(Id.)
Visto al cinema.
La storia la conosciamo ormai tutti a memoria.
Diciamolo subito a scanso d'equivoci, è un bel film. Ha un ritmo e un'arte (oltre che una percentuale di godimento complessivo) decisamente più altro della media.
...ciononostante mi ha deluso.
Obbiettivamente me ne importa relativamente che questo sia il primo vero film politico di Tarantino; non mi interessano affatto le polemiche; non vivo per vedere un citazionismo spinto ed ammiccante (che in questo film è ai minimi storici) e, direi, sono di secondaria importanza gli spruzzi di sangue pantagruelici. Il problema è che Tarantino è decisamente sottotono.
Se è vero che dopo Kill Bill Tarantino ha smesso di sperimentare, quantomeno ci aveva abituato ad un minimo fatto di grandi dialoghi, scene registicamente gustose, esplosioni di violenza estetizzante.
Qui il vero problema è la sceneggiatura. Il film è diviso in tre pezzi, l'incontro, Candieland e la vendetta. La prima parte latita di interesse, si costruiscono i personaggi, ma in realtà dopo aver introdotto il dentista il resto è particolarmente inutile (molte sono scene divertenti o semplicemente belle, ma le parti in cui si dovrebbe creare il rapporto fra i due il ritmo latita, si pensi alla scena in cui viene descritta la storia di Sigfrido). La parte di Candieland è quella che presenta molti punti di interesse perchè mostra due personaggi fantastici (Candie e Stephen), ma anche qui i dialoghi arguti latitano molto. Il finale di vendetta è molto tarantiniano, ma discontinuo e sembra mettere Django in situazioni di pericolo che si risolvono all'ultimo con stupidi colpi di fortuna come il batman degli anni 60.
Detto ciò, la sceneggiatura diluita in maniera inutile ha molti picchi di fascino o di grande comicità (la scena del kkk), ma quello che più mi ha colpito è stata la mancanza di grandi dialoghi! Ricordo perfettamente almeno 2 o 3 dialoghi per ogni suo film, ma per Django, una volta uscito dal cinema già non me ne veniva in mente nessuno. Questo soprattutto ha un impatto notevole sui personaggi, che, di fatto, vengono sprecati.
Le scene registicamente gustose non mancano, ma sono poche; l'incipit, la scena dell'omicido dei 3 fratelli, il primo incontro con Candie e la sparatoria in villa sono da antologia; ma non ne riesco a ricordare altre che ne siano all'altezza...
Infine i grandi spruzzi di violenza estetica c'è, è vero, ma da sola non regge un intero film.
Bello; ma, per me, il peggiore della sua carriera.
mercoledì 30 gennaio 2013
lunedì 28 gennaio 2013
Donkey punch - Oliver Blackburn (2008)
(Id.)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Dicesi Donkey Punch la pratica
sessuale per cui alla donna, presa da recto, si applica un grattone a livello
cervicale nel momento dell’acme del rapporto, affinchè la possente pacca faccia
perdere conoscenza alla partner causando una contrazione del pavimento pelvico
che aumenti il piacere dell’uomo… non si sa bene se faccia piacere anche alla
donna, ma tant'è.
Da una base così profonda le
possibilità di vedere un gran film non erano esattamente ai massimi livelli.
Eppure…
Tre ragazze inglesi in libera
uscita in Spagna incontrano quattro ragazzi inglesi che le ospitano sullo yacht
che utilizzano; li la droga la farà da padrona, così come il sesso e dunque
l’inevitabile applicazione del titolo. C’è bisogno di dire che il donkey punch
avrà conseguenze estreme? Non credo. Ciò che ne vien fuori dopo è un gioco al
massacro fra i componenti del gruppo, ognuno più o meno normale, ognuno con la
propria buona ragione per comportarsi in quel modo, ognuno che reagisce al
panico in maniera diversa.
Quello che bisogna dire subito è
che il film vira verso il thriller splatter fin da subito. Detto ciò voglio
aggiungere che in questa nicchia è un grande film. Nel cinema assoluto è invece
un film buono. La tensione è decisamente ottimale, l’inquietante si palesa fin
dall'inizio, ma niente viene concesso per almeno mezzora, il film si prepara
lentamente mostrando le personalità dei protagonisti solo per disattendere le
aspettative poco dopo. Una volta che il casino si compie invece non ce n’è più
per nessuno e si scatena un homo homini lupus straordinario, preciso,
fantasioso nel mischiare continuamente le carte e nei modi di finir male. Per
gli amanti del genere sarà uno spasso.
