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giovedì 5 marzo 2020

Racconti di Hoffman - Michael Powell, Emeric Pressburger (1951)

(The tales of Hoffman)

Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.

Il giovane Hoffman ama una ballerina, mentre è in scena va in osteria a raccontare storielle di amori romantici, ambientate in giro per il mondo.

Il musical di Powell e Pressburger è incredibilmente famoso, ma solo per l'immaginifico impatto visivo, e non posso che trovarmi d'accordo.
Gestito in maniera teatrale (si apre con il sipario), realizzato in giganteschi ambienti unici con dominanti cromatiche che differenziano le sequenze e costruzioni scenografiche imponenti ben oltre il limite del camp, quando azzecca il colpo d'occhio (la bambola fatta a pezzi, il primissimo balletto a teatro) è pronto per essere incorniciato e messo in un museo per l'impatto, ma quando non c'è questo bisogna accontentarsi di musiche piuttosto banali e storie inconsistenti.
Spiace dover dire che il film annoia e fallisce miseramente proprio per via dell'idea di base. Portare il teatro al cinema funziona fintanto che il cinema la fa da padrone (come nella scena d'apertura con il pavimento dipinto e movimenti di macchina), ma un musical classico con scene statiche anche se barocche con le inquadrature ipomobili e da un solo lato (esattamente come dentro un cinema) è limitante e ripetitivo.
Fosse stato un corto (di fatto siamo di fronte a una versione allungata della, bellissima, sequenza di ballo di "Scarpette rosse") sarebbe stato ineccepibile.


venerdì 8 febbraio 2019

Carmen ritorna a casa - Keisuke Kinoshita (1951)

(Karumen kokyô ni kaeru)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una ragazza che fa "l'artista" (la cantante ballerina di avanspettacolo... o forse qualcoasa di più...) a Tokyo torna i campagna dove è nata e dove vive il padre che si rifiuta di vederla. Il villaggio si muove attorno a questo ritorno mentre lei cerca conferme negli sguardi degli altri.

Un filmetto grazioso, ma senza nerbo e senza motivi di interesse particolare. La vicenda è trattata in maniera superficiale e il mezzo twist del finale non ne aumenta la profondità. La sceneggiatura veleggia su una superficialità incosciente che rende la storia solo un ritorno, senza effetti sui personaggi (fatto salvo l'aver recuperato dei soldi), senza scavo, senza vere sorprese o cambiamenti.

Kinoshita si cimenta per la prima volta con il colore (il film è da ricordare unicamente per questo motivo: è il primo film a colori prodotto in Giappone) gestendolo in maniera semlicistica con un effetto zuccheroso; le due protagoniste indossano vestiti dai colori sgargianti, frequenti campi medi (o lunghi) che incastrano i personaggi in un idillio campestre fatto da campi verdi e cieli incredibilmente azzurri. Kinoshita si butta anche a gestire l'intero film con carrelli brevi che tentano di rendere dinamiche le staticissime sequenze o muovendosi con le passeggiate dei personaggi.

Quello che rimane è soltanto quello che già si è detto, il primo film a colori giapponese. Niente di più.

giovedì 1 dicembre 2011

Quando i mondi si scontrano - Rudolph Maté (1951)

(When worlds collide)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Oh, un film di fantascienza anni ’50 con tutti i crismi. Uno scienziato buono che capisce tutto subito, avverte il mondo, ma viene scherzato come fosse l’ultimo dei geologi; un cattivo che però è parte integrante del progetto; il dubbio che via via si insinua sulla veridicità di ciò che sta accadendo; e poi astronavi che devono salvare l’umanità (almeno una parte) e l’atroce sacrificio dei buoni. Ecco questo è il film.

Poi se vogliamo andare nel dettaglio, un pianeta si scontrerà con la terra distruggendola, uno scienziato ha la pensata giusta, saltiamo sul pianeta che vince e ricostruiamo una civiltà tutta nuova e piena d’amore… ma non tutto riuscirà ad andare come previsto.
Cosa si può volere di più; un’apocalisse prevista che lentamente si avvicina e viaggi interstellari visti con l’ingenuità tutta particolare degli anni ’50. Se si aggiungono dei fondali fantastici del cantiere del razzo spaziale si è detto tutto. La presenza di Maté alla regia, più che un valore aggiunto è un dato di fatto.

martedì 23 agosto 2011

Pietà per i giusti - William Wyler (1951)

(Detective story)

Visto in DVD. Film con unità di luogo e di tempo; in un commissariato di polizia, un pomeriggio d’agosto, si incrociano le vicende di una manciata di poliziotti e altrettanti criminali (che vanno da una cleptomane ad un omicida). In questa giornata vi è uno scontro aperto fra un medico che pratica aborti clandestini e un poliziotto (Kirk Douglas) particolarmente duro e che non concede perdono, ma che ama sua moglie sopra ogni cosa… ovviamente Douglas dovrà presto ricredersi ed entrerà in gioco proprio la moglie con un segrete nel suo passato.

Tratto da un’opera teatrale ne porta addosso tutto il peso e non riesce in nessun momento a sembrarne disgiunto; eppure Wyler si muove bene fra le quattro mura della stazione di polizia in cui è ambientanto, gestisce bene i personaggi e si muove con capacità, senza eccessiva noia…
Il film di per se non è malvagio (ma non è esattamente una memorabilia), quello che appare stantio è il dramma finale, eccessivo ed estremo per la troppa durezza del protagonista (tale da essere poco credibile) e dal problema in se, oggigiorno meno disperante di quanto non lo fosse allora.

mercoledì 26 gennaio 2011

La cosa da un altro mondo - Christian Nyby, Howard Hawks (1951)

(The thing from another world)

Visto in DVD.

Un missione nell’artico scopre un misterioso oggetto che devia le onde magnetiche, nel tentativo di estrarlo dal ghiaccio lo distruggeranno, ma riusciranno a recuperare un umanoide che evidentemente vi soggiornava dentro… peccato non lo distruggano subito perché creerà il caos e donerà la morte.

Diversissimo dal suo remake anni ’80, il film di Hawks è uno splendido film di tensione (più per l’epoca che oggigiorno) in ambito fantascientifico, con un mostro simil-creatura di Frankestein (curiosamente d’origine vegetale) che si vede poco ma crea l’ambiente adatto per uno scontro di personalità. Il film infatti sembra molto più intento a mostrare l’idiozia dei protagonisti (l’interventismo cieco dei militari, l’assurda preferenza per la scienza anziché per la vita dello scienziato, ecc…) piuttosto che lo scontro con l’essere.

Un ottimo film d’epoca che dona ancora qualche emozione, la scoperta della nave incastonata nel ghiaccio è stupenda, e sarebbe ancora migliore se l’esperienza dei 60 anni di cinema che ci separano non spoilerasse il proseguimento del film.

lunedì 15 novembre 2010

Il diario di un curato di campagna - Robert Bresson (1951)

(Journal d'un curé de campagne)

Visto in VHS.

La storia in un neodiplomato prete che vien spedito in una parrocchia di periferia. Il che non sarebbe un problema se non fosse un alcolizzato con notevoli problemi di fede lui stesso (e altre disfunzioni morali) che si deve scontrare con alcuni ossi molto duri.

La storia non proprio scattante o attrattiva, trattata con una certa lentezza e qualche caduta di stile (personalmente non sopporto molto la voce fuori campo, che in questo caso dura per tutta la lunghezza del film…).

Se poi nel precedente film lo stile asciutto e geometrico di Bresson era un pregio, in questo caso non fa altro che eliminare la già scarsa empatia, rendere più freddo l’insieme e più lento lo svolgimento.