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domenica 8 novembre 2020

Il Jokey della morte - Alfred Lind (1915)

 (Id.)

Visto su la Cineteca di Milano.

Un ricco nobile viene ucciso dal sovrintendente che si libera anche della figlia neonata dandola a dei circensi. Molti anni dopo un nipote del nobile torna e scopre la vicenda, cercherà la cugina perduta e per convincerla della realtà di tutta la vicenda... si farà assumere nel circo per fare una serie di funambolismi pericolosi. I due dovranno fuggire a lungo prima dell'inevitabile happy ending.

Film di riscatto e d'azione (si, ok, pure d'amore, ma rimane decisamente sullo sfondo) tutto indirizzato ad esaltare le scene dinamiche; la trama è tra il ridicolo e il cretino, ma è altrettanto evidente che l'intenzione era altro.

Tolto quindi il lungo preludio alla un pò meno lunga fuga (circa 20-25 minuti su quasi un'ora di film) quello a cui si assiste è una sorta di cortometraggio che fa sfoggio di abilità circensi in ogni contesto possibile: sui tetti, sui ponti, sulle navi, tra i treni, sulle biciclette, ecc... con picchi di fascinoso action d'antan (per me il passaggio dalla chiatta al ponte) e picchi di follia irreale che ad un action puro sono prontissimo a perdonare. Certo, qualche anno dopo Keaton farà molto di più, e poco più di un decennio dopo avremo il suo "The General" (bignami di stunt e sprezzo del pericolo tutt'ora valido), ma considerando la bontà del gesto (tutto figlio delle attrazioni classiche del circo), il luogo (l'Italia nn è terra di grandi film d'azione) e l'anticipo sui tempo, questo è decisamente un grande film.

Come si diceva la sceneggiatura invece è imbarazzante e lo è fin dai primi minuti, viene giustificata dal lungo finale, ma non si può perdonare tanta pigrizia.

Magnifico invece il costume del protagonista che dona una nota di dramma cinematograficamente vincente.

PS: questo è il primo film italiano del danese Lind, emigrante della regia (lavorò anche in Germania) che qui interpreta anche l'agile protagonista.

mercoledì 29 aprile 2015

Assunta Spina - Francesca Bertini, Gustavo Serena (1915)

(Id.)

Visto qui.

Assunta Spina è una donna fidanzata con un uomo molto geloso, a seguito di uno dei suoi momenti di follia lui la sfregia. Lei lo perdona e testimonia in suo favore, ma lui finisce comunque in carcere per due anni. Mentre sconta la pena Assunta si disamora del fidanzata e frequenta un altro uomo, vorrebbe sistemare le cose prima che lui esca dalla prigione, ma (non ho capito il perché) viene scarcerato prima. La tragedia è dietro l'angolo.

Forse il film più importante della Bertini per l'impatto, la qualità e le vicende produttive.
La Bertini non si limitava a essere un'attrice, passiva e in disparte, era una forza della natura, probabilmente arrogante e sicura di sé, questo film lo volle fortemente fare, lei organizzò il tutto, ma soprattutto lei lo co-diresse de facto, spostando le comparse e la macchina da presa secondo il suo gusto e rifacendo le scene finché non le riteneva venute bene. Primo caso, che io conosca, nella storia del cinema di attrice (donna) che si fa regista.
In secondo luogo, gli esterni sono quasi tutti realizzati realmente in outdoor; anche qui su forte spinta della Bertini. Il che permette di vedere alcuni scorci della Napoli degli anni '10 e in secondo luogo è sempre stato preteso (dalla Bertini stessa) essere il primo film neorealista della storia. Se è vero che il neorealismo è qualcosa di più, bisogna comunque ammettere che l'utilizzo di gente del posto e dei luoghi originali è stato per la prima volta reso, cinematograficamente bene, qui per la prima volta.

Infine veniamo alla parte più tecnica. La regia è statica come sempre in questi anni (ok, questo è l'anno successivo a "Cabiria", che ha spiegato come si poteva muovere la macchina da presa, ma era comunque pionierismo), ma la costruzione delle scene è sempre ben ragionata, con quasi tutte le inquadrature disposte su più piani (la tavolata a Posillipo è in diagonale, in tribunale e nella sala d'aspetto ci sono attori distribuiti per tutta la lunghezza delle stanze, ecc...), una disposizione davvero curata che lo fa assomigliare più ai film del decennio successivo che ai suoi contemporanei. Il montaggio non è nulla di enorme, ma riesce comunque a mantenere sempre un ritmo minimo in una storia dall'andamento rilassato.
Poi c'è la questione della recitazione. In decisa controtendenza con i kolossal suoi contemporanei (e in completa antitesi con la Borelli e le sue estimatrici) la Bertini decide di giocare di sottrazione (per l'epoca) e opta per una recitazione più vicina al vero. Di fatto ci sono ancora diverse mani al cuore, movimenti ortogonali e visi che si voltano con enfasi, ma in maniera decisamente minore e, soprattutto nella prima parte, c'è un tentativo di ridurre al minimo il "sopra le righe". Questa è una innovazione decisamente moderna e permette a diverse scene di avere un effetto non straniante, difetto che spesso i film muti hanno su uno spettatore moderno (tutta la prima parte in questo senso è perfetta).
L'"Histoire d'un Pierrot" ci mostra una Bertini esagitata, quindi il suo contenersi è uan scelta stilistica precisa; scelta che permette lunghe sequenze di recitazione che non risultano eccessive e che riescono a comunicare molto con pochi cartelli.

