venerdì 31 agosto 2012

A serbian film - Srdjan Spasojevic (2010)

(Srpski film)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.


Un noto attore porno ormai ritiratosi dalle scene per star dietro alla famiglia viene contattato da un ambiguo regista per realizzare un ultimo film dalle caratteristiche poco chiare, dato il pacco di soldi offerto e i debiti che si accumulano decide (consensualmente con la moglie) di parteciparvi… Verrà invischiato in un affare che definire snuff movie è dire poco.
Uno dei film più shockanti che abbia mai visto. Il film può essere visto come una parafrasi della situazione attuale della Serbia (come viene esplicitamente detto) o solo un esercizio di scardinamento dei cliché con un gusto splatter alla Eli Roth. Quello che è certo è che realizzato da dio.

A fronte di una costruzione convenzionale (il lento disvelarsi del piano, il crescendo di nefandezze, il finale “a sorpresa”, la crisi morale del protagonista, ecc…) il film azzecca sempre il tono. Sarà la fotografia sempre a chiaroscuri, saranno i volti incisivi degli attori o la musica adatta, sarà il ritmo sempre all’altezza o una buona distribuzione delle idee durante tutta la trama, quel che è certo è che fin dalle primissime immagini si respira l’aria di un ambiente malsano; non se ne capiscono i motivi, ma è chiarissimo che le cose vanno male fin da subito. Ed è questo secondo me rende vincente questo film; non sono le idee splatter che colpiscono maggiormente (anzi, la temibile scena con il neonato a me è sembrata la più inutilmente kitsch e meno credibile di tutto il film, la più efficace ad eliminare la sospensione dell’incredulità), ma gli intermezzi messi apposta ad aumentare la tensione (su tutte la scena che più mi ha colpito è l’ultima scena di sesso con il tipo incappucciato, dove non si vede niente, l’inquietudine è alle stelle, quello che sarà si può intuire, ma tutto è egualmente possibile), dove la maestria del regista porta intollerabili livelli di tensione senza fare nulla. 

domenica 26 agosto 2012

To Rome with love - Woody Allen (2012)

(Id.)

Visto al cinema.


Ho letto molte critiche su questo film, per lo più insulti per l’onore ferito di un’Italia che non è più quella mostrata in questo film, quello di una Roma da cartolina, quello di una serie di cineasti che si indignano in quanto Allen non mostra la parte becera di una nazione fatta di escort e disoccupati…

Obbiettivamente sono tutte critiche patetiche. Woody Allen sta facendo un film comico, perché dovrebbe fare critica sociale (che non fa più dagli anni ’70)? Ambienta il film a Roma e la città è lo scenario in cui i personaggi si muovono, non ha la pretesa di mostrare cosa sia Roma, così come in “Vicky Cristina Barcelona” la proloco locale gli deve aver chiesto di inquadrare i monumenti più importanti, ma poi Allen ci imbastisce la storia che vuole. Infine i personaggi ed il clima è quello del nostro cinema anni ’50, il che è vero, evidentemente Allen li è rimasto (mettiamo pure che sia lui che non si aggiorna, ma c’è anche la possibilità che non ci sia più nulla di interessante da guardare…).

Detto ciò il film è effettivamente brutto, ma di quel brutto a cui Allen ha già abituato abbondantemente in tutte le sue pessime commedie degli anni ’90. Anzi dirò di più, in questo film qualche sprazzo c’è, l’episodio con Allen come attore ha in parte quell’idea anarchica di comicità tipica dell’autore di Manhattan. Cosa che nei film dei nineties non c’era… e poi siamo onesti, quanto funziona oggigiorno la comicità di Allen? Non lo chiedo ai suoi giannizzeri che lo idolatrano a priori, ma in linea di massima la sua ironia è inalterata, la comicità invece non è più al passo coi tempi.

Bisogno sottolineare la totale incapacità della gran parte degli attori italiani che più in la del macchietti stico faticano ad andare. E invence personalmente promuovo l’episodio con Baldwin, che andando nel già visto dei temi alleniani dell’amore impossibile, del tradimento e degli intellettuali upper class tutti nevrosi e storia dell’arte, andando li riproponendo i suoi temi di sempre ottiene lo stesso buon risultato delle prove precedenti.

Il peggior Woody Allen degli ultimi anni, ma tutto sommato un film che si guarda senza difficoltà.

martedì 21 agosto 2012

Agente 007, una cascata di diamanti - Guy Hamilton (1971)

(Diamonds are forever)

Visto in tv.


Dopo la disfatta al botteghino del film precedente, i produttori si sentono in dovere di richiamare i veterani. Il che, tradotto, vuol dire soltanto richiamare Sean Connery. Il povero attore scozzese è un poco imbolsito dagli anni, ma la presenza scenica ancora ce l’ha, il problema semmai è che lui da solo non fa un buon film.

