mercoledì 29 aprile 2015

Assunta Spina - Francesca Bertini, Gustavo Serena (1915)

(Id.)

Visto qui.

Assunta Spina è una donna fidanzata con un uomo molto geloso, a seguito di uno dei suoi momenti di follia lui la sfregia. Lei lo perdona e testimonia in suo favore, ma lui finisce comunque in carcere per due anni. Mentre sconta la pena Assunta si disamora del fidanzata e frequenta un altro uomo, vorrebbe sistemare le cose prima che lui esca dalla prigione, ma (non ho capito il perché) viene scarcerato prima. La tragedia è dietro l'angolo.

Forse il film più importante della Bertini per l'impatto, la qualità e le vicende produttive.
La Bertini non si limitava a essere un'attrice, passiva e in disparte, era una forza della natura, probabilmente arrogante e sicura di sé, questo film lo volle fortemente fare, lei organizzò il tutto, ma soprattutto lei lo co-diresse de facto, spostando le comparse e la macchina da presa secondo il suo gusto e rifacendo le scene finché non le riteneva venute bene. Primo caso, che io conosca, nella storia del cinema di attrice (donna) che si fa regista.
In secondo luogo, gli esterni sono quasi tutti realizzati realmente in outdoor; anche qui su forte spinta della Bertini. Il che permette di vedere alcuni scorci della Napoli degli anni '10 e in secondo luogo è sempre stato preteso (dalla Bertini stessa) essere il primo film neorealista della storia. Se è vero che il neorealismo è qualcosa di più, bisogna comunque ammettere che l'utilizzo di gente del posto e dei luoghi originali è stato per la prima volta reso, cinematograficamente bene, qui per la prima volta.

Infine veniamo alla parte più tecnica. La regia è statica come sempre in questi anni (ok, questo è l'anno successivo a "Cabiria", che ha spiegato come si poteva muovere la macchina da presa, ma era comunque pionierismo), ma la costruzione delle scene è sempre ben ragionata, con quasi tutte le inquadrature disposte su più piani (la tavolata a Posillipo è in diagonale, in tribunale e nella sala d'aspetto ci sono attori distribuiti per tutta la lunghezza delle stanze, ecc...), una disposizione davvero curata che lo fa assomigliare più ai film del decennio successivo che ai suoi contemporanei. Il montaggio non è nulla di enorme, ma riesce comunque a mantenere sempre un ritmo minimo in una storia dall'andamento rilassato.
Poi c'è la questione della recitazione. In decisa controtendenza con i kolossal suoi contemporanei (e in completa antitesi con la Borelli e le sue estimatrici) la Bertini decide di giocare di sottrazione (per l'epoca) e opta per una recitazione più vicina al vero. Di fatto ci sono ancora diverse mani al cuore, movimenti ortogonali e visi che si voltano con enfasi, ma in maniera decisamente minore e, soprattutto nella prima parte, c'è un tentativo di ridurre al minimo il "sopra le righe". Questa è una innovazione decisamente moderna e permette a diverse scene di avere un effetto non straniante, difetto che spesso i film muti hanno su uno spettatore moderno (tutta la prima parte in questo senso è perfetta).
L'"Histoire d'un Pierrot" ci mostra una Bertini esagitata, quindi il suo contenersi è uan scelta stilistica precisa; scelta che permette lunghe sequenze di recitazione che non risultano eccessive e che riescono a comunicare molto con pochi cartelli.

Ultima nota, ho trovato molto belle le inquadrature in controluce sull'acqua, idea che riesce a magnificare i momenti di idillio fra i due innamorati.

lunedì 27 aprile 2015

Histoire d'un Pierrot - Baldassarre Negroni (1914)

(Id.)

Visto qui.

Pierrot si innamora di una ragazza, grazie all'aiuto di un amico riuscirà a dichiararsi, ma perderà tutti i suoi soldi contro un riccastro che, a sua volta, ciondola intorno alla donna. Di nuovo verrà il suo amico ad aiutarlo.

