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mercoledì 17 aprile 2019

Summer of Sam. Panico a New York - Spike Lee (1999)

(Summer of Sam)

Visto in DVD.

NEstate del 1977 un serial killer uccide le coppiette appartate in un quartiere italoamericano di New York. Mentre la comunità si mobilita per trovare il colpevole, si intrecciano le vite di un uomo sposato che non riesce a non tradire sua moglie, un ragazzo appena convertito al punk che lavora in un locale gay per mantenersi e il gruppo di amici che gira intorno a loro.

Per la prima volta Spike Lee abbandona gli afroamericano, ma solo per dedicarsi completamente al secondo leit motiv della sua carriera, gli italo-americani.
La storia del serial killer è solo un MacGuffin per giustificare lo stato di paranoia che sfocerà nel finale, ma quello che interessa al regista è mostrare un mondo legato a una mentalità arcaica, l'effetto del gruppo, l'ansia di sdoganarsi dal vecchio e la paura che si crea quando sic erca di farlo. Di fatto, vuole solo raccontare una storia di italo-americani.
Ecco... il problema di Spike Lee spesso sono le sceneggiature troppo dispersive, le storie corali dove molti dei personaggi sono inutili, la ricchezza di dettagli che non servono a nulla, non rendono tridimensionale un mondo, ma riescono invece a rallentare la trama. Ecco, tutti questi difetti sono concentrati in questo film.
Efficace invece la ricostruzione storica e splendidamente utilizzate le musiche più ovvie per sottolineare quel periodo.

Per la regia c'è tutto ml'armamentario standard di Lee (piani sequenza, inserti post-moderni di sequenze in mezzo a un dialogo, macchina da presa mobile, ecc...) quello che manca è il ritmo sincopato di molte sue opere precedenti (e forse anche una certa cura per le immagini che ha sempre avuto) che in questo film, ipertrofico e lungo, sarebbe stato necessario per rendere il prodotto più digeribile.
Bravissimi Leguizamo e la Sorvino, meno Brody, il resto del cast vivacchia.

PS: smaccate, ma calzanti, le citazioni de "La città nuda" e  "Strada sbarrata".

lunedì 20 marzo 2017

Man on the moon - Miloš Forman (1999)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

La vita di Andy Kaufman dalla sua scoperta da parte del suo futuro impresario in un cabaret di provincia fino alla morte, ritenuta da tutti il suo ennesimo scherzo.

Personalmente non ho passione per i biopic perché spesso riducono la vita a una galleria di fatti salienti disgiunti, ma tutti che contengono in nuce la dote fondamentale di quel personaggio (a esempio se è un cantante fin da bambino ha questa passione per la musica, o un orecchio particolarmente portato o qualche altro fatto inerente), riducendo tutto a una sorta di predestinazione (come se tutto fosse deciso e non ci fosse necessità di nessuno sforzo da parte del protagonista); spesso senza riuscire a far capire davvero cos'ha rappresentato.
Questo film non esce dal tracciato. E in un racconto fatto d'episodi non si fa mancare nulla, un occhio rapido sull'infanzia dove già si capisce chi è Kaufman, gli esordi complicati, il successo, l'amore e la morte.
Il film è comunque ben girato, ben condotto, il ritmo giusto e tutto funziona alla perfezione. Gli attori sono sul pezzo; Carrey gigioneggia quanto vuole, tanto Kaufman faceva pure di peggio (ottimo il lavoro dei doppiatori italiani, ma la lingua originale la spunta comunque, riuscendo a essere più ficcante).
Il film però riesce a interessare oltre la media dei suoi simili per la storia. Per quanto ogni biopic è un film che vive solo per la trama raccontata più che per la forma, in questo caso la totale ignoranza nei confronti del personaggio e la sua estrema particolarità ne fanno il motivo principale per interessarsi al film  (anche l'unico volendo). Se anziché realizzare un biopic ne avessero tratto un film di pura finzione (senza quindi essere obbligati a mostrarne il genio, le rapide tappe i semi del suo futuro nel suo passato i colpi di genio improvvisi) sarebbe potuto venirne fuori qualcosa di grandioso. Fosse stato un prodotto televisivo sarebbe stato fenomenale.

lunedì 6 luglio 2015

Rosetta - Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne (1999)

(Id.)

