lunedì 30 settembre 2013

Cattivissimo me - Pierre Coffin, Chris Renaud (2010)

(Despicable me)

Visto in tv.

In un mondo dove un gruppo di supercattivi ben organizzati si sfidano a chi fa l’azione più clamorosa (anche se le azioni supercattive sono solo dei furti… di solito anche d scarsa importanza), l’ormai di mezz’età Gru decide di diventare il più famoso di tutti rubando la luna, ma per farlo gli serve un raggio che è perfettamente protetto dal suo antagonista Vector. Per entrare in casa sua adotta tre bambine da un orfanotrofio (era una vita che l’orfanotrofio non ritornava in un lungometraggio animato)…

La storia non particolarmente originale è certamente all’acqua di rose nella prima metà (dove ci si concede qualche risata ogni tanto), nella seconda parte in cui l’inevitabile redenzione è completa si sorpassa abbondantemente la linea della stucchevolezza. Ma è possibile che la Pixar sia l’univa (fuori dal Giappone) a riuscire ad essere sentimentale ed empatica senza cadere nel diabete?!

Buono il corollario di personaggi secondari (formati al 95% dai piccoli mostri gialli che rappresentano l’unica idea riuscita del film, come sorta di Umpa Lumpa super specializzati).

Seppure mi trovo a non apprezzare il tratto che è stato utilizzato bisogna ammettere che l’animazione è di livello eccellente. Il che lo inserisce nella lista dei film d’animazione ben realizzati (ma niente di più) della Universal. 

venerdì 27 settembre 2013

Rocky - John G. Avildsen (1976)

(Id.)

Visto in DVD.

Rocky è uno sfigato, un emarginato che vive nei sobborghi; conosce tutti, ma ha un solo amico (che è un emarginato e un perdente anche lui e c’ha pure dei problemi nel controllare la rabbia); si innamora di una più sfigata di lui, abbastanza brutta, che cede solo perchè lui la tampina senza posa; vive in un buco senza speranza di miglior manto; lavora per un gangster di piccola taglia, pure lui uno sfigato; racconta bruttissime barzellette (?) che lo rendono ancora più patetico; unica valvola di sfogo è la boxe, sport dove dopo dieci anni è rimasto al palo…

La storia è un po tutta qui, ma più che una trama il film mostra un personaggio e (come spesso nei film di Avildsen) lo sport è solo un McGuffin per parlare del protagonista. Ceto siamo davanti al classico film di riscatto all’americana, niente di più banale, a cui si aggiunge una storia d’amore, un poco di questione sociale dei sobborghi e un minimo di riscatto di tutta una società grazie al singolo… però prima di tutto questo rimane un film su un personaggio; e questo personaggio ha il volto di Stallone (la cui inespressività imbronciata delinea perfettamente il suo protagonista e non sarà mai più così espressiva). Ecco forse il vero valore aggiunto è questo, Stallone è un attorucolo senza soldi che è riuscito ad inserirsi in parti secondarie in alcuni film (tra cui un softcore) senza mai riuscire a sfondare ed ora, per la prima volta, gli viene consegnata una parte da protagonista, la sua grande possibilità… il personaggio e l’attore che lo interpreta sono esattamente la stessa cosa.

Se Stallone è un punto in più, il film però non è scevro di difetti. La regia di Avildsen è troppo spesso ininfluente, ha diverse ingenuità, tutta la prima metà è piuttosto lesta, eppure…. Eppure questa ennesima riproposizione del sogno americano alla Frank Capra, sentimentale ed emotiva regge bene per tutto il tempo; descrive perfettamente un protagonista che è uno specchio per una società, te lo fa amare per quello che è (un vero perdente che non fa nulla per venirne fuori) e quando il film arriva alle scene finali non ci si può non commuovere.

mercoledì 25 settembre 2013

Gravity - Alfonso Cuarón (2013)

(Id.)

Visto al cinema... in 3D.

Un gruppo di astronauti americani viene sorpreso da una pioggia di detriti artificiale, l squadra viene massacrata e gli unici due sopravvissuti devono riuscire a cavarsela senza attrezzi o navicelle di salvataggio (tutto è andato distrutto).

