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mercoledì 6 marzo 2019

Kinetta - Yorgos Lanthimos (2005)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un fotografo e un poliziotto si intrattengono ricreando (con l'aiuto di una cameriera di un albergo) alcuni delitti di cronaca. Con l'arrivo dei turisti il gioco finisce.

Opera seconda di Lathimos che risulta perfettamente in linea con quanto verrà dopo.
Messa in scena scarna con un utilizzo scarso dei colori; ma qui (per questioni più di mezzi che altro) c'è una minor cura nella fotografia; in certe porzioni c'è un'attiva ricerca dell'inquadratura sporca (macchina da presa traballante, utilizzo del fuori fuoco); molto distacco fra operatore e scena inquadrata, tanto quanto ce n'è tra i personaggi quando mettono in scena i delitti. Quasi totale assenza di dialoghi, nessuna spiegazione, e un'ossessione circa la riproducibilità della vita vera che fa il paio con (il più pretensioso e riuscito) "Alpeis". Affascinante che fin da subito (anzi in questo film molto più he nei successivi) Lathimos non faccia sconti allo spettatore e lo butti in mezzo a una vicenda ampiamente iniziata senza dare nessun suggerimento, nessun appiglio.
Di fatto lo stile qui è già maturo mancano solo i mezzi.

A cambiare è solo la trama, qui più eterea del solito, con una reiterazione delle sequenze che rendono il film, non solo ostico (come sempre in Lathimos), ma anche piuttosto noioso. Di positivo c'è che per ora rifugge dai trucchetti utilizzati poi in "Kynodontas", se gira a vuoto, ma lo fa senza pretendere di essere qualcosa di più solo con l'inserimento di dettagli shockanti.

mercoledì 27 febbraio 2019

Brick. Dose mortale - Rian Johnson (2005)

(Brick)

Visto in Dvx.

In un collage americano un ragazzo riceve una inquietante richiesta d'aiuto da parte della sua ex ragazza che sembra essere scomparsa. Si mette sulle sue tracce, ma due giorni dopo viene trovata morta. Si metterà a indagare autonomamente sul mondo della droga che sembra essere dietro al delitto.

Alla sua opera prima, Johnson, vuole giocare facile e difficile allo stesso tempo. Scegli un noir, un hard boiled duro e puro che è contemporaneamente il genere più facile e più intricato. Il più facile perché è il più stereotipato, tutti i personaggi che ci devono essere sono archetipici e non metterli non significa aggiungere originalità, ma togliere mood. Più intricato perché se si decide di creare un noir complicato... beh, bisogna avere la palle di ingarbugliare una matassa solo per sgarbugliarla perfettamente nel finale senza ammazzare l'hype con soluzioni di comodo.
Inoltre decide che la vita non è abbastanza complicata così e ambienta il suo hard boiled in una scuola superiore americana... il rischio di finire nel ridicolo o nella farsa è dietro l'angolo.
Invece il film è serio e tutti gli archetipi vengo proiettati nel microcosmo di un college (che si dimostra perfetto per accoglierli) e utilizzati con autorevolezza, nessuna concessione al ridicolo o al superficiale.

Quello che però stupisce di più è la regia. Se complessivamente la regia è buona, Johnson vince nei raccordi; nelle unioni fra le scene, nelle attese. Fade to black continui, ma molto sfumati; inquadrature particolari (l'insistenza sulle scarpe dei personaggi); montaggio rapido di inquadrature in avvicinamento e scene costruite su più piani. Dove la tensione di solito cala perché non sta avvenendo niente, il regista da il suo meglio.

venerdì 23 febbraio 2018

Dick & Jane, Operazione furto - Dean Parisot (2005)

(Fun with Dick and Jane)

Visto in Dvx.

La crisi (e un amministratore delegato truffaldino) colpiscono duro portando tutti i dipendenti di un azienda sul lastrico. Fra tutti uno sfortunato dipendente appena promosso vicedirettore (...era direttore?) dovrà vedersela con tutte le spese iniziate con troppo anticipo (quando contava ormai sulla promozione per vivere), il licenziamento della moglie e un'indagine. Per poter vivere mantenendo il proprio stile di vita dovranno mettersi a rubare.

Remake della divertente commedia anni '70 "Non rubare..." attualizzando la situazione con gli importanti cambiamenti sociali degli ultimi anni e prendendo, per il resto, a piedi pari diverse idee e gettando, quello che rimane del minutaggio, sulle spalle di Jim Carrey.

Prendendo dal film originale questo remake ha l'indubbio vantaggio di non limitarsi a essere un film comico con Carrey, ma costruisce una commedia vera e propria attorno ai suoi personaggi.
Purtroppo la commedia (nonostante l'imprimatur di Apatow) è piuttosto debole, prende gli assunti iniziali del film originale, ma non li sfrutta (tutti i tentativi per non far capire ai vicini di essere caduti in disgrazia) e nel finale ci attacca una chiusura consolatoria e panica assolutamente fuori luogo.
Punti a favore (oltre a Carrey che apprezzo e alla Leoni che si rivela ogni volta la migliore spalla di sempre) sono invece le gag (cioè proprio il dettaglio prettamente comico), tutte le sequenze delle rapine e il trattare il finale del film come un heist movie.




mercoledì 1 novembre 2017

Ghajini - A.R. Murugadoss (2005)

(Id.)

