lunedì 29 ottobre 2012

Il cattivo tenente: Ultima chiamata New Orleans - Werner Herzog (2009)

(The bad lieutenant: Port of Call - New Orleans)

Visto in tv.

Un ispettore di polizia tossicodipendente che frequenta una prostituta anch’essa con problemi di droga (ma ha anche un padre e una matrigna che non si controllano con l’alcol) si muove con disinvoltura fra indagini fatte con gratuita cattiveria, scommesse clandestine e abusi di potere oltre ogni dire. Trovandosi in difficoltà sempre maggiori dovrà ingaggiare una lotta per non affondare del tutto.
Decisamente non è un remake del film di Ferrara mancando completamente tutta la questione della redenzione. Qui si tratta solo di un documentario sulla vita del Male e basta. Il protagonista è un uomo dedito ad appagare se stesso e basta in ogni modo disinteressandosi degli altri, pertanto risulta dedito ad ogni atto abbietto, ma qui, in un film di Herzog non esiste redenzione e neppure un dio, pertanto i risultati del comportamento del protagonista sono influenzati solo da caso. Talvolta il male che Cage compie porterà risultati negativi, talvolta positivi, tutto è in preda al caos ed il protagonista s limiterà a restare il più possibile a galla.
Inutile dire che Nicolas Cage risulta grandioso nella parte.

Ciò che più fa piacere di questo film è come è realizzato. Torbido, scuro ed esteticamente esaltante; finalmente Herzog si mette all’altezza dei suoi documentari più belli (esteticamente) con un film di pura fiction. Veramente un film grandioso.

La location di una New Orleans post Kathrina è solo un modo per aumentare il senso di perdizione senza speranza e ci riesce benissimo, inserendo in maniera insistita molti rettili che, esattamente come i personaggi, risultano meri spettatori o, talvolta, vittime anch’esse di un destino cieco (quel povero coccodrillo…). Mi è invece oscuro il motivo di quei brevi inserti ironici/idioti piuttosto insistenti (la strepitosa sequenza dell’anima che continua a ballare o l’insistere sulle iguane che in realtà non esistono). 

PS: chi è quel tipo all'inizio che si è ingoiato Val Kilmer?

venerdì 26 ottobre 2012

Il primo dei bugiardi - Ricky Gervais, Matthew Robinson (2009)

(The invention of lying)

Visto in Dvx.

L’ottimo Ricky Gervais ci presenta un mondo in cui la menzogna non esiste, in cui gli esseri umani non sono fisiologicamente in grado di dire bugie e ci mostra come sarebbe la vita in quel caso (fatto salvo che la civiltà si sia comunque evoluta identica alla nostra nonostante tutto).

Che dire, nell'immediato la cosa funziona, l’effetto spiazzante dell’idea è buono, solo un po’ esagerato dal fatto che oltre a non mentire tutti parlino un po’ troppo delle cose che potrebbero omettere. Comunque sia condotto, il gioco funziona e mostra i rapporti sociali, lavorativi e famigliari come sarebbero in questo mondo fantastico… ma il gioco si rompe alla svelta; se all'inizio è decisamente originale il non sentire l’ipocrisia che tutti avremmo, dopo poco diventa ripetitivo e francamente prevedibile… Però succede che la madre del protagonista muoia e lui, per non addolorarla all'idea di un al di là inesistente si inventa il paradiso; nasce quindi la menzogna. Da qui il film cambia completamente, da una parte inizia la carriera del protagonista, essendo l’unico in grado di mentire può dire ciò che vuole, ma dato che tutti gli altri non conoscono neppure il concetto di bugia…semplicemente gli credono, qualunque cosa dica (concetto effettivamente affascinante tratto dai Viaggi di Gulliver). Anche qui il gioco è notevole, ma come tutti i bei giochi, dura poco e si ritorna alla ripetitività di prima. A ciò si può associare l’inevitabile storia d’amore in questa seconda metà a completare il quadro (non avrei mai creduto che anche Gervais ci sarebbe caduto).