Si questo è il classico survival movie, quello in cui si è isolati e senza nulla e bisogna riuscire a cavarsela lo stesso... Per chi è stato sensibile a Open water (come il sottoscritto), questo film sarà la versione quintuplicata (almeno nel mezzo dell'oceano hai ossigeno all'infinito!).

Il plot è banalissimo e tutto il film gioca sporco sulle paure più ovvie e la storia sarà un susseguirsi di tentativi fortunosi di sopravvivere e un elenco di sfighe continue a distruggere ogni certezza (Armageddon in confronto sembra una passeggiata). Eppure il gioco sporchissimo Cuarón lo conduce perfettamente.
C'è da sottolineare la verosimiglianza dei fatti narrati, quindi questo non è lo spazio a gravità zero che ti fa volare, ma non ha conseguenze reali, qui l'assenza di gravità è un nemico temibile, è un susseguirsi di strattoni e botte pesanti, è un continuo aggrapparsi all'ultimo e un viaggiare roteando nel vuoto.

Come già detto Cuarón lavora benissimo con quello che ha e, sfruttando una CGI perfetta e la libertà di movimento che lo spazio gli concede, si trastulla in piani sequenza e inquadrature che continuamente alternano il punto di vista da uno esterno ad uno interno alla vicenda. Il tutto permette la creazione di un clima costantemente senza speranze (davvero ogni 15 minuti sembra che non ci sia più nulla da fare) e per tutta la prima metà credo che ci sia la più alta concentrazione di angoscia possibile.

...ma forse quello che più colpisce in questo film è come un'opera completamente costruita al computer possa essere così materica; il metallo è gelido ed inerte, la carne sensuale e fragilissima, il vuoto... beh veramente vuoto; ogni materiale trasuda le proprie caratteristiche e diventa parte integrante del film.

lunedì 23 settembre 2013

What women want, Quello che le donne vogliono - Nancy Meyers (2000)

(What women want)

Visto in tv.

Un pubblicitario maschilista viene battuto sul lavoro da una donna; poco dopo, per motivi piuttosto poco chiari, riceve il dono di riuscire a sentire i pensieri delle donne... dopo un periodo di orrore (neanche quello ho ben capito perchè) comincia a sfruttare la cosa per scopi, lacorativi, famigliari e sessuali con un aumento vistoso della sua quality of life... purtroppo si innamorerà della sua avversaria sul lavoro con diverse ripercussione in ambito personale...

Premesse assurde e particolarmente stupide per una commediola americana classicissima e innocua.
Mel Gibson incredibilmente in parte mi è parso irritante dall'inizio alla fine, Helen Hunt potrebbe recitare l’elenco del telefono e sarebbe comunque credibile (quindi l’ho trovata fantastica anche in questa occasione). C’è pure la Tomei che rispetto come una delle (poche) grandi caratteriste femminili del cinema americano, oltre che attrice onnivora e sempre perfetta.

Per il resto il film si muove svogliato nelle pieghe di un’idea cretina senza mai sfruttarla davvero, utilizzando il fantasy come arredamento fantastico e non come mezzo per fare/dire qualcosa di nuovo. Voleva essere una commediola romantica e questo è rimasto. L’idea alla base poteva non esserci affatto.

venerdì 20 settembre 2013

Kung fu panda 2 - Jennifer Yuh (2011)

(Id.)

Visto in tv.

Kung fu panda è stato il punto di svolta della DreamWorks; una storia un poco più complessa del solito, un’animazione molto buona, un’estetica generale impeccabile con l’aggiunta della solita comicità che in quel film funzionava in maniera particolarmente mirata. Con questo seguito le cose da una parte si livellano (se già il primo aveva alla base la solita storia di riscatto qui c’è la consueta genitorialità mancata, il ritorno alle origini e più in generale lo sviluppo della storia come un viaggio unico);dall'altra parte però il film diventa un po più raffinato del precedente.