Visto in aereo, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Il proprietario di un'azienda di telecomunicazioni si innamora di un'attricetta che ha messo in giro la voce di essere la sua fidanzata segreta. Faranno appena in tempo a dichiararsi che lei verrà uccisa e lui aggredito perdendo la memoria... a breve termine... giurerà di vendicarsi, ma per farlo sarà costretto a tatuarsi le informazioni fondamentali circa l'omicidio... per tutto il resto si arrangerà con delle polaroid. Qui però le cose si complicano con una tirocinante in medicina che prima lo vorrebbe aiutare, poi lo incasina, poi lo aiuta di nuovo...

In che punto della trama si può gridare "Memento"? Se si considera come si sviluppa il film, più o meno dal minuto 10 (che in un film oltre le 2 ore e mezzo è come dire "subito").
Eppure questo film Tamil (prodotto nel Tamil Nadu, stato del sud dell'India, fratello povero della Bollywood che è di lingua e cultura hindi) si muove su altri binari; considerato dal grande pubblico indiano più oscuro della media, cerca incorreggibilmente di accontentare tutti. Parte come un thriller che tocca solo per sbaglio il torbido neo-noir costruito da Nolan per poi deviare (grazie a un flashback) verso la commedia romantica scioccherella per almeno 30 minuti buoni; torna quindi dalle parti del thriller con accenti action per finire il tutto con uno showdown di lotta che si mangia anche l'happy ending (se così si può definire).
Creatura chimerica segue assolutamente i gusti indiani, ma portandoli verso l'oscuro, mischiando a piacimento ogni genere che gli viene in mente di toccare con una irragionevole ingenuità che rendono ogni svolta di tono tollerabile. Il ritmo latita qui e la (rimane comunque un film di quasi 3 ore, un pò troppe per il gusto europeo), ma nel complesso il film si fa vedere senza troppe difficoltà e direi che questa è una virtù non indifferente.
L'ingenuità, naturalmente, genere anche dei mostri, ma se si accetta una sospensione dell'incredulità tarata sulle abitudini del subcontinente si riesce ad accettare tutto.
Il vero neo, a mio avviso, è aver giocato anche con materie che non si riescono a dominare. Il trhiller è semplice (e il protagonista in questa veste assomiglia di più a Hoffman in "Rain man" che a al Pearce di "Memento") e aggrovigliato, ma rimane in piedi da solo, la commedia romantica è la parte più riuscita, ma le scene di azione sono semplicemente mal girate. Le sequenze di lotta sono poco chiare, con un montaggio troppo rapido, il gusto per il dettaglio più che l'insieme, si, insomma, tutto il contrario di quello che andrebbe fatto.

PS: dato il successo del film, lo stesso regista realizzerà un remake hindi 3 anni dopo.

lunedì 25 settembre 2017

Earthling - Shaun Monson (2005)

(Id.)

Visto in streaming, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Documentario shock contro lo sfruttamento animale in ogni campo delle attività umane, dall'industria della carne e quello dei vestiti, dagli esperimenti scientifici all'intrattenimento (i circhi).
Inutile discutere sulla tesi proposta; essere d'accordo o in disaccordo con il documentario è pura opinione e (Michael Moore ha reso evidentissimo che) ogni documentario è di per sé fazioso, dovendo partire da un'idea di base che non è mai pura obiettività giornalistica.

La struttura è piuttosto semplice. Immagini di repertorio (alcune troppo datate) per lo più disturbanti (la parte sull'industria alimentare è una delle sequenze più persuasive a favore del mondo vegan che abbia mai visto) e molto efficaci che che riportano a una sorta di Mondo movie con una voce narrante (Joaquin Phoenix) molto adatta, competente e convincente e con un intento educativo che i veri Mondo non avevano.
Quello che cambia rispetto ai precedenti documentari sullo stesso tema (che io abbia visto, ovviamente) è, in parte, proprio questo intento educativo. Più che cercare di convincere o svelare fatti nuovi e sconvolgenti, cerca di spiegare perché ha ragione, di insegnare le basi morali che sostengono la tesi proposta. Un insegnamento piuttosto didascalico nell'incipit e nel finale che si fonda sull'antispecismo; teoria tutt'altro che nuova o innovativa a livello filosofico, ma (per me) nuova a livello documentaristico (sicuramente per quello più mainstream); che, dunque, non si accontenta di mostrare le torture subite dagli animali (cosa che viene pedissequamente fatta almeno dai tempi di Franju in poi), ma le mette in prospettiva/relazione rispetto alle esperienze umane. Ecco, questa idea di fondo è la cosa migliore del film (e per quanto molto rigidamente aneddottica, all'inzio del film, viene anche ben spiegata).

Forse troppo didascalico (...senza forse), certamente troppo lungo (specie nell'assunto finale) e nella lunga porzione centrale mostra il festival da grand guingnol che ci si può aspettare da un film di questo genere (molto più efficace dei discorsi iniziali, ma non molto costruttivo), ma molto intelligente.

lunedì 7 agosto 2017

Kiss kiss bang bang - Shane Black (2005)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un ladro newyorkese viene scambiato per un aspirante attore e inviato a Los Angeles dove rimane invischiato in una doppia storia di cadaveri e persone scomparse, oltre al reincontro con una sua vecchia conoscente di cui è innamorato.

Sceneggiato e diretto (opera prima!) da un redivivo Shane Black dopo anni di silenzio è, di fatto, un ritorno alle origini (per tema e tono) in versione postmoderna. Siamo dalle parti della commedia pulp, del noir comico con la giusta dose di buddy movie. A essere totalmente sinceri è un film fuori tempo massimo, utilizza tecniche e tattiche di regia che risultano già usurate, tuttavia se un film funziona, funziona lo stesso, sarà riciclato, ma è sufficiente che il riciclo sia fatto con stile.

