrature sghembe fuori dagli horror). In più ha un gran ritmo e sa sostenere qualunque parte… Nel suo voler fare tutto all’eccesso talvolta sbaglia clamorosamente (su tutti i suoi sbagli il peggiore è “Una vita esagerata”), ma talvolta c’azzecca in maniera eccelsa, come in questo film.

La trama poi ha dato la possibilità a Boyle di giocare ancora di più con il linguaggio cinematografico fondendo due flashback diversi e alcuni inserti di flashforwrad nella stessa storia, descrivendo più livelli in contemporanea. Un casino che poteva sfociare in una boiata incomprensibile; e invece…

Inoltre il cast è quasi tutto adeguato e riesce a reggere. Poi alla fine sono un sentimentale, ela storia di un singolo che viene dal basso e con le sue sole forze (e con il sacrificio di chi gli è a fianco) diventa il simbolo del riscatto di un intero popolo… ah già, anche i finali dove tutti ballano mi piacciono un casino (come in “Zatoichi”).

Alla seconda visione un paio di difetti vengono anche fuori; da una parte l’ordino cronologico con cui le domande del quiz sono collegate con i fatti della vita del protagonista; dall’altra c’è una certa meccanicità nella trama tout court, ma il problema dev’essere nel libro originale. Mentre invece non credo che conti molto il fatto che la domanda finale appaia scontata data la differenza culturale italiana ed indiana, se da noi i tre moschettieri sono una banalità così non sono in India, e sfido chiunque a rispondere ad una qualsiasi delle prime domande.

PS: questo Dvx ha restituito la religione islamica ai protagonisti (anche se non viene dichiarata), cosa che invece al cinema era stata abilmente eliminata.
PPS: il ruolo di questa Loveleen Tandan non mi è chiaro, il mio amico Imdb mi dice che è co-regista (India)... mah, non capisco se si sia occupata di alcune scene in India o sia solo della seconda unità elevata a co-regista dal buon cuore di qualcuno.

domenica 1 maggio 2011

Il cielo sopra Berlino - Wim Wenders (1987)

(Der himmel über Berlin)

Visto in DVD.
Un angelo che accompagna la vita degli uomini li invidia, nonostante le loro sofferenze, perché loro vivono davvero, mentre lui non esperisce nulla di ciò che è la realtà.

L’inizio sembra un opera d’arte audiovisiva, per una mezzora neppure c’è una vera e propria trama e il film va avanti per accumulo d’immagini e situazioni, anzi il film parla con quelle immagini, mostra gradualmente i personaggi senza doverli spiegare; oggigiorno chiunque sa la storia, ma immagino che all’epoca l’effetto sorpresa nei confronti dei personaggi principali fosse notevole.

Il regista muove la macchina da presa in maniera chirurgica, è un occhio invisibile e asettico che si muove sinuoso come pochi tra la vari umanità messa in scena.

Estremamente contemplativo e intimista tanto da poter rompere le palle, eppure, miracolosamente, non sfocia mai nell’intellettualismo fine a se stesso (ok, ok, tranne nella parte del vecchietto poetastro che è li solo per fare poesia all’acqua di rose ed effettivamente smazza le gonadi) e, per me almeno, neppure arriva mai alla noia.

Una piacevole sorpresa.
PS: grande Falk, nella parte di se stesso che si rivela un angelo caduto.