giovedì 29 ottobre 2020

Solo gli amanti sopravvivono - Jim Jarmush (2013)

(Only lovers left alive)

Visto su Amzon prime.

Credo che uno dei problemi principali della saga di Twilight non sia stato quello di far sembrare cretini pure i vampiri, bensì dare l'idea che chiunque voellse "svecchiare" l'immagine del conte Dracula fosse il ben venuto (almeno al botteghino). Non mi capacito altrimenti di come mai Jarmush, nel suo periodo meno ispirato di sempre, dopo il suo film più pretestuoso e pretenzioso (che giustamente nessuno ha mai visto) in assoluto (almeno fino a questo) decida di dare a sua versione del vampirismo e riempirla di altezzosità e snobismo da far venire le lacrime agli occhi.

Il film è sostanzialmente senza trama e serve solo a veicolare la sua idea di vampiri come lite culturale di questo pianeta che tollera (e talvolta prova pietà, raramente ammirazione) per gli esseri umani. I vampiri sono gli unici in grado di apprezzare (e creare) arte (almeno musica e letteratura) e sono gli unici a vivere davvero la vita; non sono più i voraci divoratori di uomini e, anzi, disprezzano chi si diletta ancora in attività così basse.
Un'idea che è snob, inutile e senza attrattiva, autoconsolatoria e autoindulgente che raggiungi picchi di imbarazzo impressionanti quando per consolare un aspirante suicida gli suggerisce che ci sono molte cose che può fare come "contemplare la natura, coltivare la gentilezza e le amicizie, danzare".
C'è anche un insistere sul name dropping di personaggi famosi incontrati, supportati o che erano vampiri, come se continuare a fare gag poco divertenti su Shakespeare o mettere una foto di Poe desse spessore al racconto.

Un film che è più che inutile, ma è proprio fastidioso, che non da nulla alla poetica del regista, ma che almeno è fotografato bene; almeno c'è un passo avanti rispetto a "The limits of control".

lunedì 26 ottobre 2020

La grande scommessa - Adam McKay (2015)

(The big short)

Visto su Netflix.

La crisi del 2008 è stata causata dall'inadeguatezza del sistema finanziario di capire quanto male stava facendo (oltre che dal disinteresse) era prevenibile e prevedibile. Alcune (poche) persone l'hanno prevista... e ci hanno guadagnato. Questa è la storia di 3 gruppo indipendenti e di come hanno gestito la possibilità su una crisi in un settore che non poteva andare in crisi.

Nel suo primo film senza Ferrell, Adam McKay si butta sulla commedia impegnata, parla di alta finanza e di crisi dei mutui e lo fa con piglio moralista ed educativo prendendo a mani basse dai predecessori.
La grande scommessa è, infatti, un furto continuo a "The wolf of Wall Street" e, in parte, a Michael Moore.
Moore è presente soprattutto all'inizio e nella descrizione di quello che sarebbe dovuto succedere; immagini di repertorio ben utilizzate e molto ritmate, la voce fuori campo, uso enfatico dello schermo nero e molto, molto ricatto emotivo.
Scorsese è invece ovunque. Dalla fotografia, all'uso della musica, dal montaggio alla visione morale della finanza come covo di malvagità che, pertanto, deve essere punita fino alla rottura della quarta parete.
L'effetto finale lungi dall'essere solo un compitino è un ottimo prodotto, un film su un argomento ostico (uno dei meno interessanti di sempre, almeno per me) trattato con la giusta leggerezza e un ritmo invidiabile che punta tutto sullo stupore dei suoi personaggi per quello che scoprono e non tanto sui meccanismi reali che vi hanno portato; un film che funziona.
Ottima prova d'attori che in qualche caso (per esempio tutto Bale) avrebbero dovuto essere trattenuti un poco.
Unico vero e proprio neo le sequenze con personaggi famosi (Robbie, Bourdain, Gomez) che spiegano concetti difficili al pubblico; momenti piuttosto pretestuosi che al di là della simpatia iniziale sembrano una versione moderna e fighetta di Troy McClure.

giovedì 22 ottobre 2020

Poor cow - Ken Loach (1967)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Una neo mamma è sposata con un uomo che la maltratta e che vive di furti, finito in galera andrà a vivere con un amico del marito, stesso problema per portare a casa i soldi, ma è gentile e realmente innamorato... finirà pure lui in carcere.

