venerdì 31 maggio 2019

Venere e il professore - Howard Hawks (1948)

(A song is born)

Visto in Dvx.

La donna di un boss cerca la fuga dalla polizia riparandosi in una casa abitata da sette professori di musica che stanno scrivendo la più completa enciclopedia musicale di sempre. Proprio in quel mentre stanno affrontando lo spinoso problema della musica contemporanea che ignorano completamente.

Commediola musicale (ma non è un musical) di Hawks che fa il remake di sé stesso ("Colpo di fulmine", una sorta di versione live action di Biancaneve).
Ne viene fuori una fiacca commedia romantica estremamente scontata, piuttosto fastidiosa e con due protagonisti anemici. La regia di Hawks è decisamente assente e si abbassa ad assecondare questo desolante spettacolino.
Spiace però che venga fuori un film così secondario nonostante il richiamo di nomi così importanti della musica (dove compare un giovanissimo Armstrong) e impreziositi dal cameo in travestimento di Benny Goodman (uno dei professori).
Da vedere solo un paio di numeri musicali; le improvvisazioni con Goodman e la registrazione della storia della musica.

Mi auguro fosse solo un film alimentare.

mercoledì 29 maggio 2019

Aelita - Yakov Protazanov (1924)

(Id.)

Visto qui.

Film fantascientifico che si svolge quasi interamente sulla terra. La trama si occupa di una coppia dove lui cerca di progettare una nave spaziale per portare la rivoluzione sul pianeta rosso, mentre lei conosce un nuovo vicino di casa (in realtà alla coppia viene requisita una parte dell'ampia casa); lui dubiterà della fedeltà di lei, cercherà la vendetta facile e una fuga difficile nello spazio dove si porterà dietro un militare e un ispettore privato. Arrivato su Marte riceverà l'appoggio della regina locale contro l'oligarchia al comando sul pianeta, ma sarà tutto un doppio gioco per prendere il potere reale.

Il film è di genere fantascientifico sui generis, visto che le sequenze nello spazio fanno tutte parte delle fantasie a occhi aperti del protagonista e non rappresentano nulla di reale (non è uno spoiler poiché viene dichiarato fin dall'inizio), ma sono solo un meccanismo di fuga del personaggio e un mezzo per inserire sequenze d'effetto (ma non è il momento di approfondimento psicologico che avrebbe potuto essere).

Al di là del buffo utilizzo del pianeta, dunque, il film è realizzato ottimamente, con una recitazione ottimale al servizio di una trama consueta, ma condotta con piglio perfetto, rendendo il ritmo azzeccato e il passo del film godibile ancora oggi con l'occhio assuefatto a velocità ben maggiori.
La regia non è fantasiosa, ma competente, interessata a utilizzare gli spazi alieni per creare lo stupore dovuto e veicolare il messaggio propagandistico con una rivolta di classe giusta e condivisibile e messaggi simboli più o meno subliminale.
L'effetto finale è solo in parte pretestuoso, nel complesso il film brilla per chiarezza, emozioni e fruibilità.

Mezhplanetnaya revolyutsiya - Nikolai Khodataev, Zenon Komissarenko, Youry Merkulov (1924)

(Id. AKA Interplanetary revolution)

Visto qui.

Se l'animazione sovietica raggiungerà la fama (e i vertici qualitativi) tra gli anni '60 e i '70, ma le sue origini sono decisamente più distanti.
Questo cortometraggio muto è un film di propaganda fantascientifico che utilizza il mezzo dell'animazione (probabilmente) per veicolari i propri contenuti esagerati (l'idea alla base è che i comunisti nel 1929, cioè 5 anni dopo, avrebbero raggiunto Marte per liberare i proletari marziani dal giogo capitalista per poi passare al resto della galassia) senza sprecare troppi soldi e per permettere una deviazione surrealista incredibile.

Questo infatti non è un cortometraggio per bambini: tra capitalisti dalle natiche enormi che mangiano i proletari a un cameo di Lenin (!) l'intento è veicolare una storia supereroistica a un pubblico analfabeta (sostanzialmente nessun cartello) con iperboli, invenzioni visive che rasentano l'incomprensibilità.
L'animazione è qualitativamente non entusiasmante, primordiale nella realizzazione e nel tratto, quindi per me poco attraente, ma anche estremamente originale.

