martedì 28 febbraio 2012

Topaz - Alfred Hitchcock (1969)

(Id.)

Visto in DVD. Va com'è dettagliata qui la trama; potevo non linkare?
Posso dire fin da subito (come giustificazione preventiva) che un film di spionaggio in senso stretto non è il genere di Hitchcock, a lui servono film con personaggi di spessore, con una trama da giallo/thriller, non un normale spionaggio internazionale… però il film fa schifo lo stesso.

E non è la trama raffazzonata alla meglio, i momenti di stanca delle sequenze a Cuba o l’eccessiva velocità (a mio avviso mancano delle scene) e l’incongruenza delle parti ambientate in Francia. Non è neppure nella totale assenza di appeal e simpatia dei protagonisti (io che non apprezzo molto Cary Grant, in questo film l’ho rimpianto tantissimo) il problema del film. Neppure la regia discretamente normale che perdura per quasi tutta la durata dell’opera (mi è rimasta, positivamente, impressa solo la sequenza iniziale con lo zoom in avvicinamento e poi in allontanamento del dolly) e che regala una delle sequenze finali peggio realizzate di tutta la carriera del regista inglese (ci sono almeno 2 finali alternativi che però mi sono rifiutato di vedere, certamente non possono essere peggiori di quello ufficiale). Infine non è la mancanza di ironia, la citazione spicciola o l’assenza di un’estetica accettabile; è che proprio è un film che vorrebbe/dovrebbe creare tensione (soprattutto nelle scene fuori dagli USA), ma non ci riesce mai, neanche per sbaglio, neanche per un attimo. E per Hitchcock è imperdonabile la noia.

In definitiva un mediocre film di spionaggio anni ’50 realizzato negli anni ’60 degno del primo pomeriggio di rete4 in un giorno feriale.

lunedì 27 febbraio 2012

ATM, Trappola mortale - David Brooks (2012)

(ATM)

Visto al cinema. Lo sceneggiatore di Buried amplia i suoi orizzonti e scrive una storia su tre tizi che rimangono rinchiusi in un bancomat aperto 24/24 perché fuori c’è un energumeno quietamente inquietante, adeguatamente grosso e fortemente violento. Sulla carta direi che è equiparabile al “Quarto potere” dei film girati in una stanza, dove al posto di Joseph Cotten c’è un omicida sadico dentro un woolrich.

Peccato che la realtà batta la teoria sul campo della noia. La colpa è proprio li dove doveva esserci il pregio maggiore; nella sceneggiatura. Il film si apre con 20 minuti netti di chiacchiericcio fra colleghi che non crea un background ai personaggio né aumenta l’empatia, mentre crea un terribile imbarazzo al pensiero che qualcuno deve aver scritto così tante banalità patetiche e senza scopo; crea anche una certa difficoltà a sostenere lo sguardo delle persone che hai convito ad accompagnarti al cinema...
Poi inizia la parte dell’assedio nel bancomat… ecco il bello di “Buried” è che pur essendo pretestuosa l’idea di base tutto veniva reso più o meno credibile (il tizio sotterrato, il cellulare che prende, che lentamente finisce la batteria, le foto ecc…), qui invece a fronte di alcuni presupposti poco accettabili (si fermano al bancomat perché uno fa i capricci; lasciano la macchina a 100 metri per dispetto, ecc…) la storia si svolge con una serie di reazioni da parte dei protagonisti solo in parte sensate; non scappano quando dovrebbero/potrebbero, si salvano a vicenda quando non dovrebbero/potrebbero, andando avanti una storia francamente sbagliata.
Il finale aperto è una buona idea e lo sbaglia di persona sono una bella idea, ma affogano in un mare di niente.

venerdì 24 febbraio 2012

Dorian Gray - Oliver Parker (2009)

(Id.)

Visto in Dvx. La storia è nota ai più. Un ragazzotto pone, involontariamente, la sua anima in un quadro e mentre lui si immerge nelle dissolutezze il quadro invecchia e si prende gli acciacchi al posto suo. Ma una vita amorale non piace a nessuno…

Con un’estetica da spot della Campari si dipana una storia che più che perversa risulta cretina, con un protagonista anemico e amimico poco credibile anche solo a succhiare un calippo alla Esselunga, figuriamoci a strafrsi di oppio per poi essere preso in un impegnativo rapporto a tre.
La messa in scena, abbastanza gradevole è quel falso d’epoca molto ben patinato che fa piacere veder anche se è poco credibile (più all’inizio).