La storia è totalmente inverosimile con una trama che deraglia e sbava continuamente sotto il peso delle troppe fighetterie messe in campo; tuttavia il ritmo è ottimo e tutto scorre nella giusta direzione facendo funzionare alla perfezione il complicato meccanismo.
Il vero punto a sfavore è l'eccesso di wanna be Shane Black in qusta sceneggiatura di Shane Black, si fosse contenuto un minimo il film ne avrebbe giovato; ovviamente riesce comunque a costruire un paio di ottimi personaggi (piuttosto scontato il protagonista, di molto migliore la "spalla", più articolata e meno calcata).
La regia è, come si è detto, vecchia di una decina d'anni. Fotografia carica e patinata, colori fluo, protagonista che parla allo spettatore interrompendo il film e altri articoli anni '90. Ripeto, è il festival del già visto, ma in questo film quasi tutto sembra funzionare a dovere, giusto qualche interruzione in meno e sarebbe stato perfetto. Diciamo che Black ha voluto fare il suo film postmoderno (senza eccessi di macchina da presa che già è qualcosa).

Downey Jr è perfetto per la parte, ma viene lasciato libero di gigioneggiare quanto vuole, pure troppo, cogliendo perfettamente il personaggio e riuscendo comunque a non essere (sempre) fastidioso. Val Kilmer è la spalla, rimane sempre in secondo piano rispetto alla storia principale, ma si giova di una parte migliore e la sa usare a dovere uscendone come il migliore in campo.

venerdì 23 giugno 2017

Rinne - Takashi Shimizu (2005)

(Id. AKA Reincarnation)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

In Giappone piacciono i J-horror, quindi si decide di realizzare un film su una strage (con suicidio finale dell'assassino) avvenuta in un albergo; per la parte di una delle figlie dell'assassino viene scelta un'attrice che però ben presto viene colta da ogni sorta di visioni sempre inerenti a ciò che sarebbe avvenuto nel passato...

La base del cinema horror americano classico è costituita da: gente che dalla città si sposta in una zona isolata e lì viene massacrata da un serial killer/una famiglia di redneck. Una soluzione di minima che rende un servigio enorme agli sceneggiatori; possono lavorare al minimo sindacale senza rischio di mandare tutto in vacca, le motivazioni non sono necessarie, i preamboli anche meno, le spiegazioni finali pure, il twist plot finale è tutto nel sapere se il protagonista principale morirà o no; non serve altro.
Per quanto riguarda i film di fantasmi giapponesi (ma tutti i film di fantasmi in generale così come quelli in cui rientra satana) il lavoro è più complesso. CI vogliono motivazioni, spiegazioni, dettagli; la trama deve lasciare spazio a momenti di ricerca e studio, a situazioni in cui si pensa di trovare una soluzione, e poi lasciare spazio pure a un eventuale twist plot (come in questo caso), nel mezzo però bisogna pure mettere momenti de paura. Un lavoro improbo, che però ai giapponesi tocca fare fin troppo spesso visto che i fantasmi sono il loro equivalente del serial killer redneck.

Questo film vive le stesse dinamiche dei film j-horror con però almeno due storie indipendenti che si intersecano, molti momenti "onirici" che dovrebbero avvicinare alla soluzione finale e anche il twist plot. Chiaro che in una situazione del genere la possibilità di perdersi è facilissima... e qui infatti, Shimizu si perde.
Se in "Ju-on" riusciva a mantenere insieme tutti i pezzi con alcune brillanti idee nel riutilizzo di alcuni elementi base dell'horror orientale (i capelli); se in "The grudge" riusciva ad adeguarsi agli stilemi più occidentali creando un j-horror a tutti gli effetti, ma più coeso, qui sembra invece che non sappia come gestire la cosa.
Mettere in piedi un racconto inutilmente sdoppiato in due storie con inserti di una terza storia del passato che viene mostrata a bocconi mangiando spazio dedicato ai momenti realmente perturbanti che ne vengono anche sviliti.
Inutile quindi lo sfoggio di capacità tecniche o la gustose scene di film nel film (che sono e rimangono la cosa migliore di quest'opera).

lunedì 25 luglio 2016

13 Tzameti - Géla Babluani (2005)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Meno si sa di questo film e meglio è, perché la tensione creata dal sapere poco o niente (al pari del protagonista) è decisamente migliore.
Per chi vuole sapere qualcosa in più, parla di un giovane manovale georgiano che, sistemando il tetto di una casa privata si imbatte in strane discussioni piuttosto oscure che fanno riferimento a qualcosa da fare a Parigi dove si guadagnano un sacco di soldi. E poi si imbatte nella lettera di invito per questa attività completamente sconosciuta.
(qui si c'è un pò di spoiler alert) Il ragazzo entrerà in un mondo di scommesse clandestine tra le più estreme, vi entrerà per sbaglio, ma non potrà uscirne fino alla fine delle sfide.
(stop spoiler alert).

Per chiunque non voglia saperne niente... beh si sappia che è un thriller, un film di tensione puro senza indagini, senza azione. L'inizio è un poco lento, non per il ritmo vero e proprio, ma per la totale mancanza di informazioni che si hanno in mano.

Incredibile opera prima di un figlio d'arte che azzecca perfettamente il mood senza speranza fin dall'inizio; si muove con decisione in una specie di mystery disseminato di indizi per giungere (finalmente) al nocciolo della questione dove presenta una sequela di scene ripetitive sempre con punti di vista diversi, movimenti di camera dinamici e occhio sempre nuovo in un crescendo di tensione efficace (anche se, e qui c'è l'unico neo, la tensione poteva essere anche superiore). E per finire riesce anche a ottenere un finale più amaro di quanto ci si aspetterebbe.