Il film ha un'idea talmente assurda che sembra ovvio sia stata ispirata da "Aelita" libro fantascientifico/bolscevico del 1922 da cui fu tratto un lungometraggio uscito pochi mesi dopo questo stesso film.

lunedì 27 maggio 2019

Lo spirito dell'alveare - Victor Erice (1973)

(El espíritu de la colmena)

Visto in Dvx.

Spagna anni '30, una bambina rimane colpita dalla visione del "Frankenstein" di James Whale. Immaginerà la creatura di Frankestein come reale e, con la sorella, lo immaginerà come un fantasma che vive in un cascinale fuori dal paese. Quando, esplorando la casa nei campi, vi incontrerà un uomo (un combattente della guerra civile) e lo scambierà per la creatura.

Un film che osserva l'infanzia e con lo sguardo puro, ma confuso di quell'età, cerca di intersecare più piani; l'allegoria del mostro isolato dalla società (che la bambina non riesce a cogliere, non capisce il perché della morte della creatura e della bambina nel film), la vita favolistica dei bambini e la guerra civile spagnola (con un affiancamento di idee e visioni che sembra arrivare fino a Del Toro).
Per farlo il regista si appropria di una visione naturalista, esonera ogni dubbio metafisico e dilata i tempi a dismisura. Affascina il film, ma annoia allo stesso modo.
Se l'introduzione del contesto storico è il vero valore aggiunto dell'opera, e le da spessore e ne aumenta l'intelligenza, la serie di allegorie (a cui si aggiunge anche quella delle api) sembra più che altro un lavoro intellettuale, tanto infantile (negli intenti) quanto complesso; quasi surreale negli accostamenti arditi.
In poche parole un film che sembra più un unicum che non un figlio dei suoi tempi (anzi, mi chiedo quanto la guerra civile fosse argomento così facile nella Spagna ancora franchista), interessante e senza fronzoli, ma scarno e intellettuale.

venerdì 24 maggio 2019

La vita di Adele - Abdellatif Kechiche (2013)

(La vie d'Adèle)

Visto in tv.

L'educazione sentimentale e sessuale di un'adolescente francese che scoprirà la propria omosessualità. Nella seconda parte viene invece eviscerata la sua vita di coppia da giovane adulta con la rottura e il tentativo di andare avanti.

Fotografato in maniera perfetta con colori tenui e freddi è  solo la cornice per un quadro magnifico.
Il contenuto è, come si diceva, un'educazione sentimentale trattata con delicatezza incredibile, con la macchina da presa sempre puntata sulla sua protagonista ne mostra la vita e la psicologia più che spiegarla. Se lo scavo psicologico è descritto in maniera minuziosa (ma lo sono soprattutto i rapporti fra ragazzi in generale che sono quanto di più verosimile abbia visto sullo schermo finora) il vero lavoro è tutto sul corpo e sulla recitazione; la macchina da presa indugia sulla protagonista in maniera costante (famose, alla sua uscita, le lunghe scene di sesso), mentre la giovane Exarchopoulos, impeccabile nella parte dell'adolescente, da urlo nel mostrare insicurezza, ritrosia, la voglia di superare l'imbarazzo.
Da tutto questo racconto di formazione la parte dell'età adulta (la vita di coppia) appare sminuita. La regia è la stessa, ma non lo sono le protagonista; dalla delicatezza dei complicati sentimenti adolescenziali, alla storia d'amore complicata il salto è notevole e le sottigliezze di recitazione vengono messe un poco da parte, mentre la trama diventa semplicemente già conosciuta.
Nella seconda parte rimane un ottimo film, ma perde l'aura di capolavoro che stava accumulando.

mercoledì 22 maggio 2019

Gli insospettabili - Joseph Mankiewicz (1972)

(Sleuth)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un anziano scrittore di gialli invita a casa sua il giovane mante della moglie. La giornata prende subito una piega curiosa, l'uomo infatti, chiede al giovane di aiutarlo a farli arricchire entrambi. MA presto il piano prende una piega inaspettata. Questo sarà solo il primo di vari colpi di scena e il primo di tre giochi sempre più estremi.

Tratto da un'opera teatrale questo film è tutto improntato alla recitazione; si appoggia integralmente sulle spalle di un Olivier che gigioneggia con classe infinita e un Caine di livello. Più di due ore di film con solo due personaggi è cosa difficile da sopportare, soprattutto in un film fatto di dialoghi; il loro piglio riesce a vincere su tutto.

