martedì 31 gennaio 2012

The iron lady - Phyllida Lloyd (2011)

(Id.)

Visto al cinema. Un’anziana Margaret Thatcher, ormai affetta da una demenza che le fa apparire il marito morto da anni, in un paio di giorni (e un paio di notti di delirium) ripercorre la sua vita, politica e personale.

Di fatto non è un vero biopic. La Thatcher è solo un McGuffin per parlare della memoria, dei ricordi filtrati attraverso la demenza e dell’anzianità. Di fatto il film si concentra sulle turbolente notti di una donna ormai vecchia, ne descrive la lotta per sembrare normale, le difficoltà a ricordare il nome della badante e la facilità nel ricordare ciò che successe 60 anni prima; ed è proprio in quest’ottica che si attacca la scusa della biografia. Una donna anziana inciampa in continui ricordi di un passato perduto e da un dettaglio vengono fuori un fiume di fatti, più o meno connessi, più o meno ripetuti, che saltano gli eventi salienti a livello storico per sottolineare ciò che è stato realmente importante per chi li ha vissuti. Le Falkland sono ridotte alle scelte difficili che ha dovuto fare, la sua carriera politica ricorda qualche evento nazionale e molti scontri emotivi, la questione irlandese è accennata e Bobby Sands non è neppure nominato; perché il punto di vista è un altro, non è la storia, ma il racconto disordinato di una vita, fatto da chi quella vita l’ha vissuta e ora comincia a perderne dei pezzi a causa della malattia. In quest’ottica questo è un grande film.

A livello puramente agiografico poi, il film omette parecchio, e ciò che mostra lo fa vedere solo superficialmente; ma di fatto non prende posizione. Come nel migliore dei film il protagonista non è né buono né cattivo e la storia non ne sottolinea solo i pregi o i difetti. La trama però mostra una persona estremamente determinata, che proprio in virtù della sua testardaggine riesce a raggiungere i propri obbiettivi, per poi essere schiacciata da se stessa (e già una parabola del genere mi conquista). Inoltre c’è pura un sottotesto sulla carriera politica della Thatcher, in cui ogni sua scelta sembra poi avere una conclusione (felice o pessima che sia) solo in virtù del caso; dalla guerra al boom economico, tutto sembra succedere per botte di culo (o di sfiga) e che la Thatcher, in definitiva, abbia solo giovato del momento storico, in cui si inserisce perfettamente la sua personalità decisa.

Infine il film complessivo presenta diverse idee vincenti, dai colori dell’abito che cambiano con l’acuirsi dell’acredine della protagonista; alle incursioni della Thatcher anziana all’interno dei proprio ricordi; alle discussioni, dolci e divertenti insieme, con l’allucinazione del marito morto. Ma molte sono anche le occasioni sprecate, dalle lunghe sequenze biografiche che avrebbero potuto essere molto più mischiate con l’idea principale del racconto dell’anziana malata; al continuo concentrarsi sui dettagli della regia, che però durano troppo poco per poter essere notati; alla ripetitività e alla pretestuosità di molte scene.

Complessivamente non è un capolavoro, ma una intelligente via di mezzo tra un biopic canonico e “I’m not there”. Ci si astenga dal vederlo se quello che si vuole è conoscere la vita di Margaret Thatcher.

PS: veramente inutile dire quanto è brava Meryl Streep.

lunedì 30 gennaio 2012

...e la Terra prese fuoco - Val Guest (1961)

(The day the Earth caught fire)

Visto in Dvx. Questo si può riassumere come un film anni ’50 fatto negli anni ’60.
Un gruppo di giornalisti segue i test dell’ennesima bomba atomica statunitense, nel contempo apprende di un terremoto in siberia; non collegheranno le due cose fintanto che la temperatura a Londra (il film è inglese) non comincerà a raggiungere temperature impressionanti. Quando un tornado si abbatterà sulla città si renderanno conto che il terremoto in siberia era una bomba atomica russa esplosa nello stesso istante di quella americana… vuoi vedere che hanno fatto uscire la terra dalla sua orbita?....

Film apocalittico anni ’60 e per questo molto moraleggiante nel suo essere anti-atomico. Film inglese, e per questo molto più libero negli ammiccamenti sessuali.

Detto ciò, e sottolineando quanto sia stata condotta bene la trama fino al finale aperto (per essere più enfatico, moralizzatore e cristiano), posso anche dire che il film non è granché.

Non è granché essenzialmente per due motivi. In primo luogo perde troppe occasioni; inizia come un film di investigazione giornalistica che però viene mantenuta in secondo piano; può parlare di un uomo distrutto con la solita storia di riscatto personale nel dettaglio, ma preferisce ricostruirgli subito una vita; potrebbe mostrare con molta più efficacia le conseguenze dei cataclismi o dell’approssimarsi dell’apocalisse annunciata, ma preferisce tenersi un paio di episodi da college e non addentrarsi nell’argomento. Di volta in volta svicola ogni possibilità interessante.
In secondo luogo annaffia tutto con una storia d’amore. Il fatto che tutte le altre idee non siano sviluppate è perché si preferisce concentrarsi sul romanticismo. Il che è normale in questo genere di film, ma mai come in questo caso la storia d’amore è banale, prevedibile e distruttiva nei confronti della storia.

venerdì 27 gennaio 2012

Frozen - Adam Green (2010)

(Id.)