Se l'operazione dietro la macchina da presa è lodevole fin dall'inizio (e da il meglio di sé nell'oscuro finale), va però sottolineata la fotografia che sfrutta un arido bianco e nero per aumentare il senso di claustrofobia. Nella prima metà il film è soprattutto bianco, sfruttando gli esterni ariosi e interni illuminati; la seconda parte invece gioca tutto sul nero, in interno soffocanti ed esterni notturni che quasi fanno invidiare gli esterni.
Inoltre è perfetto il lavoro fatto nella celta degli attori per la parte finale, una galleria di freak o emarginati, ognuno per motivi diversi, ognuno normale se preso da solo, ma buttati insieme costruiscono un perfetto effetto zoo.

Duro, spietato, senza speranza e realizzato da dio.

lunedì 27 giugno 2016

L'enfant, Una storia d'amore - Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne (2005)

(L'enfant)

Visto in Dvx.

Una ragazza appena uscita dall'ospedale dove ha partorito torna ad abitare con il giocane compagno. Lei lavora, lui se la cava con espedienti illegali; uno di questi lo porta ad aver bisogno di soldi. Essendo sostanzialmente uno stupido decide di vendere il bambino. La reazione della compagna e la denuncia che ne consegue lo spingeranno a recuperarlo, ma ora dovrà trovare molti più soldi per pagare anche il debito con i trafficanti di minori.

Arrivato al loro terzo film (è il quarto lungometraggio realizzato, ma il terzo che vedo dei due registi), lo stile dei fratelli Dardenne è chiaro e chiaramente immodificato, macchina da presa a mano, mossa all'inseguimento del personaggio principale che riempie quasi ogni scena; vite ai margini che vengono esaltate dall'occhio del regista anche nelle cose più minute, molti dialoghi, ancora maggiori i silenzi. Quello che rimane inoltre è la capacità di fare film emotivi ed empatici senza mai essere stucchevoli e azzeccando ogni dettaglio.
Quello che cambia in questo film è la prospettiva. Per la prima volta il protagonista è anche il personaggio negativo della vicenda. Come sempre la parte negativa dei film dei Dardenne è più la società o la vita, i personaggi che si comportano male stanno solo cercando di sopravvivere, ma qui c'è il male perpetrato dal personaggio principale e riesce comunque a permanere l'empatia nei suoi confronti.
Ovviamente la storia è una parabola di colpa e redenzione e, andando oltre, anche un romanzo di formazione dove i due protagonisti sono una coppia adolescenziale dove l'uomo è mentalmente un bambino (il titolo originale infatti sembra indicare sia il neonato, sia il padre) che compie sciocchezze per stupidità e che dovrà divenire adulto alla svelta e prendersi le proprie responsabilità.

Nonostante sia inferiore ai due precedenti, rimane la scia positiva della coppia di registi.

venerdì 3 giugno 2016

La morte del signor Lazarescu - Cristi Puiu (2005)

(Moartea domnului Lazarescu)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un anziano abitante di Bucarest accusa un mal di testa e un malessere generalizzato; reticente a contattare un medico attende la sera quando, convinto da un vicino, chiama un'ambulanza. Purtroppo per lui quella sera un enorme incidente riempie i pronto soccorsi e i letti degli ospedali e lui, apparentemente meno grave, viene rimpallato da una struttura a un'altra.... spoier alert, il signor Lazarescu alla fine non muore.

Tipico cinema verità che tanto piaceva agli autori romeni (ma un po' a tutti i filmmaker europei con delle pretese) di metà anni zero. Dunque una macchina da presa senza idee decisive, spesso immobile; una impressione di presa diretta per qualità delle immagini e utilizzo delle luci; unica concessione un uso volontario di colori smorzati che fanno il paio con il clima generale del film. Come spesso succede in questo genere di operazioni gli attori sono l'unica nota positiva.

Complessivamente un film senza guizzi, con solo un'idea di fondo, ma realizzata con un andamento lungo, noioso e senza nerbo. Vorrebbe essere un 'accusa a un sistema dove la solitudine e l'egoismo governa ogni persona, ma quello che ottiene è di essere estenuante. Della trama salverei solo la riuscita rappresentazione di una varietà di reazioni alla medesima situazione; nel peregrinare nei vari ospedali, il ripetitivo incontro con il personale sanitario viene mostrato in maniera sempre diversa in base alle variegate personalità messe in gioco; è comunque poca cosa per le pretese del film.

PS: quella che ho messo è la locandina originale del film e non riesco a capacitarmi di come l'abbiano realizzata. Il film è un dramma lento e silenzioso con riprese dal vero, l'effetto di quel poster invece (che forse voleva essere grottesco, mettendo il personale sanitario scanzonato che nasconde il corpo del protagonista) è di dare l'idea di essere davanti a una versione romena di Scrubs.

lunedì 23 maggio 2016

Hellraiser VIII - RIck Bota (2005)

(Hellraiser: Hellworld)

Visto in Dvx.

Un gruppo di ragazzi (dopo la morte di un loro amico) viene invitato alla festa di Hellworld, un videogioco ispirato alla serie di Hellraiser (urlando metacinema ogni secondo). Ovviamente in quella villa (progettata da Lemarchand... METACINEMA) succederanno cose brutte, ammazzamenti brutti e pure qualche brutto cenobita.

