lunedì 31 ottobre 2016

Il cerchio - Jafar Panahi (2000)

(Dayereh)

Visto in Dvx.

Una coppia di donne fuggita dal carcere cerca di trovare rifugio, nella famiglia o nella fuga. Una donna incinta chiede a un'amica infermiera di aiutarla ad abortire. Una donna in macchina con un uomo (che non è suo marito) viene portata in carcere.
Storie di donne che si affiancano, si incrociano e poi si lasciano. Storie disgiunte unite da un ambiente in comune e dalla mancanza di libertà personali.

Con uno stile estetico più vicino ai Dardenne che a quello de "Il palloncino bianco" (che era molto più rigoroso in confronto a questo) Panahi racconti di questo gruppo di donne che si passano l'interesse della macchina da presa sottolineando la banalità del sessismo della società iraniana che impedisce a loro di poter comprare un biglietto d'autobus, poter andare in taxi da sole, o fumarsi una sigaretta. Proprio la sigaretta diventa il più forte simbolo reiterato della amncanza di libertà e della castrante società iraniana.
Proprio come nei Dardenne si cammina molto, si inseguono i personaggio, ci si concentra sui corpi e sui volti, senza rinunciare ad alcune scelte prettamente geometriche nella costruzione di alcune scene (le due donne sedute ai due lati della panchina nello spogliatoio, divise dalle intenzioni e dallo schienale).

Se in "Dov'è la casa del mio amico?" (ma anche nell'opera prima dello stesso Panahi) venivano usati i bambini come espediente per parlare dei conflitti sociali senza incorrere nella censura; qui Panahi si butta a uso duro senza nascondersi dietro alle metafore, ma usando le metafore per rafforzare ed esemplificare quanto sta dicendo.
Il film è indubbiamente lento, indubbiamente presenta lunghi momenti di noia, ma altrettanto indubbiamente riesce a trasmettere un sentimentalismo frustrato in un film di denuncia; cosa non facile.

venerdì 28 ottobre 2016

Il pianeta selvaggio - René Laloux (1973)

(La planète sauvage)

Visto in Dvx.

Su un pianeta alternativo gli esseri umani sono animali in un mondo popolato e controllato dai Draag, creature umanoidi che allevano gli umani da compagnia, ma sterminano quelli selvatici per tutti i rischi collegati a questo animale allo stato brado. La storia segue le vicende di un umano da salotto che impara nozioni sul pianeta dove vive grazie a un apparecchio usato dai Draag al posto della scuola; fugge dalla casa dove è allevato, si congiunge agli umani selvatici e insieme tentano di ricostruire una civiltà.

Il film è un'animazione di scarsa qualità, ma dalle molte idee che dovrebbe essere riscoperta. La qualità dell'animazione, come appena detto, non è ai massimi livelli, si notano le limitazioni produttive o tecniche dell'epoca, ma per essere un'opera prima è comunque di livello accettabile. Quello che fa più la differenza è il tratto, naif e perturbante insieme, di Topor che crea inquietudine anche con i soli paesaggi e appare evidentemente interessato a creare un mondo articolato e complesso (per il tratto e la fantasia zoologica e botanica mi sembra fare il paio, e chissà non sia stato lo spunto, del Codex Seraphinianus). Interessanti inoltre gli influssi surrealisti perpetrati dal disegnatore, con oggetti che sembrano tratti da Dalì e situazioni bretoniane.

L'altra intuizione interessante (oltre al coinvolgimento di Topor) è l'ntroduzione nel cinema dell'antispecismo, la situazione per cui gli esseri umani non sono le creature al top dell'evoluzione. Un cambio di prospettiva drastico che riesce a rendere inquietanti anche le lunghe scene iniziali di vita quotidiana dei Draag, scene che di per sé sarebbero totalmente scevre di emozioni.
Nel computo finale vanno anche considerate in positivo l'uso delle musiche e dei suoni.

mercoledì 26 ottobre 2016

Thermae romae - Hideki Takeuchi (2012)

(Terumae romae)

Visto in dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Un antico romano, architetto dell'imperatore specializzato sulle terme, viene risucchiato da un recidivante gorgo temporale che lo manda nel Giappone contemporaneo dove troverà spunti e nuove idee per creare qualcosa di mai visto per l'imperatore Augusto... e far vincere la guerra ai romani.