Per chi non ama il genere posso
rimettermi giacca e cravatta e commentare positivamente una fotografia
ragionata ed esteticamente bella; posso sottolineare l’ottima regia
considerando gli spazi angusti offerti dalla barca; ma soprattutto un applauso
per l’uso dell’ambiente che avrebbe soddisfatto anche Hitchcock, senza
esagerare lo yacht diventa parte integrante della storia rappresentando di
volta in volta, una prigione, una via di fuga, un mezzo per chiedere aiuto, uno
strumento di morte, tutto viene usato dalla sala motori, al gommone di
salvataggio (a conti fatti è proprio questo che Hitchcock considerava come
l’uso drammatico dell’ambiente).
Si insomma complessivamente un (inaspettato)
ottimo film di genere.
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venerdì 25 gennaio 2013
La mia droga si chiama Julie - François Truffaut (1969)
(La sirène du Mississipi)
Visto in DVD.
Visto in DVD.
SPOILER ALERT
Un industriale del tabacco
(Belmondo) che vive nelle isole della Reunion cerca una donna per motivo
matrimonio con un’inserzione su un giornale. Una ragazza francese risponde
all'annuncio e dovrà raggiungerlo alle Reunion. Sulla nave però la donna sembra
non esserci, la Deneuve però gli si palesa e ammette l’inganno che gli ha
fatto, ha spedito una foto diversa per paura e quando è arrivato il momento di
ammettere la cosa non ha più avuto il coraggio di dirglielo ed ora si trova
costretta a questo show down imbarazzante. Dato che nel cambio c’ha guadagnato,
Belmondo, non trova nulla da ridire, i due si sposano e si amano tantissimo;
almeno finché lui non le da la possibilità di prelevare dal su conto privato;
il giorno dopo lei scompare con tutti i soldi. La sorella della donna che
avrebbe dovuto sposare arriva alle Reunion e avverte Belmondo che la Deneuve
non è la ragazza che aspettava; i due si rivolgono ad un investigatore privato
per ritrovare la ladra. A quanto pare Belmondo è più abile perché trova per
primo la Deneuve che gli racconta una storia strappalacrime e lui se ne
ri-innamora; ora però devono fuggire tutti e due dall'investigatore privato.
Film noir che ribalta le regole
del genere americano (peccato che ignori gran parte dei polar classici) con una
femme fatale tutto sommato vittima lei stessa; con un mondo dove non è
difficile amare, ma rimanere innamorati; ma soprattutto con una cadenza da
tragedia greca che è il vero dettaglio vincente. È da tragedia greca che sia
proprio Belmondo a dare l’abbrivio alla loro disfatta creando il proprio
antagonista; è da tragedia greca il finale in cui lei lo avvelena, ma lui, pur
sapendolo, la lascia fare per amore; è da tragedia greca la lotta contro un
destino già segnato fin dall'inizio (ok, questo è anche da noir tout court).
Tutti questi dettagli uniti ad un noir che mischia cliché con alcuni
ribaltamenti rende il film veramente interessante. A questo poi si possono
aggiungere diverse buone idee, dal dialogo di Belmondo con il direttore della
banca montato sulle scene in cui lui sta ancora guidando per raggiungere la
banca; il fatto che si renda conto dell’avvelenamento guardando una strip di
Biancaneve; oppure ancor quel sapore tutto Langiano per cui ogni uomo nasconde
dentro di se un assassino (che in effetti è uno dei concetti che il noir ha
rubato alle opere del regista tedesco).
Il problema è però la fattura
della sceneggiatura, possibile che i dialoghi siano così didascalici e
demagogici (per esempio nel loro primo reincontro in Francia)? È possibile che i
loro sentimenti riescano ad essere così assoluti, ma a cambiare anche con una
inversione completa in pochi secondo (un po’ in tutto il film, ma soprattutto
nel finale)? Questo sommato ad una certa visione scontata del tema amoroso e ad
una qualità delle immagini che è maledettamente figlia dei suoi anni (il che
vuol dire pessima), riduce un potenziale capolavoro in un buon film. E basta.
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mercoledì 23 gennaio 2013
Il segreto del bosco vecchio - Ermanno Olmi (1993)
(Id.)
Visto in Dvx.
Visto in Dvx.
Per la storia rimando qui.
