lunedì 30 marzo 2015

Fuga dalla scuola media - Todd Solondz (1995)

(Welcome to the dollhouse)

Visto in Dvx.

Titolo italiano idiota (e fuorviante) per un pezzo di vita di una ragazzina di 13 anni odiata e bistrattata dai compagni di classe, non aiutata dagli insegnanti, con un padre assente, una madre che le preferisce la sorella più piccola e un fratello in piena adolescenza che ha altri pensieri per la testa. Si innamorarà di un amico del fratello, ma sarà "violentata" dal bullo della classe.

Commedia nera dal ritmo ben tenuto che racconta una vita piena di sfighe, ma tutto sommato verosimile di una preadolescente, con qualche impennata di improbabilità (il rapimento della sorella) che servono solo ad alzare l'asticella del grottesco.
Enorme il lavoro nella sceneggiatura per cercare di mettere insieme moltissimi elementi che danno spessore alla vicenza senza modificarla affatto o che servono solo a drammatizzare (dalle bambole a cui viene segata la testa, alla ragazzina che dice alla protagonista che la odia perché è brutta). Perfetto però il clima di odio reciproco in un ambiente dove nessuno comunica e dove le frustrazioni vengono scaricate reciprocamente dal più forte al più debole in una cascata senza fine.

Magnifiche le musiche (alcune classiche altre moderne) spesso utilizzate in maniera strafottente; un film autenticamente sgradevole per ciò che viene messo in scena senza che ci siano esagerazioni eccessive e tutto viene mostrato con la lente deformante di un grottesco ironico; senza una vera trama si rimane catturati dalla sequenza di fatti senza capire dove si andrà a parare.

Essendo opera quasi prima di Solondz qui si vede già molto quello che verrà dopo, dall'interesse per il sesso alla cattiveria verso i suoi protagonisti.

Bravissima la giovane protagonista, meno alcuni dei coetanei di contorno; decisamente migliore la lingua originale che permette di sentire più sfumature e rende giustizia all'età degli attori con voci adeguate.

venerdì 27 marzo 2015

Fantasma - Friedrich Wilhelm Murnau (1922)

(Phantom)

Visto in Dvx.

Un uomo comune, impiegato del comune, appassionato di letteratura, scrittore amatoriale di poesie, timido e che vive ancora con la famiglia; si innamora improvvisamente di una ragazza ricca. Quando scoprirà che è già promessa sposa farà di tutto per mettere le mani sui soldi di una sua zia (tenutaria di un banco dei pegni); la sua onestà sarà messa alla prova, non senza enormi sofferenze.

Il fantasma del titolo è quello di un amore impossibile, non ci si lasci ingannare dal fatto che sia uscito lo stesso anno di "Nosferatu"; quest'opera è molto più simile a "L'ultima risata" sia per tematiche (un dramma psicologico su uno sconfitto dalla società), sia per stile (asciutto e impeccabile).

Se quello che salta all'occhio fin dall'inizio è la pulizia della fotografia, l'impeccabile realizzazione delle inquadrature e la colorizzazione essenziale, ma utilitaristica (soprattutto sul blu per gli interni e le scene di notte,  l’ocra per gli esterni o gli interni degli altri edifici; più alcune parti in rosso o in bianco e nero classico).                                  

In un secondo livello però colpisce la ricchezza di idee di Murnau. Utilizza la messa fuoco (o meglio, del fuori fuoco) per posizionare degli inserti che mostrano le speranze o i sogni del protagonista; buoni inserti di montaggio alternato (anche se esisteva già da almeno 6 anni qui è proprio ben fatto per ritmo e accostamenti); vi sono inoltre un paio di brevi scene da incubo con un calesse fantasma e la città che si piega verso il protagonista; in più vi è una sequenza, quella del protagonista che spende i soldi truffati senza riuscire a goderseli che è una serie di scene statiche perfettamente costruite (in cui i protagonisti vengono incastrati un florilegio di oggetti) e di intermezzi della coppia che balla con una macchina da presa che ondeggia.