Da sempre, quando fanno un film, di qualunque genere, i giapponesi hanno uno sgurz in più; che sia un thriller drammatico o un erotico (horrorifico), sia che si tratti di un tema onirico e pure quando si tratta della parodia. Qui però lo sgurz sembra tutto proteso a creare la situazione più cazzare possibili.
Eccessi di emozioni per vaccate (Adriano che non verrà divinizzato! Le terme che salvano roma. Il nirvana raggiunto grazie allo spruzzo dal water giapponese!); attori giapponesi che fanno gli anitchi romani pure in mezzo a una serie di occidentali che interpretano il popolino (terribile, a livello degli statunitensi wasp che interpretavano neri o asitici nei film di Hollywood anni '30-'50), pupazzetti utilizzati per mostrare le persone che passano nel turbine d’acqua; ma soprattutto un incomprensibile cantante lirico (pavarottiano) che introduce ogni passaggio da un mondo all’altro... credo che i giapponesi confondano l'antica Roma con l'Italia attuale con il rinascimento.

Se a questo si aggiunge una ripetitività irritante e prevedibile fin dalla prima serie di viaggi il dramma è servito; si prende poco sul serio, ma offre anche molto, molto poco.
Adatto solo per una serata cazzara.

lunedì 24 ottobre 2016

JFK, un caso ancora aperto - Oliver Stone (1991)

(JFK)

Visto in tv.

La ricostruzione dell'indagine del procuratore di New Orleans Jim Garrison sull'omicidio di Kennedy. L'indagine verteva sull'idea di un complotto ad ampio raggio che comprendeva anche istituzioni quali il pentagono.
Film a tese creato ad hoc per spiegare che Kennedy era un comunista odiato dai suoi che avrebbe fatto finire la guerra fredda con 20 anni di anticipo ed evitato completamente la guerra del Vietnam.

Stone stoneggia come al solito, ma con molta più leggerezza dei film successivo e con più controllo e classe dei film precedenti. Ci sono i suoi movimenti di macchina, ma senza strappi; c'è il montaggio alla Eisenstein, ma con immagini più consone; cura della fotografia (e tutto quello che c'è dietro, dalle location agli abiti). A questo si aggiunge un cast enorme per quantità con attori all'apice ed emergenti in egual misura e con attori enormi messi in parti secondarie (come Sutherland) o in veri e propri camei (Matthau).

Mi pare evidente che questo non sia altro che non un film a tesi. E i film a tesi di solito li odio perché lavorano ogni secondo del minutaggio per farti concordare con la loro opinione. Ma Stone è un figo; sa gestire i tempi e sa sfruttare l'emotività; anzi, la crea dal nulla (beh parte dalla morte di uno dei presidenti più amati è ovvio, ma ci lavora sopra), ti spiega perché dovresti essere triste e riesce fartici sentire. Ovviamente neppure Stone è onnipotente e nella seconda (lunga) parte cede agli spiegoni (tutto Sutherland è usato per descrivere il contesto in cui si sarebbe sviluppata l'idea dell'omicidio) e sfocia in un finale eccessivamente enfatico dove Costner viene sfruttato per farti piangere con un lungo monologo patriottico... eppure, nonostante la caduta di stile, Stone riesce a mantenersi a livello, il ritmo rimane e per quanto si possa avere l'orticaria per l'ovvietà nella scena in cui un Costner commosso guarda in camere chiedendo cosa puoi fare tu... beh, funziona tutto.

venerdì 21 ottobre 2016

Xanadu - Robert Greenwald (1980)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una musa scende sulla terra (coi pattini) per far aprire un locale di vaudeville facendo collaborare una vecchia star del clarinetto e un giovine pittore di belle speranza. Quando riuscirà nell'intento sarà però combatutta... ormai infatti si sarà innamorata del giovine.

Musical pop-imbarazzate creato ad hoc per sfruttare il successo di Oliva Newton-John e in parte quello di Michael Beck. Fu, giustamente, un fiasco totale, ma tuttora rimane un interessante faro sul kitsch di quel decennio complesso e senza gusto che furono gli anni '80. Non intendo criticare gli effetti speciali oggigiorno imbarazzanti poiché all'epoca potevano anche essere all'avanguardia; ma credo sia doveroso criticare le luci flou, la musica pop elettronica, i fade out fatti con il dos, i pattini a rotelle usati in maniera pervasiva... e non cito i costumi o i capelli perché credo che i responsabili siano ancora in libertà vigilata... in pche parole gli anni '80 at their finest.