Tratto da un'opera di Buzzati è
un po’ un riassunto delle sue tematiche, il rapporto con la natura; una sorta
di realismo magico sconosciuto, ma rapidamente accettato; il senso del
trascorrere del tempo e l’attesa ed il rapporto con un mondo che non c’è più o
che sta finendo; i sentimenti negati, assenti o nascosti fino alla fine.
Di fatto in parte è proprio la
poetica di Olmi, il rapporto di rispetto sacrale (anzi proprio spirituale) nei
confronti della natura è totalmente in linea, l’ambientazione in un’epoca
passata che è però un punto di svolta è nelle corde del regista e anche tutto
il discorso sui sentimenti presenti, ma mai mostrati è in parte suo. E allora
eccolo Olmi che indugia tantissimo sui dettagli, mostra con dovizia di
inquadrature anche affascinanti i boschi; ecco che il momento in cui l’albero
viene abbattuto diventa una sorta di “Il cielo sopra Berlino” dentro ad una
foresta (la stessa estetica, gli stessi silenzi pieni di significato, la stessa
tragica sacralità). Si insomma, Olmi ci sguazza, si prende i suoi tempi ed il
film ripete in maniera quasi pedissequa il racconto originale (rende solo più
confuso il rapporto fra il protagonista ed il nipotino) prendendosi i suoi
tempi, lento, ma costantemente diretto verso il suo obbiettivo.
La presenza scenica di Villaggio
è assolutamente all'altezza, ma la voce riecheggi troppo Fantozzi; ma il vero
tallone d’Achille è il giovane attore che fa il nipote… decisamente
imbarazzante.
In ogni caso il classico film che
ci si può aspettare da Olmi, con il 30% in più di favola disneyana.
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Dramma,
Ermanno Olmi,
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Film,
Paolo Villaggio
lunedì 21 gennaio 2013
Lo hobbit: Un viaggio inaspettato - Peter Jackson (2012)
(The hobbit: an unexpected journey)
Visto al cinema.
Visto al cinema.
Il giovane Bilbo viene precettato
per aiutare un gruppo di 14 nani per liberare la loro antica capitale del
regno, ora tenuta in scacco da un drago. La vicenda (divisa in tre capitoli)
mostra la nascita dei rapporti di Bilbo con Gandalf, il ritrovamento dell’anello
e il classico romanzo di formazione per lo hobbit.
I difetti che erano ovvi anche
prima di vedere il film sono tutti racchiusi nel libro originale, Lo Hobbit è
un libro per bambini, quindi decisamente più ingenuo de Il signore degli
anelli, ed è un libro di circa 300 pagine; folle quindi tirarci fuori un film
di 3 ora, figuriamoci una trilogia di 9!
Eppure a vedere il primo capitolo
ogni dubbio viene immediatamente tolto. La storia è permeata da una ironia più
ingenua, specie nella parte iniziale, ma ben presto il clima ed il tono passano
ad assomigliare a quelli del Signore degli anelli (solo qualche concessione è
data ogni tanto all'infantilismo, come nella figura del Bruno). Per quanto
riguarda lo svolgimento della trama, bisogna riconoscere una certa rilassatezza
(ed un uso eccessivo delle canzoni), ma come la compagnia si mette in marcia
cominciano tre ore di azione continua in un tuor de force difficile da credere,
ma assolutamente avvincente, anzi n alcuni momenti il repentino succedere di
eventi è pure eccessivo. Per quanto possa essere esile la trama iniziale, il
film si dilata adeguatamente e dopo tre ore ci si ritrova a chiederne ancora
come un tossicodipendente.
Inoltre la trama è ben scritta,
nel senso che è un film che viene dopo una trilogia enorme, lo sa e allora
strizza un occhio al pubblico ogni volta che può, racconta eventi, dice cose,
lascia presagire fatti, che tutti già sanno.
Non l’ho, volutamente visto in 3D
e non l’ho, purtroppo, visto in 48 fps. Recupererò con i prossimi due.
PS: cast spesso noto, che è un
piacere rivedere riunito, unico difetto il povero Christopher Lee che appare
veramente vecchio e ormai poco capace di tenere una parte.
venerdì 18 gennaio 2013
Adam resurrected - Paul Schrader (2008)
(Id.)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Ambientato negli anni ’60 in un
ospedale psichiatrico per sopravvissuti all'olocausto; in un ambiente rigido e
impeccabile si muove il lato oscuro di chi il lato oscuro l’ha vissuto
direttamente. Il protagonista Adam è sopravvissuto ad un campo di
concentramento facendo il cane al gerarca nazista d turno, mentre moglie e una
figlia venivano uccise. Adam ha anche la particolarità di avere un controllo
totale sul proprio corpo sanguinando a piacimento o “morendo” volontariamente
per poi “risorgere”; è inoltre un inguaribile donnaiolo con la tendenza
all'alcool.