Uno dei primi lungometraggi con la Bertini protagonista (in realtà i primi sono del 1913); qui curiosamente nei panni maschili di un Pierrot!
Il film è un'opera statica che rispetto ai corti di 3-4 anni prima ha capito come gestire il montaggio per dare dinamismo, utilizza ampiamente gli esterni e lascia agli attori la possibilità di recitare in maniera differente da quella teatrale (qui gli attori smettono di parlare continuamente e invece mimano le azioni); inoltre è una delle rare opere senza nessun cartello (a dirla tutta, a causa di qeusta scelta, alcune passaggi non sono così chiari)... se però si paragona questo film ai suoi contemporanei impallidisce, visto che il 1914 è l'anno delle grandi produzioni italiane.
Il vero valore aggiunto qui è il cast (dove c'è un un Ghione pre Za la Mort) dove spicca proprio la Bertini, buffa mattatrice della vicenda, quasi sempre presente sullo schermo, sempre in parte, che da il suo meglio nelle ironiche scene iniziali dove va a lezione dall'amico per dichiararsi all'amata; recita, gesticola, salta suona, fa tutto, e lo fa con convinzione, nonostante la parte en travesti.

PS: questo film è stato musicato da tale Costa, a causa di ciò, purtroppo, nel video linkato sopra si da ampio spazio all'orchestra che suona.


Re Lear - Gerolamo Lo Savio (1910)

(Id.)

Visto qui.

Il dramma di Shakespeare raccontato per sommi capi, condensato in poco più di 15 minuti.

Delle varie dive del muto in Italia me ne manca una, Francesca Bertini. Attrice enormemente famosa ai suoi tempi e flamboyant, divenne iconica e acquisì così tanta fama da diventare un potentato nel mondo cinematografico italiano, con case di produzione create ad hoc per lei e che si impose anche nelle attività di scrittura e realizzazione di alcuni suoi film. A distanza di tempo è stata oscurata, a livello internazionale, da attrici che si sono sapute riciclare con il sono (specie negli USA) come Greta Garbo; mentre in Italia, sulla distanza è stata oscurata da chi, come la Borelli, ha dalla sua l'essere entrata nel vocabolario.

Questo film è stato realizzato nell'anno del debutto della Bertini, di fatto messa in secondo piano nei panni di Cordelia, la figlia buona di Re Lear. Ininfluente nella vicenda e con un minutaggio piuttosto misero.

Il film di per se è nella scia delle opere tratte direttamente dal teatro o dalle opere liriche che nei primi anni 10 impazzarono in Italia (e di cui la Bertini fu spesso protagonista).
Questo film di fatto è un pezzo di teatro su pellicola. Inquadratura fissa, pochi cartelli che spiegano la vicenda e le scene successive che fanno per lo più colore; ampia recitazione, con lunghe scene di dialogo fra gli attori che gigioneggiano come pochi; fondali dettagliati anche se inverosimili e scene in esterni con attenzione anche a ciò che avviene in secondo piano; costumi grandiosi, degni del teatro, più che dei film che verranno realizzati successivamente; colorizzazione spinta quasi a ogni scena.
Corto utile storicamente, ma che verrà sorpassato nel giro di pochissimi anni da una serie di opere che inventeranno un linguaggio indipendente.

venerdì 24 aprile 2015

Il colpo della metropolitana (un ostaggio al minuto) - Joseph Sargent (1974)

(The taking of Pelham one two three)

Visto in Dvx.

Un gruppo di rapinatori... beh di rapitori, rapiscono 18 persone e un vagone della metropolitana di New York, chiedono un riscatto di un milione di dollari. Si mobilitano il sindaco, la polizia e la polizia della metropolitana. La questione è come faranno a fuggire.