La storia è striminzita e, salvo poche aggiunte (come Zeus che deve decidere se inviare di nuovo la musa sulla terra), c'è davvero poco altro rispetto a quanto ho già detto; il resto del minutaggio è dato da scene musicali, d''amore, di raccordo e alcune anche senza senso (il protagonista che prende in prestito la moto da una sconosciuta senza avere rimostranze e la sua caduta slapstick in mare), in più c'è una sequenza d'animazione debitrice della Disney in maniera totale.

Realmente interessante invece è la tipologia di musical che si sceglie. Questo è un film musicale classicheggiante, con musiche e scene di ballo (che nel finale si fanno massive per scenografie e numero di persone) più che canzoni; sembra quindi che l'operazione fatta rispecchi quella che viene intrapresa dai due protagonisti del film stesso, cioè riadattare uno spettacolo ormai morto negli anni '40. Operazione intelligente anche se riuscita solo in parte; molto ben rappresentata dalla sequenza musicale in cui le due band si fondono in una

Una perla kitsch ad alto budget degli anni '80 e l'ultima interpretazione cinematografica di Gene Kelly. Da vedere se si è amanti di uno dei due.

mercoledì 19 ottobre 2016

Corruzione - Robert Z. Leonard (1949)

(The bribe)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un aqgente federale viene inviato su un'isola del Sud America per indagare sui furti di motori d'aereo. Sull'isola incontra una coppia, si innamora della donna, viene avvicinato da un losco individuo che gli offre soldi per andarsene, infine si scontrerà con l'uomo che è andato ad arrestare. Nel mentre fingerà di andare a pesca di marlin.

Visto grazie al "Il mistero del cadavere scomparso" questo è un film dalla grande potenzialità, ma dallo svolgimento debole.
L'idea di base (l'eroe bloccato su un'isola in Sud America in cui tutti, o quasi, lavorano per il villain di turno) è buona e ha le pontezialità massime per un noir inquietante e nichilista; ma senza voler arrivare agli estremismi è comunque una base di partenza per un noir d'effetto. Il villain stesso poteva essere titanico (quella è l'impressione che se ne può evincere fin dall'inizio), ma appena appare in scena si riduce rapidamente al rango di un malfattore qualunque che vive fianco a fianco con l'eroe.

La regia con il pilota automatico non aiuta; anzi, il ritmo carente di quasi tutta la vicenda può allontanare anche i più motivati. Tuttavia azzecca un paio di momenti in maniera incredibile; la sparatoria nel buio con gli occhi che risaltano dalla tenebre è perfetta e l'inseguimento finale tra i fuochi d'artificio è dignitosissimo ed encomiabile per l'idea (di fatto poteva essere realizzato meglio, ma la morte del villain è comunque ben riuscita).

L'altro motivo di interesse per un film potenzialmente buono, ma in realtà mediocre è il cast (ed è anche il motivo per cui l'ho guardato); la Gardner è bravissima (e bellissima), Laughton è impeccabile (e magnificamente viscido) e Price è totalmente in parte.

lunedì 17 ottobre 2016

Una separazioni - Asghar Farhadi (2011)

(Jodaeiye Nader az Simin)

Visto in  tv.

Una coppia sposata chiede la separazione; la moglie ha ottenuto i permessi per andare all'estero (cosa non facile in Iran), ma il marito non vuole lasciare il paese (il padre, affetto da demenza rimarrebbe da solo). La donna vorrebbe solo forzare la mano al marito che però non cede e lei lascia la casa. L'uomo deve cercare qualcuno che tenga d'occhio il padre per poter andare al lavoro e trova una donna, fervente mussulmana, disposta. I rapporti con la "badante" non sono semplici, lei tentenna molto (non se la sente di lavare l'anziano per motivi religiosi) e a causa di alcuni mancamenti vorrebbe che il lavoro lo facesse il di lei marito (che non sa nulla della vicenda, visto che non accetterebbe che la moglie andasse a casa di un uomo separato). Durante l'ultimo giorno di lavoro della donna, lei deve assentarsi e lega l'anziano al letto; ritornato in anticipo il protagonista scoprirà la cosa e litigherà con la donna, spingendola fuori di casa. Riceverà una denuncia in quanto, a causa della spinta ricevuta la donna ha perso il bambino di cui era incinta.
In realtà neppure qui è finita la vicenda, ma spoilererei troppo.