Schrader sembra essere rimasto
agli anni ’70, tutto il film verte sui suoi temi standard, la colpa personale,
il male perpetrato agli altri nonostante l’impossibilità a fare altrimenti, e
poi i consueti percorsi verso l’espiazione. C’è tutto, qui, una famiglia
distrutta dal protagonista senza che lui potesse farci nulla; un ambiente che è
un coacervo di estetica puritana, ma l’interno è costituito da sofferenze e
turbinio di peccato (l’ospedale con il suo ripieno di personaggi senza
speranza; il protagonista stesso; l’infermiera ligia alle regole, ma con la
tendenza a fare il cane…); e poi c’è il deserto come luogo principe per
ritrovare se stessi o per purificarsi (come già Gesù ne “L’ultima tentazione”). Infine, negli ultimi minuti, Schrader riesce pure ad aggiungere
la solita domanda se valga la pena vivere nel lato oscuro o nella banalità del
bene.
Una fotografia color pastello,
una regia dinamica che fa tanto Scorsese e un Jeff Goldblum che finalmente
torna a recitare concludono i pregi… Perché i difetti sono diversi, ma su tutto
è il senso di finzione che traspare da tutto. I flashback sono uno shoa movie
in cui tutto urla la ricostruzione in studio e i personaggi che si vedono sanno
di banale macchietta nazista fin dall'inizio; l’importante personaggio del
ragazzo/cane è di uo stucchevole da far paura e tutta la sua parabola è una
lunga sequenza di prevedibilità poco credibile…
Peccato, un buon piano viene sprecato da un’impossibile sospensione
dell’incredulità.
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2008,
Dramma,
Film,
Jeff Goldblum,
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Willem Dafoe
giovedì 17 gennaio 2013
La migliore offerta - Giuseppe Tornatore (2013)
(Id.)
Visto al cinema.
Visto al cinema.
Un battitore d’asta con evidenti problemi di socialità viene
assunto da una ragazza per la vendita dei mobili dei genitori. Il battitore
accetterà il lavoro senza mai vedere la ragazza che, scoprirà in seguito che la
proprietaria della casa soffre di agorafobia e che si rinchiude in una stanza
segreta della villa quando entra il personale della casa d’asta; tra i due si
instaurerà un rapporto che va oltre il professionale…
Ovviamente non è tutto qui, fin dall'inizio si respira un
aura di mistero e di ambiente disturbante. Di più non si può dire.
Di per se la storia non è niente di originale (SPOILER ALERT)
neppure il colpo di scena finale è un’idea innovativa (già visto con gusto in “Complotto per un uomo solo” o “Il genio della truffa” per fare un paio di esempi)
(SPOILER ALERT FINITO).
Quello che però risulta vincente è l’ambientazione.
L’idea della casa d’aste e dell’antiquariato come mondo asettico e vecchio di
per se, un ambiente dove il falso e il particolare si nascondono anche dietro a
pezzi di legno ammuffito, rende perfettamente il tono dell’intero film e risulta
una parabola perfetta per descrivere contemporaneamente sia la trama che l’animo
del protagonista. Ecco il protagonista è proprio l’altra buona idea; un
personaggio non originale, ma ben scritto, interpretato impeccabilmente da
Geoffrey Rush che viene previsto in ogni singola inquadratura mangiandosi tutto
il resto (peccato per un Sutherland obbiettivamente sprecato), tutto tranne l’ambiente.
Tornatore in questo senso azzecca tutto, location, cast,
musiche, ritmo, tono e anche la regia, geometrica, spesso simmetrica, sempre
impeccabile, proprio come il protagonista. Un film affascinante dall'inizio
alla fine.
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Truffe
mercoledì 16 gennaio 2013
Cloud atlas - Tom Tykwer, Andy e Lana Wachowski (2012)
(Id.)
Visto al cinema.
Visto al cinema.
Non ci proverò neanche a spiegare
la trama di questo film, basti sapere quello che tutti sanno, ci sono 6 storie
ambientate tra il 1800 e il 2300 in cui si muovono le esistenze di diversi
personaggi, tutti collegati fra loro non solo a livello spaziale, ma anche
temporale, in maniera diretta (chi in un capitolo è il martire di una
rivoluzione nel successivo è il dio di una religione, il componimento musicale
di uno verrà ascoltato nel capitolo successivo ecc..), in maniera spirituale
(la voglia a forma di stella cometa), in maniera emotiva (in ogni storia c’è
sempre un nocciolo centrale formato dall'amore di una coppia, che è sempre la
stessa anche se cambiano le fattezze) ed in maniera genetica (ogni attore
interpreta diversi personaggi che inevitabilmente si somigliano).