Visto in DVD. Tre ragazzotti americani (lui, il suo migliore amico e la ragazza di lui… ovviamente questi ultimi due si odiano) vanno sulle piste da sci a divertirsi come non ci fosse un domani… quando scopriranno che il domani potrebbe none esserci realmente cominciano a dare di matto… no, seriamente, questo è il film che mi è sempre venuto in mente quelle 5 volte che ho preso una seggiovia, la domanda è semplice “Buon Dio! E se la seggiovia si fermasse qui che farei?!” poi mi rispondo sempre che aspetto i soccorsi e comunque su una seggiovia alta tre metri su una pista blu al massimo mi spezzo un’unghia. Ai tre ragazzo va peggio, è notte e nessuno sa che sono ancora li sopra e tutti spengono le luci, ci si rivede il prossimo weekend. Ovviamente arriveranno al panico e alle conseguenze più gore possibili.

Diciamolo l’idea è ottima, ma presenta il solito problema, il fattore Open water. Come intrattieni il pubblico con un film tutto ambientato in uno stesso, piccolissimo posto se hai pochissimi personaggi? Green azzecca bene l’inizio, caratterizza i ragazzi, crei conflitti striscianti e rapporti di forza che poi dovrebbero esplodere quando la crisi vera si concretizza (spoiler, non succede). E questo lo fa senza stancare, annoiare o affogare in dialoghi troppo idioti.
Poi arriva la crisi, tutti si chiedono che si fa, e anche Green se lo deve essere chiesto, e intrattiene con saggezza con scene splatter, danni fisici, dolore e morte inframmezzate da dialoghi che distendono la tensione (spoiler, non c’è tensione).
Ultimo inghippo il finale, che deve potare al massacro più ampio possibile, ma se non si vuol deludere il pubblico meno intransigente deve anche portare qualcuno alla sopravivenza in maniera assennata (spoiler, almeno i questo direi che Green riesce, mi ha dato fastidio come finale perché è inconcludente, ma ha senso).

Quindi direi che Green il compito lo ha portato a termine con attenzione… ma, c’è sempre un ma, il problema sono i lupi. Capisco il dubbio amletico del povero regista/sceneggiatore nel trovare un nemico che impedisca ai tre una fuga via terra, ma quegli Husky che sono appena stati lavati non inquietano e se ci si aggiunge una scena di aggressione tra le meno riuscite degli ultimi 150 anni, direi che proprio la credibilità di questa nemesi scende a zero.

Green si era messo in luce con quel pregevolissimo horror old style di “Hatchet”, fatto solo per me e per i nerd maniaci degli effetti speciali NON in CGI. Con questo Frozen voleva, probabilmente, avvertire che è un ggiovane in grado di fare un po tutto. Tutto sommato riesce, ma senza troppi entusiasmi. Andrà meglio la prossima volta.

giovedì 26 gennaio 2012

Extras - Andy Millman (2005, 2006)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Gervais è un over quarantenne che decide di riciclarsi come comparsa (extra in inglese), in realtà questo dev’essere solo il trampolino di lancio per poter, un giorno creare il suo telefilm. Tra la sua amica scema e un agente praticamente ritardato durante la seconda serie riuscirà nel suo intento, ma il suo lavoro sarò radicalmente cambiato per trasformarlo in una sitcom idiota.
Telefilm inglese di stampo comico costruito da (e su) Gervais stesso, in cui, in ogni puntata viene invitata una guest star di notevole rilievo nel mondo dello spettacolo (di solito cinema) con una parte più o meno importante.

Quello che più va sottolineato è che qui c’è la comicità di Gervais (ideatore ed autore della serie). Io in realtà conosco questo autore adesso ("The office" mi ha sempre schifato a pelle e non intendo cambiare idea adesso), ma il suo stile è chiaro; con un ritmo sottotono presenta una galleria di perdente che o sono stupidi o sono arroganti opportunisti che si trovano immersi in un mondo uguale a loro (ora che ci penso sembra di raccontare lo stile di De la Iglesia). La comicità scaturisce dall’imbarazzo in cui si trovano i suoi protagonisti e dai colpi di sfiga che gli capitano (si insomma siamo dalle parti di Fantozzi), con una sottigliezza ed una freddezza tutta british e una accanimento tutto particolare su tutto quello che politicamente scorretto.

L’altra caratteristica è l’utilizzo delle guest star per lo più presentate all’opposto di come appaiono normalmente e, in definitiva, speculari ai protagonisti, solo più fortunati.

Per avere un’idea di cosa intendo basti vedere la puntata numero 3 della prima serie, dove Gervais attacca religione e disabilità contemporaneamente e ci mette pure un poco di sfottò al business legato alla shoa; in più c’è la partecipazione straordinaria di Kate Winslet (fantastico che l’attrice ammetta di partecipare ad un film sull’olocausto perché è l’unico modo sicuro di vincere un oscar… e curiosamente vincerà un oscar 3 anni dopo proprio per “The reader”), assolutamente strepitosa, divertente e fuori dai soliti schemi. Decisamente una delle puntate migliori. Visto che ci siamo nella seconda serie su tutte vince la puntata numero 3 dove le partecipazioni straordinarie sono ben 3, Warwick Davis (che ovviamente sarà la vittima del razzismo strisciante del protagonista), Daniel Radcliffe (nella parte di un ingrifato adolescentello che cerca di mostrarsi adulto) e Diana Rigg (che recita poche battute come controcanto a Radcliffe).