Il film è suddiviso in almeno tre parti distinte ognuna implausibile in un climax ascendente di WTF che solo chi accetta di farsi trasportare dall'ottimo ritmo riuscirà a tollerare.

Inoltre questo è l'ultimo film realizzato da Mankiewicz che, con l'età, sembra aver acquisito un dinamismo sempre maggiore. Dato la dimora in cui si svolge la vicenda è estremamente articolata  e parte integrante del racconto, il regista si muove spesso alternando primi piani a inquadrature ampie o su più livelli che permettono di incastrare i personaggi all'intenro del nugolo di giochi che popola la casa.

Film certamente superficiale e con meno thrilling di quanto vorrebbe; tuttavia divertente e sostenuto per tutto il suo minutaggio e da adito a un paio di interpretazioni eccellenti.

lunedì 20 maggio 2019

Gunny - Clint Eastwood (1986)

(Heartbreak Ridge)

Visto in tv.

Un datato sergente sopravvissuto alla Corea e al Vietnam, ostile nei confronti dei più giovani superiori (perché sono tutta teoria e niente pratica) viene assegnato al comando di un plotone di perdenti in attesa di raggiungere l'età della pensione. Prenderà le cose molto sul serio, addestrerà meglio del previsto con metodi personali e, quando scoppierà il caso di Grenada, dimostrerà la bontà di quanto fatto sul campo di battaglia.

Film di guerra condotto da un Eastwood sempre roccioso, ma declinato verso la farsa in maniera molto godibile. Conduce una commedia canonica di vecchio contro nuovo (dove il vecchio è, ovviamente migliore), di riscatto del più debole, di successo guadagnato sudando e di violenza necessaria; in una parola, è un film molto americano. La parte di commedia non è impeccabile, ma funziona bene, intrattiene, diverte e regala una serie di quotes da fare invidia ad un noir di Chandler (il personaggio di Eastwood non dialoga, declama aforismi cazzuti).
Tutto sembra preordinato e prevedibile fino al finale, dove l'invasione di Grenada viene mostrata in un'ottica positiva e glorificante con una doppia valenza; da una parte dimostra tutti gli attributi (positivi) degli USA, dall'altra, in una botta di onestà, la presnta come un riscatto nei confronti della sconfitta in Vietnam.
Eastwood si sa, è un conservatore e un patriota, ma si sa anche che non è un idiota; primo realizza una farsa e poi una glorificazione che strizza l'occhio alle critiche; qualunque fosse il suo disegno originale il film riesce ad essere di un sottile fascismo contemporaneamente a un parodia di sé stesso. Non è un capolavoro, ma funziona perfettamente.

venerdì 17 maggio 2019

Příchozí z temnot- Jan S. Kolár (1921)

(Id. AKA Arravil from the darkness)

Visto qui.

Un uomo si trova la moglie concupita dal vicino di casa, ai due si aggiunge presto un terzo personaggio, vecchio di secoli è tornato in vita grazie a una pozione alchemica che deve assumere ogni 3 giorni o morirà per sempre.

La visione del film risulta terribilmente azzoppata dalla scarsa qualità del filmato (è una riproduzione della tv di stato ceca), dalla mancanza di intere sequenze (mancano almeno 15 minuti di filmato) e da alcuni cartelli quantomeno mal scritti. Il film però ha anche alcuni difetti strutturali, come una trama troppo farraginosa che mischia insieme troppi elementi gotici pensando che gonfiando il numero di cliché aumenti in automatico la qualità; nonché alcune ridondanze di regia (il flashback dentro al flashback per evitare un cartello in un film che ne conterà almeno un centinaio).

I lati positivi però non mancano, su tutto la gestione delle location, ottima per la gestione del mood, ma soprattutto ben sfruttata per punti di vista interessanti o come elemento determinate del montaggio interno (tutte e due elementi sfruttati per lo più nella prima parte del film).

Un film sicuramente interessante che, però, più che meritare una visione, meriterebbe, prima di tutto, un restauro.

mercoledì 15 maggio 2019

Tutto può accadere a Broadway - Peter Bogdanovich (2014)

(She's funny that way)

Visto in aereo in lingua originale.