Ecco detto ciò direi che si può
dire senza eufemismo che ci si trova davanti ad un’opera colossale con
ambizioni enormi. Se a questo si aggiunge che è un progetto europeo e
totalmente indipendente capitanato dallo splendido Tykwer a cui si associano i
Wachowski; beh, siamo dalle parti del mito. Il risultato però bisogna ammetterlo
è sotto le aspettative. I difetti sono evidenti fin da subito, diversi problemi
nella sceneggiatura (il capitolo della nuova Seul, incredibilmente simile a
Matrix è anche eccezionalmente debole e dovrebbe essere la spia dorsale del
film), un film lungo ed estremamente ostico alla comprensione rendono un’opera
grandiosa qualcosa di vicino ad un successo mancato. Si, successo mancato
perché di fatto non è il film epocale che poteva essere.
Tuttavia io l’ho trovato
grandioso lo stesso. Al netto dei difetti prima citati (a cui si può aggiungere
un trucco che non è sempre all'altezza del proprio compito o alcuni eccessi nel
cast complessivamente buono) quello che si ottiene è un filmone.
Tre ore di film che però tiene
botta dall'inizio alla fine, passano i minuti senza che ci si renda conto e le
sei storie hanno il tempo di dipanarsi con grazia. Sei storie che sono quasi
tutte complete, indipendenti e che potrebbero divenire opere a sé, che si
distinguono per tono, significato e genere cinematografico (idea ancora più
arrogante del resto), ambientante in luoghi incredibili dalla potenza visiva
invidiabile. Sei storie connesse fra loro da fili sottilissimi (quelli citati nella
spiegazione della trama) che non devono essere tali perché il significato
ultimo non è che siamo tutti connessi nel tempo da ampie evidenze scientifiche,
ma siamo connessi in maniera sottile e non matematica, qualcosa che è più
percepibile che dimostrabile (questo punto è spesso visto come una pecca, a mio
avviso ciò non è, ma è fuori discussione che si tratti dell’ennesimo colpo
d’arroganza).
L’ultimo colpo di genio e di
audacia è collegare visivamente le storie fra di loro non solo con il cast
identico, ma con la regia. Il montaggio diviene parte integrante del racconto
come non mai e affianca le diverse vicende con l’assonanza delle scene più che
con tagli netti al termine di una sequenza completa, in maniera tale che per la
scena dedicata ad un epoca da il tempo di mezza inquadratura per poi fare dieci
minuti per la storia successiva. Il racconto diventa ostico da vedere, ma
estremamente affascinante nello svolgersi e denota una voglia folle di fare un
cinema che non si ripieghi costantemente sul già visto in fatto di messa in
scena e denota altresì un incredibile fiducia nel pubblico.
Che poi i pregi del film non sono tutti qui, c'è anche tutto un magma di citazioni trasversali più o meno evidenti che vanno dalla letteratura (Solženicyn), ai film (Soylent green) ai manga (tutto l'episodio a neo Seul), che sono comunque solo i più evidenti (chissà quanti altri più sottili ce ne devono essere) e che costituiscono non un nozionismo fine a se stesso, ma vogliono significare qualcosa, si paragonano con quanto accade (o accadrà o è accaduto) per dargli significato.
Che poi i pregi del film non sono tutti qui, c'è anche tutto un magma di citazioni trasversali più o meno evidenti che vanno dalla letteratura (Solženicyn), ai film (Soylent green) ai manga (tutto l'episodio a neo Seul), che sono comunque solo i più evidenti (chissà quanti altri più sottili ce ne devono essere) e che costituiscono non un nozionismo fine a se stesso, ma vogliono significare qualcosa, si paragonano con quanto accade (o accadrà o è accaduto) per dargli significato.
Che poi le singole storie
trattino di rivoluzioni compiute dalla consapevolezza acquisita da un solo
personaggio è un classico dei Wachowski, non disdegnato da Tykwer, che fa sempre piacere vedere riproposto.
lunedì 14 gennaio 2013
L'oro di Napoli - Vittorio De Sica (1954)
(Id.)
Visto in DVD.
Visto in DVD.