Stile realistico senza sforare nell'autorialità alla Dardenne, con un occhio sempre alla qualità dell'immagine e, quando può, alla costruzione equilibrata dell'inquadratura (anche se è evidente che non è una priorità).
La trama articolata non inficia la scorrevolezza che rimane sempre alta e l'interesse è mantenuto attivo dai vari canoni che si sovrappongono. Ovviamente questo è un family drama con un'intensa emotività esposta, ma ha le peculiarità di un thriller (o di un poliziesco televisivo) per l'insistenza nel trovare la verità durante il processo (non è il processo in sé a essere centrale, ma la ricerca della verità su quanto successo da parte dei personaggi coinvolti) il tutto inserito in una ricostruzione della quotidianità iraniana interessantissimo (e maggiore che non nei capofila del neorealismo iraniano che hanno invece prodotto delle fiabe) e uno svolgimento complessivo che è intricato quanto un noir (ma voglio sottolineare che non è un poliziesco o un film di genere).

Ma quello che determina il salto di qualità dal bel film al capolavoro è l'obiettivo. Questo non vuole essere un film accomodante, anzi, vuole mostrare l'impossibilità di stabilire la verità. Tutto in questo film è in bilico, tutto è impossibile da dimostrare; le ricostruzioni dei fatti divergono, i personaggi ometto o mentono candidamente, anche quando si giunge allo scioglimento finale si arriva con il dubbio rimasto intatto (in quanto nessuno può essere sicuro di quanto affermato dagli altri); addirittura nell'ultima scena, dove deve essere presa una decisione da parte della figlia della coppia, la risposta a quella semplice domanda non ci viene rivelata (ma è altrettanto interessante l'episodio dei soldi rubati, dove il protagonista dice di sapere che non è stata la donna accusata ad averli presi, ma non arriveranno mai a esplicitare la soluzione).
Impossibile quindi arrivare a una soluzione; risulta quindi difficile parteggiare del tutto per qualcuno, anche perché in presenza del primo personaggio apparentemente negativo, nel finale si rivelerà essere la vittima di tutta la vicenda.
L'ambivalenza della trama riesce anche ad avere un (evidente) risvolto politico. Tutte le situazioni passibili di censura non possono essere tagliate perché il film non permette di capire se sono reali o meno (la mancanza di religiosità del protagonista, gli atti di violenza, ecc...). Quando invece sono esplicitati vengono apertamente avversati dagli altri personaggi senza che per questo vengano sminuiti; sono quindi messi a tacere con una contro tesi (e quindi sono accettabili per la censura) pur senza esserne indeboliti (basti il bellissimo incipit con i due coniugi che parlano in macchina da presa e la donna spiega che vuole andarsene dall'Iran per cercare una vita migliore, interrogata sulla questione dal giudice viene zittita con la fedeltà alla patria del suo stesso marito, ma la sua idea non cambia e le due tesi vengono solo rese esplicite, ma non sostenute da fatti o motivazioni, dunque tutte e due restano valide).

PS: in tutto questo non sono neanche riuscito a dire quanto sia appropriato il cast e quanto siano capaci i protagonisti e gran parte dei comprimari; una recitazione complessiva da applauso.

venerdì 14 ottobre 2016

Reazione a catena. Ecologia del delitto - Mario Bava (1971)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una anziana contessa viene trovata morta e il marito scomparso, la figliastra della contessa con il partner torneranno a indagare su quanto avvenuto e per mettere le mani sull'eredità. Nel mentre molti altri delitti vengono commessi e molti interessi sull'eredità saltano fuori.

Trama esagerata ed esagitata che tende sempre a spostare il abricentro del film verso l'inverosimiglianza, tuttavia la trama persegue un'idea precisa e lineare e realizzata in maniera cinicamente efficace. L'idea è quella del singolo delitto che, con un effetto domino esponenziale, causa moltri altri delitti di persone sempre meno coinvolte nella vicenda iniziale. L'idea è splendidamente contenuta nel doppio titolo italiano di cui il sottotitolo è anche un ironico commento sull'ambiente in cui qualunque dei delitti successivi al primo nasce e si sviluppa.