Film d'azione con poca azione, ma ottimo ritmo, il tutto declinato verso l'ironia con le sequenze del sindaco che sono una vera e propria farsa e la presenza di Matthau a capo della gestione del rapimento che garantiscono una declinazione comica con un semplice ammiccamento, con una smorfia o uno sguardo, senza bisogno di battute per forza. Non è un film comico, ma pur essendo un film in cui muoiono alcune persone il mood rimane sempre positivo.

Come già detto c'è un Matthau fondamentale (se avessero condotto il film allo stesso modo, ma senza ironia sarebbe stato solo un brutto action), ma c'è pure un buon Balsam utilizzato per una parte che è qualcosa di più di un carattere.

La regia insipida si limita a registrare a quello che accade senza influire, nel bene o nel male.
Il finale divertente è forse un pò fuori tono o forse troppo rapido.
In ogni caso capisco perfettamente perché ne hanno cavato un remake pochi anni fa.

mercoledì 22 aprile 2015

Furore - John Ford (1940)

(Grapes of wrath)

Visto in Dvx.

La depressione e i dust bowl stanno distruggendo l'Oklahoma (come in "Interstellar"), i contadini migrano verso la California, pubblicizzata da migliaia di volantini che promettono lavori ben pagati. La famiglia Joad decide di fuggire quando il figlio maggiore tornerà a casa dopo essere stato rilasciato dalla prigione (dove scontava una pena per omicidio).
La fuga si rivelerà più lunga, più dura e più mortale del previsto, ma quel che è peggio una volta giunti in California il lavoro non sarà così abbondante e fiumi di derelitti si accamperanno fuori della città aspettando che qualcosa cambi.

Da un romanzo di Steinbeck (scrittore che adoro, ma curiosamente non ho mai letto "Furore") pubblicato solo un anno prima, Ford cerca di trarne un film sociale che abbia un impatto tanto maggiore quanto vicino agli eventi narrati (non so come fosse la situazione lavorativa nel 1940, ma la depressione venne completamente superata solo dalla guerra e i dust bowl finirono nel 1939). L'intento sembra proprio quello di fare un intervento di critica e un mockumentary basandosi su un libro di grande successo.
L'impianto steinbeckiano è evidente. Non c'è una storia precisa, ma c'è la descrizione di piccole vite senza eventi importanti, ci sono una carrellata di personaggi umanissimi ricchi di sentimenti (per lo più inespressi), c'è una famiglia che vive l'uno dell'altro e c'è un senso generale di sconfitta e rivalsa, di ingiustizia e lotta per riemergere.
Tutto questo in un romanzo (se scritto da dio naturalmente) può rendere benissimo, ma a mio avviso in un film non ce la fa.
Il film scorre bene e lo si guarda volentieri se si è nel mood giusto, Ford non è l'ultimo degli arrivati e Fonda (pur avendo una faccia troppo pulita per il suo personaggio) è totalmente in parte; però appare lento, spesso esageratamente enfatico, spesso può sfociare nella noia.
Bello, ma il cinema non è il mezzo adatto per questa storia.

PS: in Italia fu censurato perché troppo pessimista, quando uscì ne vennero tagliate diverse parti; ma anche la versione originale fu edulcorata, la scena finale fu rigirata costruendo il noto (e statico) monologo finale, molto diverso dalla potente scena prevista da Steinbeck.

lunedì 20 aprile 2015

The Babadook - Jennifer Kent (2014)

(Id.)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato.

Una donna rimasta vedova il giorno del parto ha, dopo 6-7 anni, problemi di relazione con un figlio iperattivo (beh come tutti io bambini a quell'età) e appassionato di mostri (come tutti i bambini sani), ha un lavoro che la mette a contatto con la malattia e difficoltà di relazione con parenti e amici, inoltre si sta avvicinando il compleanno del figlio. Mentre c'è una crisi che avanza in casa compare un libro che parla del Babadook, un uomo nero dalle intenzioni maligne che può agire solo se lo si lascia entrare e che si annuncia con rumori e scricchiolii. Ovviamente di li a poco si avvereranno tutti i sintomi premonitori dell'arrivo del Babadook.