Film a episodi diretto con gusto
da un De Sica in gran forma e con una spiccata voglia di far commedia.
Nel primo Totò è un
mattariello nella cui casa si è installato un boss di quartiere; nel
secondo la Loren è una moglie fedifraga che per non dover dire dove ha realmente
lasciato l’anello regalatole dal marito riferisce di averlo perduto
nell'impasto delle pizze appena vendute; nel terzo De Sica stesso è un nobile a
cui la moglie non lascia portar fuori di casa neppure un soldo per la smania di
giocare a carte e la prerogativa di perdere sempre, si consolerà sfidando un
bambino; nel quarto la Mangano è una prostituta che viene chiesta in moglie da
un ottimo partito in modo assai ambiguo; nell'ultimo De Filippo è un saggio
locale che dispensa consigli (sempre efficaci) a pagamento.
Gli episodi sono estremamente
scarni, nella maggior parte si può a fatica trovare una storia vera e propria
(quello con De Sica e De Filippo non hanno né incipit né fine) e tutti comunque
peccano in una trama realmente appassionante… ma d’altra parte è evidente che
l’obbiettivo non è questo. Gli episodi sono solo un pretesto per parlare di una
certa Napoli, di una certa napoletanità (come viene apertamente scritto ad
inizio film). Le storie non sono importanti in se, ma in quanto mostrano dei
personaggi che in venti minuti schiudono tutto un mondo, una profondità che va
ben oltre la durata della puntata stessa e, quasi in tutti, nel farlo regalano
qualche piccolo momento di poesia (poche eccezioni, personalmente direi solo la
Loren non ne ha) e molta ironia (ovviamente l’episodio della Mangano ne è
completamente privo).
Impossibile dire quale sia il
preferito perché tutti veicolano qualcosa ed è inutile fare una graduatoria
degli attori perché tutti sono totalmente in parte, sembrano nati per fare quel
personaggio e danno sfoggio di se e dei tic che li accompagnano sempre, ma
declinandoli all'ombra del Vesuvio… indubbiamente però l’episodio che più mi è
rimasto impresso è proprio quello della Mangano, l’unico dramma in mezzo a
tante commedie non può non colpire in maniera particolare, e poi quella
mancanza di speranza nel finale, quella rassegnazione sono una strizzatina
d’occhio a quanto De Sica sa fare nell'ambito melodrammatico.
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venerdì 11 gennaio 2013
Terminator - James Cameron (1984)
(The terminator)
Visto in tv.
Visto in tv.
Negli anni ‘20 del duemila le
macchina renderanno il controllo del mondo e cercheranno di distruggere la
razza umana. La sopravvivenza di tutti sarà possibile solo grazie alla
resistenza organizzata da John Connor; le macchine, rendendosi conto di non
essere più in grado di eliminare il problema, decidono di eliminare la
questione dalla radice; mandano indietro nel tempo un cyborg che ammazzi la
madre di John prima ancora che lo concepisca.
Anche se sono più affezionato al
sequel, questo è uno di quei film epocali che va al di la della qualità in se.
Un film in cui, in un colpo solo, un blockbuster americano si rimette in linea
con tutta la fantascienza extra US fatta fino a quel momento, mettendoci dentro
un futuro distopico, i cyborg che si confondono con gli umani, una caccia
spietata, un discorso sui viaggi nel tempo che farà scuola, lo scontro
uomo-macchina estremizzato come solo “Matrix” 15 anni dopo e una
predestinazione (anzi, direi un’annunciazione) quasi cristologica. Il tutto
messo in scena con quel gusto machistico e fracassone degli anni ’80… non
poteva non andare a buon fine; da questo film in poi tutti copieranno a mani
basse.
Ottima, in ogni caso, la fattura
in sé ad ogni livello produttivo dalla sceneggiatura (in cui le continue
spiegazioni di ciò che accadrà sono assolutamente messe in un contesto tale da
non risultare fuori luogo o fastidiose) agli effetti speciali (punta di
diamante di ciò che potevano fari gli anni ’80).
Ok, ok, anche questo film cita
(come tutti i scifi coi robot) “Westworld”, ma la forza qui sta nell'andare
oltre e fare un film multistrato in cui la caccia di Yul Brinner è attualizzata
e affiancata a ben altre idee. In ogni caso un encomio per la scelta
azzeccatissima di dare a Schwarzenegger la parte del cyborg (così è giustificato a
non recitare) cattivo.