In primo luogo l’incipit è, ancora una volta, un corto bidimensionale, ma in questa occasione è un rifacimento sulla base dei giochi d’ombra cinesi (ed è eccezionale), poi lo stile da cartoon 2d che era l’intro del primo film viene esteso a rappresentare tutti ricordi (riuscendo così a coniugare la necessità di differenziarli con la voglia di imporre un’ombreggiatura ed uno stile orientale anche nel personaggi).

In secondo luogo il film appare molto più dinamico del precedente (nel primo c’era la necessità del training che qui si può evitare), molto maggiori le scene d’azione, decisamente più rapide e con piani sequenza continui che mostrano tutti i personaggi.

Infine ci sono le idee nuove. Il cattivo è tutto sommato un po debole (curioso che in tutti e due gli episodi gli antagonisti siano bianchi), quello contro cui ci si scontra è la modernità foriera (come nel west) di novità letali e senza morale. Vi è inoltre la continua ricerca di inquadrature inusuali, scene e comicità originali (la scena del dragone finto unisce tutte queste caratteristiche), i già citati piani sequenza e, per la prima volta, una diminuzione della comicità. In una parola, più cinema d’azione ben realizzato e meno commedia.

mercoledì 18 settembre 2013

L'ultima onda - Peter Weir (1977)

(The last wave)

Visto in Dvx.

In una Sydney sconvolta da un tempo sempre più inclemente si consuma l’omicidio di un aborigeno; gli accusati dell’assassinio sono un altro gruppo di aborigeni. Un’avvocato (che ha sogni lucidi in cui vede personaggi che conoscerà solo successivamente) prende a cuore la cosa e decide di difenderli entrando sempre più profondamente in un ambiente che non ha mai abbandonato la tribalità anche in un contesto urbano.

Film di un Weir che si dimostra fin da subito molto bravo a creare atmosfere sospese e surreali in ogni ambiente (a vedere Hanging rock si può pensare che gioca facile creando il perturbante nell'outback nell'800; ma qui riesce comunque nell'intento anche nella britannica Sydney degli anni '70), dando vita ad uno dei film più bagnati (sbaglio o l’umidità è un elemento molto sentito el cinema dell’oceania?) in cui l’acqua diventa parte integrante della storia. Affascinante soprattutto perché l’opera riesce ad essere assolutamente urbana e ancestrale nello stesso tempo.

Detto ciò i pregi del film finiscono. Encomiabile l’idea di fondo (con una sorta di apocalisse moderna non del tutto spiegata o spiegabile, solo da accettare), ma è gestita in maniera molto ingenua e irritantemente didascalica, ogni svolta deve essere sottolineata apertamente almeno un paio di volte sennò il film non va avanti.

Un film tutt'altro che perfetto che portò sullo schermo (tra i primi) la cultura aborigena sostanzialmente sconosciuta in Europa e che, oggigiorno, può essere apprezzato per vedere i primi passi di un ottimo regista.


lunedì 16 settembre 2013

Stoker - Chan Wook Park (2013)

(Id.)

Visto al cinema.

La vita di una famiglia viene sconvolta dalla morte improvvisa del padre/marito, la madre e la figlia rimarranno da sole in preda alle incomprensioni reciproche; durante il funerale però arriva il misconosciuto fratello del morto che si insedierà in casa loro. La seduzione che l’uomo tenterà sulla cognata sarà tanto evidente quanto l’effetto seduttivo indiretto verso la nipote. Ma tanto come in ogni buon film le cose saranno molto più complesse e quando cominceranno a succedere fatti inspiegabili tutto verrà spiegato.

Ogni tanto Park fa un film cazzaro, poi però ci prova a recuperare. Il film precedente è un fallimento (e pure quello prima in verità), quindi questo doveva venire fuori bene…

Intanto la sceneggiatura è un magistrale rifacimento del classico impianto fiabesco (nel senso di fiaba alla maniera psicanalitica) tutto basato in maniera evidente al passaggio all'età adulta (che alla fin fine è l’evidente senso del film); ma tutto calato in un ambiente torbido come pochi, con un ritmo che nella prima parte si rifà ampiamente ai climi di sospetto e suspense dei film di Hitchcock (dai che ci abbiamo pensato tutti a “L’ombra del dubbio”).