In definitiva un ottimo soggetto molto difficile da rendere in una sceneggiatura… e si vede.

mercoledì 24 ottobre 2012

L'era glaciale 4: Continenti alla deriva - Steve Martino, Mike Thurmeier (2012)

(Ice age: continental drift)

Visto al cinema.

Scrat, nel tentativo di piantare la sua ghianda, causa una deriva dei continenti estremamente rapida separando all'improvviso i soliti tre (che andranno ad incontrare un gruppo di pirati) dalla famiglia del mammut.

La saga, dopo essere partita con un film tutto sommato completo di suo e reso totalmente originale dalla presenza di Scrat (un personaggio dalla fisicità e dalle dinamiche dell Looney Tunes) ha proseguito con un capitolo due decoroso e molto più rivolto verso i metodi della Disney. Con il tre hanno puntato sui regazzini con la grande moda anni '90 (ma che è un evergreen) dei dinosauri. Ora con questa (per ora) ultima fatica prendono due piccioni con una fava e alzano l'età media a cui vogliono piacere (agli adolescenti ovviamente), puntando sulla grande moda anni 0 dei pirati e contemporaneamente inseriscono anche un mini teen movie eternamente uguale a se stesso (ma che a me ha ricordato molto Bayside School).

Di fatto è proprio dai tempi della Disney più classica che non si vedeva un cartone più fieramente reazionario. In un decennio in cui le linee guida del film d'animazione non disneiano le ha introdotte Shrek (il primo capitolo intendo) rendendo d'obbligo il sovvertimento di ogni logica preconcetta; qui, la serie de L'era glaciale fa il lavoro opposto, tornando alla logica della famiglia più classica possibile e lavorando nella stessa direzione dei film di genere a cui si appoggia (come già detto il mini episodio del teen movie è talmente scontato e avrebbe potuto scriverlo chiunque).

Detto ciò il film diverte abbastanza (ci sono almeno un paio di battute fantastiche e il personaggio della nonna  bradipo che fa la differenza), intrattiene senza noia e dove perde colpi è a causa della follia di inserire una decina di nuovi personaggi in una saga che ne aveva quasi altrettanti.
Ecco dove sta il vero limite, se nel prossimo capitolo ci aggiungono qualcun altro faranno l'Ocean's eleven della preistoria.

PS: il film è preceduto da un bel corto dei Simpson con protagonista Maggie. Il perché ci sia non lo so proprio, ma bisogna ammettere che fa da perfetto contraltare essendo i Simpson uno dei cartoni animati televisivi più reazionari (pur nella loro originalità) degli ultimi anni.

lunedì 22 ottobre 2012

Chi giace nella mia bara? - Paul Henreid (1964)

(Dead ringer)

Visto in tv.

Sto per andare a letto quando accidentalmente in tv becco i titoli di testa di un film in bianco e nero; ci butto un occhio senza interesse, in maniera molto passiva. Quando compaiono i nomi di Bette Davis e Karl Malden uno dietro l’altro la curiosità mi prende prepotentemente (che film avranno mai fatto insieme quei due?!), quando finalmente vedo il titolo italiano mi rendo lucidamente conto che non andrò a dormire finché non arriverò ai titoli di coda...

Bette Davis interpreta due gemelle (!), una povera ed astiosa, l’altra svampita e ricca. La prima ama il marito della seconda che ha lasciato la prima perché la secondo era rimasta in... vabbè dai sta di fatto che per motivi lodevolissimi la Bette Davis povera uccide quella ricca e si sostituisce a lei dando vita ad una raffinata menzogna dove deve stare costantemente attenta ad ognuno; amici, parenti o servitù che sia. Tutto riuscirà abbastanza a stare in piedi fino all'arrivo dell’amante della sorella...