Ultima nota, ho trovato molto belle le inquadrature in controluce sull'acqua, idea che riesce a magnificare i momenti di idillio fra i due innamorati.

mercoledì 24 dicembre 2014

Dopo la morte - Evgenij Bauer (1915)

(Posle smerti)

Visto qui, grazie a questa recensione.

Un giovane studente universitario vive nella venerazione della madre e nelle cure (esagerate) della zia (strepitosa la vecchietta che di notte va a controllare che dorma o a colazione gli zucchera il te e gli avvicina di 10 cm le brioche così che non debba allungare una mano). Conosce una ragazza, un'attrice, che si innamora di lui, lui la rifiuta e lei si suicida poco prima di uno spettacolo. Venuto a sapere della morte impazzisce e comincia a sognare la donna e a vederne il fantasma che lo perseguita.

Scoperto di recente (da me) questo Bauer fu uno dei più importanti (rimango sul vago perché non so se fosse o meno il principale) regista della Russia zarista, nato nella seconda metà dell'800 e morto proprio nel 1917 per una polmonite non dovette mai affrontare un cambio di registro nei suoi film (chissà che cosa avrebbero pensato l'uno dell'altro Bauer e Eisenstein). Decadente, simbolista, drammatico e fantasy fu un innovatore delle immagini (luci e scenografie per lo più).

Il film ha due enormi talloni d'Achille. Il cast francamente inadatto a recitare (la protagonista ha sempre la stessa espressione enfatica e dolente, il protagonista non riesce ad essere credibile) e la sceneggiatura, scritta in fretta su un canovaccio e tutta tesa a mostrare il fantasma fregandosene del climax; la storia è lenta prima della morte della ragazza e dopo si rende ripetitiva in un insistere di apparizioni tutte uguali che non aumentano il dramma, ma la noia.
Bauer dal canto suo lavora di regia in senso teatrale, gli interni sono curatissimi e muove gli attori con il maggior senso estetico possibile, creando alcune immagine pittoricamente interessanti (la scena del sogno nei campi e qualche primo piano ricco di emozione).
Il film non mi ha entusiasmato molto, ma considerando l'epoca di produzione è già visivamente ben realizzato; non si può pretendere che siano tutte opere totali come "Cabiria".

venerdì 10 maggio 2013

The dinosaur and the missing link: A prehistoric tragedy - Willis O'Brien (1915)

(Id.)

Visto qui.

O’Brien era un tizio statunitense che dopo un inizio carriera come scultore venne ingaggiato dalla compagnia di Edison per una serie di film di animazione sul tema prediletto dall'uomo; i dinosauri.
O’Brien che doveva essere pazzo, ma non scemo, tentò una via autonoma all'animazione, un sistema da lui chiamato “dimensional animation”, che oggi, a quasi un secolo di distanza, ci ostiniamo a chiamare stop motion. Chiariamolo subito, non ne fu l’inventore, il sistema era già stato utilizzato in parte o del tutto fin dagli albori del cinema, anche dal vate Méliès, ma O’Brien fu il primo ad applicarlo in maniera massiva e precisa.

O’Brien fu uno dei pionieri dell’animazione ed il padre nobile del passo uno. Il suo primo lavoro, che lo vide impegnato nella costruzione di figure in argilla (di scimmie, dinosauri ed esseri umani!) e nella regia, è questo cortometraggio datato 1915.

Guardandolo non può non sorprendere. La storia è la classica linea logica dei film degli anni ’10, una serie di sequenze praticamente senza soluzione di continuità che, dato il pubblico a cui si proponeva, creano una serie di gag slapstick base e si impegna pure nelle battute scritte sui cartelli (se volete entrare, vi offrirei del te, se solo il te fosse già stato scoperto)!
Quel che sorprende è l’incredibile fluidità del movimento dei personaggi (considerando che deve essere sui 16-18 fotogrammi al secondo), si veda soprattutto la coda del dinosauro; nonché alcune concezioni notevolissime come il montaggio parallelo fra l’interno e l’esterno della grotta e l’uso delle stelle o del fulmine per indicare il doloro (di cui onestamente ignoro l’origine, ma che vedo qui applicato al cinema in una delle sue prime apparizioni).
Semplicemente 5 minuti di storia del cinema.
Il lavoro di O’Brien diede l’abbrivio alla fervida mente di Harryhausen per intraprendere la sua carriera nel mondo dell’animazione.