Unico neo il ritmo altalenante e l'eccessivo drammatizzare ogni inquadrature che a lungo andare stanca (tutta la malattia della madre è proprio da melò di bassa lega).

mercoledì 25 marzo 2015

Il re dei mostri - Motoyoshi Oda (1955)

(Gojira no gyakushū)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Godzilla viene individuato su un'isola al largo di Osaka, ma oltre a lui c'è pure un Anchilosauro che chiamano Angilas. Li tengono d'occhio e sembrano riuscire a sviarli dalla città, ma in ultimo le cose vanno male e i due di mettono a combattere in centro. Dopo un pò di distruzione Godzilla batte Angilas e se ne torna sull'isola dove viene imprigionato in una valanga di ghiaccio.

Darto il grande successo del primo capitolo, i giappo, fecero subito il seguito. Tecnicamente si impegnarono parecchio nel migliorare il comparto visivo (hanno messo occhi mobili al mostro e per il finale hanno aperto il freezer per usare vero ghiaccio). Quello che è evidente è che l'operazione si è notevolmente modificata; da un'apologo moraleggiante in salsa horror apocalittica ci si sposta all'operazione alimentare per un film d'avventura e distruzione standard.
La storia è decisamente più esile, non c'è vero e proprio scontro fra il mostro e gli umani fino al finale; viene introdotta l'idea della lotta fra Godzilla e un kaiju random (viene di fatto inventato il kaiju), la maggior parte dle minutaggio è dedicata alla lotta fra i due e alla distruzione della città (decisamente meglio realizzata con un gran finale contro un castello medievale giapponese).
Viene introdotta una storia che oggi definiremmo bromance per dare più peso al film. Viene pure reclutato Shimura per fare da tramite nei due film della saga.

Non è brutto, anzi è pure meglio realizzato, ma più banale e frettoloso; inoltre appare evidente che quello che verrà dopo sarà lo sfruttamento del brand e appena si farà eccessivo tutto quello che ci si potrà godere qualche opera sfacciatamente camp.

lunedì 23 marzo 2015

Bad boy Bubby - Rolf de Heer (1993)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Figlio di una donna psicopatica che gli fa credere che il mondo fuori dalla stanza dove abitano sia un'apocalisse tossica cresce separato da chiunque. La madre psicotica si occupa di lui in tutto e per tutto, gli cucina pane e zucchero tutti i giorni, lo lava a 35 anni suonati e gli somministra del sesso (grasso e anziano sesso) abituandolo a una taglia di reggiseno piuttosto importante. Intanto l'uomo fatto cresce sotto l'ossessione di un Gesù che lo controlla e torturando il gatto di casa.
Quando in casa torna paparino dopo 35 anni le cose cambiano, ma non in meglio. Uccide tutti (ma ha già ucciso il gatto da tempo) e fugge; là fuori non viene preso per il pazzo che è, ma solo come un minus standard, si unisce a un gruppo musicale di cui diventa il frontman con i suoi happening sonori dove ripete le frasi dell'infanzia e si innamora di un'infermiera che si occupa di disabili.
Il tutto con molte perversioni, blasfemie e tette.

Che poi si sa, i film australiani che arrivano da noi sono pochi, ma quei pochi hanno, di solito, una marcia in più in ambito weirdo. A volte riescono a fare cose enormi con praticamente nulla in mano, a volte (come in questo caso) hanno un'idea malatissima di fondo e ci tirano fuori... beh questo film. Quello che ne viene fuori è una specie di "Sbucato dal passato" in versione perversa in cui il protagonista è un "Ragazzo selvaggio" grottesco e blasfemo.

