venerdì 29 luglio 2016

Gli amanti crocifissi - Kenji Mizoguchi (1954)

(Chikamatsu monogatari)

Visto n Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Il dipendente di uno stampatore imperiale è segretamente innamorato della di lui moglie; per una serie di circostanze (ma senza che vi sia stato nulla) vengono considerati amanti. Lui decide di andarsene e lei, che ha scoperto invece i tradimenti del marito, decide di seguirlo. Durante la fuga i due si innamoreranno davvero, ma dovranno continuamente muoversi poiché la pena per i fedifraghi è la crocifissione. Lo stampatore intanto cercherà di metter tutto a tacere per non perdere la faccia... e le commesse.

Dramma in costume tratto da un'opera d'epoca (circa 1600) e se ne sente decisamente l'influsso, con sentimenti trattenuti, amori ideali finali tragici. Mizoguchi ovviamente ci sguazza.
Gestisce con una calma impressionante il tema; costruisce (con una regia fissa) una serie di immagini perfette, senza sbavature, quasi gelide anch'essa; ma che riescono a contenere alcuni picchi di lirismo inaspettati (la confessione dell'innamorato sulla barca sul fiume).
Niente è fuori posto e niente è in eccesso.
Affascinante anche lo sviluppo della trama dove i due favoleggiati amanti lo diventano proprio perché ne sono accusati, mentre il destino li caccia e li punisce nonostante tutti si adoperino affinché non si sappia nulla.

Affascinante e poetico, ma non rapido o perfettamente godibile, il ritmo è trattenuto quanto i sentimenti e il rischio di sbadigliare è dietro l'angolo.
Complessivamente inferiore del, poco, precedente "I racconti della luna pallida d'agosto".

lunedì 25 luglio 2016

13 Tzameti - Géla Babluani (2005)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Meno si sa di questo film e meglio è, perché la tensione creata dal sapere poco o niente (al pari del protagonista) è decisamente migliore.
Per chi vuole sapere qualcosa in più, parla di un giovane manovale georgiano che, sistemando il tetto di una casa privata si imbatte in strane discussioni piuttosto oscure che fanno riferimento a qualcosa da fare a Parigi dove si guadagnano un sacco di soldi. E poi si imbatte nella lettera di invito per questa attività completamente sconosciuta.
(qui si c'è un pò di spoiler alert) Il ragazzo entrerà in un mondo di scommesse clandestine tra le più estreme, vi entrerà per sbaglio, ma non potrà uscirne fino alla fine delle sfide.
(stop spoiler alert).

Per chiunque non voglia saperne niente... beh si sappia che è un thriller, un film di tensione puro senza indagini, senza azione. L'inizio è un poco lento, non per il ritmo vero e proprio, ma per la totale mancanza di informazioni che si hanno in mano.

Incredibile opera prima di un figlio d'arte che azzecca perfettamente il mood senza speranza fin dall'inizio; si muove con decisione in una specie di mystery disseminato di indizi per giungere (finalmente) al nocciolo della questione dove presenta una sequela di scene ripetitive sempre con punti di vista diversi, movimenti di camera dinamici e occhio sempre nuovo in un crescendo di tensione efficace (anche se, e qui c'è l'unico neo, la tensione poteva essere anche superiore). E per finire riesce anche a ottenere un finale più amaro di quanto ci si aspetterebbe.

Se l'operazione dietro la macchina da presa è lodevole fin dall'inizio (e da il meglio di sé nell'oscuro finale), va però sottolineata la fotografia che sfrutta un arido bianco e nero per aumentare il senso di claustrofobia. Nella prima metà il film è soprattutto bianco, sfruttando gli esterni ariosi e interni illuminati; la seconda parte invece gioca tutto sul nero, in interno soffocanti ed esterni notturni che quasi fanno invidiare gli esterni.
Inoltre è perfetto il lavoro fatto nella celta degli attori per la parte finale, una galleria di freak o emarginati, ognuno per motivi diversi, ognuno normale se preso da solo, ma buttati insieme costruiscono un perfetto effetto zoo.

Duro, spietato, senza speranza e realizzato da dio.

venerdì 22 luglio 2016

Due occhi diabolici - Dario Argento, George Romero (1990)

(Two evil eyes)

Visto in Dvx.

Due storie ispirate ai racconti di Poe, la prima (girata da Romero) è un adattamento in chiave moderna del caso aldermar. La seconda (di Argento) è un mix di citazioni inserite in una storia basata su "Il gatto nero".

Di per sé l'operazione è molto affascinante; due maestri del cinema di nicchia, rielaborano secondo il loro mood dei racconti del maestro dell'inquietudine.
Purtroppo quello che ne viene fuori è, nell'insieme un burtto film.