Ah già in tutto questo Karl Malden è un poliziotto amico/innamorato della Bette Davis povera, ma astiosa.
Personalmente sono molto affascinato della doppi (o tripla) vita artistica della Davis, da ragazzina sdolcinata degli anni trenta, a femme fatale perfida dei quaranta fino alla matrona/vecchia strega malvagissima dei ‘60s. ciò che trovo più incredibile è con che abilità e con che risultati sia sempre stata in grado di sostenere ogni parte; non è possibile dire in quale veste abbia dato il meglio, al massimo si può preferire uno dei suoi generi.
Qui ovviamente siamo negli anni sessanta e questo è un suo classico film in bilico fra normalità e follia di quel periodo. Strepitoso nel suo spirito totalmente di serie B con una realizzazione solo in parte di serie B  non raggiante per inventiva o idee di messa in scena. Ma tutto sommato qui la regia è secondaria. In primo piano c’è una storia noir solidissima e disperata  e un coppia d’attori da fare impressione a chiunque. Volendo essere completamente onesti bisogna ammettere che la Davis non è perfetta nel doppio ruolo, risultando poco veritiera nell'interpretazione della sorella ricca e, a lungo andare durante il film,  riempie di sbavature anche il personaggio principale; non vorrei sembrare un giannizzero di Bette, ma temo che la maggiore responsabilità sia del regista non del tutto in grado di mantenere sotto controllo la sua protagonista. Poi va aggiunta una regia non proprio ottimale, un uso delle musiche troppo di maniera e una serie di personaggi con una personalità tagliata con l’accetta.

Detto ciò un film che non potrà non essere amato intensamente da chi apprezza l’ultimo periodo della carriera di Bette Davis, ma continuamente in odore di anni ’50 (sarà per Malden che non sembra mai invecchiare).

PS: negli anni quaranta la Davis interpretò già la parte di due gemelle di cui una si sostituirà all’altra (post mortem) per amore dello stesso uomo; ma credo che in questo “L'anima e il volto” l’idea fosse declinata in senso romantico. Si impone il recupero.

PPS: in questo film la Davis assomiglia alla Rampling...

venerdì 19 ottobre 2012

007: zona pericolo - John Glen (1987)

(The living daylight)

Visto in tv.

Lo 007 di Timothy Dalton è molto diverso dal superuomo british originale; è molto più pacato. Decisamente ironico, ma più ombroso e meno interessato alle donne… a fatica se ne fa una in tutto il film!

L’intero film prende una piega leggermente diversa dai precedenti (si tenga presente che subito prima di Dalton c’era Roger Moore, forse più in parte, ma i suoi film hanno sdoganato l’idea che la sospensione dell’incredulità sia inutile) con un’idea di action sempre presente, ma molto più virata verso l’ironia sfociando sin dai primi inseguimenti nell’inverosimile grasso e sfacciato (fuggire sulla neve usando il contrabbasso come timone mi pare esagerato).

Nel complesso il film riesce anche a intrattenere abbastanza, con un discreto ritmo, certamente migliore del terribile “Una cascata di diamanti” (che anche lui ha rischiato di saltare lo squalo in più punti); quello che però sfugge è proprio il concetto base di James Bond, un agente segreto migliore di chiunque altro in tutto, investigazione, lotta, humor, seduzione (si insomma una sorta di Sherlock Holmes anni ’60 alle dipendenze dell’MI6). Film carino, ma fuori tema.

lunedì 15 ottobre 2012

Sud pralad - Apichatpong Weerasethakul (2004)

(Id., aka Tropical malady)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Al secondo film Joe mi sorprende nuovamente; mette da parte l’inutilità della trama casuale e costruisce una storia d’amore omosessuale tra due soldati… mette da parte l’inutilità, è vero, ma non rinuncia alla noia.
Comunque il film è girato in maniere, a mio avviso, troppo amatoriale e il ritmo totalmente assente affossa quel poco che poteva esserci… questo almeno a metà film.

Perché poi ad un certo punto, con un aggancio che non ho ben capito, nella seconda metà Joe si mette a raccontarmi della storia di un fantasma della foresta che cambia forma e che passa da cacciatore a preda di un soldato… il tutto riuscendo a mantenere il ritmo assente della prima parte. Nell’inquadratura finale finalmente Joe si decide a mostrare l’unica immagine realmente cinematografica sei suoi due primi film.