A livello più tecnico il film è un'enorme prova autoriale. La trama è una sorta di evoluzione umana di una sola persona; parte da uno stato infantile, dove si limita a fare suoni o di ripetere le parole sentite fino a divenire un artista ateo e innamorato; nel mezzo ci sono citazioni freudiane, riferimenti religiosi continui e la scoperta di luoghi, sapori, esperienze.
Il film è realizzato in maniera piuttosto schematica, nella regia, nella prima parte, che si fa più libera nella parte centrale senza mai smettere di essere rigorosa (si pensi alla scena della scoperta dell'albero dove la macchina da presa oscilla), ritorna poi ferrea nella parte finale. Nella fotografia de Heer si affida a uno specialista per ogni ambiente ottenendo scene molto diverse (per me vince la prima performance con la band, dove la musica ossessiva, il primissimo piano, la recitazione e la voce di Hope e il gioco di luci rendono la scena efficacissima).
Bravissimo il cast che rende credibile una carrellata di personaggi improbabili, su tutti ovviamente Hope che fa di tutto nei panni del protagonista a livello fisico, a livello di sopportazione (i rapporti con la madre, il fatto che mangi scarafaggi) e nell'uso che fa anche della voce (cambia tono in base al fatto che a parlare sia Bubby o Pop).

A lungo andare effettivamente il film pecca di tracotanza e si dilunga in ripetizioni inutili (le varie scene con la band), ma il risultato finale è assolutamente positivo. Sorprendente de Heer che si destreggia tra film così diversi (si veda "The tracker").
A mio avviso inoltre il vero significato del film è che se sei un weirdo, in Australia, sono tutti disposti ad aiutarti e hai anche donnine dell'esercito della salvezza che ti somministrano del sesso.

PS: sono l'unico che vede notevoli somiglianze fra il Bubby cantante e Nick Cave?

venerdì 20 marzo 2015

La paura mangia l'anima - Rainer Werner Fassbinder (1974)

(Angst essen Seele auf)

Visto in Dvx.

Una donna delle pulizie over 60 incontra per caso un 40enne marocchino; nonostante la diffidenza cominciano a chiaccherare. Dal semplice fatto che queste due persone solitarie (solitarie per la famiglia distante la prima e per la società la seconda) inizia un'empatia che si concluderà in un amore. I due decideranno di sposarsi, ma presto dovranno affrontare la realtà e l'ostracismo da parte dei vicini di casa, delle colleghe di lavoro e della famiglia; inoltre saranno avversati anche dalle donne che giravano attorno all'uomo prima del matrimonio. Quando finalmente il vento cambierà (parenti e amici avranno bisogno del loro aiuto e diventeranno quindi accomodanti con la coppia) i due sembreranno vivere la nuova accoglienza in maniera diversa.

Fassbinder è un amante del melodramma, questo è sempre stato evidente, e pare che fosse un fan di Douglas Sirk. Non stupisce quindi che abbia voluto fare un remake di quel capolavoro dell'agnizione e dei sentimenti esposti e della borghesia formale di "Secondo amore". Naturalmente Fassbinder è Fassbinder e prende Sirk e lo accompagna nella classe operaia, gli toglie e i colori pastello e gli aggiunge parecchio in amarezza. L'idea non può che non piacere.

Dietro al macchina da presa Fassbiner è sempre magnifico (non lo ricordavo così bravo); solita regia dinamica (continui carrelli laterali o in avanti) e gusto per la costruzione delle immagini (quasi tutto il film è ripreso attraverso porte aperte, finestre, pareti di un corridoio, spigoli delle stanze, specchi, reti o ringhiere a dare un senso di prigionia continua), solo più tranquillo del solito, più calmo e lento.

