giovedì 30 giugno 2011

Precious - Lee Daniels (2009)

(Id.)

Visto ad un cineforum. Un’obesissima sedicenne di colore di harlem, Precious, con una figlia con sindrome di Down in affidamento alla nonna ed un secondo figlio pronto per nascere, vive assieme alla madre completamente matta e cattivissima, soprattutto da quando il padre le ha lasciate. Non si sa bene il perché il padre se ne sia andato, ma potrebbe anche centrare col fatto che violenta Precious da quando è bambina e che i due figli di lei sono anche suoi. Mah. Sta di fatto che la cacciano pure da scuola, entra in una scuola speciale dove scoprono che è bravissima in matematica, ma sostanzialmente dislessica. Vabbè, si consola facendo scuola di ninja con la madre che cerca di colpirla con padelle, ciabatte e televisioni dimostrando anche di riuscire a competere con Bud Spencer nell’arte del grattone in ghigna. Ora della fine non vogliamo metterci pure un poco di AIDS?! Metterci un meteorite sarebbe stata la logica conclusione, invece…

Devo indovinare? Il film è indipendente! E magari è stato pure al Sundance… Ok, ovviamente lo sapevo già, però una così alta concentrazione di sfighe è propria solo dei film indipendenti. Mi immagino come devono essere andate le cose quando è stato proposto il soggetto:
“Sig. Warner, ho in mente un film grandioso da far recitare a Morgan Freeman e Halle Berry; c’è questa ragazza obeserrima e nera di harlem che ha due figli avuti da suo padre e che viene menata dalla madre…”
“Basta così! Non voglio sentire altro! Abbiamo troppi soldi in questa casa di produzione per essere in grado di fare un film così profondo! E riuscire a girarlo magari con una macchina a mano! E riuscire magari ad andare al Sundance! Affidalo a qualche indipendente che possa scritturare al massimo Mariah Carey

Ecco credo sia andata più o meno così; ma colgo le parole del Sig. Warner per introdurre forse l’argomento più spinoso del film; Mariah Carey! Intanto già avere l’idea di scritturarla in un film serio senza bikini mi pare una follia, ma scritturarla così com’è, senza trucco, sbiavida e invecchiata come se non fossimo più negli anni ’90 è un suicidio!

Altra grande questione è come sia potuto succedere che un cast certamente bravo, ma che ha fatto dell’inespressività una bandiera come non si vedeva dai tempi di John Wayne abbia potuto avere candidature agli Oscar… e mi fermo a contestare le candidature…

mercoledì 29 giugno 2011

I dieci comandamenti - Cecil B. DeMille (1923)

(The ten commandments)

Visto in DVD.
Il film è diviso in due parti. Nella prima c’è l’effettivo episodio biblico della fuga degli ebrei dall’Egitto a partire dalla decima piaga fino alla distruzione delle tavole della legge. Nel secondo è narrata la vicenda di due fratelli, uno credente ed uno ateo (ma ateo in maniera bizzarra, sembra essere assetato dall’iconoclastia verso i dieci comandamenti affermando più volte cose tipo “Perché dovrei crederci? Cos’hanno fatto i dieci comandamenti per me?”), il primo è un bambacione che lascia la donna amata (anche lei così maledettamente senza dddio) al fratello, l’altro è uno che vuole fare successo infrangendo ad uno ad uno i dieci comandamenti… io non so, dalle mie parti in bocciofila le bestemmie volano come fagiani nella stagione di caccia (e diversi altri comandamenti vengono infranti) eppure son tutti agricoltori con le pezze al culo lo stesso… comunque sia lui invece ce la fa. Ma vuoi che i nodi non vengano al pettine? Nel momento in cui infrangerà l’undicesimo comandamento “Non mischiare il cemento con la sabbia quando fai una cattedrale!” tutto quello che avrà costruito gli cadrà addosso (anzi, cadrà addosso alla madre). Lui sarà troppo oltre per essere salvato, ma la ragazza inizialmente contesa sarà ancora recuperabile…

Ok diciamolo subito, per essere un film muto si lascia guardare senza noia o momenti di stanca; ma la seconda parte è idiota sotto molti punti di vista (i personaggi, la storia, i personaggi di nuovo) e per questo divertente, la maestosità è lasciata nella parte finale. La prima parte invece è stupefacente.