Il discorso sui viaggi nel tempo
sarà poi saccheggiato da chiunque negli stati uniti divenendo lo standard, ma
di fatto è uno dei principali oppositori al concetto di futuro mutevole di
Zemeckis e dei suoi ritorni al futuro; qui infatti e per tutta la saga,
tutto ciò che vien fatto non cambierà il futuro, anzi, ogni sforzo fatto per
modificarlo sarà determinante perché avvenga esattamente allo stesso modo. Ecco
questa saga e quella di “Ritorno al futuro” hanno detto tutto al cinema sul
discorso viaggi nel tempo.
Infine, sarà solo l’abitudine o
un eccesso di dietrologia, ma personalmente trovo che la scena (di per se
insignificante) di Schwarzenegger che entra al Technoir incarni completamente gli
anni ’80 cinematografici.
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mercoledì 9 gennaio 2013
Come vinsi la guerra - Buster Keaton, Clyde Bruckman (1926)
(The General)
Visto in Dvx.
Visto in Dvx.
Un macchinista di una locomotiva,
Keaton, è innamorato dell’immancabile ragazza, giusto in quel mentre scoppia la
guerra civile americana e i sanguigni uomini sudisti fanno la fila per scendere
in prima linea, la ragazza tanto amata non può non essere una fervida sudista
anch’essa e pertanto si disamora del suo Keaton che viene rigettato (e solo
perché un macchinista fa più comodo sopra una locomotiva che non dietro ad un
moschetto. Proprio mentre la ragazza si trova dentro ad un vagone il treno su
cui stava viaggiando viene rubato dai nordisti, l’unico che se ne accorge e
accorre a salvarla è proprio Keaton a bordo della sua locomotiva (il General
del titolo originale), il lungo inseguimento sarà una corsa a ostacoli di
difficoltà circensi crescenti fino all’arrivo in terra straniera. Tra mille
vicissitudini riuscirà a carpire il piano segreto dei nordisti, trovare la
amata e fuggire sulla sua locomotiva; a questo punto l’inseguimento a ostacoli
dell’inizio diventa una fuga speculare a quanto fatto prima. Ovviamente Keaton
riuscirà a diventare militare (ad honorem), ritrovare l’amore e fermare
l’attacco nemico in una delle sequenze più folli della storia del cinema;
quella in cui un vero treno viene fatto correre su un vero ponte in fiamme per
poter crollare nel fiume sottostante.
Film godibilissimo anche oggi con
la facilità di quella maschera impassibile di Keaton di creare gag slapstick al
limite dello stunt, con una recitazione (per sottrazione) che è ritornata
attualissima e una storia ritmata in maniera perfetta; ci si rende conto che il
film è muto solo perché talvolta si è disturbati da qualche cartello.
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lunedì 7 gennaio 2013
L'ascensore - Dick Maas (1983)
(De lift)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Sono talmente sul pezzo che prima
di vedere questo film ne ho visto il remake americano fatto da Maas stesso
oltre 15 anni dopo… quindi paragonerò questo film all'altro e non viceversa.
Detto ciò la storia è la stessa;
in un grattacielo cominciano ad esserci strani, e frequenti, incidenti con gli
ascensori, il tecnico incaricato di controllarne la parte meccanica rimane
sempre più coinvolto nella cosa finché, grazie all'aiuto di una giornalista,
scoprirà che cosa sta succedendo.
È incredibile notare che questo
sia il migliore tra i due film. Nonostante le tecniche siano avanzate
notevolmente (e quindi più possibilità d’effetti speciali), nonostante un
budget chiaramente più alto e nonostante il ripetere delle stesse scene (e
quindi vien spontaneo smussare gli inevitabili difetti) il remake sia un boiata
senza possibilità di salvezza, mentre questo film sia decisamente buono.
Per carità, rimane un horror
tecnologico/metafisico anni ’80 a budget ridotto con tutti gli attori che si
ostinano a parlare in olandese, ma al netto di tutto ciò rende decisamente
meglio del cugino americano. Dirò di più, l’ambientazione anni ’80, con tutte
le loro problematiche di gestire la grande incognita tecnologica rappresentata
dall'evoluzione dei neonati computer, il rapporto fra uomo e macchina che tanto
affascinò metà della cinematografia scifi dell’epoca e pure quel tocco
ingenuone così eighties a cui si perdona tutto, rendono decisamente più
credibile il finale che, tutto sommato, si discosta di poco da quello della
controparte made in USA.