Visto in Dvx.

Una ragazza figlia di un'alcolista e senza padre vive in un campeggio; licenziata da una fabbrica per riduzione del personale cerca disperatamente un lavoro; ma è un personaggio integerrimo, lo vuole regolare, nel frattempo cerca di sopravvivere con lavori provvisori.

Cosa succede se si mette il Dogma in mano a due documentaristi? Un film iperrealista per messa in scena e per trama (di fatto non succede nulla per tutto il film è solo il constante pedinamento della protagonista che cerca di tirare a campare) che pur sfruttando il sistema più abusato dagli autori europei che vogliono fare gli autori (appunto la camera mano e il pedinamento... si veda un più recente Mungiu), ma completamente scevro da ogni intellettualismo, serio, granitico, duro e sentimentale. Quel che vien fuori è un film sociale alla maniera inglese (la serietà inverosimile della ragazza mi ha ricordato Ken Loach e l'approccio distaccato, ma sentimentale anche Leigh), che empatizza subito, esalta le performance degli attori e permette di seguire con ritmo e stile una storia priva di trama o di fascino; e quando vengono mostrate scene banali di vita quotidiana, tutto risulta fradicio di sentimenti anche se inespressi; e quando arrivano i colpi bassi l'effetto è duro il doppio; e quando il finale, a cavallo fra il tragico e il consolatorio, finisce all'improvviso senza dare risposte, beh si è comunque d'accordo con i registi.
Se De Sica fosse un regista contemporaneo il suo neorealismo sarebbe fatto così.

Di fatto i fratelli Dardenne non inventano niente, ma riutilizzano benissimo una tecnica stanca che fino a quel momento aveva permesso di creare (capolavori quando si era fortunati, ma anche) film intellettualmente segaioli.

mercoledì 20 maggio 2015

Bakha satang - Lee Chang Dong (1999)

(Id. AKA Peppermint candy)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un uomo si suicida durante un picnic organizzato per il ventennale della sua classe. Il film è composto da ampi segmenti che mostrano la vita di quell'uomo, ma vengono montati a ritroso fino a tornare proprio a quello stesso luogo del suo suicidio, ma venti anni prima.
Il film è composto da lunghe sequenze che mostrano la vita del protagonista in vari momenti della sua vita, ma sono montate a ritroso.
Si certo, come in "Memento", ma meno frenetico (e con un anno d'anticipo); chiaramente con meno motivi per poterlo fare. Eppure l'operazione riesce, non soltanto il senso invertito da più ritmo ad una storia che sarebbe altrimenti piuttosto ovvia, ma riesce anche a giocare con il pubblico, introducendo oggetti all'inizio del film (che è, in realtà la fine della vicenda) che sembrano all'apparenza banali o dall'oscuro significato, ma che vengono chiariti e resi densi di senso nel finale, facendo riconsiderare in toto quanto avvenuto; qualcosa di molto più simile a "500 giorni insieme".
Le caramelle del titolo, così come la macchina fotografica diventano veicoli di sentimenti in maniera maggiore che in un film tradizionale.
Il finale in cui si vede il protagonista ventenne andare nel luogo dove si suiciderà e sentirgli dire che pur non essendoci mai stato è come se conoscesse quel luogo è da applausi. Il magone che viene andando a ritroso e vedendo in che modo una vita piena di speranza è finita malissimo è perfettamente riuscito.
Non un film impeccabile, ma un'idea ben utilizzata che verrà riutilizzata in seguito con fortune alterne.

venerdì 28 novembre 2014

Al di là della vita - Martin Scorsese (1999)

(Bringing out the dead)

Visto in tv.

