lunedì 30 aprile 2018

La corta notte delle bambole di vetro - Aldo Lado (1971)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un giornalista americano a Praga cerca di scoprire la verità circa la scomparsa della sua amante; le ricerche lo porteranno alla morgue, ma non sarà morto, lo sembrerà soltanto a causa di una droga.

Particolarissimo thriller all'italiana che, pur con i consueti stilemi diffusisi negli anni '70, cerca una sua personale visione del mondo. Al di là dell'indagine, francamente trattata all'acqua di rose e che in più di un momento rallenta fino all'esaurimento (dello spettatore), ed è questa la pecca maggiore, il film ha la sua forza nel mondo che descrive. Il sistema organizzato che sta dietro a tutta la vicenda, il clima di paranoia diffuso, di un potere più o meno occulto che tutto può riescono (o almeno dovrebbero riuscire) a fare breccia in chiunque, ricordando, in parte il miglior Polanski, in parte anticipando un pò dei complottismi internettiani.
Altra intuizione carina, ma non determinante, è il lungo flashback fatto da un morto; un'idea non definitiva sugli esiti della trama e che avrebbe anche potuto essere accantonata senza colpo ferire, ma che risulta come una gradevole variazione sul tema e che permette un finale inaspettato e teso.
Infine va sottolineato il buon uso della location e la fotografia, non perfetta, ma adeguata.

venerdì 27 aprile 2018

I pascoli dell'odio - Michael Curtiz (1940)

(Santa Fe trail)

Visto in Dvx.

Una coppia di amici appena usciti dall'accademia militare degli USA di metà '800 sono mandati nei selvaggi territori del Kentucky (...se non confondo lo stato) dove devono fermare le scorribande armate di John Brown. Dopo varie vicissitudini prenderanno parte al suo arresto.

Film d'avventura e sentimenti firmato da Curtiz che maneggia gli ottimi Flynn e de Havilland pur senza mischiarli mai quanto servirebbe per rendere la loro simpatica storia d'amore come un elemento interessante e non un'obbligo contrattuale. Quello che rimane, dunque, è l'avventura.
Sornione e slavato, il film inizia con le consuete dinamiche dell'eroe americano dell'antagonista ex amico ripudiato; non viene mai fatto un vero sforzo drammatico (seppure la figura di John Brown è quantomai serie e tragica), ma Curtiz sa, quantomeno, gestire bene le scene "action", i combattimenti e le cavalcate. Flynn si muove con la solita destrezza nei panni del solito eroe americano piacione.

Di fatto è un film che può intrattenere bene, anche se con qualche caduta nello sbadiglio, ma che come maggior innovazione porta un opinione terroristica dell'eroe abolizionista (comunque condivisa da parte degli storici) e una (a mio avviso) eccessiva comprensione per le ragioni degli schiavisti. Ah già, poi c'è Reagan che recita e non è neppure fastidioso.

mercoledì 25 aprile 2018

Affetti & dispetti (La nana) - Sebastián Silva (2009)

(La nana)

Visto in Dvx.

Come tutti mi sono approcciato a questo film credendo ci fosse una nana... invece pare che il modo ispanico per definire la tata, la governante. Perché c'è una governante come protagonista, che da 20 anni (ora ne ha 40) vive e si occupa della casa e dei figli di una coppia altolocata e con quella famiglia ha intrecciato un rapporto "famigliare", fatto di preferenze, risentimenti e affetti; purtroppo per lei il suo rapportarsi così profondo non è ricambiato dalla famiglia che, pur con le migliori intenzioni e buoni sentimenti, continua a considerarla una governante e non una parente. L'affiancamento con una ragazza che dovrà darle una mano farà esplodere la sua gelosia.

L'idiota titolo italiano sembra voler vendere una commediola cretina, mentre questo è il classico film indie festivaliero. Macchina da presa a mano, inquadrature tutte sui personaggi stretti al massimo dentro a figure intere, ma preferibilmente a mezzi busti, fotografia naturale, assenza di musica. Tutto questo senza però i tempi morti che il luogo comune vorrebbe. Perché tutto sommato Silva si muove bene; fa un film di sentimenti senza mai abbassare il tono; mantiene l'attenzione dello spettatore nel ripetersi delle dinamiche con gocce di ironia che non strappano mai grasse risate, ma incollano alla vicenda, perché non fa mai esplodere sentimenti all'americana, ma regala una gamma completa di emozioni con il giusto distacco (tantissimo) e il doveroso rispetto per lo spettatore. Di fatto imbastisce una storia con una competenza e una professionalità che sono più invidiabili della vicenda stessa, facendosi supportare da una protagonista incredibile, perfetta per la parte e dalla faccia amimica che riesce a trasmettere tutte le emozioni in gioco.

lunedì 23 aprile 2018

Proibito - Frank Capra (1932)

(Forbidden)

Visto in DVD, in lingua originale.