Alla regia ci troviamo di fronte agli ormai usuali virtuosismi di Bava, la macchina da presa in continuo movimenti, la dedizione per la soggettiva, panoramiche e inquadrature angolate, ma soprattutto gli zoom (incredibilmente mai fastidiosi) anche estremi. Una serie di virtuosismi quasi continui che però in questo caso sanno essere tenuti a bada e non diventano mai manierismo.
Difficile non vedere in questo stile (anche se non in questo film cronologicamente tardo) le origini stilistiche di Argento (e dunque, almeno in parte, di una buona fetta del cinema di genere italiano e americano anni '70).

Al di là di queste valutazioni, questo viene spesso considerato uno dei primi slasher moderne ed è assodato che sia stato a dir poco seminale nel gettare le basi di stilemi che diventeranno la base dell'horror ormai classico (la connessione fra la promiscuità sessuale e la probabilità di essere uccisi) e le influenze saranno ancor più evidenti nel cinema di Carpenter e molti suoi colleghi successivi.

mercoledì 12 ottobre 2016

Soy Cuba - Mikhail Kalatozov (1964)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Per rendere onore agli alleati cubani Kalatozov viene inviato con la sua troupe a Cuba per girare un documentario; quello che ne vien fuori è un affresco in 4 movimenti di un clima sociale (la Cuba pre rivoluzionaria, quella di Batista); con una Cuba bella e giovane e piena di dignità, ma martoriata dalla dittatura e abbattuta dal capitalismo.
Presi singolarmente gli episodi sono parabole umane semplici, ma affascinanti; presi nell'insieme diventa un film piuttosto stucchevole, con troppa enfasi e troppe intenzioni moralizzatrici (la sceneggiatura è firmata a quattro mani da un poeta cubano e uno russo). D'altra parte non è nella trama il cuore del film. L'interesse, personalmente, è tutto nella prova di regia muscolare di un Kalatozov mai così inventivo ed eccessivo; crea immagini bellissime (la semplicità della barca sul fiume dell'inizio) e potentissime (il vecchio che da fuoco alla sua capanna) con una profusione di grandangoli, inquadrature dal basso, dolly quasi perpendicolari con il terreno, panoramiche a schiaffo, macchina da presa a mano, fotografia enorme; e poi lunghissimi piani sequenza, of course, ma di una complessità impressionante (si guardi solo il funerale del ragazzo con la mdp a livello strada che si allontana, poi si solleva perpendicolarmente, entra in un edificio, si muove lateralmente con una serie di lavoratori in primo piano, si muove in avanti fino ad una finestra dove viene appesa una bandiera cubana, la mdp esce dalla finestra e dall'alto continua a inseguire la bara).
Quello che fece Kalatozov fu qualcosa di enorme per l'inventiva e l'artigianalità invisibile delle soluzioni trovate; dalla macchina da presa passata di mano a mano per compensare l'assenza di una steady cam (inventata diversi anni dopo) o la macchina agganciata e sganciata a dei cavi per farle seguire gli avvenimenti a volo d'uccello. Proprio questo sforzo enorme fu causa di parte delle critiche negative (in Italia è stato ampiamente considerato un film fine a sé stesso) e allungò i tempi di uscita di due anni arrivando solo nel '64 quando i rapporti fra Cuba e l'URSS si erano già deteriorati...

lunedì 10 ottobre 2016

Le invasioni barbariche - Denys Arcand (2003)

(Les invasions barbares)

Visto qui.

Quindici anni dopo le vicende de "Il declino dell'impero americano" il protagonista del precedente film scopre di avere un tumore; è terminale. Il figlio, con il quale non ha mai avuto un rapporto torna dall'Inghilterra (dove lavora nella finanza) per assisterlo. Metterà a disposizione tutti i suoi soldi per ottenere stanze migliori, eroina (da usare al posto della morfina) e per portare vicino al padre il gruppo di amici di vent'anni prima.

Sembra che Arcand abbia atteso un evento per potersi permettere di realizzare un seguito al cult degli anni '80; quell'evento è stato l'attacco alle torri gemelle che all'inizio del film viene considerato l'inizio delle invasioni barbariche. Tolto questo breve accenno tutto il dissertare su declini e imperi viene lasciato da parte e il bellissimo titolo è solo una scusa per creare un collegamento intellettuale con il precedente lavoro di Arcand.