Non so neanche da che parte cominciare. Un family drama in veste horror così ben realizzato non lo ricordo. Anzi diciamolo subito non è un horror a tutti gli effetti, l'inquietudine, il senso di morte e la suspense (non ci sono colpi improvvisi, ma il perturbante sempre presente) ci sono tutti, ma la creatura (pur essendo un elemento imprescindibile) non ha una parte preponderante. A creare il mood perfetto è la casa geometrica e grigia, è il bambini esagitato e dagli occhi enormi, è il libro stesso del Babadook per i disegni e le rime, è il volto distrutto della madre, è il rapporto conflittuale fra i due e con il resto del mondo.
Poi ovviamente c'è l'idea che il mostro sia praticamente sempre presente, ma che possa agire solo se si permette che entri dentro di te, l'orrore risiede già nelle persone, ma il dramma si scatena quando si permette che entri nel mondo. Inoltre è il primo horror che io ricordi in cui i sentimenti sono importanti e non disturbanti; si prova una pietà enorme per quella donna bistrattata dalla vita e rabbia per tutto quello che succede ai due, inoltre nello showdown finale l'intervento dell'anziana vicina di casa (intervento minuscolo e di una banalità imbarazzante) è una delle scene che più mi hanno (emotivamente) colpito di recente.
Il finale è un tripudio di giustificazioni freudiane, di tocco miyazakiano nella gestione dell'antagonista con un vero e proprio scioglimento finale che riappacifica con tutto ciò che è accaduto.

Poi c'è la regia. La Kent alla sua opera prima si dimostra una regista enorme, interessantissima, piena di idee senza essere mai eccessiva.
Dalle notti che passano in un attimo con un cambio di luce (per dare il senso di stanchezza della amdre) alla scena onirica dell'inizio con il ritorno nel letto le piccole idee sparse per il film sono tantissime. Ma c'è un lavoro importante anche sui suoni e le voci distorte usate per tutta la durata del film. Poi c'è il montaggio che riesce a creare atmosfera anche da solo affiancando, a ritmo serrato, due scene contemporanee le quali, da sole, non avrebbero avuto lo stesso effetto (il dialogo fra la madre e la sorella nel parco mentre il figlio si arrampica sull'altalena).
Infine c'è il modo in cui viene gestito il mostro; molto bello quando viene solo intravisto (ma un pò bislacco quando lo si vede bene), un vero e proprio personaggio da film espressionista tedesco (viene infatti inserito in alcuni spezzoni di film muti, anche se sono di Méliès) che si muove come il fantasma di un J-horror.

Bon, dopo tutti sti pregi almeno un difetto. Durante la lunga notte del Babadook si esagera, si inanellano tutti i classici dell'horror (dalla possessione alla casa infestata) in maniera ipertrofica. Non ammazza il film, ma rende quella parte, paradossalmente, la meno riuscita.

venerdì 17 aprile 2015

L'orribile verità - Leo McCarey (1937)

(The awful truth)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una coppia sposata sospetta un tradimento, o meglio, ognuno sospetta l'altro di averlo tradito. Litigano e divorziano; entrambi cercheranno di rifarsi una vita. Lei conoscerà un uomo che però l'ex marito gli farà lasciare, sarà poi lui a conoscere una donna che sarà lasciata a causa dell'intervento dell'ex moglie. Ovvio che i due siano ancora innamorati.

Commediola dei sessi molto romantica e molto schematica. Si muove su un canovaccio ovvio fin dall'inizio che non devia di una virgola dal prevedibile. Cerca di utilizzare l'ironia per tenere viva l'attenzione però, pur avendo qualche bella battuta, non riesce minimamente a mettersi ad un livello simile a quello delle screwball comedy del periodo (a cui sembra voler fare l'occhiolino molto spesso).