Nella prima parti la pesante manona di De Mille si vede; scenografia pantagrueliche, un uso delle masse impressionante e alcuni degli effetti speciali migliori di tutti gli anni venti (dall’apertura del Mar Rosso, alla rappresentazione di Dio). Il tutto è giostrato perfettamente dal gusto estetico del regista che rende memorabile quasi ogni scena. La prima parte è storia del cinema.

martedì 28 giugno 2011

Il cavaliere della valle solitaria - George Stevens (1953)

(Shane)

Visto in DVD.
Una famigliola di condadinotti è insidiata da un gruppo di possidenti locali dalle mire rapaci, cercano di resistervi, ma il morale si fa sempre più nero. Poco prima che le cose vadano a rotoli compare per caso un cavaliere solitario, che usa bene la pistola e fa a pugni… beh incassa da dio. Il pistolero si insedia nella casa dei contadinotti e darà loro una mano a vincere i cattivi, attirando le simpatie di tutti.

Enfatico, prevedibile e stucchevole western anni ’50 che punta tutto sui buoni sentimenti e su qualche scazzottata oggettivamente ben realizzata (con stacchi continui e inquadrature a ruota libera); soffre però del suo essere così compito e della lunghezza eccessiva con troppi momenti di stanca, come se non bastasse poi il bambinetto (figlio dei contadinotti, che è un personaggio abbastanza importante) ha la faccia da ritardato ed espressioni ancora più ebeti. D’altra parte c’è da dire che il film chiarisce bene che la moglie del contadinotto è oltremodo attratta dallo straniero e che non ci combina nulla solo perché dedita alla famiglia (e per via della censura, immagino), il che comunque è qualcosa di nuovo nel cinema western classico solitamente molto più puritano di quanto dovrebbe.

Inoltre c’è da dire che questo è il primo film che introduca il pistolero solitario e misterioso che arriva, risolve i problemi e se ne va, con un passato oscuro e molti dubbi sula sua rettitudine; ovviamente da qui prenderà forma Eastwood in tutte le sue declinazioni. (ok, ok, già da Ombre rosse si crea il pistolero come mito, ma a mio avviso è da qui che si crea il pistolero come semi divinità, che diventerà onnipotente quando verrà incarnato dal texano dagli occhi di ghiaccio).

lunedì 27 giugno 2011

Source code - Duncan Jones (2011)

(Id.)

Visto al cinema.
Gyllenhaal è un militare assoldato in una missione particolare, per varie questioni non molto chiare, può essere mandato indietro nel tempo (nella mattinata) per rivivere gli ultimi otto minuti della vita di un uomo prima di un terrificante attentato. La sua missione è di scoprire chi è stato, visto che sta per colpire di nuovo… eppure lui rimane rinchiuso in una capsula e i suoi superiori sembrano reticenti…

Mr. Jones è divenuto, al suo secondo film, l’unico regista di vera fantascienza sul mercato. Questa volta è alle prese con un lavoro su commissione, già di per se affascinante e ben scritto (giusto il finale e l’eccesso di sentimentalismo sono un evidente sintomo di una produzione pesantemente presente), viene preso e trattato con tutta la serietà possibile… poi ci sono le sue capacità. No perché fare un film a indagine che comincia con un protagonista senza memoria, in cui la stessa scena si ripete continuamente quasi identica, e farlo senza annoiare, cambiando di continuo punti di vista e modi d’inquadrare ha del notevole. In mano qualcuno di meno competente sarebbe stato devastante. E poi ci sono da considerare pure la fisica quantistica e il calcolo iperbolico…

giovedì 23 giugno 2011

La guerra dei Roses - Danny DeVito (1989)

(The war of the Roses)

Visto in DVD.
La storia di una coppia (Douglas e la Turner) dal loro incontro, l’innamoramento, i primi tempi felici (e tutto questo in una ventina di minuti) e poi per il resto del film del loro scivolare verso il disprezzo reciproco, quindi l’odio (almeno da parte di lei, perché lui per tutto il tempo insisterà nell’amarla) fino alla guerra aperta.

Questo è un film che ha tutto, dal vendicatore calvo, al pesce al piscio fino ad un Danny De Vito podologo, non manca di nulla; una sceneggiatura scritta benissimo solo in minima parte poco credibile, motiva tutto senza dare addosso ad uno solo, ma mostrando come le cose siano crollate per la loro stessa natura e come tutto fosse in essere fin dall’inizio.