E se nel complesso il film risulta guardabile, ad irritare tantissimo sono alcune delle reazioni dei personaggi gli uni agli altri, è il parlare per aforismi (che funziona bene in un libro del 1800, ma non in un film degli anni zero), è il fatto che il quadro sia inutilmente vivo come in un Harry Potter e il mostro che ne vien fuori sembra un Ezio Greggio un po invecchiato.

Ah già, l’ho già detto che il protagonista è un beduino inetto che recita con le chiappe?! Spiace per Colin Firth essere entrato in una cosa così…

giovedì 23 febbraio 2012

Mariti ciechi - Eric von Stroheim (1919)

(Blind Husbands)

Visto in DVD. Un medico americano appassionato di alpinismo va, assieme alla moglie snobbata, a Cortina. Li incontrano un falso generale asburgico (lo stesso von Stroheim) che in maniera palese ed esagerata seduce la moglie del medico, anche se lei tenta di resistere il più possibile. Quando il medico scoprirà cosa sta accadendo alla sue spalle si troverà nella complicata situazione di stare scalando una vetta inscalabile con il suo avversario amoroso.

L’opera prima di von Stroheim è una gradevole commediola di stampo moralizzante realizzata in un ambiente esotico (per gli americani).
In definitiva nulla di che, a livello di storia niente di più classico, anche se qui il tema è sviluppato bene. Complessivamente il ritmo regge pur con qualche lungaggine che poteva essere limata. Dietro la macchina da presa von Stroheim si concede un buon carrello finale, un paio di piccole panoramiche verticali nel presentare due dei coprotagonisti e tanta ironia nella gestione della storia.

Certamente ben realizzato, ma mi ha lasciato ben poco. Forse quello che mi ha colpito di più è stato vedere la tenuta da scalata dell’epoca.

martedì 21 febbraio 2012

La contessa scalza - Joseph Mankiewicz (1954)

(The barefoot contessa)

Visto in DVD. Una belle e sensibile diseredata spagnola dalla famiglia complicata viene notata da un dittatoriale produttore cinematografico che grazie al regista (un Bogart piuttosto in disparte) la lancia nel dorato mondo del cinema. La sua storia sarà sofferta e la sua carriera breve, fino alla morte. Il funerale sarà la cornice in cui i vari personaggi che ne prendono parte racconteranno la sua storia.

Film verboso come sa essere solo un film di Mankiewicz, ma senza la verve o la forza distruttiva di un “Eva contro Eva”… quello che rimane quindi è solo un lungo film di stampo teatrale, abbastanza esagerato nei termini usati e nei sentimenti esposti con più letteratura che non cinema.

Cast di livello quietamente sprecato perché a parte la Gardner protagonista (che secondo me neppure recita da dio), Bogart e O'Brien, fanno parti limitate; troppo limitate per loro. Cameo di Interlenghi nella parte del fratello della Gardner.

Alla regia alcune idee (come il ballo inziale dove la protagonista non viene mai inquadrata), ma in definitiva niente di adeguato per mantenere alto il ritmo.
Ne più, ne meno, di un film affossato dalla sceneggiatura.

lunedì 20 febbraio 2012

Madagascar 2, Via dall'isola - Eric Darnell, Tom McGrath (2008)

(Madagascar: Escape 2 Africa )

Visto in tv.
Gli animali del primo episodio decidono di provare a tornare a New York con un aereo di fortuna rimesso in sesto dai pinguini. Ovviamente non riusciranno nel tentativo e si schianteranno nel continente africano. Li troveranno loro simili e si renderanno conto di essere più uniti fra loro quattro che non con le loro speci.

Allora non è un granchè, d’altra parte neppure il primo era questa gran cosa. Di fatto il due migliora nettamente il meglio e non potendo puntare sull’effetto sorpresa come il precedente (non ci sono dei nuovi personaggi degni di nota) punta tutto sull’aumentare le caratteristiche vincenti già note. Su tutte, i pinguini.