Tre giorni nella vita di un paramedico distrutto da sei mesi di lavoro senza successo; immancabilmente chi soccorre muore, per sfiga o per destino. Questo periodo nero (che si riflette sulla sua salute mentale e sulla sua capacità di dormire) nasce dalla morte di una ragazza, causata dalla sua incapacità nell'intubarla correttamente (per tre volte). Ora lo spirito di questa ragazza lo perseguita (niente di gotico eh, il discorso va inteso in senso morale). L'unico che riesce a salvare è l'anziano padre di una ragazza che sarebbe stato meglio lasciar morire. Alla fine di questi tre giorni arriverà la tanto agognata pace.

Film incredibile; il mio preferito nella filmografia di Scorsese... e considerando che Scorsese è uno dei più grandi registi di sempre direi che è uno dei miei film preferiti in assoluto. Incredibile anche la sua disponibilità quasi nulla; non più distribuito in DVD, addirittura difficile da rintracciare su internet, ultimo passaggio televisivo in Italia circa un decennio fa... ritrovarmelo in prima serata su RaiTre è stato un regalo inaspettato.

Detto ciò il film si pregia di riunire di nuovo la coppia Scorsese Schrader e si vede. Ambientato nella New York d'inizio anni '90 (una New York più dura di oggi, ancora simbolo di malavita generalizzata prima dell'intervento di Giuliani) i due mettono in scena una classica storia di colpa e di redenzione; di senso di colpa che perseguita e distrugge. Una trama condotta a ritmo di tre, tre nottate di lavoro (con relativi, brevi, giorni), tre colleghi di lavoro diversi (che si rapportano con un lavoro al limite in maniera molto diversa, con la volontà di fare carriera, con la fede in Dio e facendosi contagiare dalla follia generalizzata), tre possibilità di riabilitazione salvando delle vite.
Incredibile poi che con una trama del genere ci sia posto per un umorismo (nero) bestiale (tutte le scene introduttive al Pronto soccorso non fantastiche).

E poi c'è Scorsese...
Scorsese mette in campo tutto sé stesso; i movimenti di macchina (mai così agitata), la musica rock (mai così stordente) e la cura per la fotografia (colori acidi, luci ed ombre crude per le scene in notturna, luci incredibili e filtri che ammorbidiscono le immagini per la scena finale che incornicia una versione della Pietà di senso opposto a quella michelangiolesca) sono quelle che già si conoscono; qui però ci aggiunge un gusto più stoniano nella messa in scena (non a caso alla fotografia c'è Richardson), con accelerazioni, alcune sequenze con un montaggio delle attrazioni, una sequenza onirica centrale piuttosto in acido ed un personaggio distrutto e perso oltre ogni dire (molto più fuori, più strano, del povero matto-perdente di "Taxi Driver"). La cura per le immagini e la voice off di un personaggio allucinato in certi momenti mi ha ricordato le parti più serie di "Paura e delirio a Las Vegas"... ma qui probabilmente esagero io a trovare punti di contatto fra film che amo.

E oltre a tutto questo c'è ancora molto altro; a livello di contenuti il film butta sul fuoco decine di idee e concetti di perdizione e tentativi di uscirne (o di farne parte del tutto). A livello del cast ci si trova davanti ad uno dei Nicolas Cage più credibili di sempre e tra i comprimari non intendo citare nessuno perché sono tutti grandiosi e non sarebbe corretto farne una classifica.

...per le scelte di regia ci sarebbero ancora decine di idee enormi, a volte geniali (il flashback sulla morte della ragazza reso straniante con movimenti meccanici dei personaggi e la neve che sale in cielo facendo recitare gli attori a ritroso e poi avendolo messo nel film in reverse... va visto per capire cosa intendo), a volte poetiche (Cage che tira i fantasmi fuori dalla strada), a volte neppure utili (le tre inquadrature del primo piano della Arquette prese in tre punti ortogonali in sequenza rapida mentre parla in Pronto soccorso), ma splendidi colpi di pennello la cui assenza non sarebbe stata notata, ma la cui presenza dà un impatto enorme.