Una giovane donna, insoddisfatta della propria vita decide di buttare tutti i suoi risparmi in una crociera a Cuba. Durante il viaggio incontrerà l'uomo della sua vita... ma che, per sua sfortuna, è sposato (anche se lei lo scoprirà incredibilmente tardi). Innamorata, lo odierà solo parzialmente e per lui si sottoporrà a ogni privazione (fino a fargli adottare la figlia) per finire la propria esistenza in un completo silenzio.

Storia altalenante di una vita vissuta volontariamente sottotono fino all'annichilimento personale, il tutto per amore. Il sottotesto di una relazione sbilanciata, di una sudditanza psicologica quasi patologica e il finale amarissimo, rendono questo film uno dei più estremi sulle coppie disfunzionali (che funzionerebbero benissimo) trainandolo fuori dal melodramma classico. Il valore aggiunto compensa la discontinuità e l'implausibilità della trama; inverosimiglianza che viene tenuta a bada anche dal tono smorzato della vicenda.
In aggiunta a tutto questo c'è una fotografia impeccabile sotto ogni punto di vista (che tecnicamente è la cosa migliore del film) e un'interpretazione estremamente vitale da parte della Stanwyck che fa il paio con la prima parte solare sostenuta da un inaspettato Menjou. Ottima comunque la costruzione dei personaggi, anche quelli secondari (Bellamy).
A livello di regia c'è un Capra sottotono che conduce bene il gioco senza interferire troppo, ma senza i guizzi che gli sono consueti; l'ordinaria amministrazione è però realizzata in tono con l'atmosfera del film e le scene finali (pur nella loro enfasi eccessiva) rimangono impresse.

venerdì 20 aprile 2018

Stardust memories - Woody Allen (1980)

(Id.)

Visto in DVD.

Un regista è invitato in una cittadina degli USA per un ciclo di conferenze e dibattiti sui suoi film; sarà l'occasione di venire a capo dei rapporti con le donne della sua vita mentre riceverà critiche e lodi che riceve da quasi un ventennio.

Woody Allen che gioca con il materiale di "8 e mezzo" è un momento invidiabile della cinematografia mondiale.
Devo ammettere che sono passati diversi anni dall'ultima volta che vidi questo film e la memoria l'ha migliorato molto rispetto a quanto non valga in realtà.
Rispetto al film che cita apertamente risulta decisamente più comune, più lineare, più digeribile e meno fantasioso; tuttavia funziona alla perfezione.
Allen tira fuori una trama molto più canonico, ma con diversi cortocircuiti temporali, sovrapposizione dei film (fake) nella vita del regista e qualche minuscola incursione del fantastico vero e proprio.
Il risultato finale è, per Allen, quello che fu "8 e mezzo" per Fellini, uno splendido compendio di tutto ciò che è stato detto nel ventennio precedente, un compendio su cosa siano i suoi rapporti con le donne, un compendio della sua lieve ironia e del senso dell'assurdo il tutto venato con la sua crepuscolare malinconia. In poche parole un compendio di Allen fotografato con uno splendido bianco e nero.

Come contenuti non aggiunge nulla a quanto già aveva fatto (ma quando mai Allen ha detto qualcosa di diverso?), ma come forma raggiunge uno dei suoi picchi.

mercoledì 18 aprile 2018

Il tesoro della Sierra Madre - John Huston (1948)

(The Treasure of the Sierra Madre)

Visto in Dvx.

Una coppia di americani senza soldi decide di associarsi con un vecchio conosciuto in una paese messicano per mettersi a cercare oro nelle montagne. Nonostante il vecchio li avesse messi in guardia circa i rischi del mestiere (la fame d'oro che porta tutti a dubitare di tutti) si mettono in marcia; ovviamente il vecchio avrà ragione.