Purtroppo il film è affossato da due difetti non da poco. La sceneggiatura e il cast.
Non so come fossero considerati gli immigrati all'epoca in Germania, però l'opinione delle amiche e conoscenti della protagonista, mi pare molto esagerata. Se anche fosse corretta ho trovato molto fastidioso lo schematismo della storia: loro due si sposano, tutti li vessano in contemporanea; tornano dalle vacanze, tutti li trattano bene perché, fatalità, tutti ne hanno bisogno contemporaneamente.        
Il cast... beh a parte la bravissima Mira tutti gli altri attori sono dei cani; su tutti ben Salem che non riesce a cambiare espressione neppure quando sbadiglia (all'epoca Fassbinder ne era innamorato e si spiega quindi una scelta così fuori luogo... oltre che le diverse scene di nudo integrale...).
Il film riesco comunque a essere godibile nonostante questi enormi difetti, anche perché da un melodramma classicheggiante il difetto della trama risulta edulcorato.

mercoledì 18 marzo 2015

Hellraiser: hellseeker - Rick Bota (2002)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un uomo in macchina con la moglie è vittima di un incidente stradale, lui riesce a salvarsi, ma non riesce a far uscire la moglie in tempo dalla macchina. La polizia però non trova nessun corpo e comincia a indagare... che sia stato proprio il marito a ucciderla e nasconderne il cadavere?
Nel frattempo l'uomo è vittima di continue allucinazioni dove vede le donne che lo circondano che vengono uccise. Twist plot finale.

Sesto, se non sbaglio, capitolo della saga, ancora una volta con uno script pensato per altro e riadattato, ancora una volta che gioca tantissimo con la realtà e la finzione (come nel film precedente); qui però ci sono ancora meno cenobiti, qui c'è ancora meno Hellraiser del solito. Produzione a basso costo (il regista, Bota, lavorò gratis) che però non si vede neppure troppo, con la partecipazione (importante, ma limitata) della Kirsty originale.
Più che essere un horror è un thriller onirico simile a prodotti come (SPOILER) "Stay". I fatti si susseguono in maniera sconclusionata e solo nel finale ne verranno tirate le fila.

Lati positivi? pochi e poco importanti, ma ce ne sono. Questo film come il precedente e "Nightmare" rendono bene il senso di essere presi in gabbia, di essere dentro un incubo senza via d'uscita. Finalmente Pinhead viene collegato all'agopuntura; sul serio, cominciavo a temere che fosse stato Sorrentino il primo a pensarci. Si torna (ma solo come accenno) all'idea che il dolore e il piacere siano collegati (l'idea sadomasochista che stava alla base dell'originalità del primo film della serie).

Lati negativi? Il film è proprio fatto male, fa più casino che sfruttare l'atmosfera onirica come dovrebbe; e questo sarebbe già sufficiente. Poi c'è uno dei momenti WTF più intensi di sempre con l'anguilla che viene vomitata dal protagonista mentre sta facendo il guardone. Inoltre continua l'idea del film precedente per cui i cenobiti vengano sulla terra per punire, idea che rende morale anche uno dei pochi horror un poco amorale che siano mai stati fatti. Tutte le donne (fighe) di questo film vogliono fare sesso con il protagonista in maniera irritantemente inspiegabile, davvero, ha una faccia da scolopendra. I cenobiti qui sono relegati a poche inquadrature con un minutaggio misero (compreso Pinhead). Infine c'è qualche scena con una configurazione del lamento sferica... buffo che venga poi citata ironicamente allo stesso modo in "The cabin in the wood".

lunedì 16 marzo 2015

Spirito allegro - David Lean (1945)

(Blithe spirit)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una coppia, lui giovane vedovo, lui bella (e forse un poco gelosa della prima moglie) decidono di organizzare una seduta spiritica con degli amici; il padrone di casa fa lo scrittore e gli serve materiale sull'argomento. Per la seduta viene invitata una buffa medium locale. Qualche piccolo fenomeno si verifica, ma tutti finiscono per non aver visto o percepito molto; ma quando tutti se ne sono andati il padrone di casa vede il fantasma della ex moglie. Dovrà convincere l'attuale moglie della cosa e insieme cercheranno di disfarsene, ma sarà il fantasma ad avere (accidentalmente) la meglio.