Di nuovo un film diretto da Bota (ormai il decano del progetto Hellraiser), di nuovo la coproduzione rumena (qui piuttosto inutile), di nuovo una sceneggiatura indipendente a cui vengono incollati i cenobiti (molto pochi a dire il vero, mai così ininfluenti), di nuovo gli sceneggiatori di "Hellseekers" (e si vede).
Di fatto è un paciugo di idee (riutilizzate). All’inizio sembra voler fare il "Nightmare 7" in versione 2.0, poi si avvicina ai film sui genius loci come "Session 9" (paragone umiliante per il film di Anderson), verso la fine sembra suggerire di essere Lost all’inferno, il tutto però si conclude con un improbabile colpo di scena finale che ricalca molto quello di "Hellseekers" (dimostrando come degli sceneggiatori mediocri non riescano neanche ad avere due idee diverse).    

Musica pervasiva messa nei momenti e nei modi sbagliati; una serie di attori non entusiasmanti dove primeggia un Cavill imbarazzante (una via di mezzo fra Ashton Kutcher standard e Johnny Depp che fa le faccette buffe) e in cui sguazza un Henriksen che spiace vedere ridotto così male (e comunque interpreta bene l'unico personaggio realmente perturbante della vicenda, in un film dove anche Pinhead ha ormai perso ogni appeal).

In definitiva un film insipido che cerca di lavorare sui colpi di scena e sui momenti più inquietanti (in un paio di situazioni si; c'è inquietudine; un Bota ormai più esperto riesce anche a dare un poco di inquietudine), ma non ha il perturbante del precedente "Deader" (brutto comunque) né la surreale originalità del già ampiamente citato 6 capitolo della saga.                                         

mercoledì 16 dicembre 2015

Hellraiser: deader - Rick Bota (2005)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una giornalista viene mandata a Bucarest per indagare su una setta religiosa che costringe i suoi adepti a suicidarsi... il punto è che dopo il suicidio il guru riesce a riportarli in vita... Ovviamente in questa cosa saranno coinvolti anche la scatola di Lemarchand e i Cenobiti.

Nuovo capitolo a basso costo direct to video di una delle saghe horror più fortunate (perché non merita tutta la fama che ha); nuovo capitolo diretto dal parvenu mestierante dell'horror Rick Bota; nuovo capitolo con una sceneggiatura pensata per un film indipendente a cui sono stati attaccati a forza Pinhead e compagni. Insomma, si ricalca quanto fatto con il precedente "Hellseeker" (che a conti fatti, era un brutto film, ma decisamente ancora nella scia positiva, pur se tendente all'insipido e all'incasinato. Curiosamente entrambi i difetti esploderanno in questo settimo capitolo.

Bon, cominciamo dai pregi. Bota ha molte buone idee; sfruttare scene molto illuminate, ma desolate, per creare suspense senza sfruttare l'eterna paura del buio; la scena dei muri che si stringono e pieni di insetti; l'idea iniziale che mette la giornalista sulle tracce del guru; l'ambientazione europea, ma fuori dai percorsi canonici (va ammesso però che la scelta della Romania è stata presa per motivi economici). Le idee ci sono, purtroppo mancano le capacità. La cornice Rumena è sfruttata malissimo (anzi è proprio sprecata); i vari momenti di suspense (vera e propria) sono pochi e soprattutto nella prima parte; Bota ha una macchina da presa molto mobile (cosa buona), ma la usa a sproposito (cosa cattiva), i finti VHS in bianco e nero hanno tanti di quei tagli di montaggio che sembrano più professionali di un film di Kevin Smith.
inoltre i Cenobiti sono incollati così raramente a una storia praticamente indipendnete che anche il concetto di franchising comincia a scricchiolare (sul serio, Pinhead comparirà in 3 scene in croce); ritorna vagamente l'idea di dolore e piacere, ma in maniere abbastanza blanda e confusa da essere ininfluente nella storia; infine c'è un enorme (enorme) problema di casting con una protagonista vagamente irritante e un antagonista  (il santone della setta dei deader) che ha la faccia come il guru (erano anni che volevo usare questa frase in un contesto corretto), insipido e fuori luogo in ogni momento.

venerdì 31 luglio 2015

Strange circus - Sion Sono (2005)

(Kimyô na sâkasu)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una bambina viene costantemente vessata (psicologicamente e sessualmente) dal padre (che è anche il preside della sua scuola). Durante una lite con la madre avviene un'incidente...
Poi la scena si sposta... (Volendo già SPOILER) e si scopre che quanto avvenuto nella prima mezzora è l'incipit di un romanzo di una scrittrice paraplegica a cui si affianca un giovine Tokio Hotel per insistere ad avere la fine del libro; quello che lui non sa è che lei (Secondo SPOILER) in realtà non è paraplegica... Vabbé poi la storia ha ancora uno o due colpi di scena che non sto qui a dire. (STOP SPOILER)

Sono ci piace perché è spregiudicato, mostra quello che vuole senza battere ciglio; lo fa con una grazia di regia magnifica; le storie sono estreme e accattivanti... Beh questo è quello che si può pensare vedendo "Cold fish".
Questo film ha una trama intricata che inserisce piani onirici continui nella prima mezzora senza nessun senso apparente e con un gusto per l'estremo e lo shock che appare piuttosto gratuito; poi inizia una serie di colpi di scena giustapposti in maniera casuale, fino a un finale che potrebbe anche essere bello (beh, bello no... diciamo originale), però è realizzato in maniera idiota e messo alla fine di una serie che lo svilisce.
Lo stile visivo è figlio di questa stessa bulimia di twist; potrebbe essere bello se non sfondasse nel kitsch inutile.
Sono è riuscito a fare molto di più in brutti film (per me) riusciti a metà, come "Suicide club".

mercoledì 15 aprile 2015

The skeleton key - Iain Softley (2005)

(Id.)