Poi il colpo d’occhio è fenomenale, con una scelta di location, abiti e stile della fotografia che rendono il film una storia fuori dal tempo; se non fosse per la presenza del cellulare la storia potrebbe essere ambientata in un’epoca a caso fra gli anni ’40 e i giorni nostri (perfetto in questo senso il cast con questi volti classicheggianti che potrebbero appartenere ad ogni tempo).

Infine Park. Alla regia si sa quello che è capace di fare; estetizzante in maniera totale ed innamorato dei movimenti di macchina è sempre una festa per gli occhi. In questo caso poi si diverte a giocare in maniera insistita con i topos classici dell’horror (si pensi ad esempio all'assurda cantina con la luce che si muove). Non ci sono scene particolari da sottolineare perché tutto il film è encomiabile; mi piace però sottolineare la scena iniziale, tutta giocata su immagini leggermente sfocate e tagliate in dettagli, che solo nel finale riveleranno tutto quello che non si vede (che avviene fuori scena e che viene rivelato mostrando solo pochi secondi in più di quanto fatto vedere fin dall'inizio).

Quando Park Chan Wook ha in mano una buona sceneggiatura crea sempre un grande film.

venerdì 13 settembre 2013

Monseters university - Pete Docter, Lee Unkrich, David Silverman (2013)

(Id.)

Visto al cinema.

Prequel del ben noto film Pixar, questo Monsters University è di fatto in linea con le ultime produzioni (si guardino i seguiti/spin off di Cars!), un mero sfruttamento dei brand seminati in passato; un abbassare il livello per raccogliere più denaro. Non so se questa è un malvagia politica imposta dalla Disney (ma in realtà già in passato erano state fatte operazioni del genere, da Toy story 2 in poi) o solo una necessità economica per poi tornare in grande stile con le nuove idee.

Quel che si nota è che dall'uscita di Up la casa di Lasseter è in una china discendente e, credo, ne sono tutti consapevoli. In questa puntata si vede da dove sono nati tutti i personaggi del primo film, come si sono creati i rapporti di amore o di odio e dove si sono formate le loro personalità. Il gioco è velocemente svelato al sopraggiungere di Randall, la Pixar punta tutto sull'autocitazionismo e sul cambiare completamente le carte in tavole, chi si amerà all'inizio si deve odiare e viceversa. Detto ciò il film è il classico prodotto americano sul riscatto di cui tutti sanno già tutto.

Il vero punto di forza è la qualità dell’animazione che sembra inarrestabile, con ogni film migliora qualcosa e migliora in maniera evidente. Ormai gli esterni sono sostanzialmente indistinguibili con una location vera e propria.

A questo proposito va citato il corto iniziale, L’ombrello blu. Un corto molto consueto, tenero e positivista in mezzo al grigiore urbano come ormai la Pixar sembra essere costretta a fare (e in questo caso la fantasia è decisamente poco sfruttata); quello che colpisce è che l’utilizzo degli oggetti inanimati (ci sono esseri umani nel corto, ma sono sostanzialmente manichini che reggono ombrelli) e la verosimiglianza che gli oggetto assumono in una CG ormai arrivata al limite delle sue possibilità in questo ramo (quello degli oggetti, sulle creature viventi c’è ancora da lavorare).

mercoledì 11 settembre 2013

Mammuth - Gustave de Kervern, Benoît Delépine (2010)

(Id.)

Visto in tv.