Commedia surreale tratta da un'opera teatrale (che portò grande fortuna alla Lansbury a Londra) di poco precedente. La trama è condotta perfettamente e fa strano vedere Lean confrontarsi con un tema così leggero lo stesso anno di "Breve incontro".
Il film è in technicolor per permettere ai fantasmi di essere immediatamente riconoscibile con un monocromo grigio-azzurro (i vestiti e la pelle), idea semplice, ma efficace che sarà ripresa anche in Italia.
I l tono della commedia leggera è ben tenuto per tutto il tempo con alcuni momenti meglio riusciti. Ottimi gli effetti speciali (utilizzati poco, ma decisamente all'avanguardia, vinsero infatti un Oscar).
Su tutti i pregi del film però regna la performance della Rutherford; magnifica medium impettita e piena di se, dalle tecniche buffe e dalla spensierata gaiezza infantile.

venerdì 13 marzo 2015

Communion - Philippe Mora (1989)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Uno scrittore di libri horror va in vacanza in uno chalet di famiglia in una zona solitaria tra le montagne degli USA; li cominciano a esserci strani fenomeni; indagando sembrerà che questi episodi non siano il frutto della follia del protagonista, ma gli effetti dell'incontro con entità aliene, rapimenti ed esperimenti. Anche accettandolo (non senza difficoltà) però, il protagonista vuole riuscire a gestire la cosa.

Questo film è l'emblema del mio rispetto nei confronti di Walken che avevo da regazzino; dopo averlo visto nella parte del luciferino angelo caduto in "L'ultima profezia", nel militare debole e pazzo de "Il cacciatore", nel maligno villain di "Minuti contati" e "Una vita al massimo", oltre che in una mezza dozzina di film dimenticabili o di Abel Ferrara (a volte le due cose coincidevano) mi registrai questo film dalla tv; purtroppo ci furono problemi con il videoregistratore e il film mi uscì senza sonoro... chiaramente feci l'unica cosa possibile a quei tempi in assenza di internet... lo guardai comunque... ovviamente non ci capii un cazzo, ma mi inquietai lo stesso.
Ora lo vedo per la prima volta da allora e mi accorgo che una trama c'era... anche se è talmente poco compiuta, da così poche risposte che in effetti l'ho capito tanto quanto 20 anni fa.
Se la storia è piuttosto sospesa e involuta in sé stessa, la regia non è degna di nota, anche se va riconosciuto il merito di mantenere un discreto ritmo in un film senza un fine chiaro e l'atmosfera viene ben mantenuta. Ovviamente tutta la tensione che ne ricevetti da regazzino era dovuta alla mancanza del sonoro perché stavolta di thrilling ce n'é stato molto poco.
Gli effetti speciali sarebbero ottimi (tutti artigianali come piace a noi ottanttotardi), se non fosse per la scelta di avere come extratterrestri principali delle creature idiote che avrebbero fatto la loro porca figura nella versione originale di "Guerre stellari".
L'unico valore aggiunto, per chi è fan, è la presenza del Walken (scelta azzeccata per un film del genere dato che lui è un alieno di suo) più fuori di testa che ricordi (e ovviamente era nella fase della sua vita in cui era protagonista e recitava molto bene); inizia con capelli alla wolverine, occhialoni anni '80 e cappello da becchino; finisce a ballare e baciarsi dei pupazzoni mentre schiocca le dita e dicendo frasi random come in una versione cool di "Twin peaks".
Ovviamente è solo per completisti o per chi l'ha visto solo senza sonoro o per chi apprezza le sonorità anni '80 nei film che dovrebbero dare inquietudine.

PS: non credo ci sia bisogno di dire che fu un fiasco totale al botteghino.

mercoledì 11 marzo 2015

I dannati di Varsavia - Andrzej Wajda (1957)

(Kanal)

Visto in tv.