Tutto sommato non è malvagio, si vede facilmente, anche meglio del primo capitolo, non inventa niente e ci tiene a non inventarlo. E poi ci sono tanti pinguini, che è quello che conta.

venerdì 17 febbraio 2012

Il dubbio - John Patrick Shanley (2008)

(Doubt)

Visto in tv. Mi permetto di citare per la trama:
E’ il 1964, a St. Nicholas nel Bronx. Un deciso e carismatico prete, Padre Flynn (Philip Seymour Hoffman), sta cercando di allentare i rigidi costumi della scuola, che vengono custoditi gelosamente da Sorella Aloysius Beauvier (Meryl Streep), la Preside con il pugno di ferro che crede nel potere della paura e della disciplina. I venti del cambiamento politico stanno soffiando all’interno della comunità e in effetti la scuola ha accettato il suo primo studente di colore, Donald Miller. Ma quando Sorella James (Amy Adams), un’innocente piena di speranza, condivide con Sorella Aloysius il suo sospetto che Padre Flynn stia prestando troppa attenzione a Donald, Sorella Aloysius è felice di iniziare una crociata sia per svelare la verità che allontanare Flynn dalla scuola; senza uno straccio di prova se non la sua sicurezza morale.

Questo è un film tratto da un’opera teatrale e lo si vede dalla rigida struttura, dagli spazi ripetuti di continuo, dall’importanza dei dialoghi sulle azioni. Ma quello che più di tutto salta all’occhio è che questo è, prima di tutto, uno scontro fra attori. Sono i due personaggi principali a fronteggiarsi, ma lo scontro vero e proprio è tra le grandi personalità e tra le recitazioni di Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman. Per quanto il film sia empatico ed emotivamente convincente, in ogni attimo viene da pensare a quanto sia bravo Hoffman a sembrare sempre in bilico tra innocenza e colpevolezza a quanto sia brava la Streep a creare il personaggio di una vecchia acida e intuitiva. Prima di tutto c’è lo scontro fra questi attori che si contendono il dominio della scena a colpi di battute pronte, scene madri e piccoli tocchi continui.

Detto ciò veniamo al film. La trama è effettivamente ben fatta, tutta giocata (ovviamente) sul dubbio, il dubbio su ciò che sia accaduto fra il ragazzo ed il prete, il dubbio sulla fede del prete, il dubbio sull’aver agito per il meglio della giovane suora. E se il personaggio della Streep appare come il più negativo nella pervicace ricerca di una verità decisa in partenza, c’è anche da dire che il film non le da contro a priori, la mostra invisibilmente utile (aiuta la suora cieca senza farlo sapere per evitare che venga allontanata; aiuta la giovane suora a tenere la classe), vittima essa stessa del dubbio, ma soprattutto pronta a tutto ad abbattere il male assoluto rappresentato da un prete pedofilo (peccato che sia una convinzione senza prove reali). Dall’altra parte Hoffman offre un prete moderno, aperto e simpatico, ma che fin dall’inizio offre una certa ambivalenza, è solo un umore più che una realtà, ma esattamente come Maryl Streep, anche lo spettatore ha l’impressione che qualcosa non funzioni; poi quando il caso esplode si parteggia per forza con lui.

Come si è detto è un film di dialoghi; verboso oltre ogni immaginazione, ma terribilmente affascinante; personalmente voto come miglior dialogo il primo avuto apertamente fra Streep e Hoffman; come il più struggente quello avuto con la madre del ragazzo. Certamente aiuta la regia. Una regia sostanzialmente invisibile, che lascia agli attori il carico di responsabilità e visibilità che gli è dovuto, ma non si sottrae e non si prostra, non si limita a mettere il pilota automatico. C’è un profluvio di inquadrature sghembe e riprese dal basso; c’è un uso emotivo e/o simbolico degli oggetti dallo squillo del telefono come fattore di tensione o la finestra aperta. Gli oggetti vengono anche sfruttati, più banalmente, come veicoli di informazione o sfogo dello stress (la penna a sfera, la lampadina che si brucia) e poi c’è il vento, che da “Narciso nero” in poi ha sempre il suo peso.