Detto ciò come va considerato un film del genere? Personalmente non ritengo vada troppo interpretato, perché credo che Joe sia più propenso ad una autorialità criptica fine a se stessa; dunque quello che rimane è solo un film doppio senza un grandissimo senso che non possiede una propria personalità cinematografica.

Bravo Joe, continua così.

sabato 13 ottobre 2012

Confessions - Tetsuya Nakashima (2010)

(Kokuhaku)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese, perché gli incontri di cinema d'essai hanno orari improbabili.

In una scuola media un'insegnante all'ultimo giorno avverte gli alunni della sua (peggiore) classe che è consapevole di chi siano gli assassini della figlia e che i due sono proprio in quella classe; con un intro estremamente gelido (si viene a sapere dell'omicidio sopo almeno 15 minuti) inizia una lentissima storia di vendette trasversali senza precedenti di cui non voglio dire altro per non rovinare altre sorprese.

La trama del film è decisamente pesante con alcuni picchi alluncinanti ed un finale effettivamente eccessivo che sfora senza remore la sospensione dell'incredulità (e a dirla tutta questa è la vera pecca del film, un finale troppo autoreferenziale).
A questo si associa però un uso delle immagini impressionante; ogni singolo fotogramma è realizzato con una ricercatezza estetica tale che sembra essere l'inquadratura fondamentale del film; ogni sequenza viene costruita come se fosse l'unica realmente importante; con un uso dei colori perfetto e una fotografia nel complesso molto alla photoshop (nel senso positivo del termine), eppure molto essenziale.
Questo apparentemente cozza contro la verbosità della trama tutta passata a far discorsi fin troppo lunghi, come se le immagini non bastassero (anche se, anch'esse, sono soggette ad una certa ridondanza). In realtà l'idea del regista, a mio avviso, è quella di utilizzare immagini e parlato come due modi diversi di dire le stesse cose; il dialogo rappresenta la versione della storia in prosa, le immagini ne danno la versione in poesia. L'effetto finale è assolutamente positivo e, come dicevo, se nel finale non si perdesse troppo nell'autocompiacimento estetico e di eccesso della trama, il film sarebbe quasi perfetto.

Nakashima è decisamente da recuperare.

giovedì 11 ottobre 2012

Tutti i santi giorni - Paolo Virzì (2012)

(Id.)

Visto al cinema duranti gli incontri del cinema d'essai di Mantova.

Dopo anni Virzì realizza il suo primo film romantico tout court; niente risvolti politici, niente critiche sociali, solo una storia d'amore vera e propria.

Ovviamente essendo Virzì alla regia (e Bruni alla sceneggiatura) la storia è trattata in maniera fantastica i due protagonisti sono cesellati (soprattutto la protagonista femminile) immersi nel classico mondo macchiettistico. Ci sono continue strizzatine d'occhio comiche e diverse scene grottesche sulla scia dei film precedenti.
E poi, francamente, Virzì è l'unico che pur essendo provinciale e supponente nel descrivere i buoni ed i cattivi (l'ignoranza è  di chi guarda le partite la domenica e gli piace Grazie Roma; mentre chi è intelligente o è un artista vero o conosce a memoria tutti i santi proto-cristiani) e ruffiano nel mostrare i sentimenti, riesce comunque a narrare perfettamente ogni racconto e a farsi perdonare queste due pecche che immancabilmente mette in tutti i film.

Ovviamente è fotografato perfettamente e gli attori (i protagonisti intendo) sono utilizzati al meglio; ci sono le solite scene di pianto trattenuto e di sentimentalismo spinto (spesso mischiato all'ironia come già si diceva), anche se non riesce a raggiungere i picchi di "Tutta la vita davanti".

Di diverso dal solito ha il finale. Se usualmente i film di Virzì finiscono con una vittoria morale del protagonista che sembra una sconfitta, questo film finisce all'opposto, con una sconfitta travestita da vittoria; o a volerla vedere diversamente con un semplice venire a patti con la realtà che circonda i personaggi, nessuna vittoria e nessuna sconfitta, solo l'adattamento al mondo.