La resistenza polacca a Varsavia è costretta a fuggire all'avanzata nazista, per farlo, dato che tutta la città è rasa al suolo dall'artiglieria tedesca, dovranno infilarsi nelle fognature per retrocedere. le fognature però sono un ambiente anche peggiore della superficie, l'acqua rende faticosissimo il cammino, i tentacolari cunicoli sono un labirinto in cui è facile perdersi, molte uscite sono presidiate o chiuse dai tedeschi, e psicologicamente la situazione è destabilizzante.

Enorme film di guerra che in realtà diventa rapidamente un dramma su un gruppo di persone allo sbando; una fuga per la vita dai toni cupi della tragedia.
Pur non amando il genere "di guerra" le scene iniziali dei combattimenti sono ben realizzata, chiare ed efficaci; la macchina da presa prosegue in lunghe carrellate che danno le dimensioni delle scene di massa; le scene (anche nei cunicoli) vengono spesso costruite su più piani senza utilizzare la profondità di campo, ma spostando rapidamente la messa a fuoco. La fotografia luminoso e secca degli esterni (così come il mood, ricco di disperazione, ma non con un senso di fine assoluta, ancora con un pò di speranza) cambia rapidamente una volta negli interni; tutto è buio e umido, la ombre si fanno più espressionista, i dialoghi diventano decisamente enfatici, i primissimi piani (bellissimi) e i movimenti rapidi si fanno decisamente più espressivi (qui non c'è più un gruppo di persone che combatte, ma una massa di singole unità che, da sole, cercano di sopravvivere).
La fuga nelle fogne si spezza in una moltitudine di storie dove diversi personaggi hanno ruolo e molti un apsicologia chiara; tutte hanno un finale amaro, spesso amarissimo. Nell'immediato la melodrammatica storia dei due innamorati mi è sembrata la più potente, ma con il passare del tempo la storia che chiude il film si prende spazio e diventa la più importante (e la giusta conclusione di un film fatto di eroismo e di assenza di speranza).

lunedì 9 marzo 2015

Nashville - Robert Altman (1975)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Per una serie di concerti si trovano a Nashville una carrellata di cantanti per lo più folk; oltre a loro in quei giorni di sta organizzando un'incontro con un candidato repubblicano (per le primarie se non sbaglio). La serie infinita di personaggi che direttamente o indirettamente girano per la città, si incontrano, si usano, si lasciano fino a un finale inaspettato e grottesco.

Diciamolo subito; io e Altman non ci capiamo. Ci conosciamo poco, è vero, ma quel poco non ci incita a una frequentazione... più frequente. Questo film non fa eccezione.
Al regista va concessa la capacità sovra-umana di gestire un cast che definire corale sarebbe un eufemismo, più che altro sembra mettere in scene l'elenco telefonico. Nel farlo ovviamente deve cedere, e molto, dell'approfondimento dei personaggi, che, salvo uno o due, si fermano alla superficie (Carradine), fanno solo comparsate (Goldblum), o si limitano a essere delle macchiette (Chaplin); ma questo ci sta, la prova nel gestire un cast così numeroso è comunque superata.
Quello che francamente non ho digerito del film è l'inutilità. Certo è evidente che si vuole mostrare una società basata sull'apparire, dove ognuno usa l'altro per emergere o solo per piacere personale, dove si è disposti a fare striptease per poter cantare, male, su un palco; ma davvero questo film rappresenta il modo migliore di veicolare questo messaggio? davvero un tema così abusato riesce da solo a giustificare una prova biblica di queste dimensione? davvero una tale povertà di idee di regia in senso stretto è da giustificare per lo sforzo nel tenere insieme così tanti pezzi altrimenti sparsi?
A fronte di tutto ciò il vero momento azzeccato è però il finale; inaspettato, estremo e con un picco di grottesco (la ragazza che fino a quel momento non è riuscita a fare nulla che sciacalleggia la situazione e si butta sul palco a cantare una strepitosa canzone gospel SPOILER ALERT SUL LINK)

venerdì 6 marzo 2015

Pride - Matthew Warchus (2014)

(Id.)

Visto al cinema.