Visto in DVD.

Un'infermiera di New Orleans decide che lavorare in ospedale non è la sua vocazione (troppo business) e cerca quindi di riciclarsi come infermiera a domicilio (anche se sembra più una badante). Il lavoro che le si offre è in una vecchia casa in mezzo alle paludi, deve prendersi cura di un uomo con un doppio ictus affiancata alla moglie, a tratti inquietante a tratti solo terribilmente triste e superstiziosa.
La casa presto mostrerà di nascondere dei segreti, così come l'anziana coppia.

Rivisto per l'ennesima volta il film mostra di nuovo tutti i suoi pregi e mette a nudo quel paio di difetti che alla prima visione (1000 anni fa) sono sfuggiti.
In primo luogo questo è un film più sul versante del thriller paranormale che dell'horror classico; la suspense e le botte di paura ci sono e, tutto sommato, questo è il grande pregio; la tensione è mantenuta dall'inizio alla fine senza mai mollare. Il colpo di scena finale (geniale) è solo l'ennesimo cambio di prospettive che il film offre, dato che ad ogni minuto ogni situazione e ogni personaggio continuano a mostrarsi sotto luci differenti.
Il cast è totalmente in parte (il povero Hurt è ridotto a recitare a mugolii) e il personaggio della Hudson non è neppure troppo cretina pur essendo la protagonista di un film del genere (un pò lo è comunque...).
La location scelta è impeccabile e tutto ciò che è collaterale (la baraccopoli della pompa di benzina, il negozio hoodoo dietro al lavanderia, ecc...) è funzionale a mantenere il mood, ma senza eccessi.

L'unico difetto è qualche ingenuità nella regia del flashback (la storia della casa) e nelle scene di magia, troppe accelerazioni inutili, cambi di colore (o meglio, viraggio verso il bianco e nero), macchina da presa che trema; tutti espedienti semplicistici per creare un senso di spaesamento, francamente si poteva fare di meglio. Va però sottolineato che non è un difetto che disturba la visione, anzi le prime volte non l'ho neppure notato.

PS: fatalmente il film, girato in Lousiana, uscì lo stesso anno dell'uragano Katrina.

lunedì 25 novembre 2013

Il pane nudo - Rachid Benhadj (2005)

(El khoubz el hafi)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso).

La storia tratta dal libro autobiografico di Choukri, una storia di un ragazzo nato nella povertà di un Marocco coloniale, con padre violento e fratelli che ad uno ad uno verranno persi; sfruttato ripetutamente, come forza lavoro e come prostituto, arriverà ad essere arrestato come sospetto contestatore anti-francese. In carcere incontrerà un uomo che gli insegnerà a scrivere dandogli al possibilità di divenire insegnante e poi scrittore.

Una storia che sarebbe stucchevole se fosse tutta li e se non fosse vera. In realtà il film dovrebbe essere un film duro, dove omicidi, violenza sulle donne, violenza psicologica e abusi sessuali sono reiterati e continui. Un film (sulla carta) duro.
Tuttavia, a mio avviso, non raggiunge il suo scopo.
Il regista sembra voler rendere chiare ed evidenti i personaggi ed i loro rapporti in troppo poco tempo; non c'è empatia con loro, non si intuiscono i sentimenti, anzi, le emozioni vengono sempre dichiarate; i personaggi non crescono e non comunicano, si prende atto che siano amici perché fin dall'inizio si comportano come se lo fossero, si prende atto di amore od odio perché il protagonista lo dice direttamente.
Se a questo si aggiunge una messa in scena bella, ma evidentemente finta (forse questo dettaglio è dovuto al fatto che si è visto su uno schermo [!] ad alta definizione); con alcuni degli usi peggiori del green screen; l'utilizzo di attori che non riescono neppure a fingere di morire senza prendere a piene mani dai cliché delle recite delle medie; infine ci si metta pure qualche inutile rallenty, un uso pornografico (ma comunque emotivamente nullo) delle musiche e delle luci; ecco se si aggiunge tutto questo si ha un'idea del tipo di film.
Ed è un peccato perché le tematiche in gioco sono tantissime.

Non è un film pessimo, ma una buona fiction televisiva; si fosse limitato a quello sarebbe assolutamente accettabile.

mercoledì 3 ottobre 2012

Batman Begins - Christopher Nolan (2005)

(Id.)

Visto in DVD in lingua originale sottotitolato in inglese.

La storia di come il giovane Bruce Wayne vada a trovare se stesso in tibet e là dovrà fare i conti con gente cattiva e con le sue paure e, una volta tornato a Gotham, faccia tesoro di questi insegnamenti per diventare Batman.

Devo ammettere che quando lo vidi la prima volta il film non mi sembrò un gran che, ma rivisto ora alla luce della trilogia completa acquista tutto un altro senso e tutto un altro fascino.

In primo luogo l'intento base di Nolan è quello di calare Batman dall'ambiente assurdo e fumettoso di Tim Burton ad un livello più realistico, più verosimile. Per carità i WTF sono infiniti, però l'intenzione è buona e funzionale allo sviluppo delle storie parallele e nel secondo capitolo diventerà l'idea vincente. Poi trovo ridicolo che per rendere verosimile la storia di Wayne/Batman bisogna rivolgersi ancora al "ritrovare se stessi con la forza interiore asiatica" che fa tanto anni '90. Più che assurdo lo trovo proprio anacronistico.