Di fatto un film larger than life terribilmente sottovalutato che chiude quello che è stato il decennio (volendo il decennio lungo) più interessante di Scorsese. Merita almeno due visioni per poterlo comprendere meglio; è un film che può piacere fin da subito o può crescere a distanza di tempo.
Poi c'è l'ovvia possibilità che annoi e basta... che devo dire, mi spiace davvero per quelle persone che non riusciranno ad apprezzarlo.

venerdì 6 dicembre 2013

The mission - Johnnie To (1999)

(Cheung fo)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo di criminali viene assoldato per difendere un boss locale da una serie di attentai omicidi. Riusciranno a salvargli la vita in diverse occasioni e a scoprire chi e perché sta cercando di farlo fuori… ma proprio quando tutto sembra essersi concluso il boss incarica uno dei criminale per ucciderne un altro per avergli tampinato la moglie. Si formerà un gioco ad inseguirsi in cui il gruppo si sfalderà per ricomporsi nuovamente.

C’è tutto il Johnnie To che consociamo dall'ambiente metropolitano all'amicizia virile, dalle sparatorie ad alta tensione alle (continue) scene attorno ad una tavola. C’è tutto, ma è tutto un poco sottotono.

La storia è fantastica, ma è un poco lasciata a se stessa, i rapporti fra i personaggi vengono detti più che essere suggeriti dai fatti e chi guarda deve solo fidarsi. Le scene di convivialità o di intermezzo sono quantomeno poco sfruttate. Il vero punto di forza (come sempre in To) sono le sparatorie. Niente di enorme, ma le diverse scene all'interno del centro commerciale sono un buon motivo per guardarsi il film.

giovedì 29 dicembre 2011

Muertos de risa - Alex de la Iglesia (1999)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.
Un duo comico si forma per caso e ancor più per caso raggiunge il successo. Dei due il più spontaneamente comico non è in realtà interessato all’arte di far ridere, scatenando le invidie dell’altro; il primo dei due poi sarà a sua volta scontento per la parte che dovrà interpretare. Le piccole invidie dei due cresceranno negli anni, diverranno patologiche, avveleneranno la vita di entrambi fino alla conclusione… che è in realtà l’inizio.

Film di De la Iglesia che spinge sul grottesco in maniera invidiabile, con una coppia di personaggi sfigati e tristi anche durante la loro maggior fortuna e che si rovinerà per la mancanza di dialogo fra loro… però per il resto manca tutto. Si il grottesco è una componente sostanziale del regista spagnolo, così come l’eccesso visivo che in qualche punto c’è, ma sono proprio i personaggi a non rendere per nulla. Non c’è mai una reale cattiveria, non c’è mai un reale traino: il punto di forza dei suoi film più riusciti è calare brutti persone in ambienti ancora più brutti e far vincere il personaggio negativo che meglio riesce a muoversi. Qui tutta questa componente viene a mancare e si assiste, divertiti (ma neanche troppo), alla discesa verso il basso di due perdenti… niente di che.

giovedì 29 settembre 2011

Bleeder - Nicolas Winding Refn (1999)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.
Un uomo frequenta tre amici con cui condivide la passione per i film, nel frattempo scopre di aspettare un bambino (ovviamente la sua ragazza non lui). Le cose iniziano lentamente a degenerare, lui si sente sempre più frustrato e sotto pressione, conteso fra una richiesta di responsabilità che non vuole, il fratello di lei che lo minaccia piuttosto apertamente e gli insuccessi, o le incapacità, dei suoi amici che sono i riflessi delle sue o le alternative che non ha.

A metà strada fra Pusher e Fear X, Refn sforna un film che stilisticamente è molto debitore dalla sua opera prima (con una fotografia e un’ambientazione molto più luminosa) con solo qualche breve avvisaglia di quello che verrà dopo (quel fade to red di alcune scene sembra essere stato rielaborato proprio per il film con Turturro); il tutto però viene declinato in maniera molto diversa (almeno nella prima metà), l’incipit è uno stupendo esempio di post-moderno (con la presentazione dei personaggi), poi c’è una sequenza dentro la videoteca che sembra presa da Clerks; poi arrivano piccoli scoppi di violenza (sono pochi e tutto sommato contenuti… eppure colpiscono tantissimo) fino alla deriva finale con le scene di due “omicidi” che si iscrivono fra i più crudeli di sempre, anche se non viene mostrato nulla. Quello che colpisce è l’idea dell’omicidio e la banalità con cui questo è mostrato.