Primo film per il cinema di Ken Loach (aveva già realizzato degli episodi la BBC) è un figlio del free cinema di quegli anni, con già presente lo sguardo sociale che il regista sfodererà negli anni, senza troppa politica e con grandissimo sentimento per i suoi personaggi.
Quello che viene fuori è un film sul lato b della società inglese, l'altra faccia della swinging london, ma senza che vi siano ricerche di giustizia o responsabilità politica, anzi, con un animo leggero lontanissimo dal dramma (che vi si accenna solo nel finale, ma è questione di una sequenza che si risolve per il meglio).

Regia al servizio degli attori che si lancia in giochi di montaggio che rompono la ripetitività (la preparazione della zia per la serata). Cast adatto, ma con qualche caduta, una protagonista che perfetta e la presenza di Stamp che è sempre magnetica anche quando non fa il pazzo.

Il film è godibilissimo e vive interamente sulle spalle della sua protagonista, una donna nel contempo succube della società da cui si lascia tiranneggiare senza accorgersene (il rapporto con il marito) , ma dallo spirito libero quando messo nelle condizioni di esserlo. Figlia del suo tempo, ma non puritana, vive con serenità la sua vita in costante ricerca d'amore.
Non è un film positivo, né negativo, è solo un ritratto di una donna ricco di sentimenti.

lunedì 19 ottobre 2020

Mi gran noche - Alex de la Iglesia (2015)

(Id.)

Visto su Netflix, in lingua originale sottotitolato.

Durante la registrazione del programma televisivo per il capodanno si intrecciano i giochi di palazzo per avere più visibilità degli altri partecipanti

Ad Alex de la Iglesia piace la Tv (e dell'intrattenimento in generale), ci si sente a suo agio perché la vede come parte del proprio mondo, come estensione di quel grottesco e cinico multiverso che crea con i suoi film. Ci era già passato diverse volte da vent'anni a questa parte, ora ci torna con un tocco più farsesco, ma mai così efficace.

Appoggiato a una scrittura davvero convincente che riesce a dare spazio ad ognuna delle minuscole storie che vengono portate sul video, riuscendo a farle risaltare (nonostante alcune siano davvero dimenticabili), dando spazio agli attori e arrivando integrare e rendere credibile gli scontri fra star da una parte e le rivolte sedate dalla polizia dall'altra.
De la Iglesia dalla sua ci mette una messa in scena kitsch il giusto che esagera solo quando deve (i due cantanti), ma soprattutto un ritmo costante che non cede mai un secondo. Unica deflessione il finale alla "Hollywood party", un poco eccessivo e un poco troppo semplicistico (e quasi normalizzante)

Siamo lontani dall'epica tragica di "Balada triste", ma anche dalla profondità e dal cinismo di "La chispa de la vida"; niente di serio qui, solo una montagna russa, non c'è stratificazione, ma un divertimento viscerale che punta sul ritmo.

PS: Per chi segue il regista spagnolo da tempo questo film è anche una carrellata di tutti i volti iglesiani degli ultimi anni e, finalmente, fa partecipare direttamente il Raphael che cantava "Balada triste de trompeta" (evidentemente un suo guilty pleasure) nella parte di una caricatura di sé stesso magnifica. Vorrei un remake su questo film solo per vederlo interpretare da Gianni Morandi.

giovedì 15 ottobre 2020

Revenant. Redivivo - Alejandro González Iñárritu (2015)

(Revenant)

Visto su Netflix.