Detto ciò il film è effettivamente un'opera a più livelli che si sviluppano, alcuni, nell'arco di un paio d'ore, altri nel giro di due o tre film. In tutta questa storia Batman diventa solo un pretesto...

Il leit motiv di questo primo capitolo è la paura e il suo controllo, su se stessi o sugli altri. E questa storia diventa il motore immobile della nascita di Batman così come del progetto di distruzione di Gotham.
Il secondo concetto sviluppato in questo film è il rapporto con il proprio passato, discorso quantomai banale che per fortuna viene risolto nel finale con un falò.
Dal rapporto con il passato però emerge uno dei due più grossi ideali della saga; la creazione di un mito che sia da simbolo per un miglioramento della società  nel suo insieme. Di fatto questa idea viene per lo più citata in Batman Begins e sarà sviluppata nei seguiti (più  nel terzo che nel secondo... ovviamente).
Da quest'ultima idea si sviluppa anche la città di Gotham come personaggio. E non la città come insieme di edifici, ma neppure la città come concetto sociale, bensì l'insieme delle due cose. Già in questo capitolo Gotham è una comparsa, la vittima (di se stessa) da salvare; ma dal prossimo capitolo diventerà sempre più predominante.
Infine viene citato (più come cliffhanger che altro) l'idea che ad ogni azione risponda una reazione uguale e contraria (l'introduzione del joker).

Si insomma un bel pò di robba che deve fare i conti anche con una trama canonica; in effetti le due ore e venti di film erano il minimo.
Come dicevo il film non è il migliore, perchè deve perdere tempo inutile a far nascere l'eroe, deve iniziare i discorsi che solo più avanti porteranno i loro frutti e soprattutto, non ha un antagonista molto interessante.
Inoltre Bale (che personalmente mi sta molto simpatico) non si rivela la scelta più adatta, in questo film riesce ad essere così poco empatico che provo molta più comprensione per il personaggio di Alfred che non per Wayne.

Detto ciò, grande cast che fa un uso accorto di grandi classici (come Freeman e Caine), di grandi attori (come Gary "Ned Flanders" Oldman, Liam "Liberate il Kraken" Neeson) e grandi paraculi (la Holmes).

venerdì 23 marzo 2012

Ogni cosa è illuminata - Liev Schreiber (2005)

(Everything is illuminated)

Visto in tv. Uno ebreo statunitense ossessivo compulsivo (e vegetariano) parte per l’ucraina alla ricerca della donna che salvò suo nonno durante l’ultima guerra. Assolda come guida un giovane del luogo (un incredibile Eugene Hutz, cantante dei Gogol Bordello), suo nonno e il cane del nonno. Ovviamente saranno più un’armata Brancaleone che non un tour organizzato.

Il film è una commedia che si macchia di dramma solo nel finale (e per fortuna dura poco) che vince a mani basse proprio nel riuscire a far ridere con idee carine, ma non entusiasmanti, eppure ci riesce e lo fa con una leggerezza calviniana davvero notevole, che permea l'intero film e ne rende sopportabile anche il finale (che senza questa leggerezza rischierebbe di essere l’ennesima chiusura triste come punizione per aver riso di un dramma).
Il film è poi pulito e ben realizzato, tutto proteso a dare dell’ucraina l’dea di un paese di campagna, gente stramba, per lo più ignorante, ma tendenzialmente buona, che si muove in un mondo dai colori pastello, dagli ambienti luminosi e dalla natura onnipresente. Direi ottima quindi la fotografia.

Un film decisamente carino, che intrattiene con gusto e il giusto grado di ruffianeria (Mihaileanu dovrebbe prendere appunti).

venerdì 3 febbraio 2012

Syriana - Stephen Gaghan (2005)

(Id.)

Visto in DVD. La storia proprio non saprei ripeterla… tipo succedono un sacco di cosa con tanti personaggi diversi attorno al passaggio di potere di un emiro (?) dell’Arabia Saudita (?) che deve scegliere fra un suo figlio sveglio e voglioso di autarchia utile al popolo e l’altro figlio debosciato e filo USA. Chiaramente parliamo di petrolio e chiaramente parliamo di spie e bancari.
Che dire, sembra un film di Innaritu, con 2000 personaggi diversissimi che stanno agli antipodi, fanno lavori diametralmente diversi e hanno storie personali opposte che alla fine si ritrovano tutti insieme nella scena finale.

In ogni caso della storia non si capisce un cazzo. Questa caratteristica mi piace anche in un film di spionaggio… però c’è un limite, non mi si può dire 18, complicatissimi, nomi a caso di uomini, città e compagnie petrolifere nelle prime scene e pretendere che dopo un’ora e mezza me li ricordi tutti e sappia pure chi sono. C’è un limite cazzo! (tutt’ora non ho capito da che parte stesse Clooney).

Detto ciò (che è motivo sufficiente per non vedere il film), va detto che la regia non è malvagia. Utilizza una macchina a mano il più controllata possibile, così da non renderla fastidiosa né inutilmente invasiva; ma come si può immaginare questo non è un motivo adeguato per fare un film del genere.