Gli inglesi sono fantastici perché odiano (come me) i telefilm lunghi, Extras ha due serie da 6 episodi l’una (più uno speciale di Natale che non ho visto).

martedì 24 gennaio 2012

Divorzio all'italiana - Pietro Germi (1961)

(Id.)

Visto in VHS. Che film strepitoso.
Mastroianni è il conte Cefalù, uomo sposato con una donna irritante, ma affezionata (Rocca) e nel contempo innamorato della giovanissima cugina (Sandrelli) che gli abita di fronte. Quando scopre che il suo amore è ricambiato pensa a come possa consumare legalmente… ovviamente la moglie dovrebbe sparire. In quegli anni era ancora in vigore la legge numero 587 del codice penale, che da un importante sconto di pena per all’omicidio d’onore, quello perpetrato ai danno del coniuge se scoperto in flagranza di tradimento…

Film perfetto in ogni dettaglio.

La storia è scritta da dio, divertente, con il ritmo giusto e descrive dei personaggi caricaturali assolutamente credibili e completamente dettagliati. E di fianco ad uno svolgimento da commedia ci mette pure la denuncia sociale della grottesca legge sul divorzio italiano.
Il cast è in parte. Su tutti Mastroianni titaneggia con una recitazione al contempo macchiettistica, ma controllata, creando un personaggio che darà un colpo di grancassa (in Italia e all’estero) ai cliché sui siciliani (il tic lo decise lui ispirandosi a quello che aveva proprio Germi).

Infine la regia è strepitosa. Fa di tutto; rimanendo assolutamente classico nelle location e nell’uso della macchina da presa si prende ogni altra libertà gli venga in mente. È sufficiente guardare il rapidissimo incipit per capire cosa intendo (magnifico quando Mastroianni smette di pensare perché sua moglie lo guarda).

Uno dei film comici più belli che abbia mai visto.

PS: grande il successo anche fuori dall’Italia, il film vinse l’oscar per la sceneggiatura.

PPS: una delle prime parti per Lando Buzzanca.

lunedì 23 gennaio 2012

La talpa - Tomas Alfredson (2011)

(Tinker tailor soldier spy)

Visto al cinema. Ai vertici dell’MI6 pare che Karla (nome in codice del capo del KGB) sia riuscito a piazzare una sua talpa. Dico si vocifera perché ovviamente nessuno ne è sicuro e c’è chi sostiene che questa sia una storia messa in giro da Karla per far nascere il dubbio all’interno dei servizi segreti inglesi.
Storia di spie dunque e di guerra fredda. Direi che è decisamente il caso di prendere un block notes perché la storia è intricata di per se e resa ancor più ostica dall’utilizzo indiscriminato e nons egnalato in alcun modo dei flashback, per le continue dissimulazioni dei protagonisti e per la recitazione quasi sempre per sottrazione degli attori. Ma a me non piace un film di spie se lo capisco, vuol dire che era troppo semplice.

Il cast, credo si sappia anche questo, è fatto da ciò che di meglio offre l’inghilterra, tra gli attori più bravi e conosciuti (Firth e Oldman), attori bravi e appena nati (Hardy) e attori bravi che fanno parte della categoria “quello l’ho già visto in un altro film” (praticamente tutti gli altri).
Infine giungiamo alla vera novità, Alfredson. Il regista di “Lasciami entrare” non si muove di un millimetro. Rispetto al suo film rpecedente toglie solo la neve, poi tutto il gelo ambiente rimane, lo schematismo algido del mondo in cui si muovono personaggi più simili a spettri che provano sentimenti senza palesarli, che vengono messi di fronte a svolte epocali per le loro vite senza poter reagire, ecco tutto queto è esattamente la stessa nota distintiva del film sui vampire… ah già, qui non ci sono neanche i vampiri.

Alfredson crea una spy story che non prende quasi nulla dagli archetipi del genere, e mette invece i suoi personaggi standard sulla scena; crea un ambiente visivamente impeccabile e li fa agire senza mai fargli muovere un muscolo facciale, ricorrendo al sentimentalismo solo quando questo diviene utile al film, sia che venga espresso dagli attori (senza rivelare troppo si prenda ad esempio la scoperta, da parte di Oldman, del tradimento; o la minaccia di far tornare la spia in Russia), sia che venga espresso dalle scene stesse (il lungo finale con la canzone francese in sottofondo).

PS: il film tratto da un romanzo di Le Carré (che già era stato utilizzato per il grande e piccolo schermo) si vocifera sia stato ispirato a fati realmente avvenuti, dato che l’autore lavorò per l’MI6.

venerdì 20 gennaio 2012

Matinee - Joe Dante (1993)

(Id.)

Visto in Dvx.
John Goodman è un Roger Corman, un regista di horror di serie B, più sperimentali che riusciti, che gira l’america nella speranza di invogliare la gente a venire a vedere le sue opere. Nel frattempo c’è la crisi di Cuba e nella cittadina in Florida dove Goodman ha una prima si scatena la paure del nucleare. Perfetto per il regista che deve presentare “Mant”, un film su un uomo trasformato in un ibrido uomo/formica a causa di una esplosione atomica. Qui si intersecano le vite di una manciata di regazzini appassionati di film horror.