Se la scelta degli attori è una buona notizia (c'è un Cary Grant che finalmente non mi irrita) e se alcune sequenze sono ben congegnate (il lungo finale con le camere comunicanti tutto sommato ha un pò di idee messe bene), tuttavia il film non mi convince affatto, banale come film romantico, piatto come commedia, McCarey (che non brilla mai per originalità) si limita a fare presenza.
So che da molti è considerato un pezzo fondamentale del cinema del periodo; personalmente mi sono fermato dopo i primi venti minuti e l'ho recuperato solo dopo alcuni mesi.

mercoledì 15 aprile 2015

The skeleton key - Iain Softley (2005)

(Id.)

Visto in DVD.

Un'infermiera di New Orleans decide che lavorare in ospedale non è la sua vocazione (troppo business) e cerca quindi di riciclarsi come infermiera a domicilio (anche se sembra più una badante). Il lavoro che le si offre è in una vecchia casa in mezzo alle paludi, deve prendersi cura di un uomo con un doppio ictus affiancata alla moglie, a tratti inquietante a tratti solo terribilmente triste e superstiziosa.
La casa presto mostrerà di nascondere dei segreti, così come l'anziana coppia.

Rivisto per l'ennesima volta il film mostra di nuovo tutti i suoi pregi e mette a nudo quel paio di difetti che alla prima visione (1000 anni fa) sono sfuggiti.
In primo luogo questo è un film più sul versante del thriller paranormale che dell'horror classico; la suspense e le botte di paura ci sono e, tutto sommato, questo è il grande pregio; la tensione è mantenuta dall'inizio alla fine senza mai mollare. Il colpo di scena finale (geniale) è solo l'ennesimo cambio di prospettive che il film offre, dato che ad ogni minuto ogni situazione e ogni personaggio continuano a mostrarsi sotto luci differenti.
Il cast è totalmente in parte (il povero Hurt è ridotto a recitare a mugolii) e il personaggio della Hudson non è neppure troppo cretina pur essendo la protagonista di un film del genere (un pò lo è comunque...).
La location scelta è impeccabile e tutto ciò che è collaterale (la baraccopoli della pompa di benzina, il negozio hoodoo dietro al lavanderia, ecc...) è funzionale a mantenere il mood, ma senza eccessi.

L'unico difetto è qualche ingenuità nella regia del flashback (la storia della casa) e nelle scene di magia, troppe accelerazioni inutili, cambi di colore (o meglio, viraggio verso il bianco e nero), macchina da presa che trema; tutti espedienti semplicistici per creare un senso di spaesamento, francamente si poteva fare di meglio. Va però sottolineato che non è un difetto che disturba la visione, anzi le prime volte non l'ho neppure notato.

PS: fatalmente il film, girato in Lousiana, uscì lo stesso anno dell'uragano Katrina.

lunedì 13 aprile 2015

Salvatore Giuliano - Francesco Rosi (1962)

(Id.)

Visto in DVD.

Dopo l'omicidio di Salvatore Giuliano viene ripercorsa brevemente la sua storia, gli uomini che lo circondavano, le indagini, i collegamenti.