Detto ciò il film non ha la forza e il dinamismo del prima, ne la perfezione formale del terzo; rimane un film godibile, ma non mi ha entusiasmato.

sabato 23 aprile 2011

La lettera - Manoel de Oliveira (1999)

(La lettre)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.
Una ragazza di buona famiglia borghese è circuita da un ragazzo, ma sposa un gentile medico pieno di soldi, però poi si innamora di un cantante portoghese (Pedro Abrunhosa!! Una sorta di Ligabue portoghese pelato e che non si toglie mai gli occhiali da sole! agevolo una canzone) e vuoi che non abbia crisi di coscienza che non si concretizzano mai in niente, se non in lunghi cicalecci sui massimi sistemi…
La lettera (la felicità di una ragazza sta nel marito che sposa).

Camera fissa senza idee, messa in scena nella media, senza immagine costruite in maniera seria o una fotografia curata, un modo di raccontare lento, non per forza noioso, ma si sente che la trama è sempre in salita; addirittura gli attori risultano poco credibili, sforzati (e non solo i neo arrivati, ma anche chi ha più esperienza) e come nei film di Dreyer si guardano l’un l’altro a fatica (anche Oliveira è dell’idea di togliere i sentimenti per non distrarre lo spettatore, ma non ha le trame e la capacità e il gusto della messa ins cena di un Dreyer o un Bresson). Un modo di fare cinema inutile, monotono e monocorde che non dice nulla con le immagini e lascia tutto alle parole. L’altro problema è propiro li, i film di Oliveira sono parlatissimi, ma i discorsi che vengono fatti sono scontati e tracotanti, ricchi di pensieri enormi e massimi sistemi detti, tralaltro, in maniera banale e seriosa come se fossero una verità rivelata; e questo quando non cadono proprio nell’idiota e nel ridicolo. Un modo di fare cinema vecchio, incancrenito e francamente inutile. L’unica speranza in un film di Oliveira è che la storia sia buona… e in questo caso specifico neppure quella si salva, anche la storia infatti è vecchia (con perle come la felicità di una ragazza sta nel marito che sposa…)

Facile accusare Oliveira d’essere vecchio visto che l’anagrafe è impietosa, ma in questo caso ci sono tutte le ragioni per farlo, tanto più che, quint’essenza dell’età, in questo film ci sono pure i cartelli che spiegano quanto accade nelle scene che non vengono mostrate. Se poi penso che un ottantessne Alain Resnais riesce a realizzare un film fresco e originale come “Cuori”, senza concedere nulla al mainstream allora è evidente che è Oliveira ad avere un problema.

sabato 19 marzo 2011

La strada verso casa - Yimou Zhang (1999)

(Wu de fu qin mu qin)

Visto in DVD.
Un uomo torna al villaggio natale per la morte del padre, vecchio maestro del posto, e deve cercare di mediare alle richieste della madre per un funerale tradizionale. Nel mentre racconterà la storia d’amore dei due genitori e della vita del padre dedicata all’insegnamento.

Zhang Yimou vira verso una sorta di neorealismo alla cinese, che non rinuncia affatto al sentimento, anzi, che si accompagna con una storia d’amore semplice dai sentimenti delicati, che si racconta con calma, con molti silenzi più che con le parole. Tutte le emozioni passano allo spettatore ed il film, pur essendo molto consueto, funziona e attrae.

Il regista però non rinuncia ad alcune idee di messa in scena, come un uso accorto del colore (mai violento, ma sempre preciso) e con l’uso del bianco e nero per gli episodi ambientati ai giorni nostri.