Film carino di un Dante ancora proiettato verso il genere “per ragazzi”, e in questo film più che creare una horror-commedia, vuole solo far prendere confidenza i più giovani con i filmacci horror anni ’50-’60 (più un progetto nostalgia non completamente riuscito).

Le storie dei ragazzi sono però consuete e non adeguatamente trattate, i giovani protagonisti sembrano una scusa per aumentare il minutaggio e sono stereotipati all’inverosimile svilendo l’intero film. Quello che si salva è il personaggio di Goodman, il solito, cinico, imbonitore da fiera, più ingegnoso della media, che si da da fare per sfangarla anche stavolta. Tutte le parti dove compare l’ingombrante regista, sono sequenze ben riuscite, anche sono ben poca cosa per permettere di salvare l’intero film. Ovviamente Goodman è perfetto a dare corpo al suo personaggio.

PS: l’idea di utilizzare l’elettricità nei momenti di tensione di un film per dare un “colpo” fisico nel momento dello spavento fu davvero utilizzata in quei gloriosi anni della serie B.
PPS: qui sotto il poster di "Mant".

giovedì 19 gennaio 2012

Super 8 - J.J. Abrams (2011)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Come ho avuto modo di dire poco tempo fa, ci fu un tempo in cui al cinema facevano film per ragazzi senza considerarli dei decerebrati. Facevano film con adolescentelli per protagonisti che si comportavano come adolescentelli, senza sembrae degli adulti più bassi della media, o dei bambini superintelligenti, semplicemente dei ragazzi. Ecco il signor JJ ha voluto riproporlo.
Ecco, avverto che potrei anche averne una percezione alterata, un po per l’effetto Aspesi (l’aprrezzare senza motivi oggettivi solo le cose che sono uguali a tutto quello che si è visto quando si era ggiovani) e un po perché l’ho visto dopo diverse Leffe (e con diverse intendo due). Quindi non sarò del tutto affidabile.

Mymovies freme all'idea di descriverne la trama.

Come nei film Amblin tutti i ragazzi sono personaggi completi, con caratteristiche vere e proprie, o quantomeno un minimo di psicologia, dall’altra JJ utilizza metodi facili per creare pathos (come la storia d’amore fra i protagonisti), ma le esplicita proprio, quando nel film i ragazzi cercano un modo per aumentare la trama del loro cortometraggio. E poi JJ è uno che sa vendersi bene, ha imparato a memoria le regole base de “Lo squalo” e le utilizza con dovizia, in questo film (come credo succeda anche in “Cloverfield” che però non ho visto) sa quanto e quando deve mostrare, o non mostrare, dell’alieno durante lo svolgimento della trama, partendo da una sagoma indistinta fino all’astronave completa del finale (a dirla tutta il livello del film, secondo me, rimane altissimo fintanto che il mostro non viene inquadrato direttamente, una volta visto… beh come succede sempre la realtà mostrata non è mai interessante quanto tutte le alternative potenziali che uno si crea in testa).

Poi però Abrams non è solo un grande pubblicitario dei suoi prodotti, o solo uno che ha imaprato bene i trucchetti base per vendere al grande pubblico, né è solo un bravo regista di film accettabili. Abrams è anche uno che ha grande fiducia nel pubblico che guarda i suoi film e per questo si permette tocchi di classe notevoli. Tutto il lacrimoso incipit è semplicemente perfetto. Non viene detta nemmeno una parola, ma tutti i messaggi che devono essere veicolati (e sono diversi) vengono compresi (per esempio, il ciondolo, che non viene quasi mai accennato direttamente dai personaggi si capisce dall’inizio che è il ricordo della madre scomparsa). Poi l’uso dei dolly o dei carrelli che tanto mi piacciono solitamente nei film, vengono in secondo piano, perché JJ mi rispetta.

Tremo a dirlo, ma se avessi avuto 15 anni in meno e avessi visto questo film una domenica pomeriggio su italia uno, “I goonies”, per me, non sarebbero mai esistiti… (ok, forse sto esagerando).

PS: c’è pure un’importante pubblicità progresso contro le droghe. Perché marjuana e alieni, se assunti insieme, fanno male.

martedì 17 gennaio 2012

La lettera non spedita - Mikhail Kalatozov (1960)

(Neotpravlennoye pismo)

Visto in Dvx. Tre geologi sono mandati in mezzo alla siberia più inesplorata alla ricerca di diamanti. Certamente se mandi tre uomini ed una donna nelle terre desolate è ovvio che lei amerà uno, ma un altro l’amerà di più… poi dopo indicibili sofferenze troveranno i diamanti, ma un incendio brucerà tutta la tundra che si possa immaginare, saranno costretti a fuggire, abbandonare la zona conosciuta, la radio si romperà e rimarrano soli in mezzo alla neve e al fuoco…

Tecnicamente fantastico come Kalatozov sa fare con piani sequenza continui, inquadrature enfatiche ricche di movimenti frenetici della macchina da presa, inquadrature da punti di vista meno scontati (per lo più dal basso), controluce su campi medi o lunghi ricchi d’effetto, primissimi piani evocativi e sovraimpressioni di fiamme sulle immagini fin dall’inizio del film, come ad anticipare quello che succederà più tardi. Dovendo dare un premio direi che la scena tecnicamente più azzardata e meglio riuscita sia il piano sequenza della caccia.
Dall’altro lato le ambientazioni sono perfette, un inno alla natura all’inizio che poi si trasforma in un inferno dantesco fatto di fuoco ed in una sorta di ambiente post-apocalittico quando l’incendio si spegne.