Se fosse un regista dei giorni nostri (intendo dire, se fosse nato negli anni '70 e stesse realizzando ora questo film) Rosi avrebbe fatto un mockumentary. All'epoca invece l'idea del falso documentario non esisteva e Rosi fa qualcosa di diverso, qualcosa di più. Inizia dalla fine, ripercorre con lunghissimi flashback, riporta le indagini e mostra le scene di cui discutono il giudice e gli avvocati come fossero...beh dei flashback; gioca con le fotografie (tre direttori diversi per le tre situazioni del film, le indagini, le ricostruzioni, il cadavere del bandito); realizza situazioni verosimili nei luoghi in cui sono avvenuti con personaggi presi dalla strada.
La cosa realmente bella del film è che di Salvatore Giuliano ci si interessa poco (addirittura non lo si vede praticamente mai in viso), la sua morte è un pretesto per spiegare brevemente quanto successo fino a quel momento, mostrare un ambiente (splendide le parti dei carabinieri, di quello che pensavano di andare a fare e di quello che hanno trovato), la creazione di un sistema interconnesso di malavita e istituzioni.
A tutto questo poi si aggiungono scene obiettivamente ben realizzate; su tutte le parti Rosi sembra particolarmente efficace nelle scene di massa, quelle della strage di Portella della Ginestra e quelle dell'arresto di massa degli uomini di Montelepre.
Il difetto è un gusto per la lungaggine che asfissia tutto il film, soprattutto la seconda metà, il ritmo ne viene minato e così l'interesse.

venerdì 10 aprile 2015

A Venezia... un dicembre rosso shocking - Nicolas Roeg (1973)

(Don't look now)

Visto in Dvx.

Una coppia inglese perde la figlia in uno sfortunato incidente per dimenticare mollano l'altro figlio in un collegio e se ne vanno a Venezia dove lui lavorerà alla ristrutturazione di una chiesa. Durante la permanenza incontrano una coppia di vecchiette abbastanza creepy che li avvertono (avendo loro poteri parapsicologici) che se rimarranno in laguna rischieranno la loro vita.

Roeg torna alla regia dopo il precedente "Walkabout", se il film precedente era un intenso lavoro di regia che però esprimeva il meglio di sé nell'accumulo di immagini; qui il film da il meglio di sé nel montaggio. Certo ci sono delle belle scene (purtroppo la fotografia è ancora quella esteticamente brutta tipica degli anni '70), ma il lavoro di montaggio è impressionante, ci sono molti montaggi paralleli che danno significato alle scene affiancate (quello iniziale tra indoor e outdoor durante l'incidente della bambina; o quello del rapporto sessuale tra i coniugi affiancato ai due che si vestono per uscire); nelle scene di maggior tensione invece il montaggio si fa rapido e/o sovrappone immagini inutili che però rendono il mood della scena (si pensi alle prime scene in cui compare il vescovo in cui il suo vestito nero la fa da padrone o in cui la croce appesa al collo viene nascosta dal soprabito).
ottimi gli attori che rendono bene i sentimenti in gioco e magnifica la location veneziana sfruttata più per le sue nebbie, la sua umidità, le sue ombre e la sua marcescenza; nel finale poi viene sfrutta bene il dedalo delle calli, la nebbia e i suoni (gli echi e il rimbombare dei passi).

Se però ci si aspetta un thriller mozzafiato o un horror gotico si ha sbagliato tutto. Pur avendo caratteristiche di entrambi, questo è e rimane un dramma famigliare, con una spruzzata di soprannaturale e dei personaggi che starebbero bene anche in un film di possessione diabolica. Di fatto però le parti meno riuscite (secondo me) sono quelle più schiettamente di genere, mentre invece quando il film rimane sul dramma della coppia riesce a rendere un senso di morte aleggiante e di perturbante che è la vera bellezza del film.

PS: titolo originale bello, ma non ben calzato; titolo italiano cazzaro.

mercoledì 8 aprile 2015

C'era una volta - Francesco Rosi (1967)

(Id.)

Visto in Dvx.

Campania borbonica, il principe ereditario se ne va a zonzo per i suoi possedimenti pur di sfuggire alle sette pretendenti mogli; incontra una popolana di cui s'innamora e, come sempre quando si è alle elementari, per dimostrarlo le tira le trecce, lei farà lo stesso finché non saranno divisi. Si cercheranno, si ritroveranno, ma per allora dovranno dimostrare di poter superare qualche prova per poter vivere insieme.