Le accuse di servilismo verso la dittatura comunista cinese (mi pare che questo sia il film che ha segnato definitivamente il sodalizio Zhang Yimou/regime) mi pare un poco pretestuoso, certo il regista realizza film in Cina con soldi cinesi, e pertanto sottostà alle indicazioni generali, ma il prodotto è totalmente indipendente e non si priva di alcune (lievi) frecciatine vero la rivoluzione culturale, oltre alla rappresentazione di una Cina affogata nell’arretratezza… si insomma, più di quanto abbia fatto Eisenstein in certi film o la Riefenstahl in qualunque suo film.

venerdì 24 dicembre 2010

The king of comedy - Stephen Chow, Lik-Chi Lee (1999)

(Hei kek ji wong)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Stephen Chow prima di esplodere ed avere un sacco di soldi per gli effetti speciale era già Stephen Chow.
In questo film del 1999, di stampo praticamente neorealista se paragonato alle sue recenti sparate, mette in campo tutto quello che ci sarà dopo; comicità efficace, gag slapstick (ci sono calci da cartone animato anche qui), personaggi semplici e quasi caricaturali, e poi il calssico intreccio dei buoni sopraffatti dai cattivi che però alla fine perdono (che qui è particolarmente strappalacrime, ma per fortuna non toglie niente al resto del film, o non troppo almeno).
Se il film nel complesso funziona con battute che fanno realmente scoppiare a ridere (la mia preferita è tutta la sequenza in cui Chow deve insegnare ad un nerd a chiedere il pizzo) è innegabile l'inadeguatezza dell'insieme in cui viene buttata troppa carne al fuoco, riuscendo soltanto a rendere tortuosa e assurda la trama (a cosa serve la storia dell'infiltrato nel finale?). Di positivo c'è però tutto un discorso dissacrante sul tipo di film (per buona parte questo è un film metacinematografico) d'azione hongkongesi con wire-fu e tripudi di colombe.

PS: cameo di Jackie Chan che personalmente intendo come passaggio di testimone. Ecco adesso ricomincio a piangere.

domenica 14 novembre 2010

eXistenZ - David Cronenberg (1999)

(Id.)

Registrato dalla tv.

Visto quant'è intricata la trama passo subito la parola al mio amico d'infanzia mymovies.

Detto ciò, credo vada sottolineato il momento in cui il film è stato realizzato. Se "Spider" rappresenta per Cronenberg il punto di svolta, il giro di boa oltre al quale cambierà decisamente il suo modo di fare cinema pur mantenendo sostanzialmente inalterate le tematiche fondamentali (un cambiamento coraggioso, che, dati i risultati, denota la grandezza creativa del regista canadese); questo eXistenZ rappresenta la quintessenza del suo cinema fino a quel punto.

Certo il film è un gingillo lucido lucido, edulcorato rispetto alle opere precedenti, ruffiano qb, non eccessivamente destabilizzante, anzi rassicurante il giusto perchè sia gradito al grande pubblico; eppure dentro ci sono tutti i film precedenti, tutte le ossessioni del regista, tutti i temi trattati. Infatti il film parla di mutazione del corpo; di rapporti tra organico e inorganico con la costruzione di macchine vive o fatte di elementi organici (su tutte vince la pistola fatta coi resti del pasto e in cui i proiettili sono fatti dal ponte dentario di Law); il sesso come costante, e tra l'altro il sesso visto di sbieco in un modo non convenzionale e non normale (per quanto possa essere un giocattolo mainstream c'è da dire che questo film presenta una scena in cui una donna penetra un uomo...); il rapporto tra realtà e finzione con la presentazione di più piani di realtà differenti di cui nessuno è il predominante (e questo credo che sia uno dei temi più importanti in questo film, l'assoluta impossibilità a stabilere quale delle molteplice realtà sia quella originaria, anzi forse la mancanza di unicità della realtà messa in scena con questo gioco a scatole cinesi); ecc...

Si insomma un bignami, un riassunto della sua carriera, così da poter poi ricominciare da zero.
Un esercizio di stile, non sono godibilissimo, ma realizzato da dio, con un cast all star (o quasi) degnissimo e una trama che è un gioco d'incastri senza soluzione. Personalmente un cult.

mercoledì 2 giugno 2010

Fantasia 2000 - Registi vari (1999)

(Id.)