Peccato che il film sia eccessivamente enfatico fin dalle prime scene e complessivamente annoi più di quanto intrattenga. Ma esteticamente rimane imbattibile.

lunedì 16 gennaio 2012

The artist - Michel Hazanavicius (2011)

(Id.)

Visto al cinema. Nel 1927 un attore del cinema muto ha il suo momento di gloria. Incontra e lancia una giovane attrice, la quale si invaghisce di lui e gli rimarrà legata. Gli anni passano, arriva il sonoro, l’attore non riesce ad accettarlo, produce a sue spese un costosissimo film… ovviamente muto. Sarà un fiasco, verrà abbandonato e dimenticato, tranne che dalla ragazza da lui scoperta che nel frattempo raggiungerà l’apice della sua carriera. Quando le cose sembreranno ormai ridotte all’osso arriverà il geniale momento del rilancio.

Ovviamente tutti sanno che questo è un film tendenzialmente muto (salvo qualche rumore e pochissime parole nel finale, che tralaltro chiariscono il perché della reticenza del protagonista nel fare film sonori). Ma, grazieaddio, non è un nerdissimo tentativo di riproposizione delle glorie del passato adatto solo a 5 cinefili diversamente cool (si esatto sto proprio pensando a quello che avrebbe dovuto essere “Intrigo a Berlino”… poi per fortuna Soderbergh si è sbagliato e ha fatto un film moderno intricato, ma accettabile).
E invece no! Hazanavicius invece no. Lui utilizza il muto come mezzo per parlare di un periodo (quello del passaggio al sonoro), esattamente come sceglie di usare il bianco e nero; lo utilizza per sfottere il pubblico stracciandone le aspettative (l’applauso nel cinema all’inizio che ci si immagina senza né vederlo, né sentirlo e senza neppure vedere la reazione nel volto dei personaggi; o le battute del protagonista che fanno ridere i giornalisti, o nello splendido utilizzo del cartello con BANG!) dimostrando di aspettarsi un certo impegno anche da parte di chi guarda… e poi ok, c’è pure un certo spirito nerd, ma appena il giusto. Inoltre la scelta del muto è un modo di utlizzare i suoni, eliminandoli esalta i momenti in cui vengono utilizzati; la scena del sogno è quanto di più straniante abbia realizzato. Di fatto il muto è solo una delle componenti che devono rendere un clima, esattamente come le musiche d’epoca, il volto del protagonista (molto retrò) nonhcè la storia da commedia romantica decisamente old style. Poi però tutto il resto è un film moderno decisamente ben realizzato (la regia, la recitazione, la comicità, ecc…).

Bello anche il fatto che questa è una delle poche commedie romantiche dove l’amore tra i due protagonisti è palese, ma mai espresso a parole o con le scene, ma solo con la storia e con mille delicatezze (la scena in cui scatta la scintilla fra i due fatta attraverso una serie di ciak sbagliati tutto mostrato dagli sguardi; o il momento in cui lei si abbraccia con la giacca di lui).

Cast eccezionale con un Dujardin mattatore assoluto, caricaturale il giusto per sembrare un attore del muto, ma non troppo da non sembrare sempre naturale. Comparsata di McDowell e parti date ad honorem a Cromwell e Goodman.
Che altro?... bravo pure il cane.

PS: si ok lo ammetto, nella seconda metà tira un poco il freno a mano e ho avuto una piccola serie di colpi di sonno, ma io sono uno che si addormenterebbe anche su un cactus...

venerdì 13 gennaio 2012

Mantrap - Victor Fleming (1926)

(Id.)

Visto in DVD.
Un avvocato divorzista stressato dal lavoro e dalle donne vuol rifugiarsi nel mondo selvaggio dei canadesi, lontano da città, caos, donne e rapporti umani più complessi di uno sbadiglio. Andrà a casa di un canadese tipo… ma li troverà la neo moglie dell’uomo, una ragazza bella e un poco ninfomane, che è appena giunta da Minneapolis, scegliendo l’isolamente perché il neo marito è diverso dagli uomini di città. Ci metterà un secondo netto a flirtare con l’avvocato e a rimpiangere la vita di città. I due fuggiranno, ma la ragazza flirta come se respirasse e le cose si complicheranno.

Commedia di un giovane Fleming, tutt’altro che alle prime armi. Il film risulta spigliato e decisamente godibile e, cosa assai rara in un film muto, divertente. Neppure i film di Leni più apertamente comici mi hanno fatto ridere, al massimo sono simpatici, qui in diverse occasioni (soprattutto nella parte iniziale) si può ridere davvero. Gli attori, soprattutto Clara Bow, sono fantastici anche nell’ottica del cinema sonoro. Alcune battute sono degne del primo Woody Allen o quantomeno di Groucho Marx (“non considerarmi come un uomo, ma come un mezzo di trasporto” o i giochi di parole inglesi fra ankle e uncle) e i volti dei comprimari sembrano scelti da Jared Hess.
Decisamente non è un film epocale, ma l’impressione è positiva, oltre ogni aspettativa.

giovedì 12 gennaio 2012

Over silent paths - D. W. Griffith (1910)

(Id.)