Un film disimpegnato (tratto da "Lo cunto de li cunti" di Basile) con due grandi attori di grande richiamo (Sharif e la Loren)... beh è evidentemente un prodotto alimentare (anche se alla base ci dev'essere stato un intento culturale), tuttavia la scelta inspiegabile di affidarsi a Rosi per la regia ha del folle e dell'affascinante (e del temerario). Di fatto non è che il film diventa un altro, ma pur essendo una fiaba dalla struttura canonica e dai voli di fantasia (banchetti di streghe, santi che volano, giochi cavallereschi) le location e tutti i comprimari hanno una verosimiglianza incredibile (specie tra i popolani e le streghe ci sono volti che valgono un intero film) e la scelta degli interni, belli, ma non da cartolina, sono una contrapposizione affascinate.
Poi quello che ne risulta è pur sempre una fiaba, ironica (l'asino che produce oro, i dispetti dei due innamorati, i santi che vanno ripigliare Giuseppe da Copertino), che si guarda volentieri con qualche momento di stanca con il ritorno al palazzo.
Altro grosso motivo d'interesse (per me, cresciuto a Disney) è una favola parlata con accento napoletano.

Poi quello che ne risulta è pur sempre una fiaba, ironica, che si guarda volentieri con qualche momento di stanca con il ritorno al palazzo.

lunedì 6 aprile 2015

Eliminate Smoochy - Danny DeVito (2002)

(Death to Smoochy)

Visto in Dvx.

Il presentatore di un programma per bambini viene beccato prendere tangenti e scaricato dal network, che lo rimpiazza in fretta e furia con un giovane idealista abbastanza scemo che crea il personaggio del rinoceronte Smoochy. Il giovane si attira le antipatie del vecchio presentatore andato fuori di testa, di molti rappresentati del network per il suo idealismo eccessivo e della mafia che non riesce più a stornare parte dei guadagni come faceva prima.

Conosciamo tutti il DeVito regista, si sa che non è impeccabile, ma che ama sguazzare nella commedia nera, gli piace andare sopra le righe e sporcarsi le mani con il grottesco, a volte gli riesce da dio, altre volte meno... ecco qui siamo a livello meno.
Da sempre è al limtie nella scelta delle storie e nella messa in scena e quindi è facile per lui strafare. Qui la storia è inutilmente ingarbugliata, si dilunga ad aggiungere parti che non servono per poi virare velocemente per non perdere altro tempo (due dei più agguerriti nemici del protagonista si redimono nel giro di una scena rendendosi conto che lui è autentico!) arrivando troppo spesso all'implausibile, allo sciatto, all'inutile. Il resto del film è condotto come un cartone animato, colori chiassosi (ma non ben utilizzati), recitazione esageratissima (che ammazza le performance di un Norton all'epoca all'apice del successo e di un Williams che poteva sguazzarci davvero bene nella parte del buffo psicotico) e regia che fa di tutto per non essere convenzionale, ma non colpisce mai.

Un film che se fosse stato un pò meno esagitato sarebbe diventato una perla del grottesco; però è stato ammazzato dalla tracotanza.

PS: film ricchissimo di caratteristi di valore che avrebbero aggiunto qualcosa ai protagonisti di peso

venerdì 3 aprile 2015

La vedova allegra - Ernst Lubitsch (1934)

(The merry widow)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.
La donna più ricca dello stato orientale di Marshova è una giovane vedova; stanca della tristezza stimolata da una micronazione di pastori decide di andare a Parigi. Il re di Marshova, preoccupato che un parigino possa sposare la donna e portare i capitali fuori dal paese invia in missione seduttiva il più gagliardo fra le sue guardie. Noto sciupafemmine pieno di femmine che amano farsi sciupare da lui, non sa che la donna che sta andando a sedurre è la stessa che incontra per caso una sera in un locale equivoco e di cui si innamora sinceramente. Quando sarà obbligato a partecipare al ballo in ambasciata organizzato per farli conoscere "casualmente" sarà tutt'altro che entusiasta d'essere forzato a sposare una donna che credo d'odiare per principio.