Ma la vera sorpresa non è qui, e neppure sta nell’ottima recitazione di Douglas, visto che negli anni ’80 ancora sapeva fare l’attore (brava anche la Turner comunque); la vera sorpresa è Danny De Vito. Si perché il film è diretto da lui! Fotografia chiassosa, ma sempre entro i limiti; ambienti che costruiscono uno stato d’animo prima ancora della storia (fuori dalle finestra di De Vito mentre racconta il cielo è infernale), ma soprattutto una macchina da presa mobile, pronta ad inquadrare in maniera ragionata per essere al limite del cartone animato, un montaggio serrato che, talvolta, prende dal western, altrove cita i film d’amore. Si insomma, una regia adattissima ad un film al limite, ad una commedia cattivissima come questa, che fa da perfetto contraltare alla storia.

mercoledì 22 giugno 2011

L'uomo con la macchina da presa - Dziga Vertov (1929)

(Chelovek s kino-apparatom)

Visto in DVD.
Dziga Vertov fu un regista futurista, propugnatore della teoria secondo cui il cinema è l’arte suprema, disgiunto completamente da letteratura e teatro dai quali dovrebbe sempre rifuggire. È in quest’ottica che l’opera di questo regista risulta essere inusuale per il periodo.

Elimina i set, i teatri di posa e si mette a riprendere direttamente dalla realtà. Ovviamente elimina gli attori e riprende la gente comune. Il suo modo di far cinema ricalca molto lo stile dei documentari, ma è qualcosa di diverso, non vuole spiegare una situazione, un concetto o un ambito della società; vuole solo comunicare con le immagini; riprende scene di vita in vari ambiti e legate fra loro più per assonanza che per logica, abusando ad ogni scena del montaggio intellettuale di Eisenstein. I suoi film risultano essere delle opere d’arte visiva tratte da scene di vita vera.

In questa chiave viene creato L’uomo con la macchina da presa, film manifesto dell’idea di cinema come arte a se; una sorta di documentario dedicato al cinema stesso e alle possibilità che lo strumento della macchina da presa permette. Ecco allora che le immagini si affiancano per assonanze poetiche o paragoni, creando una sorta di sinfonia di sequenze, mentre tecnicamente Vertov fa di tutto, tutto quello che il mezzo gli permette: stop motion, rewind, ralenty, sovrapposizioni, fermo immagini, split screen, carrelli, immagini sfocate e rimesse a fuoco, inquadrature azzardate che vengono poi smascherate mostrando la macchina da presa che le sta registrando, ecc.

Il tutto inquadrando immagini di vita vera senza censura o limiti (mostra tutto anche barboni che dormono in un parco o il parto di una donna).

Il film riesce alla perfezione, è esteticamente perfetto e godibilissimo, senza una narrazione o la necessità di cartelli.

martedì 21 giugno 2011

Il texano dagli occhi di ghiaccio - Clint Eastwood (1976)

(The outlaw Josey Wales)

Visto in VHS.
Un texano a cui un gruppo di nordisti sterminano la famiglio, si arruola nei sudisti per vendicarsi. Non solo non ci riuscirà ma (spoiler) perderà la guerra, ma anziché arrendersi fuggirà per cercare di riguadagnare la vendetta fino a quel momento sfuggita. I nordisti gli daranno la caccia. Nella fuga raccoglierà con se una serie di personaggi che con lui formeranno dapprima una sorta di armata Brancaleone e poi una specie di kibbutz.

Il secondo film western di Eastwood è decisamente più classicheggiante, meno leoniano nello stile, tutto proteso a mettere i suoi personaggi all’interno di un ambiente (anzi a decine di ambienti). Eastwood però non rinuncia all’ironia e tira fuori una serie di sequenze al limite della comicità; e va detto che il film funziona decisamente bene grazie alla serie di comprimari, di spalle comiche, che danno spessore alla storia e danno il la alle battute (dall’indiano civilizzato, al venditore di elisir). Ciononostante il film riesce los tesso ad essere moraleggiante ed enfatico e ad andare avanti con il freno a mano tirato (per lo più all’inizio).

Meno fantasioso e surreale del predecessore è inferiore a quello anche per la fotografia (decisamente più contenuta) mentre inserisce alcune sequenze di regia molto anni ’70 qui e la (come il montaggio serrato in avvicinamento al volto di Eastwood quando si allena con la pistola all’inizio) che modernizzano un poco senza mai scadere nella zoommata da film hongkongese.

Come si diceva, decisamente più canonico de “Lo straniero senza nome”, ma decisamente gradevole.

lunedì 20 giugno 2011

Cleopatra - Cecil B. De Mille (1934)

(Id.)