PS: poi devo ammettere che stavolta Virzì mi ha messo in un solo film i tre dialetti italiani che preferisco (per motivi diversi).

lunedì 8 ottobre 2012

Il cavaliere oscuro, Il ritorno - Christopher Nolan (2012)

(Dark knight rises)

Visto al cinema in lingua originale sottotitolato in turco e doppiato in italiano.

Il gran finale della trilogia è un ritorno prepotente al primo capitolo, non solo nella trama, ma anche nelle dinamiche; di fatto Bruce Wayne fugge da Gotham per ritrovare se stesso da qualche parte in oriente e tornerà con la chiara idea di fare di Batman un mito sostituendolo a quello ormai vacillante di Dent.
Non dico di più per non spoilerare.

Ovviamente il film deve tirare la fila di tutti i discorso fatti finora e determina la definitiva mitopoiesi di Batman che diviene effettivamente il simbolo di ciò che è giusto, fa avverare l'affermazione del capitolo precedente per cui l'eroe deve morire o vive abbastanza a lungo da diventare lui il cattivo.
Poi Gotham diviene il personaggio principale, il vero alleato di Bane (il villain del film) che lavora per lui dapprima nel sottosuolo, poi alla luce del sole; ma è anche l'unico alleato partigiano rimasto a Batman; qui la città è in senso prettamente sociale, ma in senso fisico diventa parte integrante del discorso, dando rifugio alla bomba atomica, intrappolando i poliziotti, creando un labirinto per gli scontri a fuoco con il batwing.
Inoltre, dati i punti di contatto con Batman begins ritorna il rapporto con il proprio passato che qui si fa più vicino e meno remoto che nel capitolo iniziale della saga.
Inoltre c'è anche tutto un discorso evidente sulle rivoluzioni dal basso che tendono a calcare troppo la mano... credo che sia un punto di vista molto anglossassone.

In ultima ci terrei ad aggiungere che per quanto non abbiano voluto collegare il film all'attualità, i riferimenti alla rivolta hanno comunque un enorme retrogusto di crisi economica con quella tempesta che sta arrivando...

Il film mantiene la solidità della regia che è il vero marchio di fabbrica di Nolan e nella creazione dei personaggi tiene banco la verosimiglianza con un Bane quantomai umanizzato e una Catwoman che non viene mai chiamata in questo modo, che a livello di personalità è identica all'originale, ma nel fenotipo gioca con i dettagli (gli occhialini) per suggerire senza dire.

Poi è evidente che la sceneggiatura ha dei buchi enormi, ma forse avrebbe avuto bisogno di un'ora in più per svilupparli adeguatamente, ci sono pure molte ingenuità e qualche sbaglio evidente al montaggio. In una parola è un film che doveva concludere col botto una delle trilogie più quotate degli ultimi decenni e per cercare di fare le cose per bene in ogni ambito (storia, personaggi, azione), sbava su più punti.
Ma tanto a Nolan gli si vuole bene lo stesso.

PS: in Italia uno dei più sorprendenti product placement di sempre con il Fernet Branca.

PPS: no, io guardando il film non avevo capito in anticipo il colpo di scena finale.

venerdì 5 ottobre 2012

Il cavaliere oscuro - Christopher Nolan (2008)

(The dark knight)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
E poi arriva il Joker... la presenza di Batman crea una spaccatura in Gotham tra chi lo sostiene (e lo imita stupidamente) e chi lo considera un pericolo; ma la sua figura fa da esempio per un nuovo procuratore distrettuale per perseguire la mafia, ma anche al Joker, come ecquivalente negativo del cavaliere oscuro... lui causerà di tutto, anche la nascita di due facce.

Decisamente il meglio film della trilogia; senza se e senza ma. Probabilmente è il migliore perchè essendo quello in mezzo non deve perdere tempo a creare le origini e neppure a costruire un finale totalmente definitivo e si prende le 2 ore e mezza per costruire un storia enorme. Poi se a questo ci si aggiungono i due villain più belli mai creati per la serie di Batman il gioco è fatto (ma sarebbe bastato anche solo il Joker).