Visto in DVD. Tragedia del west, una donna si trova il padre ucciso da un ladro. Fugge verso la città per chiedere aiuto, lungo la strada trova un uomo privo di sensi per l’arsura, lo aiuta, se ne innamora… almeno finché non scopre che proprio lui è l’assassino del padre…

Corto di un Griffith che a poca distanza dalle sue opere fondamentali (ma a meno di vent’anni dall’invenzione del cinema), ma le divide l’abisso. Se è vero che la storia fila via bene e i sentimenti sono ben esposti, c’è da dire che questo corto è veramente canonico nella realizzazione e, fatto salvo il nome del regista, non ha particolari motivi di interesse. (poi lo so che sono io, ma non riesco più a pensare ad un film muto ambientato nel deserto senza che mi venga in mente “Il vento”).

martedì 10 gennaio 2012

Viaggio nella luna - Georges Méliès (1902)

(Le voyage dans la lune)

Visto in DVD. I film sono stati inventati da Griffith, che ne inventò il linguaggio, ne capì il potenziale emotivo e di racconto e realizzò “Nascita di una nazione”. A livello tecnico è stato inventato dai fratelli Lumière che si sono occupati dell’idea alla base, ma anche da Dwan che creò i sistemi per rendere nella pratica quotidiana quelli che sono gli ormai consueti sistemi di comunicazione di un film.

Méliès dal canto suo non invento moltissimo. Però ebbe un’altra idea determinate. Decise che il cinema era intrattenimento e creò la fiction, il racconto di fantasia, un susseguirsi di immagini utili a raccontare una storia di fantasia più che a impressionare per il solo fatto di essere state realizzate.

Questo viaggio dalla terra alla luna è il suo film più celebre, conosciuto da molti, citato da alcuni (addirittuare “Tonight tonight” degli Smashing Pumpkins) e mostra semplicemente quanto fosse già avanti il cinema di Méliès nel 1902. Oltre all’assenza di unità di luogo e all’idea del racconto di fiction (anzi di fantascienza nello specifico), in questo film si vedono degli esempi di effetti speciali prettamente cinematografici che dureranno fino all’avvento della computer grafica; effetti notevoli (come la scomparsa dei seleniti in nuvole di fumo, la trasformazione degli oggetti, le sovrapposizioni di immagini, ecc…) che si integrano con l’utilizzo di idee e stilemi del vaudeville dell’epoca. Un film di cui non si può parlare ne bene ne male, fa solo parte della base da cui tutto e partito e di cui Méliès ha rappresentato il meglio.

C’è pure da considerare che quando venne realizzato questo corto il cinema non era stato inventato neanche da un decennio.

Tutti i film di Méliès sono ormai senza copyright e alcuni sono visibili su youtube.

lunedì 9 gennaio 2012

Rischiose abitudini - Stephen Frears (1990)

(The grifters)

Visto in tv.

Questo è un film che ho praticamente guardato di spalle (stavo facendo altro)… in ogni caso ne parlo perché il finale (che ho guardato bene!) mi ha davvero colpito.

John Cusack è un piccolo truffatore che si guadagna da vivere usando le regole imparate da vecchio, pragmatiche, sagge e da vero gentleman. Lui sta con un’inquietantemente giovane, bella e disponibile Annette Bening che si procaccia da vivere allo stesso modo, ma in maniera decisamente più sfacciata, avara e gelida del moroso. La madre di Cusack (una Anjelica Huston che tutti nel film definiscono giovane e bella… beh, mi permetto di dissentire) lavora, con una botta di originalità, per un boss, lei gli piazza delle scommesse farlocche nelle corse dei cavalli pilotate per abbassare le quotazioni; ovviamente non resiste alla tentazione di fregargli dei soldi. I tre si incontreranno quando il povero John finisce all’ospedale, le due donne si odiano e i rapporti fra i tre collidono. Poi la Huston se ne va. Quando la Bening offre a John Cusack un colpo enorme, pericoloso, ma apparentemente facile, Cusack sente puzza di fregatura (si sa che tra truffatori ci si truffa sempre l’un l’altro, cosa che viene anche detta apertamente in questo film), torna dalla mamma per chiedere aiuto, ma le due donne si incontreranno prima… e poi il destino si muoverà in maniera inesorabile…

Ovviamente questo è noir, non importa il fatto che si tratti di un film di truffe è un noir, c’è tutto… Però è anche un film sulle relazioni famigliari. La vera idea originale è il rapporto con la madre, l’essere truffatori è tutto in dipendenza dei rapporti madre-figlio, e viceversa i rapporti famigliari vengono subordinati alle attività criminali e all’avidità che ne sta alla base.
Detto ciò non intendo dilungarmi troppo sulla regia (m’è parsa buona), la fotografia (credo pregevole anche se terribilmente “inizio anni ‘90”) o il ritmo (che invece mi è sembrato leggermente troppo lento, ma giusto un pelo); dicevo che non intendo dilungar mici perché in definitiva non l’ho seguito abbastanza bene…
Fosse solo un discorso di truffe incrociate non avrebbe particolare appeal rispetto a molte altre pellicole sull'argomento...