Inoltre la storia del ragazzo mussulmano che lentamente viene preso tra le maglie dell’estremismo è certamente ben realizzata e godibile, ma non centra proprio niente con il resto del film.

giovedì 26 gennaio 2012

Extras - Andy Millman (2005, 2006)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Gervais è un over quarantenne che decide di riciclarsi come comparsa (extra in inglese), in realtà questo dev’essere solo il trampolino di lancio per poter, un giorno creare il suo telefilm. Tra la sua amica scema e un agente praticamente ritardato durante la seconda serie riuscirà nel suo intento, ma il suo lavoro sarò radicalmente cambiato per trasformarlo in una sitcom idiota.
Telefilm inglese di stampo comico costruito da (e su) Gervais stesso, in cui, in ogni puntata viene invitata una guest star di notevole rilievo nel mondo dello spettacolo (di solito cinema) con una parte più o meno importante.

Quello che più va sottolineato è che qui c’è la comicità di Gervais (ideatore ed autore della serie). Io in realtà conosco questo autore adesso ("The office" mi ha sempre schifato a pelle e non intendo cambiare idea adesso), ma il suo stile è chiaro; con un ritmo sottotono presenta una galleria di perdente che o sono stupidi o sono arroganti opportunisti che si trovano immersi in un mondo uguale a loro (ora che ci penso sembra di raccontare lo stile di De la Iglesia). La comicità scaturisce dall’imbarazzo in cui si trovano i suoi protagonisti e dai colpi di sfiga che gli capitano (si insomma siamo dalle parti di Fantozzi), con una sottigliezza ed una freddezza tutta british e una accanimento tutto particolare su tutto quello che politicamente scorretto.

L’altra caratteristica è l’utilizzo delle guest star per lo più presentate all’opposto di come appaiono normalmente e, in definitiva, speculari ai protagonisti, solo più fortunati.

Per avere un’idea di cosa intendo basti vedere la puntata numero 3 della prima serie, dove Gervais attacca religione e disabilità contemporaneamente e ci mette pure un poco di sfottò al business legato alla shoa; in più c’è la partecipazione straordinaria di Kate Winslet (fantastico che l’attrice ammetta di partecipare ad un film sull’olocausto perché è l’unico modo sicuro di vincere un oscar… e curiosamente vincerà un oscar 3 anni dopo proprio per “The reader”), assolutamente strepitosa, divertente e fuori dai soliti schemi. Decisamente una delle puntate migliori. Visto che ci siamo nella seconda serie su tutte vince la puntata numero 3 dove le partecipazioni straordinarie sono ben 3, Warwick Davis (che ovviamente sarà la vittima del razzismo strisciante del protagonista), Daniel Radcliffe (nella parte di un ingrifato adolescentello che cerca di mostrarsi adulto) e Diana Rigg (che recita poche battute come controcanto a Radcliffe).

Gli inglesi sono fantastici perché odiano (come me) i telefilm lunghi, Extras ha due serie da 6 episodi l’una (più uno speciale di Natale che non ho visto).

mercoledì 31 agosto 2011

Pusher 3 - Nicolas Winding Refn (2005)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
L'angelo della morte.

C’è di bello nella trilogia di Pusher che tornano sempre gli stessi personaggi e con l’evolversi delle loro storie ti rendi conto che non erano delle macchiette, ma personaggi complessi di cui guardavi solo un lato. Se il Tonny del primo capitolo della saga era un coglioncello senza un solo problema al mondo, nel due ci si rende conto invece dell’ambiente in cui si muove, della sua strafottenza come mezzo per sopravvivere e della sua disperazione. Nel terzo capitolo invece torna Milo, lo slavo venditore di eroina che era il cattivo assoluto del primo, faceva una comparsata da fighetto scherzoso nel due e qui invece si becca tutti i problemi che ci si riesce ad immaginare.

Milo deve organizzare il compleanno della figlia 25enne, cercare di disintossicarsi e resistere all’ultima dose di eroina che gli viene data, cercare di recuperare i soldi di una partita di ecstasy che gli è stata data contro la sua volontà, o pagare il debito accumulato in altro modo.

Quest’ultimo capitolo rimane fisso come stile di regia, ma è lo stile del racconto a cambiare; non assume mai i toni della commedia, ma inizia così come ci si aspetta debba essere il personaggio di Milo, ironico, pieno di carne al fuoco, ma un poco sfigatello (anche se le scene in cui gli scagnozzi stanno male sono anche eccessivamente di basso livello per un film come questo)… poi però il film di completa dei suoi elementi, Milo viene preso dalla morsa degli eventi ed in un un’unica nottata dovrà fare di tutto. Il ritmo cambia e anche il tono, niente più scherzi, il film si fa sempre più cupo e crudele, passa per la compravendita di ragazze dell’est, alla tortura, per approdare alla raggelante sequenza finale dello scannamento del polacco, realizzato con fare documentaristico, senza amai essere sensazionalistico. Terrificante per realismo.

Ancora una volta questo film non è all’altezza del primo; ma da quello mutua molto, addirittura il finale (liet motiv della trilogia) che vorrebbe essere semiaperto e invece si limita ad essere solo pensoso.

Refn si conferma un grande regista e si nota in questa trilogia come lui giochi molto con gli spazi e con i suoni.
I film sono spesso girati in interni claustrofobici o in esterni spersonalizzanti e cadenti, creando quindi una dettagliata geografia di una città distopica fatta solo di bassifondi, pochi registi come Refn sono legati alla metropoli e la utilizzando in questo modo come parte integrante del racconto.
Refn poi parla letteralmente con i suoni e con le musiche alternativamente disturbanti o possenti, a sottolineare ciò che accade, il mood della scena o i pensieri dei personaggi.
Bisognerà vedere altro di questo regista.