In realtà questo è un film sulla morte e sull'amore per la vita.
Un uomo innamorato della vita (o del ricordo della vita) deve morire; pur nel panico più totale affronterà la cosa con un piglio allegro, discuterà ancora dei massimi sistemi con gli amici di un tempo, noterà come la vecchiaia incipiente spazzi via le passioni della gioventù, con il distacco degli anni sottolineerà la ridicolaggine di cui si circondavano nel passato e tenterà di riavvicinarsi ai familiari più stretti, ognuno a suo modo distante (la moglie divorziata, il figlio antagonista e la figlia su una barca in mezzo all'oceano).
Inoltre viene suggerito in maniera continua il cambiamento nel rapporto di forza fra le professioni; se 15 anni fa i migliori della loro generazione erano gli intellettuali (intellettuali ipocriti che mostravano il loro potere chiacchierando con supponenza), i nuovi miti sono i finanzieri che mostrano i muscoli con atti di violenza sociale fatti a suon di quattrini (l'apertura di un piano dell'ospedale solo per ospitare il padre, lo sfruttamento della tossicodipendenza, ecc..).

Come stile di regia Arcand è molto cambiato, gioca molto di più con il montaggio (sembra abbia appena imparato a usare il fade to black visto che lo usa continuamente in questo film) e con la fotografia dai colori curati; riuscendo a dare un senso di movimento maggiore che nel precedente pur muovendo meno la macchina da presa.


venerdì 7 ottobre 2016

Otesánek - Jan Švankmajer (2000)

(Id. AKA Little Otik)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Una coppia non riesce ad avere figli; come gioco e come consolazione il marito intaglia una figura umanoide in un ceppo di legno; la moglie prende però la cosa troppo sul serio e comincia a trattare il ceppo come un bambino vero. Per cercare di dissuaderla il marito sostiene che se li vedessero in giro con un bambino penserebbero a un rapimento; la moglie allora mette in scena una gravidanza di otto mesi e un finto parto. Dopo il finto parto però le cose cambieranno, il ceppo comincerà a vivere e a mangiare. La fame del ceppo sarà sempre maggiore finché non mangerà il gatto di casa.

Fiaba nera e grottesca (come sono tutte le fiabe vere e proprie) basata su un racconto tradizionale.
Dietro la macchina da presa c'è l'assurdo Švankmajer, regista di culto dell'animazione che qui tenta brevemente una tecnica mista live action/passo uno, ma velocemente relega l'animazione vera e propria in un angolo e si dedica completamente al film vero e proprio. Rimangono però le piccole manie di regia mutuate dai suoi corti e film anni '80, con un gusto insistito sui dettagli (come tipo di inquadratura) e il mostrare i piccoli gesti.
Del Švankmajer che conosciamo rimane qualcosa (oltre all'animazione del piccolo Otik) ed è la televisione a casa dei vicini; si vede poco, ma quando si viene inquadrata mostra delle pubblicità realizzate dallo stesso regista e che sono prese dai suoi vecchia, amati cortometraggi); mentre in una scena viene utilizzata per ingannare lo spettatore fingendo che la coppia inquadrata sia in viaggio, mentre si trovano seduti davanti alla tv.

AL di là di questo il film è una godibilissima commedia surreale e inquietante, con un finale già chiaro fin dall'inizio (non si basa solo su una fiaba, ma la storia originale viene sfruttata, facendola leggere alla bambina che quindi capisce cosa sta succedendo e anticiperà il finale, che pertanto può non essere inquadrato e ne viene aumentato l'effetto drammatico), ambientata in un mondo moderno senza tempo (sembrano sempre gli anni '70-'80), in un atmosfera sospesa. Rispetto al precedente (e sicuramente migliore) "Alice" qui c'è una gestione migliore del ritmo che si mantiene abbastanza stabile e un cast che si dà da fare, chi realizzando macchiette perfette, chi (come la madre del piccolo Otik) recitando tout court senza tirarsi indietro.

Non solo si basa su una fiaba ma sfrutta la fiaba stessa raccontandola all'interno del film e sfruttandola per far capire alla bambina cosa sta succedendo e facendola agire di conseguenza e aumentando l'effetto drammatico specie nel finale.

mercoledì 5 ottobre 2016

I guerrieri della palude silenziosa - Walter Hill (1981)

(Southern comfort)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo della national guard della Louisiana viene mandato in addestramento nelle fantastiche paludi locali. Per accelerare i tempi ruberanno tre canoe; i proprietari li vedranno, ma sfortunatamente non riusciranno a comunicare essendo i locali dei Cajun. Dato che questi militari sono degli sfigati così, per ridere, uno di loro spara a salve contro gli autoctoni, che però non la prendono bene e sparano, uccidendo il capitano. Da quel momento il gruppo di soldati (armato solo a salve) si troverà a essere braccato e a dover fuggire in mezzo al nulla per sopravvivere.