Selvaggio west (solo più a nord della media dei film di genere), lo scout di una spedizione rimane ferito da un orso, il gruppo lo lascia indietro accudito dal figlio (mezzo indiano) da un ragazzo e dall'uomo che lo odia di più (bella idea). L'antagonista ucciderà il figlio e abbandonerà l'uomo lasciando che freddo e animali facciano il lavoro sporco... spoiler, non lo faranno, e lui tornerà redivivo solo per ucciderlo.

Gigantesco e lussureggiante film di vendetta che impiega quasi un'ora per perpetrare l'abbrivio e il resto si dilunga i una lotta contro la natura per rimanere vivi.
Inutile nascondere che il pensiero viaggia subito a "Corvo rosso non avrai il mio scalpo", ma li differenzia la trofia, ipertrofico il film di Iñárritu, asciutto e diretto quello di Pollack.
Se il difetto è proprio nell'eccesso e nell'accumulo costante senza troppi motivi che gonfia il minutaggio in maniera artificiale; il film vince per il tono cupissimo che riesce a creare (dando vita ad un ambiente permeato dalla morte che viene dagli uomini, dagli animali, dal clima e dagli elementi naturali inerti) aumentando il titanismo dello scontro fra l'uomo e il resto del creato.
La messa in scena poi è perfetta (e con un'interesse maniacale alla verosimiglianza tramite CGI) per dare la giusta voce a questo scontro; una serie di inquadrature incredibili degli sfondi naturali (con l'occhio clinico di chi sa inserire ogni elemento su più piano) fotografato con Malick in mente (e infatti in entrambi c'è Lubezki).
Sineddoche del film la scena  dello scontro iniziale con gli indiani, morte ovunque, che si muove senza un ordine preciso, fango, acqua alberi e frecce che trasudano violenza e che si muovono con il disinteresse e la rapidità di una valanga.

Fosse stato più stringato e con mezz'oretta in meno, sarebbe un film di vendetta perfetto.

martedì 13 ottobre 2020

Peluca - Jared Hess (2003)

(Id.)

Visto qui, in lingua originale.

Per cercare di dimenticare (il comunque dimenticabilissimo) "Masterminds" ho cercato l'unico film di Hess che ancora mi manca, "Don Verdean".
Non trovandolo ho ripiegato su "Peluca", il primo corto da cui tutto è nato. Di fatto l'ispirazione per il primo lungoimetraggio "Napoleon Dynamite".
Opera a basso costo, girata in bianco e nero con una trama breve ed esilissima (la ricerca di una parrucca per uno dei coprotagonisti).

Il corto serve al regista a veicolare due cose il suo mondo di emarginati e il suo personaggio principale.
Il mondo è accennato, c'è una sorta di world building realizzato unicamente dai personaggi principali che lo popolano, le loro dinamiche, la loro presenza scenica; meno invece la regia, meno incisiva (siamo agli inizi, non ha ancora una voce propria) e assente la messa in scena che arriverà dopo.
I personaggi sono assolutamente in linea con i successivi; il protagonista è già identico a quello del lungometraggio (letteralmente identico anche per l'aspetto) e le due spalle delineano perfettamente l'outsider dolce e sfigato di Hess.

Se non fosse il prodromo di qualcosa di più sarebbe carino, ma poca roba; materiale insospettabile per un lungometraggio, coraggiosa MTV a finanziarlo all'epoca.

lunedì 12 ottobre 2020

Mastermind. I geni della truffa - Jared Hess (2016)

(Masterminds)

Visto su NowTv.

Jared Hess è uno dei registi indipendenti più personali e interessanti in circolazione, ovviamente è anche il mio preferito. Caratterizzato da personaggi dai connotati chiarissimi, immersi in un mondo a sé e con un'estetica (che arriva fino alle scelte di regia) pesantissima e molto riconoscibile. Sforna pochi film tutti molto simili (le tematiche sono sempre quelle), ma come i registi migliori (si legga pure Allen) si ripete rimanendo sempre originale.
In passato preconizzavo che la sua forza sarebbe diventata il suo limite rimestando nel già visto e nel banale e morendo sotto il peso del suo armamentario visivo.
Il passaggio a un cinema più ricco invece mi ha smentito, la sua morte (per ora) è stato l'abbandono dei suoi cliché.