In definitiva un film davvero coinvolgente, realizzato in maniera semplice, ma all’altezza della trama raccontata. Non un capolavoro, ma un film ben riuscito.

giovedì 16 febbraio 2012

É arrivata la felicità - Frank Capra (1936)

(Mr. Deeds goes to town)

Visto in DVD.
Un ragazzotto di provincia, piccolo imprenditore, tanto buono ed ingenuo che non è mai uscito dal paese, riceve un’inattesa fortuna in eredità. Deve però viaggiare a New York ad incassare. Li verrà preso nel gorgo della stampa locale e verrà circuito da una giornalista che si fingerà povera e derelitta, i due si innamoreranno sul serio e lei dovrà confessare il tutto.
Film decisamente alla Capra, capostipite di tutta una serie di film sul self made man che saranno uno dei simboli del cinema sull’american way of life. In ogni caso è brutto.

Non che Capra sia peggiorato improvvisamente dal precedente (e stupendo) Accadde una notte; semplicemente questa storia molto adatta al regista è vecchia. Vecchia nell’idea, ma soprattutto molto vecchia nella messa in scena. Eccessivamente buonista fino ad arrivare all’idiozia, troppo facile il come riesca a gestire i compiti del magnate newyorkese con l’ingegno da campagnolo.

Effettivamente è un film comico e romantico insieme, la cosa brutta è la parte comica non funziona più (quasi per intero), mentre la parte romantica è decisamente scontata. E neppure c’è una e vera screwball comedy di fondo che sorregga e dia spessore ai due personaggi principali.
Peccato, ma a Capra lo concedo, quello che da fastidio è che questo stesso film venga riproposto periodicamente in maniere via via sempre più inutile… vero Hal Ashby.

martedì 14 febbraio 2012

Stranger than paradise (Più strano del paradiso) - Jim Jarmusch (1984)

(Stranger than paradise)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una ragazza ungherese va a stare dal cugino a New York per una decina di giorni per poi andare a Cleveland dalla zia. In quei dieci giorni i due si guarderanno a mala pena in ghigna, rimarrà tutto il tempo in casa a guardare la tv e si lasceranno senza un cenno. Poi lui sentirà la mancanza di lei e andrà a trovarla con un amico. Una volta a Cleveland decideranno, tutti e tre, di fuggire in Florida.

Film di Jim Jarmusch estremamente jarmuschiano sin dal protagonista (Lurie è forse più il tipo del regista che non Tom Waits); poi ci sono le immagini fisse, il bianco e nero, i lunghi silenzi, la recitazione per sottrazione (per sottrazione is the new, non recitano quasi per niente), le storie sentimentali senza che nessuna emozione venga espresso, la noia che tende ad arrivare ad ogni scena intensa (e con scena intensa si intende i discorsi in ungherese della vecchia o le lunghe sequenze davanti alla tv).

Però questo è gradevole, al contrario del pessimo esempio di film indie intellettualoide che è “Permanent vacation” o il gradevole ma soporifero “Down by law”. Si questo è un film puramente jarmuschiano che sfrutta ogni silenzio e ogni scena fissa e riesce a mantenere comunque un certo ritmo e (cosa ancor più importante) una certa ironia. Il film, senza essere un capolavoro, diventa quindi assolutamente fruibile (giusto la prima parte rimane un tantino ostica da sopportare).

lunedì 13 febbraio 2012

Hugo Cabret - Martin Scorsese (2011)

(Hugo)

Visto al cinema.



Per cercare un messaggio nascosto dentro ad un automa, il piccolo Hugo Cabret, ruba strumenti e materiali al negozio di giocattoli di un Georges Mélies ormai vecchio, dimenticato e disilluso. Quando il ragazzo scoprirà chi è in realtà quel vecchio cercherà di aiutarlo a rivivere le glorie del passato.