Figlio dell'omonima operetta di cui condivide anche alcune canzoni (che vengono infilate nel film con la stessa grazia dei cartoni della Disney) ha però un predecessore illustre nel film muto di Stroheim.
Commediola sentimentale con canzoncine, storiella ovvia e trattata con noncuranza, un protagonista maschile (Chevalier) che avrei preso a schiaffi fin dalla prima inquadratura; in poche parole un'operetta datata, forse buona per gli anni trenta, ma ormai al di là del bene e del male, potrebbe non soddisfare neppure chi ama lo stile artificioso dei film anni '30.
Presenta però due dettagli che possono da soli fargli meritare una (rapida) visione.
In primo luogo le scenografie opulente e spigolose, pure in eccesso per quello che dovevano espriemere.
In secondo luogo; e soprattutto; la regia di Lubitsch. Questo film leggero è un inventario continuo di Lubitsch touch e invenzioni visive perfette. I momenti sono molti, ma l'idea delle pagine del diario per descrivere la vedovanza (senza parlare spiega tutto uno stato d'animo); l'incontro fra il protagonista e l'ambasciatore che comincia a schiaffi e finisce in abbracci; il dialogo dei due amanti seduti al tavolo nel locale dove con un inquadratura del loro primissimo piano non mostra nulla, ma (all'opposto della scena del diario) loro raccontano quello che sta succedendo sotto la tovaglia; ma soprattutto la famosa scena del re che scopre d'essere stato tradito per una cintura troppo stretta, non viene detto nulla, ma una serie di immagini non scontate spiegano tutto in una maniera leggera e divertente.

mercoledì 1 aprile 2015

Il servo - Joseph Losey (1963)

(The servant)

Visto in dvx.

Un giovane ricco inglese di ritorno dall'estero assume un cameriere che gestirà la casa in maniera totale e impeccabile; rapidamente inviso alla fidanzata del ricco che lo odierà per avere un'ascendente esagerato sul fidanzato inizieranno a odiarsi apertamente. Il cameriere farà entrare in casa anche la sorella come cameriera che sedurrà il padrone. Dopo aver scoperto come gestiscono la casa quando lui non c'è, il padrone li licenzierà entrambi, Quando il cameriere riuscirà a farsi riassumere la situazione sarà radicalmente diversa, i rapporti di forza saranno del tutto ribaltati.

Sceneggiato da Harold Pinter è un gioco al massacro psicologico di un uomo che ne distrugge completamente un altro con l'alcolismo e la dipendenza reciproca.
Losey, all'epoca esule in Inghilterra dopo i mccarthismo da vita a una regia lenta, ma in costante movimento, con una macchina da presa che segue in maniera continua i movimenti dei personaggi; essendo questo un dramma d'appartamento (pochissimi gli esterni e gli interni sono quasi tutti nella stessa casa) oltre ai movimenti cambia spesso posizione per inquadrare le stesse stanza, soprattutto dall'alto verso il basso, in 3 o 4 occasioni sfrutta le ombre e insiste sui primissimi piani nelle situazioni più rilevanti a livello emotivo. Utilizza anche i suoni, soprattutto una canzone, ma anche il rumore della goccia nel lavandino per la scena della seduzione.
Film magnifico per la gestione della lotta psicologica aiutata dalla regia e coronato con una recitazione all'altezza soprattutto da parte di Bogarde.

Molto bello anche il rapporto a due della seconda parta, certamente qualcosa in più di un amicizia.

Curiosa la scena del ristorante dove pezzi di conversazioni degli altri tavoli descrivono in maniera rapida, ma adeguata, le psicologie anche degli altri commensali, senza che ve ne sia bisogno o che vengano in seguito sfruttate.