Un film radical chic, in cui un operaio, semplice, burbero, ma buonissimo, si mette in viaggio per trovare tutti ic certificati dei lavori precedenti per avere la pensione, durante il viaggio oltre a trovare se stesso (e ritrovare l’amore per sua moglie), incontrerà la nipote mai conosciuta (che ovviamente è una ragazza con un ritardo mentale che però si dimostra più creativa, libera e furba degli altri). Immagini sgranate, luminosità enorme e musichette allegre, ma rigorosamente indi. Ho già detto dei lunghi silenzi? Tutto questo fluire di luogo comunismi sarà interrotto solo da innumerevoli momenti di assurdità, spesso non spiegati. In altre parole un film da odiare 
subito…

E allora non mi spiego perché più passa il tempo più il film cresce. I momenti acquistano sfaccettature e dolcezze che prima non coglievo. La fotografia anni ’70 dimostra di essere l’unico modo in cui si poteva girare un film così delicato. Le citazioni continue, ma mai insistite, si collezionano nella memoria (il bagno di un pachidermico Depardieu in un ambiente preraffaelita; la masturbazione reciproca tra i due vecchi che ricorda tanto “Novecento”; la fuga in moto che cita e sfotte “Easy rider”; ecc…). I personaggi appaiono tutti (anche i secondari) come profondi caratteri rubati a Von Trier, ma messi in un mondo tutto sommato buono. I piccoli momenti di comicità surreale tornano in mente con piacere continuo (anche dove questa è agrodolce come nella telefonata del padre di famiglia in viaggio per lavoro). E il finale, così sfacciatamente banale e ruffiano, riempie di significato ogni cosa.

Un film da odiare che vorrei già rivedere. 

lunedì 9 settembre 2013

Mio cugino Vincenzo - Jonathan Lynn (1992)

(My cousin Vinny)

Visto in tv.

Due ragazzi vengono accusati di omicidio per una incomprensione in fase di indagine (loro vedendosi braccati confessano quello che pensano essere taccheggio e invece è proprio l’omicidio del cassiere dell’emporio dove hanno rubato); per assisterli uno dei due contatterà suo cugino Joe Pesci, che fa il solito personaggio italiota alla Joe Pesci, ma senza la violenza che lo rendeva così vivace nei film di Scorsese.

Commedia giudiziaria/demenziale che riesce a metterci dentro anche il riscatto sociale del protagonista. Poche le idee nuove, pochi i momenti genuinamente divertenti, irritante Joe Pesci che ripropone se stesso di nuovo come fosse un Johnny Depp in fase calante; poche (poche is the new nessuna) le idee di regia.

Il film si fregia solo della presenza di una Tomei non sfruttata affatto e di un finale liberatorio che, come sempre in questi film, riesce ad orchestrare bene tutti personaggi e tirare le fila di tutti i suggerimenti messi in giro durante il film.

venerdì 6 settembre 2013

Il vedovo - Dino Risi (1959)

(Id.)

Visto in tv.

Un omuncolo sciocco e pieno di  (Sordi) è in continuo fallimento, sposato ad una ricca e intelligente industriale milanese ne sfrutta il nome (Valeri), ma viene continuamente vessato da lei. Durante un viaggio della moglie il treno su cui lei dovrebbe essere deraglia. Sordi proverà per 24 ore la sensazione della sua ricca vedovanza e gli piacerà. Quando la moglie si farà viva (non era su quel treno) progetterà quindi di rimanere realmente vedovo.

Divertente commedia di un Risi in piena forma che alle battute classiche affianca un umorismo nero che in Italia si vede tuttora molto poco. La storia si dipana in un mondo grottesco dove tutti sono stronzi o stupidi o avidi o profittatori o più cose insieme, solo uno degli innumerevoli personaggi è tutto sommato un uomo buono, ed è il marchese, ma ovviamente sarà proprio a lui che occorrerà il gesto più empio del film.

Il film si compone di una galassia di macchiette (e non di personaggi veri e propri), ma ben costruite, che si incastrano a vicenda in maniera invidiabile e che tirano fuori il meglio da ogni attore. La Valeri si butta con classe nella sua signorina snob con il 70% di stronzaggine in più. Sordi dal canto suo interpreta il suo solito piccolo borghese stupido e cocciuto, pieno di se, ma misero e pavido (e pure piuttosto fascistello); niente di nuovo, ma qui la macchietta è perfettamente integrate nell'ambiente e Sordi ci sguazza con grazia non comune.