Il film è comico demenziale con attori più o meno di peso in quel settore e nient'altro che sia in grande spolvero. La trama si concentra a costruire un film adatto per gli orfani di "Una notte da leoni" riuscendoci in parte, ma perdendo tutto in originalità.
Hess dal canto suo conduce si una storia di outsider, ma che nella tradizione hollywoodiana sognano il sistema e ne entreranno a far parte; per il resto il regista si limita all'abbigliamento del protagonista, qualche Personaggio spalla (la moglie è l'unica completamente alla Hess, impassibile, comica per il modo di porsi e non per quello che dice) e per una certa atemporalità ( il film potrebbe essere ambientato negli anni '80 come l'altro ieri).
Sembra quasi che dopo l'incipit (la presentazione dei due protagonisti in maniera quasi statica e una comicità puramente fisica, fino allo shooting fotografico) il regista si sia messo da parte. Proprio quell'inizio ci illude di come sarebbe potuto essere un'opera di Hess con i soldi, ma è troppo poco.

giovedì 8 ottobre 2020

Junun - Paul thomas Anderson (2015)

(Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Nel 2015 Jonny Greenwood (chitarista dei Radiohead e amicone di P. T. Anderson) va in India per incidere un album con il polistrumentista Shye Ben Tzur e un gruppo di fiati e corde indiano. Ovviamente per il filmino delle vacanze di portano dietro Anderson.
Umilmente il regista non si accredita se non come operatore e, tecnicament,e il documentario è senza regia. Un manovra che sembra più che altro un lavarsene le mani o un disimpegno per fare un video che non è niente di più che un passatempo. ovviamente questo disimpegno si vede.

Le scelte di regia ci sono e sono molte e molte sono quelle poco giustificabili. La macchina da presa che perde la messa a fuoco, i movimenti eccessivamente liberi che sottolineano solo il cambio di idea improvviso, il contrarsi sui piccioni che entrano nella sala di registrazione o i falchi sui merli del forte.

Davvero siamo dalle parti dei filmati delle vacanze con intermezzi musicali (questi si molto belli), una sorta di making of dell'album che non avrebbe sfigurato come extra nei DVD che i gruppi facevano uscire a cavallo tra gli anni '90 e gli anni '00; una delusione però l'assenza di interesse dello stesso Anderson.

martedì 6 ottobre 2020

Il caso valdemar - Gianni Hoepli, Ubaldo Magnaghi (1936)

(Id.)

Visto su Cineteca di Milano.

L'opera unica, al cinema, di Hoepli (l'istrionico nipote del fondatore dell'omonima casa editrice) e una delle pochissime opere dell'ancor meno conosciuto Magnaghi è un cortometraggio muto (in pieni anni '30!) eccezionale.
tratto dal noto racconto di Poe che parla di ipnosi su un moribondo che ne allunga la premorte; questo cortometraggio sembra l'opera di un regista navigato che conosce alla perfezione gli stilemi dle muto, ma che li fonde con acxcortezze contemporanee.
La breve durata e la ricchezza di idee di regia rende difficile fare un esempio univoco, ma basta l'incipit a entusiasmare; i due registi fanno di tutto: la presentazione dei personaggi con primi piano arrivati dopo un movimento verticale (e un gioco di montaggio con la statua), inquadrature da dietro il pendolo, primissimi piani evocativi, cambi di luce nella stessa sequenza, inquadratura da sotto il tavolo. In quell'inizio viene fatto di tutto per rendere tollerabile e dinamica una seduta spiritica in cui non succede praticamente niente, ma si rimane subito conquistati.
Bello anche l'intermezzo che mostra il passare dei mesi, semplice, ma giocato benissimo con un montaggio rapido.
In pochi minuti viene costruito un film con cui non si può non empatizzare e in cui non ci si può non perdere. Duole solo sapere che questo è un unicum nel panorama italiano.