Diciamo subito due cose sul 3D così non ci si pensa più. Scorsese sa come usare la terza dimensione e lo fa con il metodo classico degli “autori” (come fece Hitchcock ad esempio), ponendo spesso il centro della scena in secondo piano e mettendo in primo oggetti vari a fare da cornice dando un senso di rpofndotà anche ai dialoghi; poi utilizza spesso dei carrelli tra pareti strette, tra la folla di persone o nei cunicoli che proiettano decisamente all’interno della scena (la sequenza iniziale ad esempio); a questo proposito bisogna ammettere che questo 3D è il più coinvolgente ch abbia mai visto. Se fosse solo questo però sarebbe troppo poco, qui si parla di Scorsese; ed in effetti un paio di idee nuove le ha, da una parte la proiezione in 3D della luna di Mélies che esce dallo schermo in maniera incredibile dando un nuovo e moderno effetto sorpresa ad un’idea che 100 anni fa stupì il mondo; in secondo luogo in due occasioni sfrutta il 3D come effetto straniante (nell’avvicinarsi a Kingsley sul palco alla fine del film) o per dare un maggiore senso di claustrofobia (nel primissimo piano di Baron Cohen che parla con i due ragazzi in stazione) riuscendoci benissimo. Complessivamente ottima fattura, ma troppo poco per essere Scorsese.

Detto ciò devo ammettere che mi sono avvicinato al film con le peggiori sensazioni possibile. Sarà stata l’idea di un film per bambini fatto da Scorsese (no) o sarà stato uno dei trailer più brutti che ricordi (si), ma proprio non mi aspettavo un granchè; e invece…
Scorsese crea il suo film più autobiografico (il ragazzetto innamorato del cinema è quasi un paragone scontato) e cinefilo di sempre e reinterpreta il concetto di fil, per ragazzi come un film didattico sulla storia del cinema per avvicinare i ragazzi ai film muti e (più ampiamente) all’idea che essi portarone nel cinema, come mezzo per realizzare visivamente i sogni. La storia del mistero che circonda il padre del protagonista è solo un McGuffin che viene presto accantonato (e che nel finale si rivelerà non esistere nessun mistero) per parlare di Mélies e tutto ciò che ne è venuto dopo. Viene presentanto il cinema come viatico della fantasia e ne vengono mostrati pezzi in esempio; e questo è a mio avviso la parte più emotiva del film, credo che Scorsese si sia entusiasmato all’idea di mostrare dei film muti ad una platea del 2012 facendoli passare per una storia d’avventura (personalmente poi la sequenza in cui i ragazzi leggono la storia del cinema e le immagini sono un collage dei grandi film muti da The great train robbery a Intolerance è stata realmente entusiasmante). Scorsese poi non si accontenta di dire ad alta voce cosa gli piace, ma ne mostra l’attualità citando direttamente o indirettamente intere sequenza; e questo lo fa senza l’arroganza del cinefilo snob che cita per gusto della citazione e per vedere chi lo capisce; no, Scorsese prima mostra la sequenza di Harold Lloyd appeso all’orologio e poi lo fa fare al protagonista, prima mostra L’arrivo del treno e poi lo reinterpreta in chiave moderna mostrando cosa ne vien fuori se lo si fosse fatto con il 3D. Infine Scorsese si lancia nel far vedere che l’arte di dar vita ai sogni fu realmente qualcosa di sui generis, un mondo a parte con regole e logiche tutte sue (e tutte sorprendenti), mostra infatti dei possibili backstage di alcuni film di Mélies, mostrandone i trucchi e le motivazioni (elegante l’idea di fotografarli con i colori pastello dei film colorizzati dell’epoca).

Si insomma, Scorsese ha creato un bignami sul chi, cosa e perché del cinema del muto, mettendoci dentro tutta la parte emotiva che lui stesso deve aver provato; tutto in favore dei ragazzi a cui il film è principalmente rivolto.

Ah si, poi il film si segue da dio, fotograficamente e scenograficamente opulento, ma senza sforare nel kitsch. Si insomma un buon film in se, con uno scopo pedagogico di fondo.

venerdì 10 febbraio 2012

Cloverfield - Matt Reeves (2008)

(Id.)