Ad abbassare l'umore generale è l'episodio di Romero. Il racconto di Poe è preso e inserito in una storia di amanti ed eredità (il signor Valdemar viene mesmerizzato per tenerlo in vita in maniera tale da fargli "firmare" documenti nonostante il grave handicap della morte...), poi Romero, che ha un riflesso condizionato, improvvisamente trasforma tutto in un film di zombie. Efficace il dialogo dall'aldilà, ma tutto il resto non funziona. Ritmo assente, struttura narrativa noiosa (il racconto originale di Poe è affascinante, ma già di per sé è uno dei meno avvincenti) gestione della regia con il pilota automatico, fotografia imbarazzante. Giuro questo segmento è la morte dell'interesse.

L'episodio di Argento è un film con gli usuali problemi di sceneggiatura quando i regista (anche writer ovviamente) non si pone dei limiti. L'episodio è una versione de "Il gatto nero" con un gatto particolarmente satanico, ossessivo, profetico e con un'incredibile capacità di non morire e di entrare nei sogni; il tutto condito con continui riferimenti ad altri racconti dello scrittore (meraviglioso, a dirla tutta, l'incipit con la scena del crimine de "Il pozzo e il pendolo").
Nonostante l'eccessiva voglia dis trafare il segmento argentiano regge benissimo, perché si avvale di un ottimo Keitel che porta avanti con incredibile coerenza la trama raffazzonata e perché dietro la machcina da presa c'è un Argento nella sua seconda fase positiva. Si muove come faceva negli anni '70, crea sequenze efficaci (il rapido finale) e costruisce scene d'impatto (l'incipit, il ritrovamento del gatto nel muro), ma soprattutto gestisce la macchina da presa con la grazia dei decenni passati, danza con le immagini e ti fa ricordare perché una volta era considerato il più grande.

venerdì 15 luglio 2016

Mammina cara - Frank Perry (1981)

(Mommie dearest)

Visto in Dvx.

La storia del rapporto fra Joan Crawford e la sua prima figlia (adottata). Un rapporto fatto di sbalzi d'umore, picchi maniacali e aggressioni fisiche oltre ogni buonsenso.

Diciamolo subito, ovviamente non è il peggior film del decennio e neppure il peggiore del 1981 (i Razzie award sono una splendida consuetudine, ma sono spesso esagerati)
Di fatto è un film basato sulla biografia scritta proprio dalla prima figlia e dunque estremamente di parte.
Quello che ne viene fuori è un film piuttosto lungo che trascina il concetto base di un rapporto madre-figlia disfunzionale. Indimenticabili certi picchi di follia inseriti nel film che, per me, sono la aprte decisamente più gustosa (la scena delle grucce è una delle più belle della storia del cinema, sottogenere matti).
Per permettersi dei picchi del genere il film si appoggia pesantemente su una Faye Dunaway titanica; imita perfettamente l'originale, risulta credibile nei momenti di follia più acuta, si umilia a più riprese e riesce a rendere tutti i sentimenti di un personaggio disturbato. Il fatto che questo film abbia, concorso al crollo della sua carriera è una enorme ingiustizia. Nel cast poi spicca Mara Hobel nei panni della figlia da bambina.
A questo si aggiunge un comparto tecnico impeccabile; delle ricostruzioni di interni che sono un tripudio di geometria liberty e costumi sempre impeccabili.
Purtroppo tra i pregi non si può aggiungere la mano del bravo Perry, in questo caso sottotono, quasi ininfluente.

I veri, enormi difetti del film sono due, la sceneggiatura strascicata e lunghetta, ma soprattutto l'obiettivo.
Fin dall'inizio sembra voler essere un racconto biografico del dietro le quinte di una grande star, ma lo fa con degli eccessi tali e senza un solo tentativo di approfondimento che diventa fin da subito un film a tesi. Io stesso credo che la Crawford non fosse del tutto in asse, ma questa lunga sequenza di sbalzi d'umore non rende il personaggio, ma fa solo gossip appiattendolo sull'idea che si vuole veicolare. Se fosse stata una generic attrice forse ci si poteva anche accontentare (un personaggio piatto creato a tavolino per parlare d'altro, cioè del rapporto con la figlia), ma hanno voluto fare nome e cognome; hanno voluto mostrare perché non si è presentata davvero agli Oscar (o altri episodi della sua vita reale)? Bene allora devi darmi di più, devi spiegare l'intero personaggio non solo il lato oscuro e devi raccontare anche quei fatti più famosi, ma che sono noti soli agli appassionati.
Alla fine nella scena finale credo si riveli il vero senso del film; è solamente la storia di come è stato partorito il libro della figlia e nient'altro. Idea buona, forse anche innovativa, ma gestita malissimo.