Il ritorno di Bogdanovich è un sorprendente salto indietro nel tempo. Pur sapendo dell'eterno amore del regista per il cinema della Hollywood d'oro degli anni '30-'40 era dai suoi primi film che non si vedevano riferimenti così diretti e credo che sia la sua prima esperienza dagli anni '70 in cui attivamente di resuscitare un genere d'epoca ("Waht's up, doc", "Paper moon" o "At long last love").
Qui siamo di fronte a una vera e propria screwball comedy anni '30, estremamente consapevole di sé, a tratti autoreferenziale al proprio genere (in alcuni momenti in maniera metacinematografica sfacciatissima), ma sostanzialmente rispettosa delle regole base e piena di affetto per quel modo di fare cinema.
Una screwball comedy riadattata ai nostri tempi che non disdegna il dialogo in macchina da presa dell'inizio, alcune derivazioni alleniane, l'introduzione di argomenti come il sesso e l'ammodernamento di personaggi "picchiatelli" che altrimenti sarebbero ormai inservibili (la Aniston su tutti, che purtroppo soffre di una sceneggiatura che la considera fino a un certo punto).
Quello che ne esce è una commedia degli equivoci dai ritmi velocissimi, dalla quantità di caratteri che affollano la scena. Divertente e dal ritmo sempre sostenuto riesce, come 80anni fa, a portare a casa un ottimo risultato.
Rimarrà un unicum, ma è stato un unicum bellissimo.

lunedì 13 maggio 2019

In Zeiten des abnehmenden Lichts - Matti Geschonneck (2017)

(Id. AKA In times of fading light)

Visto in aereo, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Per il 90esimo compleanno di un importante (ex) esponente del partito comunista (nella Germania est), si riunisce la famiglia con alcuni rappresentanti dei lavoratori, ex colleghi e dignitari; quello che l'anziano non sa è che il nipote è scappato all'ovest solo il giorno prima.

Un film elegante che parla di Segreti e Bugie di una famiglia dai capostipiti rigidissimi con una miccia che fa (lentamente) deflagrare tutti gli asti sopiti. Il tutto viene inserito in un quadro storico particolare, ancora piuttosto sentito in Germania, il declino della DDR riuscendo, in un colpo solo, a dare una botta emozionale per un'era e il senso di tempo che passa ambientandola durante il 1989; discorsi che si uniscono alle medesime dinamiche all'interno della famiglia.
Di fatto il film è un'opera teatrale scritta con grazie (il passo da tragedia è costante, ma delicato) che punta tutto sulla caratterizzazione carica dei personaggi (dando vita a dei piccoli capolavori con la coppia disfunzionale dei grandi anziani) dati in affido a un cast completamente in parte (il grande Ganz fa il paio con l'enorme e rabbiosa Schmahl).

Il film è gestito con estrema competenza e il packaging è inappuntabile, l'effetto finale è di soddisfazione, il tutto senza inventare quasi nulla e facendo leva sul contesto storico.

venerdì 10 maggio 2019

127 ore - Danny Boyle (2010)

(127 hours)

Visto in aereo, in lingua originale.

Un ragazzo californiano parte per un weekend di canyoning (trekking + scalate all'interno dei canyon) in solitaria. Nella sua escursione finirà vittima di un incidente e un braccio rimarrà incastrato tra una parete e un masso. Passeranno (guaess what) 127 prima che arrivi all'estrema soluzione di tagliarsi il braccio.

Danny Boyle, fresco dell'Oscar per "The millionaire" fa l'unica cosa sensata per un regista, skippa le offerte più ghiotte (tipo un favoleggiamento circa la regia di 007) e si getta a capofitto in un progetto personalissimo, sulla carta infilmabile e dalle scarse possibilità di finanziamento in altri momenti della carriera.