Visto in VHS.

Il film è pervaso da quel senso di "come lo facciamo noi non lo fa mica nessuno". Per tutta l'ora e passa infatti i singoli episodi sono introdotti da vari personaggi (tra cui Angela Lansbury, il sogno erotico segreto di gran parte degli italiani) che non fanno altro che spiegari perchè la Disney è il meglio, e perchè "Fantasia" era il meglio, cercando quindi di farci pensare che anche questo film sia il meglio...
Il film, complessivamente fa schifo. Non ha la fantasia, il ritmo, l'accuratezza, la sensibilità e l'arte del primo... ah già, e nel frattempo ha perso pure in originalità e tecnica ovviamente.
In primo luogo la Disney non è in grado di lavorare in CGI, l'ha dimostrato col pessimo "Chiken little" più vecchio di 5 anni figuriamoci qui. Ci sono episodi in cui semplicemente non si integra con il disegno, come nello spezzone delle balene, altri dove è un vero e proprio pugno artificiale in un occhio, come nella storia del soldatino di latta (vera e propria fossa delle Marianne del film).
In altri momenti, come nell'episodio con Paperino, semplicemente scelgono la musica sbagliata, dura troppo poco e una storia che avrebbe meritato una durata superiore deve muoversi e risolversi in maniera più rilassata.
Alcuni pezzi sono invece proprio sbagliati alla base. La rapsodia in blu inizia da dio, utilizza un tratto anni '60 molto adatto e molto bello, ma semplicemente manca di idee decenti... come posso sentirmi coinvolto nella storia di un disoccupato il cui maggiore sogno è quello di lavorare in un cantiere? per carità, certamente è realistico, ma questo è un prodotto per bambini. In realtà è un insieme di storie che si incrociano, ma con questa scusa nessuna è trattata debitamente.
Infine vi sono momenti in cui le musiche e le immagini non si integrano... vero è che i ricordi, specie se d'infanzia modificano in meglio, ma mi pare proprio che nel film del 1940 queste cose non succedessero, o quantomeno, fossero contenute. Qui invece è un continuo sforzo perchè le cose non si muovano in maniera indipendente (sforzo inutile nell'episodio del soldatino di latta dove ognuno va per conto suo).
Unica nota di merito è l'episodio de fenicotteri. L'idea non sarà grandiosa, ma è disegnata bene e il sincronismo con la musica anche migliore; la storiella è in puro stile Disney, divertente senza aver bisogno di niente di più che una manciata di fenicotteri ed uno yo-yo.

sabato 6 marzo 2010

Holy smoke, fuoco sacro - Jane Campion (1999)

(Holy smoke)

Visto in VHS.

Una ragazza australiana durante un viaggio in India rimane affascinata da un santone locale e decide di unirsi alla sua setta. Per riportarla a casa i suoi genitori decidono di rivolgersi ad un deprogrammatore, che però subirà il fascino della ragazza.
Campion si distingue per non lasciare mai niente al caso. Ogni inquadratura è tutta indirizzata ad una rappresentazione estetizzante di ciò che viene mostrato; e quindi i colori e la fotografia in genere, la disposizione di attori e scenografie, la posizione della macchina da presa e i suoi movimenti sono tutti ragionati, e spesso molto utilizzati, non limitati allo stretto indispensabile. Mi viene da dire che la Campion è uno Scorsese al femminile (dico questo solo perchè Scorsese viene prima).
In questo film ci aggiunge pure qualche paesaggio australiano (che è sempre un bel vedere), la Winslet (che è sempre un bel vedere) e parecchia ironia (una vera novità; anche se c'è solo nella prima parte).
Il film funziona piuttosto bene per tutta la prima parte, ma presto comincia a perdere i pezzi, a diventare ripetitivo, proprio quando si scatenano le ossessioni dei protagonisti (l'ossessione è un po il leit motiv della carriera della Campion), e la storia si ripiega su scene madri sempre meno plausibili (inguardabile Keitel vestito da donna che passeggia per il deserto).
Un buon tentativo, con ottimi spunti, che però fallisce.