Poi i vari livelli di racconto proseguino, alcuni si chiudono, altri iniziano.

Il fulcro di questo film che si apre e si chiude in queste 2 ore e 30 è il doppio. Tutto è un rapporto fra poli opposti dall'ovvio Wayne/Batman e due facce/Dent, al Batman/Dent e Wayne/Dent. Ma su tutti è il rapporto simbiotico fra Batman (l'emissario dell'ordine) ed il Joker (quello del caos) che vince, perccè ognuno interpreta un bisogno ed un modus operandi di una città, la necessità delle regole e lo sviluppo casuale che inevitabilmente si imprime nelle zone d'ombra.
Questo discorso porta con se ancora una volta il discorso della città di Gotham come personaggio che qui diventa preponderante, vista soprattutto dal punto di vista della società e dei cittadini.
Inoltre il discorso del doppio nasce dall'altro grande concetto di reazione uguale e contraria che viene più volte ripetuto. Batman all'interno di una società diviene un simbolo positivo, ma inevitabilmente modifica anche ciò che esiste di negativo che deve correre ai ripari; il Joker (e quindi anche due facce) sono figli di Batman.
La mitopoiesi dell'eroe che è iniziata nel primo capitolo qui incontra "la caduta" come evento inevitabile per poter risalire, ma mostra anche come la creazione di un simbolo porti alla comparsa di eroi ad esso ispirati (che di fatto era l'obbiettivo dichiarato di Bruce Wayne) e ad inevitabili copycat di bassa statura.
Infine c'è un ampio discorso sulla vendetta e sull'uso del male per fare il bene e viceversa, temi minori che però attraversano tutta la pellicola.
Forse un pò tutto il film è proprio nella frase di Dent "O muori da eroe, o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo".

Un encomio rinnovato va alla volontà di quasi verosimiglianza che ha voluto imprimere Nolan ai suoi film, vero motivo per cui Heath Ledger è riuscito a creare il miglior cattivo di sempre; questo unito ad una recitazione animalesca che si esmprime tutta sulle movenze dinoccolate, ingobbite e ossessive (anche del viso) riesce a riempire lo schermo ad ogni inquadratura del Joker.
Nolan riesce a rendere solidissimo un film dalle mille sfumature e a rendere invisibile una regia che obbligata a mille scelte.

Mi accodo a badtaste nel dire che questo è probabilmente il film supereroistico più importante di sempre ed il film commerciale più importante di sempre (almeno dai tempi de "Lo squalo").

mercoledì 3 ottobre 2012

Batman Begins - Christopher Nolan (2005)

(Id.)

Visto in DVD in lingua originale sottotitolato in inglese.

La storia di come il giovane Bruce Wayne vada a trovare se stesso in tibet e là dovrà fare i conti con gente cattiva e con le sue paure e, una volta tornato a Gotham, faccia tesoro di questi insegnamenti per diventare Batman.

Devo ammettere che quando lo vidi la prima volta il film non mi sembrò un gran che, ma rivisto ora alla luce della trilogia completa acquista tutto un altro senso e tutto un altro fascino.

In primo luogo l'intento base di Nolan è quello di calare Batman dall'ambiente assurdo e fumettoso di Tim Burton ad un livello più realistico, più verosimile. Per carità i WTF sono infiniti, però l'intenzione è buona e funzionale allo sviluppo delle storie parallele e nel secondo capitolo diventerà l'idea vincente. Poi trovo ridicolo che per rendere verosimile la storia di Wayne/Batman bisogna rivolgersi ancora al "ritrovare se stessi con la forza interiore asiatica" che fa tanto anni '90. Più che assurdo lo trovo proprio anacronistico.

Detto ciò il film è effettivamente un'opera a più livelli che si sviluppano, alcuni, nell'arco di un paio d'ore, altri nel giro di due o tre film. In tutta questa storia Batman diventa solo un pretesto...