La qualità migliore del film è
però in tutto il resto, in una ambientazione credibile, e non kitsch come
nell'altra; in una serie di personaggi che hanno una personalità, dei problemi,
una vita e non sono solo le vuote creazioni di uno sceneggiatore strafatto di
film di serie B (il protagonista deve gestire un ascensore assassino, un
matrimonio in bilico e il figlio che ha una voglia matta di prendere delle
sberle); la sceneggiatura è decisamente più compatta, meno voli pindarici
ingiustificati, meno salti poco credibili e meno scene clou (di fatto si vede
pochissimo in questo film, giusto una testa mozzata, e pure male, ma in
confronto al pessimo uso del computer e alle idee dementi del remake questo
minimalismo è un toccasana). Infine si vede che Maas qui ci credeva sul serio,
ci prova a fare del suo meglio e in alcune occasioni riesce pure ad ottenere
qualche punto in più (buona tensione nel finale dentro al vano
dell’ascensore; esteticamente splendida la sequenza dall'ascensore che “gioca”
con la bambina, degna di “Shining”).
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venerdì 4 gennaio 2013
Southland tales, Così finisce il mondo - RIchard Kelly (2006)
(Southland tales)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Storia. No, lo linko perchè a scriverla è troppo complesso.
Il film è un paciugo estremamente
complesso di tutto ciò che (secondo Kelly) ha reso figo "Donnie Darko" (stati
allucinatori, personaggi metafisici, questioni spazio temporali, previsioni
apocalittiche, new age, ecc..) un gusto molto più camp per allestire il tutto
(sembra un brutto film di fantascienza anni ’70), un po’ di critica a Bush che
porta sempre spettatori in più e una serie di personaggi che per numero sembra
voler battere Guerra e Pace. Inutile dire che esagerare in ogni ambito non può
aiutare molto.
Non può aiutare neppure un mai
così mal utilizzato (e mai così bollito) Christopher Lambert. Non può aiutare
un Dwayne Johnson costretto a recitare (siamo onesti, mi piace, ma deve fare le
sue parti senza raffinatezze psicologiche) e quel che ne viene fuori è una
versione parodistica dell’autistico di “The cube”. Non può aiutare un
racconto tortuoso che per due ore confonde e per 10 minute vuole unire tutto.
Non aiuto un copiare pedissequo tutte le idee del film precedente. Non può
aiutare quell'occhiolino al “cinema contemporaneo” con il racconto fatto
tramite spezzoni di programmi tv. Non aiuta Wallace Shawn nella sua versione più idiota e dai vestiti più stupidi di sempre. Non aiuta
uno stile camp di messa in scena. Non aiutano personaggi insipidi, stupidi o
macchiettistici a dire, fare o predisporre ogni svolta di trama.
Un film tanto pretenzioso quanto
non riuscito.
mercoledì 2 gennaio 2013
Azione mutante - Alex de la Iglesia (1993)
(Acciòn mutante)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
In un futuro distopico un gruppo
di guerriglieri deformi si ribella ai simboli della bellezza e della salute
rapendo la figlia di un magnate di biscotti dietetici. Purtroppo anche tra i
freaks non tutti sono realmente ciò che sembrano e durante il viaggio che deve
condurli al pianeta deputato per lo scambio cominceranno a farsi fuori a
vicenda.
Il primo film di De la Iglesia è
un compendio di tutto quello che verrà dopo. Ci sono deformità fisiche e
mentali, c’è un continuo ribaltamento del concetto di buono, c’è splatter ed
un’accenno di action, c’è ironia e grottesco, c’è il graduale distruggersi
vicendevole dei personaggi, ci sono dei titoli di testa imbarazzanti ma
soprattutto c’è l’idea di mondo che verrà poi riproposta in maniera
praticamente continua nel suo cinema. In questo film infatti i rappresentanti
del bello sono o dei nazisti mancati o degli idioti completi, a dimostrazione
che la bellezza esteriore non corrisponde all’interiorità; tuttavia i
guerriglieri freak sono tanto mostruosi fuori quanto dentro, dimostrando una
stupidità fuori dal comune o una crudeltà degna degli antagonisti di questo
film (se non di più) e uno spregio per la vita umana quasi invidiabile; in
poche parole, come al solito nei film di De la Iglesia, il brutto esteriore
corrisponde all’interno e in una società dove tutto è negativo a vincere non
sono i buoni, ma i meno peggio (se va bene) o in alternativa vince solo chi ha
più fortuna.
Detto ciò devo ammettere che il
film è troppo idiota anche per me. L’ambiente creato è esagerato e la trama
diluita per metterci in mezzo quante più amenità è possibile annoia abbastanza.
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