Huston confeziona un perfetto film d'avventura dall'andamento più da commedia che da dramma, ma dai risvolti tragici (anche se sarebbe meglio definirli amari).
Se l'effetto finale non è memorabile come altre opere del periodo, sicuramente il film gode di un ritmo perfetto, con un susseguirsi di eventi disgiunti, ma a ritmo continuo che non riescono mai a far cadere l'attenzione. L'interesse per la commedia aiuta a rendere gradevole l'insieme, ma los cavo psicologico è aiutato dal sottotesto melodrammatico che esplode in un finale beffardo (anche se speranzoso) ai limiti del noiresco.
La regia ben calibrata aiuta senza svolazzi eccessivi, ma con il solito occhio attento, soprattutto nei confronto della profondità di campo.
Il cast è tutto tra il buono e l'impeccabile, con un Bogart in grande spolvero in una parte (finalmente) non noir; credibile, ampio nella gamma di emozioni e sempre sul pezzo da vita a una delle sue interpretazioni migliori.


lunedì 16 aprile 2018

Il sospetto - Thomas Vinterberg (2012)

(Jagten)

Visto in Dvx.

Un uomo che lavora in un asilo viene accusato di pedofilia per un l'invenzione di una bambina arrabbiata. Dal sospetto del titolo la situazione degenererà in violenza e ostracismo che non verranno cancellate dal giudizio finale.

Il glaciale Vinterberg da vita a una vicenda altrettanto glaciale, trattata con un distacco programmatico che, da una parte non permette un completo coinvolgimento emotivo, ma dall'altra permette di raggiungere picchi di parossismo senza risultare stucchevole o poco credibile.
Dismessi completamente i panni del dogmatico, Vinterberg impacchetta il film in una perfezione stilistica invidiabile, lo colora con luci autunnali e invernali, con ombre melodrammatiche e sfumature terree; tirando fuori un'opera distaccata e formalmente impeccabile.
Tutto questo impegno nel farsi da parte rispetto al personaggi centrale premia la riuscita complessiva, ma soprattutto permette a Mikkelsen di dare sfoggio delle sue capacità, rimanendo l'unico a dover dimostrare dei sentimenti all'interno di una macchina altrimenti gelida; e ovviamente gli riesce bene.

Se da una parte la trama vuole mostrare l'impossibilità a debellare un dubbio una volta instillato, forse avrebbe potuto risultare più efficace lasciando anche lo spettatore nell'ignoranza circa i reali avvenimenti.
Rimane comunque un film ben fatto, intelligente e godibilissimo.

venerdì 13 aprile 2018

I misteri di un'anima - Georg Wilhelm Pabst (1926)

(Geheimnisse einer Seele)

Visto in Dvx.

Un uomo acquisisce un'acuta fobia per i coltelli a causa di un trauma psicologico; il supporto di uno psicanalista lo aiuterà a superare il problema.

L'UFA aveva un settore di produzione dedicato alle opere di interesse culturale; entro questo ambito da tempo stava progettando un film sulla neonata psicoanalisi, ma per farlo avrebbe voluto l'imprimatur di Freud (che ovviamente non arrivò mai). Dovendo accontentarsi di qualcuno dei suoi sottoposti iniziò un lungo tira e molla sul da farsi fino ad arrivare al risultato finale con questo film.
Ovviamente la psicoanalisi si sposa perfettamente con lo stile obliquo del cinema tedesco di quel decennio e solo le note vicende produttive spiegano il perché abbiano impiegato così tanto tempo a realizzare un opera su questo argomento.
Dietro la macchina da presa c'è un giovane Pabst che si arrabbatta in maniera encomiabile per rendere il film dinamico e suggestivo, gestendo le scene con una sicurezza invidiabile, ma costretto a una serie di porzioni oniriche, dovute alla sceneggiatura, che risultano addirittura più deboli di quelle ambientate nella realtà.
Fa impressione pensare ai precedenti film espressionisti e quanto la psicanalisi trasparisse (volontariamente o meno) da quel mondo onirico fatto da scenografie, fotografie e stili di regia; qui invece le soluzioni delle scene di sogno sono costrette dentro una trama troppo schematica per poter trasmettere adeguatamente l'idea di fondo. Non per nulla le scene migliori si concentrano nella parte iniziale (oltre a una bella macchina da presa a mano nel finale).

mercoledì 11 aprile 2018

Why don't you paly in hell? - Sion Sono (2013)

(Jigoku de naze warui)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo di regazzini sogna di realizzare un film, ma per anni i loro progetti sono frustrati dalla loro idiozia e dalla mancanza di mezzi; le loro strade si incrociano però con quelle di uno yakuza che deve girare in poco tempo un film con protagonista la figlia per compiacere la moglie che uscirà di li a poco dal carcere; unendo l'utile al dilettevole si decide di realizzare questo film durante un vero scontro tra bande. Finirà in una pioggia di sangue.