Visto in DVD. Si è vero che JJ Abrams è il produttore, ma ci scommetto che ha fatto anche di più. Lo stile della storia, il lancio mediatico alla Lost, la regia con camera a mano, sembrano tutte venire da li… vabbè son supposizioni.
In ogni caso la storia è il classico attacco da parte di una creatura mostruosa a New York, con gente macellata a uso ridere e grattacieli spaccati. Il focus della questione però, non è la storia, ma il punto di vista. Il film è la registrazione in presa diretta di un tizio con una videocamera (che vince il premio come voce narrante più irritante degli anni ’10) che registrava una festicciola d’addio che si trasforma in una stupida carneficina (stupida, perché è sciocco il motivo per cui muoiono).

Diciamolo pure, il film è una figata. Bello, inquietante, empatico e sfrutta la macchina da presa in soggettiva in maniera intelligente. In primo luogo la camera a mano non irrita praticamente mai (come a dire che questo è "The Blair witch project" se "The Blair witch project" fosse stato realizzato bene); inoltre la soggettiva è utilizzata proprio come sarebbe usata nella realtà, non inquadra sempre quello che un film farebbe vedere, ma gli effetti (cioè, non tutto ciò che accade, avviene in favore dell’inquadratura che spesso ne rileva solo gli effetti), e questo è utilizzato in maniera completamente funzionale alla storia.

Poi la questione pubblicitaria è un’idea fantastica. I personaggi hanno profili di myspace che non sono più aggiornati dal giorno dell’attacco a New York; il sito ufficiale del film mostra alcune foto di quanto avvenuto e delle cause (che nel film non vengono mai dette!) per cui è avvenuto creando anche connessioni interne al film stesso (la compagnia giapponese per cui dovrebbe lavorare il protagonista è stata la causa stessa del disastro).

Se non c’è JJ dietro a tutto questo…

giovedì 9 febbraio 2012

Léon - Luc Besson (1994)

(Id)

Visto in DVD.
Per la storia, cliccare forte qui.

Personalmente provo un grande rispetto per Besson e questo a priori, senza aver mai visto un suo film. Ora ne ho visto uno, che credo sia anche uno ei più famosi… direi che il rispetto è notevolmente diminuito.
Le sequenze iniziali sono da urlo. Niente di originale, c’è il solito killer su commissione che è un ninja, si nasconde nell’ombra, si aggrappa sotto le scale, danza tra le pallottole e uccide tutti. Poi viene presentanta la ragazzina e l’antagonista insieme, altro bel momento dove si mettono in chiaro diverse regole base di un film del genere, lei sfigata oltre ogni dire, ma tanto buona; il cattivo abilissimo, degno rivale del protagonista maschile. E a questo punto aggiungerei pure che ci si impegna nel caratterizzare i personaggi in maniera equidistante fra archetipo base e tocchi di originalità, direi pure che il risultato è più che positivo…

Però poi è proprio qui che il film svacca. È evidente che non c’è una grande idea al di la del già mostrato in decine di altri film, mentre il punto di forza (rappresentanto dai personaggi) viene svilito in sipariette stupidi, esagerazioni caricaturali e in un poco empatico rapporto para-pedofilico che poco ha di apprezzabile. Non mi possono mostrare uno Jean Reno macchina da guerra indistruttibile che poi si mette a fare facce buffe a tavola, me lo sviliscono, ci sono altri sistemi per mostrarmi il suo diventare umano.

Se a questo ci si aggiunge che di scene d’azione ben congegnate ce ne sono poche (leggasi, non ne ricordo neppure una), allora tutto l’impianto viene buttato in vacca.

Quando hai dei bei personaggi che si rincretiniscono (o diventano terribilmente irritanti) in un attimo, quando hai una storia d’amore tra le più grottesche di sempre e scene d’azione che non sono d’azione il film è finito.

martedì 7 febbraio 2012

Shame - Steve McQueen (2011)

(Id.)

Visto al cinema. La vita di un dipendente da sesso trascorre tranquilla fra rapporti mercenari (era una vita che volevo usare questa parola in un contesto sensato), sesso telematico e ripetute masturbazioni. Poi improvvisamente l’equilibrio viene rotto dall’arrivo della sorella, che limita i movimenti, scopre alcuni lati del problema e risulta costantemente provocante.