L'esperimento è interessante, un film realizzato quasi con un attore solo con lunghissime sequenza in unità totale di luogo con pochissima azione.
L'esperimento è titanico e Boyle sembra l'unico a potervi riuscire.
Per prima cosa si a James Franco, attore che si getta in una recitazione fisica encomiabile che riesce a affezionare a un personaggio costantemente in scena facendo di tutto.
In secondo luogo fa di tutto, letteralmente di tutto, per rendere dinamico un film statico, gioca con le inquadrature, con i punti di vista, con i movimenti di macchina, con i giochi di montaggio, con le musiche e con i continui cambi di distanza delle inquadrature. Lo sforzo è enorme, con grandissimi picchi e qualità, con momenti di puro godimento, vera e propria pornografia registica dentro una fotografia carichissima e sequenze oniriche continue. E per una buona metà il piano regge bene, ma nella seconda parte in cui la trama esile scompare e il film vira verso i sogni e le allucinazioni per aumentare il minutaggio; la storia si sfalda del tutto e l'opera viene schiacciata dal comparto visivo ormai allo stato brado.
Esperimento interessante, fallito, ma con stile.

mercoledì 8 maggio 2019

The limits of control - Jim Jarmush (2009)

(Id.)

Visto a un cineforum, in lingua originale sottotitolato.

Un uomo passa le sue giornate in maniera ripetitiva, per lo più seduto a un bar ad aspettare di essere contattato da bizzarri personaggi che recapitano messaggi a cui segue un cambio di location, Tutto è sempre uguale, loro parlano di massimi sistemi con ingenua superficialità, lui non parla. Si arriverà a tirare le somme a sapere quale sia l'obiettivo comune.

Questo misterioso film di Jarmush (mai distribuito in Italia... e finora lo ritenevo un problema di scarsa intelligenza nostrana) viene a seguito della serie fortunata del regista, la triade classica ("Dead man", "Ghost dog" e "Broken flowers") con il lavoro composito di "Coffee and cigarettes". Una serie di film riusciti e compiuti, più o meno ingenuamente allegorici, ma ben realizzati e che riescono perfettamente a raggiungere gli obiettivi preposti di profondità e lieve poesia nonostante la saltuaria pretenziosità. Questo lo dico perché "The limits of control" nasce nel periodo migliore del regista, il periodo grazie a cui ho amato incondizionatamente Jarmush.

Il film parte con la riproposizione ossessiva delle stesse scene cambiate di poco, con lunghi silenzi e poche frasi (sempre pretestuosi vaniloqui su luoghi comuni falsamente profondi); l'effetto è spiazzante, inizialmente da solo grande spaesamento, poi comincia a sembrare un piano ben congegnato per parlare della percezione e delle sua alterazioni (siamo in un sogno? un trip?). Un discorso di questo tipo sarebbe forse scontato, ma potenzialmente molto efficace. Invece l'insistenza nella ridondanza, ma soprattutto uno dei finali più pretestuosi e vuoti di sempre rovinano tutto.

Questo è un film che vive di questa pretestuosa ripetitività, che dà profondità e originalità alla vicenda solo nella testa di chi l'ha scritto, ma non riesce a trasmettere nulla più di un compitino fighetto di un regazzino che vorrebbe spiegare il male del mondo con la poetica di Topolino (ma con cadaveri).

Un film fallimentare che rappresenta, soprattutto, uno dei più inspiegabili sprechi di attori di valore!

lunedì 6 maggio 2019

Chillerama - Registi vari (2011)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Nato da un'idea di Rifkin e Sullivan di creare un film a episodi dedicato ai mostri classici del cinema (a spanne quelli Universal con in più gli zombie alla Romero) con segmenti dedicati a 4 epoche diverse del cinema. All'idea si aggiunsero in un secondo momento Green e Lynch. Ecco a fronte di un'idea apparentemente accettabile (anzi, auspicabile) il progetto nasce fin dal primo istante come un'idea cazzara avuta da due amici che si sentono troppo fighi per questa industria cinematografica che non capisce niente di cinema, il tutto in una serata alcolica; a tutto questo poi si aggiungono altri due giuggioloni.

Perché l'apertura in bianco e nero col tipo che sotterra sua moglie che, sfortunatamente si sveglia e gli strappa il pene a morsi (e comincia a secernere un curioso liquido azzurro), con tutta la buona volontà può sembrare una citazione amorevole di un certo cinema fatta da un regazzino che ha più passione che capacità, ma poi in sequenza c'è una citazione di "Godzilla" (che in realtà lo cita nel senso che c'è un mostrone gigante che distrugge una città e nessun altro collegamento) assolutamente idiota, poi arriva l'apice dell'ironia linguistica con una storia di licantropi gay che sono degli orsi mannari (tutta l'idea dello spezzone sta nel doppio senso di werebears!), si continua con un crossover fra Anna Frank e un Frankenstein ebreo (con Hitler come protagonista) si conclude con una sequenza di merde merde che fanno cose; poi si finisce con il quadro entro cui tutto è inserito, cioè una apocalisse zombie-sessuale in un drive in.