Il leit motiv di questo primo capitolo è la paura e il suo controllo, su se stessi o sugli altri. E questa storia diventa il motore immobile della nascita di Batman così come del progetto di distruzione di Gotham.
Il secondo concetto sviluppato in questo film è il rapporto con il proprio passato, discorso quantomai banale che per fortuna viene risolto nel finale con un falò.
Dal rapporto con il passato però emerge uno dei due più grossi ideali della saga; la creazione di un mito che sia da simbolo per un miglioramento della società  nel suo insieme. Di fatto questa idea viene per lo più citata in Batman Begins e sarà sviluppata nei seguiti (più  nel terzo che nel secondo... ovviamente).
Da quest'ultima idea si sviluppa anche la città di Gotham come personaggio. E non la città come insieme di edifici, ma neppure la città come concetto sociale, bensì l'insieme delle due cose. Già in questo capitolo Gotham è una comparsa, la vittima (di se stessa) da salvare; ma dal prossimo capitolo diventerà sempre più predominante.
Infine viene citato (più come cliffhanger che altro) l'idea che ad ogni azione risponda una reazione uguale e contraria (l'introduzione del joker).

Si insomma un bel pò di robba che deve fare i conti anche con una trama canonica; in effetti le due ore e venti di film erano il minimo.
Come dicevo il film non è il migliore, perchè deve perdere tempo inutile a far nascere l'eroe, deve iniziare i discorsi che solo più avanti porteranno i loro frutti e soprattutto, non ha un antagonista molto interessante.
Inoltre Bale (che personalmente mi sta molto simpatico) non si rivela la scelta più adatta, in questo film riesce ad essere così poco empatico che provo molta più comprensione per il personaggio di Alfred che non per Wayne.

Detto ciò, grande cast che fa un uso accorto di grandi classici (come Freeman e Caine), di grandi attori (come Gary "Ned Flanders" Oldman, Liam "Liberate il Kraken" Neeson) e grandi paraculi (la Holmes).

lunedì 1 ottobre 2012

This is Spinal Tap - Bob Reiner (1984)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Uno dei primi mockumentary musicali della storia del cinema; e tanto basterebbe. Se ci si aggiunge inoltre un gustosissimo intro in cui il film prende in giro se stesso il gioco è fatto.
Il film ripercorre il tour americano di una band heavy metal inglese che torna dopo anni a cercare una ribalta ormai perduta, tra interviste, ricordi del passato ed i costanti problemi del presente.

Il film funziona benissimo in primo luogo per la credibilità del documentario. Non voglio dire che il film risulta verosimile; fin dall’incipit è chiaro che è tutta un’invenzione, tuttavia la qualità delle immagini, il montaggio, l’audio e addirittura le frasi mozzate a metà e la sovrapposizioni di più persone contemporaneamente. Si insomma, è evidente che tutto è falso, ma lo si mostra con il contenuto e non con il mezzo.
Il film ovviamente se la prende direttamente con il mondo heavy metal anni ’80 che cita direttamente e lo fa in ogni dettaglio, fin dal nome del gruppo (scritto con l’umlaut dell’heavy metal messa sulla n!). ma mostrando spezzoni del passato si prende il tempo di sfottere anche gli anni ’60 e ’70.

Quello che però fa davvero la differenza tra la riuscita e l’insuccesso è la creazione di personaggi stupidi sul modello che Ben Stiller farà suo, incredibilmente egocentrici ed esagerati. Il film fa ridere ancora, e molto anche,  alcune trovate anarchiche ed assurde sono il piatto forte (la storia dei batteristi così com’è raccontata all’inizio, il gruppo che si perde dietro le quinte del palco, l’assolo di chitarra elettrica e violino, e la mia preferita, la scenografia di Stonehenge con i nani danzanti; tutte idee degne di un Mel Brooks in stato di grazia o di uno ZAZ meno sguaiato).

Un grande film… che tra l’altro anticipa, concettualmente, il Black album dei Metallica