PS: ricordarsi sempre....

lunedì 11 luglio 2016

Senza pietà - Alberto Lattuada (1948)

(Id.)

Visto in Dvx.

Fine della guerra mondiale, una ragazza fugge verso Livorno per trovare i fratello che però non è più rintracciabile. entra quindi in contatto con il mondo di illegalità che gira attorno alle basi militari americane. Si innamorerà di un militare di colore e verrà adocchiata dal capo della malavita cittadina.

Interessante via di mezzo fra il neorealismo del dopo guerra e l'espressionismo.
Il neorealismo è ovunque; nella vicenda raccontata, nella scelta delle location (dove realmente imperversava la mala) e nella precisa volontà di mostrare i ruderi post bellici. Ruderi fisici (gli edifici sventrati che fanno da sfondo alla prima parte), umani (i personaggi senza etica, non cattivi, semplicemente al di là del bene e del male per poter sopravvivere) e morali.
L componente espressionista è tutta nella fotografia. Un bianco e nero pulito per poter sfruttare al meglio le ombre (si pensi alla fuga del militare americano); unito poi all'intelligenza di Lattuada nello sfruttare gli esterni in maniera estetica e nel ragionare sulla costruzione interna di ogni inquadratura.

La storia è buona (con il primo amore interraziale... che io sappia) nel descrivere un mondo in sfacelo dove (e qui si innesta il noir) è letteralmente più facile morire che amare. Quello che spiace è che non riesce a rendere perfettamente il senso di impotenza della protagonista; viene talvolta dichiarato, spesso percepito, ma non riesce a rendere ancora più drammatica una vicenda, sulla carta, totalmente nichilista (l'impossibilità di ritorno a Firenze, l'impossibilità a fuggire da Livorno, l'impossibilità di raggiungere una nave per gli USA o di sottrarsi agli interessi di quel mondo malavitoso).

Un film sorprendentemente buono che, leggo in giro sull'internet, fa il paio con il precedente (addirittura del 1946!) "Il bandito".

PS: prima apparizione di rilievo per la Masina.

venerdì 8 luglio 2016

Deadpool - Tim Miller (2016)

(Id.)

Visto in aereo, in lingua originale.

Un mercenario dallo spiccato senso dell'umorismo scopre di avere un male incurabile (com'è anni 50), per sopravvivervi si lascia sperimentare cose brutte e dopo una dolorosa tortura (che lo rende orribile) riceve il potere di curarsi ogni ferita. Sopravvive, ma cerca l'ambiguo scienziato che gli ha causato tutto per vendicarsi. Ah si, tutto questo per amore di una donna, perché, non va dimenticato, "Deadpool" è essenzialmente una storia d'amore.

Venuto fuori con un hype incredibile e realizzato grazie alla fastidiosa insistenza di Ryan Reynolds, "Deadpool" è un film incredibilmente buono.
Per prima cosa evita immediatamente il rischio principale, quello di cadere nella farsa. Deadpool è un personaggio a sé, con una sua autonomia e una sua incredibile consapevolezza di essere personaggio, che sfrutta il resto del mondo supereroistico (su tutte, le battute sugli X-men degli altri film) e cinematografico ("127 ore") per le sue gag in maniera consapevole e funzionale.
Le critiche ricevute sul fatto di essere un filma dolescienziale per regazzini che si divertono semplicemente se sentono dire "tette, culo, tette" è francamente una visione superficiale. Indubbiamente le battute a sfondo sessuale la fanno da padroni, ma lo spirito cretino da comico nato del protagonista si isnerisce in una storia totalmente anarchica che sono una delle cose migliori viste nel cinema comico dopo i film di Lord e C. Miller.

Infine la regia. Affidata alle impreparate mani di Miller è una sorpresa. Nonostante l'opera prima e la relativa esperienza in altri settori della produzione cinematografica Miller azzecca il ritmo (aiutato dall'intelligente alterazione della linea temporale) e coordina con dignità le scene d'azione (che con il loro fregarsene del rated R confezionano uno dei primi action non realizzati negli anni '80 con sangue evidente e con pugni e pallottole inquadrati dall'inizio alla fine).

In poche parole un film da vedere, rinfrescante, nella sua unicità, nel panorama dei film di supereroi e nell'action in generale.

lunedì 4 luglio 2016

The conjuring. Il caso Einfield - James Wan (2016)

(The conjuring 2)

Visto al cinema, in lingua originale sottotitolato in spagnolo.