Alla regia c’è Guy Hamilton, che pur essendo parte del gruppo originale di creatori della serie, evidentemente è il figlio venuto male, e non risulta in grado che creare qualcosa di decente. Il film manca di tutto, il ritmo è assente, gli inseguimenti ridicoli (soprattutto se in confronto con quelli del film precedente), la storia poco interessante e soprattutto si aggancia a quella precedente con un originale James Bond in cerca di vendetta per la moglie uccisa… però purtroppo l’idea si perde subito dopo i titoli di testa e torna ad essere lo scugnizzo di sempre.

Poi semplicemente le idee buttate nel film superano troppe volte il limite del ridicolo o del verosimile, gli esempi sono moltissimi: la fuga con il modulo lunare, la macchina che viaggia su due ruote, la lotta con le pin up bambi e tamburino, il doppio scambio di nastro o tutta la pessima aggressione finale.
Se si aggiunge che non c’è un vero e proprio nemico con appeal, ne i due sicari e neppure Blofeld è più quello di una volta. Spiace dirlo, ma è la prima vera e propria delusione.

giovedì 16 agosto 2012

Sud sanaeha - Apichatpong Weerasethakul (2002)

(Id.) aka Blissfully yours

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Apichatpong Weerasethakul (che da ora chiamerò Joe come ama farsi chiamare) è il regista che vinse, a sorpresa, la palma d’ora al festival di Cannes del 2010, edizione che viene menzionata negli annali come la meno interessante da quella del 1968. Ora, io sono una persona filologicamente corretta e ci tenevo a vedere quel famoso “Zio Boonmee” senza preconcetti e conoscendo il passato del regista. Senza usare francesismi e cercando di non scadere nel pecoreccio mi sento di poter dire che Joe ha un bel passato del cazzo.


Questo è un film totalmente inutile. Un film di 2 ore totalmente inutile è una cosa che ti fa odiare chi l’ha fatto. Per dirla brevemente il protagonista è un ragazzo birmano che tutti pensano non parli e che ha un grave problema di pelle secca (giuro) che vive con una ragazza che se lo farebbe in ogni salsa e un donna che non ho capito che rapporto abbia con la ragazza. La storia parte da qui e mostra i 3 che se ne vanno a fare un picnic, la donna con il suo compagno, ma poi lui fugge a inseguire un ladro e lei si perde nella foresta e vagando a caso e prendendo oggetti da terra per metterseli addosso incappa nel protagonista e nella ragazza impegnati in una importante felltio. Poi le due donne fanno un bagno nel fiumiciattolo, la donna torna a riva, si corica, fuma e piange mentre la ragazza si corica, accarezza il pene del protagonista e si addormenta. Il film è realmente tutto qua.
L’unica cosa che si può pensare a questo punto è WTF?

Poi uno magari ci ripensa e dice, si vabbè, ma anche a raccontare la trama di un fil di Malick si eprde la voglia di vederlo, però poi lui è bravo. Ecco Joe proprio non è brava, le inquadrature sono tutte banali e con il pilota automatico, la fotografia inesistente, la sceneggiatura era un foglio bianco e poi credo ci fosse una sfida a far finire ogni scena almeno 10 minuti dopo la conclusione dell’ultima scena utile.
E come se non bastasse i titoli di testa arrivano dopo 45 minuti di film.

Io odio profondamente Joe.

sabato 11 agosto 2012

La caduta della casa Usher - Jean Epstein (1928)

(La chute de la maison Usher)

Visto in DVD.


Appunti mentali sparsi mentre guardavo questo film, saranno ripetitivi e confusi, ma il messaggio che deve passare è che questo è uno dei film muti più belli che abbia mai visto:

Film affascinante che crea fin da subito il giusto clima con il suggerimento di un ambiente ambiguo tramite l’uso delle ampie location, di oggetti evocativi (come l’arpa dietro cui viene inquadrata per la prima volta la donna) e l’uso delle fiamme e delle ombre. Poi arriva il senso di inquietudine e un aggravarsi di una follia persistente nell’ambiente e questo mood viene perfettamente evocato da un montaggio intelligente che a tratti si fa insistito e che fa da contraltare alla musica, con la ripetitività di alcune immagini, alcuni rapidi movimenti della macchina da presa, l’utilizzo del tempo atmosferico dove il vento è il veicolo principale della follia (si veda anche solo il contemporaneo “Il vento” di Sjöström). 
Quando poi la donna muore il film vira verso l’espressionismo vero e proprio con gli interni del palazzo e la tomba, la sovrapposizione di immagini (le candele) e una macchina da presa che sottolinea di continuo l’effetto che il tutto ha sul protagonista con un ondeggiare instabile (bellissima la sequenza della bara portata attraverso i campi). Poi il film accelera e dalla maggiore stabilità e lentezza delle prime scene tutto si fa via via più veloce, le scene più piene e l’insieme più caotico. Bellissimo.