Visto in VHS. In un’ora e mezza De Mille condensa il rapporto fra Cleopatra e Giulio Cesare, la morte di Giulio Cesare, il rapporto tra Cleopatra e Marcantonio, niente di nuovo è vero, me il tutto viene fatto con una lena tale da non tediare mai.

Questo film più che altro è l’elenco dei feticismi di de Mille, scenografie eccessive, donne in abiti succinti, piume di struzzo e qualche pavone qua e la. Certamente poi la parte di maggior interesse è proprio il comparto scenografico (da encomio la scena dell’incontro con Marcantonio, dove viene infilata pure una breve scenetta di catfight inteso quasi letteralmente).

Per il resto il film non sorprende con trovate innovative, ma con il suo ritmo sostenuto, l’assenza totale di derive melodrammatiche e pochissima enfasi risulta più godibile della gran parte dei peplum dei decenni successivi; addirittura, qui lo dico e qui lo nego, l’ho apprezzato di più del successore con Liz Taylor (che comunque prende a piene mani da questo).

Un encomio particolare alla recitazione, modernissima, assolutamente a livello di quella attuale.

sabato 11 giugno 2011

Il pistolero - Don Siegel (1976)

(The shootist)

Visto in VHS.Stupendo. Assieme a Mezzogiorno di fuoco, “Il buono, il brutto e il cattivo” e “Ombre rosse” uno dei migliori western di sempre.

Wayne è un vecchio pistolero malato e morente che ha visto cambiare il mondo dei cowboy fino a diventare un mondo a metà tra la modernità e le vecchie regole (non a caso il film inizia con la notizia della morte della regina Vittoria, la fine di un'era); torna per farsi giustizia del passato e chiudere i conti prima che sia troppo tardi.

Prima i dettagli tecnici:
il cast è deicsamente all star con un Wayne stupendo, con il fisique du role adatto e con la sua miglioro interpretazione. La regia dinamica e violenta di Siegel poi è perfetta, non lesinando né sul sangue né sulle inquadrature curate.

Detto ciò… Wayne aveva realmente un cancro, ed questo film sarà l’ultimo della sua carriera e rappresenta anche l’ultimo del suo personaggio, oltre che di un genere (splendido in questo senso che cominci con spezzoni dei vecchi film di Wayne).

Un film che si incastra perfettamente nel suo anno; dopo dieci anni di Peckinpah e Leone il western classico è definitivamente morto (ultimo rigurgito proprio quel “Il Grinta” che darà a Wayne il suo Oscar) e Siegel lo sancisce, non senza rimpianto ed un buona dose di patinatura, con questo film. Wayne e Stewart, i due ultimi rappresentanti di quell’epoca del cinema, ormai finita, interpretano i due ultima rappresentanti di quel west ormai finito; anacronistici e ormai non compresi più da una città che non sa più cosa farsene dei pistoleri, che è attratta dal sangue, ma atterrita dall’idea di ingiustizia che esso comporta… Siegel poi mostra come il cambiamento non sia esattamente in positivo; Wayne ha le sue regole ed ha ucciso molto, ma solo “per giustizia”, mentre i nuovi abitanti di questo west rifuggono la violenza, ma cercano tutti di sfruttare un “dead man walking”.

Come dicevo è decisamente patinato, ma il dramma è palpabile e magnificamente orchestrato e ogni espediente melodrammatico si inserisce alla perfezione.

Alla fine poi Wayne non sarà battuto dagli uomini ne dalla natura, ma solo dalla vigliaccheria di questa nuova epoca; ed il suo sacrificio sarà da esempio, certo, ma solo idealmente perché la scena finale lo dice di nuovo; il vecchio west è morto, non c’è più spazio per i vecchi pistoleri. Fine.

giovedì 9 giugno 2011

Gothic - Ken Russell (1986)


(Id.)

Visto in VHS. La creazione di Frankestein ad opera di Mary Shelley secondo Russell. Nella villa Diodati si riuniscono Byron, i coniugi Shelley e il Dr. Polidori. Byron è ovviamente pervertissimo e dopo una seduta spiritica sembra liberarsi una creatura frutto delle paure dei partecipanti, che li funesta per tutta la notte…

La storia sulla carta sembra una figata… il problema è che Ken Russell vuole fare l’artista a tutti i costi. La perversione di Byron (interpretato da un Byrne magnificamente luciferino) è tutta a parole, perché nei fatti la cosa più oscura che fa è permettere alla capretta da mungere di passeggiare per casa.