Si certo, questo è "The warriors", mi pare evidente. Eppure i regazzini del precedente film di Hill erano sicuramente impulsivi, ma rocciosi e determinati; qui invece ci cala in un ambiente meno kitsch e meno barocco, più realistico, dove i protagonisti sono degli adulti in uniforme, ma risultano essere delle teste di cazzo, quando non sono solo dei bambini spaventati. Di fatto Hill prende lo stesso spunto, modifica le premesse per renderlo più duro, poi prende i personaggi e li rende dei deboli senza speranza. Quello che ne verrà fuori sarà uno stillicidio di ammazzamenti e colpi di follia. Bravo Hill, hai migliorato "The warriors".
Il messaggio da portare a casa (oltre al don't fuck with cajun) è che questo è un film duro, teso, dove un gruppo di uomini impreparati viene messo in una situazione senza speranza; un film con un ritmo stabile, dopo l'intro cretino (che serve a presentare i personaggi cretini) non c'è un minuto di pausa o di relief, in questa versione estrema di "Deliverence", neppure nel finale che da situazione di scioglimento sembra poi prendere la strada di "The wicker man" (senza il paganesimo).
In una frase è un film che inizia con una gita e finisce con un massacro.

E tuto questo senza avere ancora citato l'ambientazione. Gli scenari della palude sono qualcosa di entusiasmante; offrono location di un tetro impensabile pur mantenendosi luminosi (offrendo quindi ottime scene di caccia all'uomo senza bisogno di ambientarle di notte). Ma sono anche un'idea perfetta perché offre un pezzo di Stati Uniti che non sembra tale; gli autoctoni non parlano inglese, la mancanza della bussola può realmente farti morire, le condizioni ambientali sono estreme; di fatto crea una situazione di guerra offensiva ambientandolo nel giardino di casa.

lunedì 3 ottobre 2016

Gatto nero, gatto bianco - Emir Kusturica (1998)

(Crna macka, beli macor)

Visto in DVD.

Tre storie di tre generazioni di zingari che vivono lungo il Danubio. L'amicizia fra due vecchi sodali di avventura in Europa; gli affari di due adulti, il primo pieno di soldi e arroganza, il secondo un guascone pieno di belle speranza che vive di sotterfugi; la terza una girandola amorosa fra due coppie che si incroceranno in vari modi fino ad approdare a un doppio matrimonio.

Siamo tutti d'accordo che "Underground" è stato un po' il "Pulp fiction" di Kusturica; un film fatto al 90% dal genio e al 10% dal culo ottenendo un capolavoro. Risulta quindi scorretto paragonare ogni suo film a quello... tuttavia è anche inevitabile farlo. Se "La vita è un miracolo" sembrava il film di uno che volesse, programmaticamente rifare un "Underground" (più ottimista), e dunque risultava solo patetico; questo "Gatto nero, gatto bianco" riesce a stare miracolosamente nel mezzo fra questi due film. A metà fra l'onesto e dirompente realismo magico (o realismo assurdo) del capolavoro del regista e la decisione presa a tavolino di fare un film alla Kusturica de "La vita è un miracolo".
Anche qui la trama lavora per accumulo di immagini, di oggetti, di personaggi e di idee; qui c'è la messa in scena di alcune intuizioni geniali e una maniacale cura dei dettagli sullo sfondo, quelli più tecnicamente inutili (l'orchestra legata all'albero, il maiale che mangia l'automobile, o tutti l'inizio con il commercio coi russi sul Danubio). C'è il solito ritmo farsesco e la solita anarchia agitata a muovere la vicenda e che ne determina la chiusura perfetta. Ci sono tutti i personaggi che rispettano l'ideale di simpatico cialtrone kusturicano.

Tuttavia risulta più limitato di "Underground", la storia è una fiaba romantica carina, ma che non ha la forza o il respiro per arrivare più in là; il gusto del kitsch raggiunge vette che sta al di qua dell'inaccettabile per molto un soffio.

Tutto sommato l'ultimo Kusturica che fa sé stesso senza essere programmaticamente anarchico (anche se devo ammettere di non aver visto "Promettilo!").