SPOILER ALERT
Quello su cui voglio soffermarmi è il finale. Anjelica Huston uccide Annette Bening, le spara in faccia e finge di essere lei a essersi uccisa (scambiando il corpo sexy della appena trentenne Bening con il proprio, oppresso e consunto, corpo da cinquantenne… anche se all’epoca aveva quarantanni, ma ne dimostrava ben di più) così da depistare il boss che la sta cercando per l’ammanco di denaro di cui si è accorto. John Cusack deve riconoscere il cadavere; si rende conto dello scambio, ma sta al gioco; tornato a casa torva la madre che lo sta derubando. Dopo un breve dialogo i due hanno una colluttazione minima e Cusack rimane accidentalmente ferito con un vetro (non ferito nel senso “Buon Dio! Mi si è spezzata un’unghia”, ma ferito nel senso “Buon Dio! Mi si sono spezzate le carotidi”), la Huston si rende conto d’aver ucciso il figlio e scoppia in lacrime… ma mentre Cusack agonizza lei, sempre piangendo, prende i soldi e se ne va… finalone col botto, molto noir, che mostra come i rapporti famigliari siano del tutto subordinati alla propria fame di denaro, no perché prima di uccidere il figlio tentarà di sedurlo convincendolo di non essere realmente sua madre... Che arrivino ad ammazzarsi lo si intuisce fin dall'inizio, ma se lei l'avesse ucciso sarebbe stata solo una persona "cattiva" e disposta a tutto pur di appagare il suo egoismo, ma in questo modo, un incidente involontario e lei, affranta, che fugge con i soldi del figlio è lei stessa vittima della sua dipendenza dai soldi, una persona disperata che fa violenza a se stessa prima che agli altri. Un finale torbido, tetro e disperato come pochi altri... La potenza di questi pochi minuti è grandiosa. Bravi tutti.

PS: carrellata di caratteristi di livello nelle retrovie.

venerdì 6 gennaio 2012

La terra - Aleksandr Dovzhenko (1930)

(Zemlya)

Visto in Dvx.
Film muto, nonostante l’anno di uscita, presentato nel '32 alla prima mostra del cinema di Venezia.
La storia è l’avvento della tecnologia (il trattore) in una campagna russa, l’avvento di una nuova possibilità per i giovani contadini osteggiata dalla chiusura mentale dei vecchi, ma ancora di più, dal potere costituito (in due parole, borghesi e preti).
Il film inizia con una venerazione commossa e amorevole della natura alla maniera di Olmi (anche se molto più sentimentale e con una costruzione delle inquadrature più impostata) per poi giungera alla glorificazione del progresso mostrato in ogni dettaglio, vero leit motiv del cinema sovietico.

I motivi di interesse per vedere questo film sono diversi, dalle inquadrature ben realizzate, al montaggio usato da dio (alla Eisenstein, ma anche frenetico per dare il senso della velocità e della potenza, ma anche il montaggio in avvicinamento in sostituzione delle zoom, ecc…). Un finale ben costruito con i cattivi che impazziscono, i buoni che cantano, donne che partoriscono, un prete che lancia maledizioni il tutto in un unico susseguirsi di stacchi rapidissimi… infine ci sono uomini che pisciano nel radiatore di un trattore… cos’altro si può chiedere ad un film muto?

giovedì 5 gennaio 2012

Getting any? - Takeshi Kitano (1994)

(Minnâ-yatteruka!)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.Un uomo vuole rimorchiare delle donne e ritiene che il segreto sia possedere un’auto, non importa quale-come-dove, basta avere un’auto. Da qui parte un film che tocca ogni genere cinematografico senza soluzione di continuità finendo con un uomo-mosca gigante che va a mangiare una mega cacca…

Questo alla sua uscita è stato considerato il suicidio artistico di Kitano, poco prima dell’incidente che ne segnerà la vita e la faccia. Di fatto, a distanza di quasi un ventennio si può dire che il film contiene la vena comico/surreale che è propria di Kitano. Difficile non notare come la sua recente trilogia sul fare film sia sostanzialmente una versione migliorata e patinati di questo Getting Any?

Kitano stesso all’uscita del film disse che era un tentativo di insultare il cinema e la cosa si vede a mano a mano che il film accumula citazioni e battute idiote fino al finalone fatto di cacca e un kajiu che è figlio de “La mosca” di Cronenberg. Nella parte iniziale però, quella meno citazionista, quella iniziale sui tentativi del protagonista di portarsi a letto le donne comprando una macchina, il film fa ridere, è decisamente divertente quanto può esserlo un film comico demenziale.
In sostanza questo è un bignami del cinema che a Kitano piaceva (per lo più giapponese, dalla Yakuza ai film di fantascienza, e c’è pure Zatoichi!; ma ci sono pure piccole citazioni made in USA come “La mosca” o i “Ghostbusters”), messo sotto spirito e venuto decisamente male… probabilmente quando Kitano finisce le idee comincia a sbrodolare… alla fine è solo un film su un tizio che vuole fare sesso.

mercoledì 4 gennaio 2012

Frank Costello faccia d'angelo - Jean-Pierre Melville (1967)

(Le samouraï)

Visto in DVD. Frank Costello (Jef nella versione originale), solitario killer, uccide, su commissione, il padrone di un night. Si trova così ad essere braccato da ogni parte. La polizia, in particolare l'ispettore non crede al suo alibi, meticolosamente preparato, e cerca in ogni modo di intrappolarlo. I mandanti dell'omicidio, temendo che le indagini possano arrivare sino a loro, lo vogliono eliminare. Sarà lui l'arbitro del proprio destino.
Bisogna ringraziare wikipedia per la precisione millimetrica nella descrizione della trama...