La creatura che viene creata (che non viene mai mostrata) fa scherzi da prete, mostra la sagoma dietro un vetro e poi scappa via veloce veloce, fa Bu! da dietro un angolo e altre simpatiche rie del genere. Tutta la nottata è una sorta di film horror che annoia senza tregua con una manciata di personaggi che non rischiano mai niente, ma che si inquietano anche solo se si vedono allo specchio.

Il film, figlio di questa idea distorta di cinema alto, è una noia spocchiosa e senza scampo; unico motivo di pregio è la scena della donna con gli occhi sui capezzoli… idea molto russelliana, che si conclude in un’inquadratura e che, devo ammettere, è stato il motivo per cui ho recuperato il film… no, non ne è valsa la pena.

PS: pregevolissima la locandina con il nano truccato da idiota.

mercoledì 8 giugno 2011

Perdutamente tua - Irving Rapper (1942)

(Now, voyager)

Visto in DVD. La Davis è una psicotica zitellona con le sopraciglia folte. Dopo l’intervento di Rains, che da bravo psichiatra la farà uscire dalle castranti grinfie materne, andrà in crociera. Vuoi che non incontri un uomo magnifico, ma sposato? Si ameranno castamente come solo Hollywood sa fare. Tornati alle loro vite si incontreranno e schiveranno a lungo, finchè lei non incontrerà la figlia di lui nella casa di cura di Rains, vi si affezionerà, se la porterà a casa e riuscirà cos ad avere un “figlio” dall’uomo che ama…

Filmone sentimental-melodrammatico con quel gusto per l’impossibilità ed il melodramma che solo la censura d’altri tempi sapeva dare. Si perché i due con concludono mai la loro storia d’amore perché la censura non avrebbe mai ammesso il consumarsi d’un rapporto adulterino. Questo limite dovette essere superato dall’inquietane escamotage della “adozione” della figlia, idea a mio avviso piuttosto patologica, ma che da adito alla bellissima scena finale con la Davis che afferma “Perché volere la luna quando abbiamo già le stelle?”.

Nell’insieme il fil soffre di una certa lunghezza, non proprio nel minutaggio, quanto nella storia, che sembra trascinarsi avanti anche quando è apparentemente già conclusa. La parte dell’incontro con la figlia dell’uomo amato sembra infatti posticcia e attaccata a forza ad una storia di amore impossibile già conclusa.

Impagabili le sequenze iniziali con una Bette Davis imbruttita e isterica che ricorda tanto il personaggio della Huppert in “Otto donne e un mistero”.

martedì 7 giugno 2011

La moglie di Frankenstein- James Whale (1935)

(Bride of Frankenstein)

Visto in VHS.
 …stavo provando a ricordare la trama, ma mi sfugge il motivo per cui succedano i fatti finali. Si c’è la moglie della creatura di Frankestein (che poi moglie non è tecnicamente), ma dura due minut netti di film. Il motivo per cui viene fatta non mi è chiarissimo però. Ricordo che il dottor Frankestein viene convinto a continuare gli esperimenti da un suo vecchio insegnante, mentre la creatura sopravvissuta all’incendio avvenuto alla fine del film originale (si perché questo film comincia alla fine precisa dell’altro) fugge in giro braccata dai paesani con fiaccole e forconi imparando a parlare…
Deve proprio avermi colpito sto film se già me lo ricordo così poco.

Ovviamente la storia fa acqua da tutte le parti, annoia abbastanza (divertente che venga iniziata mostrando la Shelley che racconta il seguito a suo marito e a Byron) e si dimostra senza guizzi. La regia di Whale dimostra la sua esistenza solo qui e la, come nella sequenza in cui viene creata la “moglie”, per il resto del tempo tira a campare. Unica nota positiva i fondali e le location sono effettivamente ben costruite al pari del precedente.

PS: l'aspetto della moglie di Frankenstein fu il fattore trainane di tutto il film e del marketing prima dell'uscita, con trailer realizzati apposta e locandine come questa:

Se bisogna effettivamente decidere il fattore aggiunto da questo film alla storia del cinema direi che sono i capelli della moglie di Frankestein, adornati da due ciocche bianche. E basta.

PS: inoltre il film che ho visto deve essere stato vittima di diversi tagli perché molte scene sembrano decisamente non congrue con quelle appena precedenti.

lunedì 6 giugno 2011

Il verdetto - Sidney Lumet (1982)

(The virdict)

Visto in VHS. Classico legal movie all’americana. Trama standard per una regia senza pretese.