Metà anni '80, un gruppo di ragazzi omosessuali fonda un'organizzazione per raccogliere fondi per i minatori in sciopero... del gruppo fanno parte 7 persone. Dovranno vedersela con il menefreghismo che li circonda, l'omofobia dei vicini, ma soprattutto la diffidenza dei minatori stessi; verrà gentilmente declinata la loro offerta da parte dei sindacati e loro sceglieranno un paese del Galles a cui portare direttamente i soldi.

Commedia britannica che parla di lotte per i diritti in quella fase storica inglese che grazie a Ken Loach è diventata paradigma cinematografico per tutta l'Europa.
Va detto, che questo è un film lineare, che vuole colpire il pubblico con la vittoria contro le sopraffazioni (anche se si sa com'è finita la lotta dei minatori), mostrando la solidarietà che supera le differenza (e questo solo insegnando a ballare...), mostrando i soliti buoni che sono buonissimi e i soliti cattivi cattivissimi.
Tutto sommato però funziona.
Intrattiene con piglio allegro, costruisce scene veramente molto belle (qualche esterno gallese standard e interni realizzati benissimo, su tutti vince la casa geometrica con carta da parati alla Hess della cattiva di turno), riesce a commuovere mettendo insieme una serie di agnizioni (rivolte sociali, rapporti familiari complicati, AIDS, ecc...) e portandoli tutti fino in fondo (come a dire che i soliti mille cliché messi insieme riescono ad essere efficaci).
Inoltre va sottolineato che, nonostante la coralità del cast, riesce a dare spessore a molti personaggi, lasciando a molti ritagli di minutaggio che li rendono un po più tridimensionali di quanto sarebbero risultati in un film più canonico (ottima, ad esempio, l'idea di mettere gli attori più navigati e famosi nei panni dei gallesi e non dei protagonisti).
In definitiva un film canonico, ma ben fatto e molto efficace.

mercoledì 4 marzo 2015

Birdman - Alejandro González Iñárritu (2014)

(Birdman: or the unexpected virtue of ignorance)

Visto al cinema.

Un ex divo hollywodiano ormai in declino (famoso per aver interpretato un eroe a inizio anni '90) cerca il rilancio con una piéce teatrale sceneggiata, prodotta, diretta e interpretata da lui. Per farlo si avvarrà di un divo teatrale di difficile gestione e attorno a lui si muoveranno attori, avvocato, famiglia. Ah già, questo attore pare riuscire a muovere oggetti con la telecinesi e sente parlare Birdman, il personaggio da lui interpretato, nella sua testa.

Un film su un personaggio ossessionata dalla realizzazione di uno spettacolo artistico, con guizzi surreali, rapporti familiari difficoltosi e rapporti lavorativi spesso al limite... si insomma siamo davanti a un "Black swan" in versione commedia.

Film densissimo, che parte da un uomo per parlare di riscatto, di invidia, di confusione, di valore personale e per farlo costruisce un personaggio ossessivo che si muove in un mondo dove la sua fantasia (lasciata correre in privato) ha un valore catartico enorme.
Quello che colpisce è che la profondità di un film del genere è accompagnata da una messa in scena ritmatissima.
A partire dalla musica, quasi interamente rappresentata da un assolo di batteria che intensifica l'effetto ansiogeno di molte scene, questo è un film che corre per tutto il tempo; dove i personaggi si muovono continuamente nello spazio e dove i rapporti fra di loro sono in continuo mutamento. Dietro la macchina da presa Iñárritu fa la scelta radicale più azzeccata per dare questo senso di claustrofobia itinerante: sceglie di realizzare quasi un unico piano sequenza per tutto il film (ok, stiamo calmi, è un piano sequenza falso realizzato con il computer); l'effetto è grandioso e riesce a far risaltare ulteriormente quando nel finale si susseguiranno una serie di stacchi rapidi su scene oniriche.
Il film viene inoltre costellato di riferimenti continui, personaggi marginalissimi che interagiscono con i protagonisti, piccoli e costanti inserti surreali (la batteria che compare anche dentro al teatro) e dettagli rilevanti lasciti nella nebbia (il protagonista ha il potere della telecinesi o è solo immaginazione?).
A livello tecnico inoltre il piano sequenza non concede nulla all'improvvisazione, nel film oltre al sonoro anche le luci hanno una parte fondamentale, nascondono o mostrano, rendono il senso del tempo che passa (il piano sequenza viene usato anche per coprire lunghi salti temporali), ma soprattutto costruiscono quadri intensissimi (si pensi all'ultima scena in teatro interamente virata in blu con gli unici dettagli rossi delle due lampade sui comodini).
Il comparto artistico si completa con un cast impeccabile dove a risaltare non è soltanto un Keaton mai così impeccabile (anche visto che la sua biografia fa il paio con quella del suo personaggio) o un Norton così scatenato, ma sono la presenza di un Galfianakis che per la prima volta fuori da un film comico riesce a rendere un personaggio serio in maniera perfetta senza mai strafare e di una Stone incredibilmente credibile (tutti gli attori sono comunque condotti da dio, spiace solo per una Watts ormai in ruoli marginali).