Era dai tempi di "Love exposure" che Sion Sono non era così scanzonato e qui sembra esserlo anche di più dato che il film è una lunga cavalcata grottesca fra il metacinematografico e il caos sanguinario e ironico di un Takashi Miike.
La qualità tecnica del film è ineccepibile, forse anche più che in passato, con una regia sempre pronta allo scarto giusto, al cambio di passo necessario, a piegarsi in favore del gioco di fotografia che ritiene più opportuno con alcuni picchi visivi notevolissimi seppure piuttosto radi (la scivolata della bambina nel sangue).

Quello che latita nel film è un pò di compattezza; molti gli input, diverse le storie da intrecciare, diversi i piani temporali e un minutaggio esteso per farci stare tutto rendono il film incredibilmente laborioso. Se di solito i film di Sono muoiono male nel finale (per mancanza di un sceneggiatore come si deve) qui invece succede il contrario; arrivare alla fine è complicato per l'eccessiva dispersione, ma una volta giunti alla fine, tutto torna e il lungo massacro con macchine da presa assieme alle armi è il motivo per cui vedere questo film.

lunedì 9 aprile 2018

La messa è finita - Nanni Moretti (1985)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un prete romano, trasferito su un'isola siciliana sta per tornare a casa, dovrà subentrare in una parrocchia di periferia, ma circondato da amici e conoscenti di sempre. Ossessionato dall'idea che tutti debbano essere felici e che la vita in solitudine non sia fatta per la gioia, cercherà di essere amico di tutti, ma rimarrà solo un confessore, un uomo a cui dire tutto per avere la soluzione dei propri e altrui problemi.

Il film successivo a "Bianca" ripresenta lo stesso personaggio (ossessionato dalla propria idea del mondo che vuole forzatamente imporre agli altri), ripulito dalle psicopatologie e dagli eccessi. Ma il film successivo a "Bianca" è anche il primo di Moretti scevro da quasi tutte le sue invenzioni surreali, metacinematografiche e intellettuali; è forse il suo primo film canonico (se l'intera vicenda non fosse un susseguirsi di momenti emblematici e allegorici).
Inoltre è il primo film a cui viene totalmente tolta la componente ironica rendendo evidente il dramma dei personaggi morettiani.
Infine è il primo film senza Michele Apicella.

Con questi presupposti quello che ne viene fuori è un ritratto gelido (gelido per la apatia che sembra pervadere il protagonista, ma che è solo la sua forma di reazione a un mondo che ritiene sbagliato), estremamente organico (nonostante la struttura a episodi sia rimasta, qui sembrano cuciti alla perfezione in un flusso unico) ed estremamente disarmante di un uomo solo che combatte per un'ideale di felicità che sembra non esistere.
Le idee e le allegorie messe in scena sono un lungo elenco di fatti che contribuiscono a creare un unicum diverso e più profondo; l'insieme è superiore alla somma delle parti e, per questo "La messa è finita" è uno dei film di Moretti più riuscito (seppure meno accattivante).

venerdì 6 aprile 2018

Perdona e dimentica - Todd Solondz (2009)

(Life during wartime)

Visto in Dvx.