Infine non si può non sottolinea fortissimo come questo sia un film bellissimo. Esteticamente parlando. Una fotografia in un bianco e nero così pulita e perfetta, ma soprattutto un uso delle luci fantastico che arriva in un paio di momenti (il ritorno della Valeri dopo l’incidente e la notte in cui viene messo a punto il piano) ad avvicinarsi all'espressionismo. Bellissimo.

mercoledì 4 settembre 2013

The master - Paul Thomas Anderson (2012)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Mah…
Io adoro lo stile di Anderson che anche in questo film si ripresenta, impeccabile e pulito più del solito, più lento nello sviluppo, si prende i suoi tempi e realizza il solito suo film perfetto. Però non posso nascondere che lo apprezzo particolarmente quando è veloce come in tutti i suoi film precedenti, tanto più ne “Il petroliere”, dove la potenza autoriale si univa ad una trama di tutto rispetto.

In questo film dunque c’è il solito Anderson, ma al rallentatore, piacevole, ma di per se meno fruibile. Il vero problema è che a questo si unisce una trama tra le più irrisolte e sospese della sua carriera (che nessuno dica che la trama di “Ubriaco d’amore” è irrisolta e sospesa!).
La storia di un marinaio dalle scarse capacità mentali che viene preso in simpatia da un oscuro santone di una filosofia/religione negli anni ’50 è un ottimo incipit, ma così rimane. 

Elegantissimo lo sviluppo dello script e molto elegante la disanima dei due protagonisti, ma sembra non portare da nessuna parte. Hanno un bel affaccendarsi i due attori principali nel dare profondità ai personaggi meglio delineati degli ultimi anni, inventano voci, gesti, posizioni del corpo e danno vita a due uomini realistici al massimo, ma anche qui ci si schianta contro l’apparente inutilità dello sforzo.

Un buon film, che però finisce in un nulla. Un bellissimo nulla comunque.

lunedì 2 settembre 2013

Assassinio allo specchio - Guy Hamilton (1980)

(The Mirror Crack'd)

Visto in VHS.

Per la storia vedere qui.


Filmone all stars tratto da un’opera della Christie, come ho già avuto modo di dire per giudicare questi film ci sono solo due parametri buoni, l’atmosfera vintage e Miss Marple.

L’atmosfera è perfetta e ci mancherebbe data l’evidente iniezione di soldi che ci vogliono per avere Liz Taylor.

Per Miss Marple invece direi che abbiamo una vetta inarrivabile: Angela Lansbury. Voglio sorvolare sui pregi che l’attrice ha in se per evitare di dimostrare la mia insana passione per la Lansbury, però le va concesso il phisique du role perfetto, un atteggiamento divertito e sopra le righe che da fiato all'intero film e un aggancio meta cinematografico alla Signora in giallo che, appena la si vede, le da la credibilità della scaltra detective prima ancora di vederla all'opera (la scene iniziale nel cinema poteva anche essere evitata, perché veicola la stessa informazione).

Detto ciò è un piacere vedere in uno stesso film tutti questi attori anche se Tony Curtis e, soprattutto, Kim Novak sono relegati ad una particina senza spessore. Il gioco divertente è il continuo rimando al cinema che i personaggi fanno (sono tutti attori, registi o produttori), dimostrando una buona dose di autoironia. Non li si può apprezzare sempre per la recitazione che a volta va avanti con il pilota automatico.

Infine Hamilton… quanto lo odio Hamilton? Abbastanza. Ha cercato di affossare, a livello tecnico almeno, la saga di 007 con “Una cascata di diamanti” dimostrando così che il merito di “Goldfinger” non è d attribuire a lui. Qui si dibatte bene, azzeccando diversi dettagli, alcuni movimenti di macchina e intere sequenze (la lunga scena della festa è ben costruita)… direi che il tempo riesce ad aggiustare tutto, anche un regista.

PS: sconvolgente quanto scritto su wikipedia inglese relativo alla genesi della storia che potrebbe essere tratta dalla biografia di Gene Tierney.