Un film inusuale ma perfettamente realizzato.

lunedì 2 marzo 2015

Wendigo - Larry Fessenden (2001)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una famigliola se ne va in vacanza sulle montagne amerigane dove la leggenda del windigo è ancora vivissima. Intanto, mentre il padre litiga con un bifolco locale che li perseguiterà con il suo voyerismo e il suo fucile, il bimbo entra in contatto con un buffo indiano che lo ossessionerà con la leggenda dell'inquietante creatura. Le cose finiranno malamente, la famiglias arà perseguitata fino alle estreme conseguenze, eppure nel finale saranno vendicati.

Il windigo è una delle innumerevoli creature che amano essere riprese su videocamere dalla qualità molto bassa (qui un estratto dove si può notare che questo mostro creato dai antivi americani si è espaso fino in Iraq), demone della mitologia delle tribù dei grandi laghi amerigani, pare sia figlio della voglia degli indiani d'America di darci un taglio col cannibalismo.
Qui è però fuorviante. I presupposti, con un titolo così, era del classico horror con una creatura scarsamente visibile fino alla fine quando, forse, con u paio di screenshot si poteva sperare di vedere un uomo in costume da cervo. Invece il film inizia come una versione per famiglie (in tutti i sensi) di "Un tranquillo weekend di paura" con una famiglia come protagonista e con un bifolco incattivito, ma tutto sommato fa più paura che violenza carnale; il film prosegue con un bimbo che per i traumi continui scivola lentamente dentro la paranoia del windigo e nel finale compare in un paio di screenshot un uomo in un costume da cervo.

L'idea di fatto m'è piaciuta ("Deliverence"+follia+uomo/cervo), la realizzazione meno. Il film si muove piuttosto lentamente e pur mettendo tutte le fasi dell'inquitudine, le diluisce, gestisce male la suspense e si muove bruscamente quando dovrebbe andare con più calma. Si premia l'originalità del mix più che la realizzazione.
Il mostro viene mostrato in diverse occasioni, ma quella finale fa cadere le (s)palle; verso la metà invece il bambino vede una creatura windigiforme fatta di rami che incombe sul padre, impeccabile per l'idea (gli era stato detto che il demone poteva prendere la forma di n albero) e per la realizzazione.

Infine Fessenden... non sembra l'ultimo dei cretini; è evidentemente un mestierante di genere senza intenzioni autoriali, ma con tanta voglia di far film che gli piacciano (tutto questo lo si evince anche soltanto dalla sua foto su imdb). Nel film si impegna, gioca molto con la soggettiva e con gli stilemi del gneere, si cala nella parte e sfrutta gli spunti che il windigo gli offre, ma non spicca, soprattutto per i tempi e i ritmi che sbaglia troppo spesso. Buon tentativo comunque.