Uno dei film muti più godibili ed efficaci che abbia mai visto con una cura delle immagini impressionante (ogni scena, specie nel finale è curatissima). Difficile indicare alcune sequenze meritevoli perché tutto il film (poco più di un’ora di durata) è un susseguirsi di momenti azzeccati.

Ciò che colpisce è l’uso perfetto di ogni ingrediente che fa un film, su tutti il montaggio nella scena del protagonista che suona la chitarra e la macchina da presa sempre mobile che insegue o è inseguita dai personaggi (oppure danza con loro nella bellissima sequenza del ritrovamento del cadavere). Si insomma Jean Epstein  sa quello che fa e l’utilizzo di tutte le sue armi per rendere il senso di ogni scena è tale da renderlo invidiabile e difficilmente ripetibile ancora oggi.

lunedì 6 agosto 2012

Trollhunter - André Øvredal (2010)

(Trolljegeren)

Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in italiano.


Tre studenti dell’università si mettono sulle tracce di un misterioso bracconiere d’orsi per farci un documentario alla Michael Moore (pensa te che problemi che hanno in Norvegia). Quando finalmente si faranno accettare dal cacciatore scopriranno che le sue prede sono molto diverse; è un cacciatore di troll.
Non amo l’idea del found footage che davvero vuole far credere che quanto si sta per vedere sia vero (l’idea è molto insistita nell’incipit e nel finale), anche se alla fin fine non è troppo fastidiosa la macchina a mano e il sistema rende più realistico l’insieme, quindi al di la dell’ingenuità con cui è usata, l’idea funziona.

Detto ciò il film è proprio ben fatto, la storia regge bene, costruisce un sistema che i nerd apprezzeranno per i dettagli tecnici (c’è una spiegazione fantamedica per giustificare il fatto che i troll esplodano o si trasformano in pietra qualora esposti alla luce del sole; più molte note sulle caratteristiche zoologiche di questa specie animale), mentre i meno nerd (ma sempre diversamente cool) lo apprezzeranno per il tono generale non troppo da addetto ai lavori e molto da film di mostri.

Una nota positivissima gli effetti speciali sempre all’altezza (giusto in una scena la sospensione dell’incredulità vacilla per la poca realtà del mostro).

giovedì 2 agosto 2012

C'era una volta in Anatolia - Nuri Bilge Ceylan (2012)

(Bir zamanlar Anadolu'da)

Visto al Cinema.


Alcuni poliziotti, un procuratore, un medico e alcuni militari si muovono per la sperduta provincia dell’Anatolia in base alle confuse indicazioni di un uomo reo confesso per omicidio, cercano il cadavere. La ricerca si protrae molto a lungo e solo la mattina successiva verrà ritrovato il corpo, verrà portato in ospedale e ne verrà effettuata l’autopsia.

Un film particolarmente metafisico per Ceylan che si applica però con la stessa cura maniacale nella confezione, delineando alcune delle scene più belle (soprattutto per la fotografia) nella lunga sequenza notturna, riuscendo letteralmente a parlare con l’accostamento di fonti di luce e buio, con i colori saturi e con la composizione delle immagini. A livello puramente estetico la seconda parte, quella sotto la luce del sole perde moltissimo, la fotografia degrada e l’impatto e notevolmente diminuito.

Detto ciò Ceylan mai come in questo caso crea un film in cui la trama risulta sostanzialmente inutile e la storia si compone delle microstorie dei numerosi protagonisti che hanno tutti il loro momento di gloria (nella parte in notturna non si riesce proprio a distinguere un protagonista unico). Ma la cosa ancora più affascinante è che i personaggi non sono nulla di speciale, uomini banali persi nei loro problemi personali di piccolo (o grande) conto, con caratteri delineati, ma assolutamente non comprensibili; il loro passato non conta, Ceylan fotografa un momento specifico, le relazioni che si creano ed i loro pensieri relativi a queste relazioni. Ma la cosa decisamente più efficace è che riesce  in tutto questo pur usando silenzi più eloquenti delle parole (inutile dire che la scena della figlia che porta il te parla per tutto il film) e nonostante ciò riesce ad essere godibilissimo, a tratti addirittura divertente…
…almeno per la prima parte, quella di notte, che risulta sostanzialmente impeccabile… la seconda purtroppo perde moltissimo. Si delinea un protagonista che orienta le opinioni di chi guarda, come si è detto l’estetica crolla, la trama si fa più pesante e complessivamente la sequenza in diurna risulta decisamente troppo lenta e troppo lunga… e quest’ultima caratteristica in un film di 2 ore e mezza ha un peso notevole.

Complessivamente riesce comunque a farsi ricordare come un’esperienza, quantomeno, interessante.