A quasi dieci anni di distanza Solondz torna dalla stessa famiglia di "Happiness", con le relazioni complicate che la caratterizzano, ma immersa in un ambiente più ansiogeno (l'america di quegli anni, non mostrata nel film, ma evocata dal titolo). In più ci aggiunge una componente ebraica che avrebbe dovuto essere presente già nel primo film, ma che venne eliminata (il che è un peccato, visto che buttata li a caso non sembra avere nessuna motivazione, mentre se fosse stato spiegato che il padre pedofilo era un "gentile" inviso alla famiglia, avrebbe avuto un suo senso).
Se l'idea di per sé è quasi interessante, l'effetto finale è terribile.
Tutto sembra stonato. Il grottesco è tirato ai massimi livelli, ma senza la grazia e l'organizzazione del primo film ottenendo solo effetti ridondanti per far piangere continuamente i personaggi o cercare di far ridere a denti stretti (il fantasma che torna a insultare la donna, la madre che parla al figlio del suo appuntamento); non c'è più quell'equilibrio magistrale che rendeva ruvido, ma geniale il film precedente e, senza quello, tutto il castello di carte crolla.
Inoltre i personaggi sono molti, ma quasi tutti di contorno, le vicende girano attorno a 3 di loro e, quasi, nessun altro.
Curiosa anche la scelta pedissequa di sostituire tutti gli attori; con i cambiamenti di persona si notano anche alcuni piccoli cambiamenti di carattere dei personaggi (Trish da frigida e quadrata madre di famiglia, diventa una desperate housewife, Allen da ragazzo cn grossi problemi sociali e sessuali diventa un ex tossicodipendente con spunti di criminalità, ecc...); esperimento curioso in cui non riesco a capire se i cambiamenti siano stati voluti nella sceneggiatura o siano stati figli del diverso casting.
Una fotografia magistralmente patinata e qualche spunto intelligente non possono ripagare di un film noioso e pretenzioso.

mercoledì 4 aprile 2018

Happiness - Todd Solondz (1998)

(Id.)

Visto in Dvx.

Storia corale incentrata su una famiglia (genitori oltre la mezza età; tre figlie adulte, una felicemente sposata, una perennemente alla ricerca di una vita felice, la terza nevrotica scrittrice di successo) e sulle loro relazioni. Ognuno avrà un'idea di felicità da perseguire, ognuno cercherà di perseguirla, ognuno fallirà a modo suo.

Solondz è campione nel prendere un canovaccio da film commerciale mediamente cretino (come in "Fuga dalla scuola media") o da commedia/drammetto classico senza spunti (come in questo caso) e trasformarlo in un film tutto fuorché cretino, tutto fuorché scontato e rassicurante.
Sempre in Solondz il grottesco è centrale per dare alla vicenda quel gusto particolare, ma mai come in questo caso ci si trova davanti a un capolavoro di equilibrismo. Il film lega insieme le sue componenti creando un unicum che è grottesco, è divertente, è angoscioso squarcio sociale, è iperbole, senza nessuno sbilanciamento. Perfetto anche l'equilibrio fra i personaggi; fatti salvi i genitori (lasciati piuttosto in disparte), nessuno della decina di personaggi prende il sopravvento sugli altri, ognuno sguazza nel proprio fango con un minutaggio dignitoso.

Poi lo stile pop, anche se piuttosto freddino, fa il paio con una fotografia pacatamente kitsch; mentre l'intero cast dimostra di essere stato la scelta migliore per la parte (ovvio che tutti gli applausi se li prende il solito Hoffman, ma anche gli altri non scherzano; spiace solo per il sottoutilizzato Gazzara).

Il problema di questo film sta tutto nel manico; è un film grottesco che parla coscientemente dei temi più scabrosi che possa toccare (pedofilia, discussioni sul sesso fra padre e figlio undicenne); lo fa con la grazia dell'equilibrista, ma il tema è sempre quello. Per chi non può proprio sopportarlo il film non piacerà; per chi lo tollera il film sarà una sorpresa.

lunedì 2 aprile 2018

Joshû sasori: Kemono-beya - Shunya Itô (1973)

(Id. AKA

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Sasori è a piede libero; inseguita dalla peggio polizia, ma pur sempre libera. Trova una sponda in una amica con grossi problemi familiari, ma incappa in una ex collega di carcere dagli intenti piuttosto violenti.

Al terzo capitolo della miglior saga di vendetta dal Giappone sembra proprio che le idee siano finite.
Stessa (buona) fotografia; stesso stile estetico e di regia, stessi attori nei punti giusti e stesse, identiche, maledettissime, dinamiche.
Quello che però appare più evidente è che al di fuori del già visto, il resto è tutto da buttare; la sceneggiatura è la più inutile, pretestuosa (ma vabbé, quello sempre) e confusa di sempre, tanto da rendere noioso ogni istante; mentre nella regia il povero Ito sembra ormai aver impostato il pilota automatico. Lo stile è sempre quello, ma le scene spiritate, dall'estetica perfetta, o dall'impatto visivo enorme sono un ricordo lontano; si salva giusto la pioggia di fuoco nelle fogne; ma è un pò poco per mandare avanti 90 minuti di film.
Già al terzo capitolo è evidente che nessuno ha più voglia di portare avanti questa saga; Ito, in una botta di onestà, si ritirerà dopo questo film.