Inutile ulteriormente sottolineare la pochezza delle trame che non provano neppure a fare omaggi o citazioni, ma si accontentano di citare un nome e creare giochi di parole e sequenze ironiche per motivi tra il demenziale e il coglione. Non si tratta di parodie, ma di sfruttamento di nomi che, forse, neppure si conoscono davvero. Non si tratta di omaggi perché bisognerebbe sapere cos'è il materiale di partenza.
A livello estetico, ancora una volta, lo sforzo è minimo virando solo i colori in maniera totalmente pretestuoso (in "Wadzilla" che significato hanno quei colori?).

Dunque una parodia che sembra non sapere su cosa si basa e realizzata con l'idea che se è camp allora andrà bene per forza (una delle idee peggiori nate, involontariamente, da Tarantino), il tutto con l'idea continua di parlare di horror senza neppure provarci a fare degli horror.
Al di là del titillamento dell'ego dei registi non si capisce molto il motivo di questo film.

venerdì 3 maggio 2019

Il giudice e l'assassino - Bertrand Tavernier (1976)

(Le juge et l'assassin)

Visto in aereo, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Francia 1800, un giudice si mette sulle tracce di un "serial killer", dopo lunghe ricerche riuscirà ad arrestare un sospettato, che però sarà palesemente pazzo. Riuscirà ad ottenere una condanna, nonostante l'infermità mentale, ricorrendo ad ogni mezzo possibile.

Una commedia grottesca (perché questo è il tono e questo stimola il folle personaggio dell'assassino), più per il piglio che per il risultato, che intende graffiare il potere corrotto di potere e di consenso con una carrellata di personaggi moralmente borghesi (nel senso dispregiativo di una quarantina di anni fa) che compiono il proprio dovere oltre i limiti consentiti.

Duole però che tanto sforzo verso un obiettivo, tutto sommato, così contenuto non riesca a essere seguito da un buon risultato.
La regia è, in questo caso, piuttosto secondaria e l'intero film è caricato sulle spalle dei suoi protagonisti (che in questo caso sono inattaccabili; sopra le righe e farsesco Galabru, contenuto e in parte Noiret) che vengono condotti in una sceneggiatura lunga e dispersiva che li mette a confronto con altri personaggi piuttosto ininfluenti (senza significato e pretenziosa la parte della Huppert) e li conduce a un finale posticcio.
Complessivamente un'idea semplice ed efficace, mal condotta e complessivamente svilita.

mercoledì 1 maggio 2019

Il serpente e l'arcobaleno - Wes Craven (1988)

(The serpent and the rainbow)

Visto in Dvx.

Scienziato americano viene inviato ad Haiti per cercare la droga utilizzata per creare gli zombie (potrebbe essere un anestetico di nuova generazione con facilità di recupero dopo la somministrazione). Nel farlo verrà aiutato da una dottoressa locale, ma sarà ostacolato dal capo della polizia del dittatore locale (Duvalier). Intanto scoppierà la rivoluzione.

Un film horror dalle idee di base piuttosto tipiche (straniero in terra straniera, studia usi e costumi che non dovrebbe studiare, zombi, ecc...), tuttavia a essere originale è il punto di vista. L'orrore qui non è dato dagli zombi in se (l'uomo ricomparso dopo 30 anni è una vittima non un mostro) e neppure la magia nera (anzi, talvolta riesce a proteggere), ma è l'uso che se ne fa; è lo sfruttamento politico della magia che serve a mantenere attiva una dittatura e a compiere vendette. Questo film trasforma il perturbante classico da oscura presenza e mezzo per ottenere dei fini (positivi o negativi secondo i casi).
Per me non brilla in maniera particolare per quanto riguarda l'esito complessivo (interessa quanto deve, ma senza sussulti; i personaggi sono un pò troppo semplicistici), però vince nella creazione di ambienti adatti, nella creazione di belle immagini da mettere in archivio (soprattutto nelle ultime scene oniricheggianti) e nella realizzazione di un film estremamente di fiction (seppure basato su un libro tratto da fatti veri) calato in una vicenda da poco conclusasi e su cui getta un'ombra diversa.
Un film più intelligenti che memorabile