La coppia di cacciatori del demonio agli ordini della chiesa viene mandata in trasferta in Inghilterra per indagare su una possibile possessione/poltergeist, su cui però gravano più di un dubbio. Durante l'indagine (ma anche prima dell'indagine) verranno perseguitati da una suora piuttosto inquietante che predice la morte di uno dei due.

James Wan torna a dirigere le avventure dei Warren dando il primo seguito a quello che, nel primo episodio, già si rivelava come il franchise horror perfetto. Nel farlo dribbla immediatamente la più scontata delle prosecuzioni toccando solo di sfuggita il caso di Amityville evitando imbarazzanti paragoni.
In ogni caso l'attesa per questo film era indubbiamente alta, grazie a una coppia di protagonisti che permettono di vedere il cinema horror con uno sguardo diverso dal solito (quello dei professionisti che non sono preda dell'orrore, ma che smontano tutte le dinamiche classiche che causano la tensione) e grazie a un primo capitolo che, nella prima metà, riusciva a creare una delle atmosfere di tensione migliori mai viste negli ultimi dieci anni.

Guardando questa nuova puntata si confermano le grandi capacità tecniche di Wan che da vita a uno dei film meglio realizzati della sua produzione, con una regia particolarmente dinamica e interessante che mette in atto alcune soluzioni visive davvero entusiasmanti (la sagoma fuori fuoco della ragazzina che diventa quella del vecchio mentro in primissimo piano vediamo a fuoco solo il viso di Ed Warren). Inoltre c'è la solita cura alla fotografia (aiutata da un'ambientazione anni '70 che fa il suo lavoro), ma che stavolta non pigia l'acceleratore su alcuni colori, ma si limita ad essere estremamente nitida e perfetta.

Per quanto riguarda la paura... beh, ce n'è. Siamo piuttosto distanti dai grandi risultati con pochi mezzi del primo, ma lo stato di tensione quasi continuo della prima mezzora riesce a essere efficace.
Quello che però viene eliminato è lo sguardo nuovo gettato dai Warren come personaggi; in questo film iniziano come i soliti professionisti borghesi dell'orrore, ma finiscono per esserne vittime loro per primi eliminando l'innovazione vera del primo film. Questo dettaglio piuttosto importante, legato a un minutaggio tracotante (oltre due ore) porta a chiedersi l'utilità reale di molte sequenze e verso il finale ad affossare il ritmo. Deludente anche l'uso improprio del CGI (di cui Wan è sempre parco, quindi basta poco per farlo uscire dalla media) e, come spesso nei film del regista, il finale esagerato e senza nerbo.

Complessivamente un buon film horror che però non regge il paragone con il precedente (e credo che io stesso lo consideri non completamente positivo proprio perché è un seguito di un'opera prima importante).

...Ci fosse stato più coraggio si sarebbe concluso con la scoperta di una truffa o con il dubbio ancora aperto.

venerdì 1 luglio 2016

Primer - Shane Carruth (2004)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Due amici ingeneri di quelli fini che lavorano nel garage stanno costruendo una macchina... non ricordo con quale scopo. Toh che fortuna, la macchina appena costruita viaggia nel tempo, ma solo tra due punti specifici (l'accensione e lo spegnimento); quindi niente visita ai dinosauri, ma sono abbastanza ore per poter giocare in borsa (vincendo) e per poter aggiustare un paio di problemi sociali. Ma si sa, a giocare con i viaggi nel tempo si finisce per creare paradossi.

"Primer" è importante perché ha dimostrato che la fantascienza a basso costo (se rinuncia agli effetti speciali) può funzionare benissimo. Con un'idea forte, una parte introduttiva che permette di spiegare (non troppo chiaramente) i meccanismi fisici alla base, un'estetica mumblecore e un ritmo da thriller si può creare qualcosa di ottimale. Senza questo film, forse non avrebbero mai realizzato quel piccolo gioiello di "Coherence".
Si la presa diretta della scifi da appartamento rende bene; se si superano i primi dieci minuti di supercazzole che giustifichino l'intera trama l'effetto finale è garantito.

Fatto con due euri si può soprassedere alla scarsa qualità dell'immagine; mentre non si può non notare l'intelligenza dell'idea (che introduce un viaggio nel tempo del tutto atipico) e un mood generale sempre inquietante (anche le chiacchiere fra colleghi dell'inizio hanno un effetto perturbante).

Non impeccabile, non chiarissimo, ma ha un'idea esportabile che rivitalizza un genere altrimenti preda solo delle grandi produzioni. E comunque rimane un film con una trama di prim'ordine dai colpi di scena assicurati.

PS: per chi proprio non riesce a capire come funzioni; qui sotto uno schema