PS: notare che ho elogiato il film senza neppure commentare gli effetti speciali durante la marcescenza rapida del cadavere per il quale viene considerato (con qualche eccesso) il primo horror/gore italiano.

lunedì 5 ottobre 2020

L'étoile de mer - Man Ray (1928)

(Id.)

Visto su Cineteca di Milano.

Ispirato dalla poesia utilizzata come intertitolo, a sua volta ispirata da una stella marina (intesa come simbolo dell'amore perduto) venne realizzato da Man Ray con l'ottica di farne un film surreale, quindi solo parzialmente narrativo.
La vicenda narrata è una confusa versione di un triangolo amoroso in cui l'intento del regista è però quello di far affiorare il lirismo a scapito della narrazione       
Ovviamente la parte del leone è la componente tecnica. Al di là di sovraimpressioni, simbolismi e di una sequenza con oggetti che ruotano l'idea determinante è l'uso di una lastra fotografica dell'epoca messa davanti all'obiettivo per dare un senso di vetro smerigliato a tutte le sequenze determinanti.
L'intento è variegato; propone scene scabrose senza rischiare censure poiché non chiaramente visibili, in alcune sequenze da un'impressione come di pennellata, ma soprattutto rende inintelligibili i dettagli aumentando il simbolismo.
A fronte di un'idea molto arty e poco pratica il film si rivela vagamente godibile con alcune sequenze che riescono nell'intento di dare poesia nelle piccole cose (anche aiutate dalla colonna sonora) come nella sa dei giornali trasportati dal vento. però è un po poco per rendere la visione più che dimenticabile.

giovedì 1 ottobre 2020

Mom and dad - Brian Taylor (2017)

(Id.)

Visto su Amazon prime.

Come fossimo in un film di zombi anni '60, un'ondata di follia omicida contagia l'america, ma è una follia omicida molto circoscritta: i genitori vogliono uccidere i propri figli, di qualsiasi età.
Prendendo a piena mani da Romero (la fuga dalla scuola, le notizie tramite la tv, addirittura certe inquadrature all'ospedale) Taylor vuol mettere in scena la sua versione dell'apocalisse horror, ma senza intento politico o sociologico, solo con tanta voglia di divertire e prendere in giro.
la trovata della follia genitoriale da l'assist per una serie di scelte grottesche, potenzialmente fino allo stremo, che Taylor decide di sfruttare solo in parte per poi ripiegarsi in una sorta di home invasion.
se l'idea di fondo è potenzialmente esplosiva così non è il risultato finale. Il film ha un enorme problema di scrittura. Non c'è un collante unico vero e proprio, inizia con una serie di scene più o meno efficaci (bene, ma migliorabile la scuola, bene l'ospedale, unica sequenza di vera tensione) meno bene la casa dell'amica ecc...) che però risultano sempre claudicanti, gestite con troppa fretta come a voler passare all'idea successiva, ma soprattutto slegate. Quando poi si arriva al gioco del gatto col topo in casa ci si infila in un anticlimax che ammazza l'ultima parte e il finale che non conclude niente sa solo di pigrizia e non di finale aperto.
Il film è simpatico, porta a casa il risultato di minima... e poi diciamoci la verità, il film si salva e risulta godibilissimo grazie a Cage.
Non mi sono reso conto i quale momento Cage sia diventato attore apprezzato per il suo overactig (certo l'ha sempre avuto, ma non credo che fosse la prima scelta per le sue faccette all'epoca), qui però è chiaramente la scelta più azzeccata e viene chiaramente chiamato a salvare la baracca (e si mangia pure una Blair obiettivamente brava).