Diciamolo subito, il film è realizzato benissimo. Con una grande economia di dialoghi (a volte eccessiva, come nell’unico vero appuntamento di Fassbender dove la conversazione latita in maniera impensabile) e un gusto estetico enorme, ma mai sfacciato. A mio avviso McQueen non è un genio, ma sa assolutamente cosa deve mostrare e come lo deve mostrare. Ma la vera forza della regia è quel gusto alla Aronofsky di seguire pedissequamente il protagonista (era una vita che volevo usare questa parola in un contesto sensato), di mostrare Fassbender in quasi tutte le inquadrature e, per contro, di prevedere da parte sua una quasi totale impassibilità.
Dall’altra parte si ha un’interpretazione impeccabile da parte del protagonista, che, come detto, rimane per lo più impassibile per quasi tutto il film, concedendosi giusto una lacrima per la canzone della sorella ed un sorriso durante il suo unico vero appuntamento (dove ci sarà la sua unica defaillance che darà vita ad uno dei pochi momenti di palese disperazione). È nel finale però che tutto esplode; il continuo trattenersi di Fassbender è utile soprattutto perché si contrappone in maniera terribile con la lunga sequenza di disperata ricerca di sesso del finale, dove l’espressione dell’attore nel rapporto a tre è un misto di sentimenti negativi e di disgusto veramente impressionante. Basterebbe questa per l’applauso.

Infine la storia in se… beh qui è l’unica vera pecca. La storia non è malvagia e si accontenta di mostrare uno spaccato della vita del personaggio, ma costantemente (e soprattutto nel finale), si ha l’impressione che ci sia un obbiettivo, ma che non lo si riesca a vedere e quando arrivano i titoli di coda ci si chiede quale fosse il punto della questione. Probabilmente era solo un intento documentaristico, ma mi pare sia un po poco date le premesse. Inoltre l’asciuttezza dei diagoli cozza con qualche (ma non molte) lentezza di troppo. Infine, ultima pecca, alcuni rapporti sono funzionali, ma poco sviluppati, su tutti quello con la sorella (si intuisce un rapporto particolare, ma di fatto non viene né davvero sfruttato, né minimamente spiegato).

lunedì 6 febbraio 2012

La bella e la bestia - Gary Trousdale, Kirk Wise (1991)

(Beauty and the beast)

Visto in Tv. Ma che brutti film ho amato da regazzino?! Ma che brutti film ha fatto la Disney nel suo rinascimento?!
No perché fatta salva l’importanza di questo film per la bellezza dell’animazione e per essere stato il primo ad integrare l’animazione con il CGI (e lo fa benissimo come nella scena del ballo nel salone) per il resto è uno dei film più sciapi che ricordi.

I protagonisti sono banali e stupidi come pochi, le canzoni terribilmente uguali fra loro (e certamente molte sono state copiate da Les poissons) si salva giusto Beauty and the Beast, la storia in se non ha molti guizzi, mentre le caratterizzazioni, alcune scene e sketch sono copiati da “La sirenetta” (e alcuni in realtà verranno ripresi ne “Il re leone”)… l’unico vero motivo di interesse è per i comprimari. Mai come in questo film i personaggi secondari determinano il ritmo, l’andamento e anche la riuscita dell’opera. Non solo sono i personaggi più divertenti, ma anche i più interessanti, complessi e ben realizzati (comunque molto meglio costruiti dell’insipida protagonista femminile, che sembra una beghina con la faccia da vamp anni ’40); cosa sarebbe de La bella e la bestia se non ci fosse Lumiere? O la sua controparte Tockins? O quasi qualunque altro personaggio che non siano i principali.

Gradevole invece sentire come non fosse ancora usuale usare come doppiatori dei personaggi famosi che niente hanno a che fare con la recitazione; ed è buffo invece rendersi conto di quanto questo cartone sia debitore all’iconografia creata da Cocteau per il suo omonimo film.

venerdì 3 febbraio 2012

Syriana - Stephen Gaghan (2005)

(Id.)

Visto in DVD. La storia proprio non saprei ripeterla… tipo succedono un sacco di cosa con tanti personaggi diversi attorno al passaggio di potere di un emiro (?) dell’Arabia Saudita (?) che deve scegliere fra un suo figlio sveglio e voglioso di autarchia utile al popolo e l’altro figlio debosciato e filo USA. Chiaramente parliamo di petrolio e chiaramente parliamo di spie e bancari.
Che dire, sembra un film di Innaritu, con 2000 personaggi diversissimi che stanno agli antipodi, fanno lavori diametralmente diversi e hanno storie personali opposte che alla fine si ritrovano tutti insieme nella scena finale.