Film estetico più che dinamico, tutto è giocato su linee nette, colori precisi (i surreali interni color grigio-azzurro asettico) e distacco completo. Tutto è preciso, duro e gelido, un noir senza parole, perché le parole non servono a descrivere nulla, quasi non recitato, perché i volti non devono descrivere nulla. Tutta la comunicazione è lasciata alle scene. Su tutto regna la figura eremitica di Alain Delon che, senza muovere mai un muscolo del viso, ruba, uccide e fugge sembrando sempre incredibilmente cool.

martedì 3 gennaio 2012

The disappearance of Alice Creed - J Blakeson (2009)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una coppia di criminali ben organizzati, ma alle prima armi, rapiscono una giovane ereditiera per estorcer denaro al padre. Il piano è congegnato nei dettagli, ma in definitiva sfugge loro il fattore umano e le cose non andranno come previsto.

Ancora un film di rapimenti, ma qui non ci sono famiglie disfunzionali come in Loved ones o 5051. Questo è un rapimento professionale fatto per scopi canonici… il problema è che il film, dopo circa mezzora, cambia genere, instaura di fatto un triangolo amoroso tra i due rapitori e la rapita (in cui anche il water ha una sua parte, non importante, ma reiterata) che presto sfocia nel degenero e il film cambia nuovamente divenendo un gioco al massacro dove tutti cercano di fregare tutti. Il film azzecca pure il finale migliore (che in questi film è sempre quello più negativo possibile)… poi però c’è un rigurgito di buonismo, qualcuno si salva ed il finale da chiuso e definitivo si fa aperto…

La regia confeziona un film impeccabile nella confezione (come anche gli altri film di genere visti di recente) che azzecca diversi momenti encomiabili. Bastano i primi 10 minuti in cui tutto viene predisposto, organizzato ed il rapimento viene effettuato, il tutto senza che venga detta neppure una parola.

Per carità la confezione non è che il giusto incartamento, qui quello che vince è una storia più torbida di quanto non sia la messa in scena, con continui cambi e colpi di scena totalmente non prevedibili. Si soffre assieme ai protagonisti, anche quando si tifa contro.

PS: e poi un film con un cast totale di 3 persone val sempre la pena di essere visto...

lunedì 2 gennaio 2012

C'eravamo tanto amati - Ettore Scola (1974)

(Id.)

Visto in tv. La storia di tre amici (Manfredi, Satta Flores e Gassman) dai felici giorni della resistenza fino agli anni ’70, le strade divise e costantemente riunitesi, la politica, il lavoro, i cambiamenti sociali e l’amore sempre per la stesa donna (la Sandrelli).

Sono un giannizzero di questo film che considero il più bello (a livello di regia) che sia mai stato fatto in Italia fino all’arrivo di Sorrentino. Quindi mi metto subito e dirne i lati negativi. Certamente la scrittura non è il punto di forza; i personaggi, seppure ben distinti e caratterizzati, sono molto superficiali e sciocchi; gli eventi non sono ben mostrati e, soprattutto, ogni cosa è mostrata con il filtro dell’ideologia che identifica con il denaro la morte spirituale e con la povertà l’unico vero sistema di rimanere onesti di fronte a se stessi...

Ma anche di fronte a queste evidenti pecche il film rimane un’opera larger than life. In questo film sono condensate tutte le turbolenze che dal dopo guerra si sono mosse in italia. Le lotte politiche, il boom economico, i vizi e le frodi dell’epoca e i vizi e le frodi che da allora ci accompagnano (significativamente profetico Gassman quando con Aldo Fabrizi si lamenta della conduzione dell’azienda, dicendo che non si può andare avanti con la bustarella all’assessore, ma bisogna pilotare i piani edilizi, avere contatti con la politica e farsi quotare in borsa), la storia del cinema di quel periodo (le duemila citazioni splendidamente sparse, come quella sfacciata e anche quella nascosta de "L'eclisse" di Antonioni e i reiterati camei di Fellini, Mastroianni, De Sica o la partecipazione come attore dello stesso Aldo Fabrizi ed Elena Fabrizi), le abitudini le manie ed i sogni dell’epoca. Il tutto viene mostrato e mischiato tanto da non esserci una differenza quando parla della vita o del cinema.

Il film poi riesce a far ridere quando deve, mentre si costella di diverse sequenze strappalacrime fatte da dio, come le foto della Sandrelli in lacrime in Piazza di Spagna, la canzone dei partigiani continuamente suonata/cantata, ecc… davvero i momenti da ricordare sono troppi.

Infine il motivo per cui l’ho sempre amato, Scola fa di tutto, fa di tutto, fa parlare i morti, sfrutta B/N e colori, utilizza le musiche, muove la macchina da presa con dolly enormi e sfrutta gli stilemi teatrali (i pensieri detti ad alta voce dai personaggi è un’idea fantastica, perché viene prima spiegata, poi utilizzata per finta nel film e solo dopo Scola la utilizza come tecnica reale… beh bisogna vederlo per capire) arrivando addirittura far recitare una lettera dalla donna che l’ha scritto, un sistema che all’epoca utilizzava solo Bergman (successivamente, per quanto ne so, solo Scorsese). Fantastico.