PS: il film si fregia della comparsata di Pam "mi ha salvata Tarantino" Grier, e delle chiappe di Keitel, che devono piacere non poco alla Campion, evidentemente.

sabato 30 gennaio 2010

Tabù, Gohatto - Nagisa Oshima (1999)

(Gohatto)

Visto in VHS.

In una milizia samurai entra un novizio piuttosto efebico e, a quanto pare affascinante; attorno a lui cominceranno a gravitare le attenzioni di tutti.
Il film è un tripudui di perfezione formale assoluto, niente manierismi ne esagerazioni per la regia di Oshima, mentre la fotografia rende magnifica ogni inquadratura.
La storia parte benissimo mostrando una sorta di Affinità elettive in cui l'aggiunta di un elemento nuovo scatena involontarie passioni e turbamenti in chiunque, senza possibilità di sfuggirvi (si veda l'ufficiale che deve accompagnare il novizio al bordello) e anche senza che ve ne sia la consapevolezza (si veda il personaggio dello stesso Kitano che si chiede se non ha un occhio diverso quando guarda la recluta) e tutto questo ovviamente avrà delle conseguenze, anche grosse. Il tema non è trattato in senso scandalistico, l'omosessualità non era considerata negativamente, purchè non creasse scompiglio, ma è proprio mostrato come l'introduzione di un dettaglio possa scombinare completamente le carte in tavole.
Nella parte finale poi il film si infittisce di significati, con il sommarsi di delitti e la ricerca di un colpevole che verrà svelato, ma che a sua volta nasconde altro, ancora una volta i sentimenti, le relazioni che si ritenevano esistere all'inizio del film sono esistite davvero? e chi si manteneva in disparte era davvero immune? chi ha agito in favore o contro di chi?
Il film si chiude con una immagine esteticamente splendida ma assolutamente ambigua. Magnifico.

PS: c'è bisogno di dire che c'è un grande Kitano?

venerdì 29 gennaio 2010

L'estate di Kikujiro - Takeshi Kitano (1999)

(Kikujirô no natsu)

Visto in DVD.

Masao bimbo allevato dalla nonna decide di mettersi alla ricerca della madre; nel farlo verrà presto affiancato da un'amico della nonna (ovviamente Kitano). Il film è, in pratica, l'album fotografico di quelle vacanze estive.
Questo è forse il film più lieve del regista più lieve in circolazione; la trama è praticamente nulla, eppure in quelle brevi sequenze di avvenimenti (ma anche brevi sequenze di nulla) si condensano sentimenti enormi; e come nello stile del regista giapponese il dramma più nero si fonde con la commedia più brillante. Questo è forse il film più solare e luminoso di Kitano, certamente è il più divertente, con più di un'occasione in cui non si può non scoppiare a ridere.
Splendido il personaggio interpretato da Takeshi stesso, mai così ciarliero e mai così arrogante, davvero un'idea magnifica.

Attenzione però non ci si trova di fronte ad una storia di formazione on the road, nessuno dei personaggi cresce minimamente dagli incontri fatti, nulla viene imparato, neppure ad accettarsi l'un l'altro visto che Kitano è tanto autoritario alla fine quanto all'inizio. Semplicemente la trama parla di persone buone (e la bontà può anche essere strettamente unita alla stupidità) che cercano di sopravvivere.
Un film innegabilmente positivo che però non cerca mai di consolare, ne cerca il buonismo, semplicemnte chi è buono lo è e può solo sperare di incontrare altri come lui, altrimenti dovrà fare da se.
Come al solito quando si parla di Kitano le immagini possiedono sempre una loro bellezza e ricercatezza indipendentemente da ciò che mostrano.
Non è il suo capolavoro, ma personalmente lo considero uno dei migliori.

PS: non ho parlato del finale perchè si può dire che sia quasi a sorpresa, per tutto il film si crede di vedere una storia, quando invece ci viene ne viene presentata un'altra, completamente diversa.