L’avvocato Newman, ormai fuori dal giro perché troppo idealista è ora diventato uno sciacallo che fa tutto quello che viene mostrato anche in “Rainmaker” per sopravvivere, ma quando si trova a dover difendere degli indifesi contro il Golia cattivissimo di un grosso ospedale cambia, moralmente e come stile di vita. Colpi di scena a non finire, tiri mancini dagli avversari, un giudice contro, ma poi il cuore della giuria farà il resto.

Davvero c’è poco altro da aggiungere. Newman è decisamente magnifico, ma questo è il minimo. La Rampling essenzialmente inutile. Mason fa il suo lavoro e fa piacere vederglielo fare…

Basta, tutto qua; palesemente un film su commissione senza fantasia, ma d’altra parte senza pretese. Giusto per un pomeriggio di domenica su rete quattro o la7.

giovedì 2 giugno 2011

I'm magic - Sidney Lumet (1978)

(The wiz)

Visto in DVD. L’apice artistico e morale della blaxploitation credo che possa essere visto in questo film, almeno col senno di poi. Il musical tratto dal mago di Oz, con solo attori di colore, diretto da Lumet e con la partecipazione di Diana Ross e, soprattutto, Michael Jackson (e una comparsata di Pryor). Cos’altro si può volere?

Diciamolo subito va, che non vengano dubbi; Lumet non si vede mai. Poteva essere un film diretto da chiunque. Evidentemente doveva pagare delle bollette.

Poi diciamo subito la seconda cosa, le canzoni sono belle. I lenti, soprattutto all’inizio, non mi hanno preso per nulla, però una volta giutni ad Oz, il ritmo si fa più scattante e si annoverano senza vergogna la famosa “Ease on down the road”, il blues “...(ok, ho dimenticato il titolo)”, e la vivacissima “Don’t nobody bring me no bad news“… ma anche la canzone dei corvi non era male.

Il film non è più un musical dalle mille comparse come quello degli anni ’30, e neppure un film musicale tutto basato sulla regia come oggigiorno, è invece quell’insipido modo di fare musical tipico degli anni ’70, grandi scenografie, qualche abbozzo di coreografia (ma neanche tanto) e poi tutto basato sulle canzoni, niente scene costruite con cure, niente dimostrazioni di capacità danzerecce… niente insomma.

In un film del genere il punto di forza è, come detto, nelle scenografie, ed in questo bisogna ammettere che The wiz batte tutti. Costruzioni eccessive ed enorme, un dispiego di forze senza pari, colori chiassosi come pochi, tutto per appagare l’occhio.

Che dire, io questo film lo consiglierei solo per vedere Michael Jackson vestito da spaventapasseri… e non mi pare poco.

mercoledì 1 giugno 2011

A prova di errore - Sidney Lumet (1964)

(Fail safe)

Visto in VHS. Per una serie di sbagli tecnici un gruppo di bombardieri americani, equipaggiati con armi atomiche si dirige verso la Russia con il comando di distruggere Mosca. Il subbuglio che ne deriverà (rimpallato tra comando operativo, pentagono e casa bianca) porterà i presidenti delle nazioni nemiche ad avvicinarsi e collaborare per scongiurare il disastro, ma (SPOILER) ovviamente non riusciranno e il presidente americano darà ordine di distruggere New York come olocausto per evitare una guerra atomica.

Film palesemente derivato da “Dr. Stranamore” e dalla medesima paura dell’apocalisse nucleare. Lo stile, la cadenza ed i ritmi sono i medesimi del film di Kubrick, con alcune importanti differenze. Da una parte l’opera di Lumet è decisamente più pulita, priva degli eccessi derivati soprattutto dall’ingombrante (e multipla) presenza di Sellers, ma questa maggior concretezza viene pagata con la totale assenza di ironia. In questo modo ci si trova davanti ad un melodramma come pochi altri, estremo e dolorosissimo (a New York è in visita la first lady, così come abita la famiglia di chi ha l’ordine di sganciare la bomba, ma anche la scena del della telefonata incrociata con i due consoli nelle città da distruggere è pesante) che però è appesantito da un eccesso di ,manierismo e da un insistente bisogno di tragedia ad ogni scena. La sceneggiatura poi ci impiega un po troppo ad entrare nel vivo e lo fa con uno spreco di dialoghi. Lumet poi non lo si vede quasi mai.

Un dramma definitivo come pochi, che però risulta abbastanza macchinoso.