In ogni caso della storia non si capisce un cazzo. Questa caratteristica mi piace anche in un film di spionaggio… però c’è un limite, non mi si può dire 18, complicatissimi, nomi a caso di uomini, città e compagnie petrolifere nelle prime scene e pretendere che dopo un’ora e mezza me li ricordi tutti e sappia pure chi sono. C’è un limite cazzo! (tutt’ora non ho capito da che parte stesse Clooney).

Detto ciò (che è motivo sufficiente per non vedere il film), va detto che la regia non è malvagia. Utilizza una macchina a mano il più controllata possibile, così da non renderla fastidiosa né inutilmente invasiva; ma come si può immaginare questo non è un motivo adeguato per fare un film del genere.

Inoltre la storia del ragazzo mussulmano che lentamente viene preso tra le maglie dell’estremismo è certamente ben realizzata e godibile, ma non centra proprio niente con il resto del film.

giovedì 2 febbraio 2012

Frenzy - Alfred Hitchcock (1972)

(Id.)

Visto in tv. Un uomo allo sbando viene raggiunto dal sospetto di essere lui lo strangolatore di donne che imperversa per Londra. Cercherà la fuga, la macchia e anche l’aiuto di un suo carissimo amico… peccato che proprio lui sia il vero serial killer…

Diciamolo subito, non è un capolavoro. Anzi proprio non è granché. Un film minore perché alla fin fine non racconta molto più di quel che mostra; non inventa niente di originalissimo e non intrattiene con lo stesso ritmo e la stessa classe dei film precedenti del regista (fino agli anni ’60).
Detto ciò bisogna però riconoscere che il film rappresenta il grande ritorno al mix tra thriller e humor in un insieme grottesco tipico dei film anni ’50 del regista. Su tutte la scelta di mettere il cibo al centro di tutto il film, dalle cene francesi (o la colazione inglese) dell’ispettore, la parca colazione della prima vittima, il camion di patate della seconda vittima o la vendita di verdure al Covent garden. Scelta piuttosto curiosa che crea diverse situazioni ironiche (le già citate cene dell’ispettore con la moglie, che sono forse le scene più divertenti del film) o grottesche con suspense (tutta la sequenza del secondo cadavere nel camion è un piccolo capolavoro i questo senso).

Inoltre i tocchi di classe alla regia non mancano. La già citata scena del camion è un lungo lavoro di montaggio; ma ciò che vince su ogni altra scena sono i due omicidi, tra loro collegati per la dicotomia che rappresentano. Il primo è un frenetico omicidio mostrato come mai prima nel cinema di Hitchcock, in maniera cruda e crudele con una macchina da presa che avvolge i protagonisti (questo film è in assoluto il più esplicito del regista inglese); il secondo invece è tutto lasciato all’interpretazione del pubblico, con una macchina da presa pudica che esce lentamente dall’appartamento, scende le scale e finsice in strada in un silenzio irreale. Una coppia di scene stupende.

Il film poi è particolare per l’estetica tipicamente anni ‘70, peggiore di tutte le precedenti. Non so se Hitchcock se ne accorse, ma sembra averla sfruttata per realizzare un film che, pur avendo una componente comica come si è detto, mantiene un mood complessivamente più sgradevole, più sporco, più tetro, meno upper class e patinato dei film precedenti.
Infine il cast. Qui bisogna proprio precisare che quest’ultima fase di Hitchcock creò un bel problema al regista che si ritrovò improvvisamente senza gli attori feticcio, perché troppo vecchi o ritirati (come Stewart e Kelly) o rapiti da altri registi (come la Bergman). Hitchcock quindi sceglie una rottura totale, prende solo attori di teatro, esteticamente mediocri, ma capaci.

Curioso infine, come il protagonista innocente sia complessivamente più antipatico (o quantomeno poco interessante) dell’antagonista, decisamente più brillante.