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lunedì 26 novembre 2012

La pirogue - Moussa Touré (2012)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso), in lingua originale sottotitolato.

Di fatto il vincitore di quest'anno, è il migliore di sempre ad aver vinto...
Il film è la storia di un pescatore che viene (controvoglia) assunto per portare una piroga dal Senegal alla Spagna con il suo carico di migranti.
Il variegato mondo umano che abita la piroga durante il viaggio della fortuna dovrà affrontare i limiti fisici del luogo, i limiti personali e gli incontri che faranno provocheranno non pochi problemi...
Il finale, non tragico, ma senza vittorie è il più asciutto e adatto che si potesse immaginare.

Di fatto il film meglio realizzato fra tutti quelli visti. Non avrà il coraggio d'osare (per tono e tema) di Taka takata e neppure l'innovazione di One man show; tuttavia è uno splendido film medio con tutte le sue parti ben bilanciate; vuol portare avanti una storia di esseri umani al limite e lo fa bene senza la pornografia delle emozioni degli statunitensi o l'insistenza noiosa dei film europei, queste due possibilità sono di fatto dei pregi, il fatto che manchino in effetti rende il film molto poco empatico rispetto a quanto poteva essere, un peccato. Se però questa anempatia (mi riferisco all'incontro della piroga con i motori rotti ad esempio) è una scelta, cosa possibile data l'asciuttezza generale della pellicola, complimenti per il coraggio e complimenti perchè il film scorre da dio anche senza prenderti del tutto.

Il film è stato anticipato dal corto documentario "In nome del popolo italiano", un cortometraggio che mostra un CIE da dentro. Di fatto non denuncia nulla, non spiega nulla dei perché ci si finisce, dei motivi, dei tempi, delle leggi; non è questo lo scopo. Lo scopo è solo mostrare che ci sono e far vedere cosa sono. Niente di più; e funziona.

venerdì 23 novembre 2012

One man show - Newton I. Aduaka (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano(in concorso), in lingua originale sottotitolato.

Un attore ammalato di cancro deve fare i conti con il proprio passato diviso fra il teatro, tre donne che ha amato in maniera diversa ed un figlio abbandonato.

Film estremamente interessante, nato in maniera convenzionale, ma completamente stravolto (a detta del regista) dalle continue improvvisazioni del protagonista e realizzato con una macchina a mano sul modello europeo. Interessante dicevo e assolutamente non facile per l'intento di raccontare il percorso di quest'uomo (scandito dai quattro capitoli in cui è suddiviso il film) in maniera non lineare, con uno sguardo (ancora una volta) molto europeo nella messa in scena e nel ritmo. Ovviamente il film è lento, fatto di lunghi silenzi e parti di improvvisazione folle che renderebbero ostico pure un cartone della Disney. Detto in poche parole il film può annoiare (mi sono ritrovato diverse volte a guardare l'orologio); ma, dopo averlo visto, quando il tempo passa alcune di quelle sequenze particolarmente tediose crescono e acquistano un senso sempre maggiore (personalmente, a parte tutte le scene girate in teatro che assumo un senso nel breve capitolo finale, la scena che preferisco è il lungo discorso fra il protagonista che avverte del cancro la madre di suo figlio, molti silenzi, molti fuori fuoco, molte lacrime trattenute).
Ripeto, può non piacere, ma questo film è un esperimento, e sotto questo punto di vista vince decisamente.

PS: cast di livello superiore.

Il film è stato anticipato dal corto (che con i suoi 40 minuti è decisamente un mediometraggio) intitolato "Jamaa". La storia di due bambini rimasti orfani della madre che cercano di raggiungere la zia portandosi il cadavere in una bara improvvisata. Un film di sentimenti assolutamente non grottesco, girato con molte sequenze oniriche (esteticamente bellissime, realizzate da dio) e con un andamento anch'esso oniroide che sembra prendere spunto da Pinocchio, Alice e tutta quella letteratura per l'infanzia fatta di fantasia realizzata. Il corto più bello visto quest'anno ed uno dei migliori di sempre.

giovedì 22 novembre 2012

The last fishing boat - Charles Shemu Joyah (2012)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso), in lingua originale sottotitolato.

Dal regista del terribile "Season of a life" un film sul rapporto, per dirla nel senso più vasto possibile, fra moderno e tradizionale. In un villaggio del Malawi si mischiano le vite di un "anziano" pescatore che non vuole rinunciare al lavoro di famiglia, di suo figlio prostrato verso il turismo occidentale fino al punto di prostituirsi, la terza moglie del pescatore giovane tentata sia dal figliastro che da un turista inglese ed infine proprio la coppia di inglese che se la vedranno con la loro infantilità, i rapporti di coppia e la violenza.

Il film si apre con alcune delle immagini più pulite che sia siano mai viste in questo festival, si vede la parziale amatorialità, ma la qualità dell'immagine è impressionante. E con questo ho finito i complimenti.

Per il resto questo è un film pretenzioso e ottuso, che vuol fare di tutto senza arrivare in fondo a nulla, con uno script che rasenta il ridicolo e un cast non adatto (ma questo sarebbe il meno).

Andiamo con calma. La trama. La trama vorrebbe parlare in contemporanea del turismo occidentale gradasso e miope, del rapporto di mutuo sfruttamento fra turisti e popolazione locale, di rapporti famigliari al limite, dello scontro fra modernità e tradizione, dell'impossibilità a raggiungere un equilibrio e una felicità nel mondo d'oggi, fa una (demagogica e didascalica) apologia della poligamia... che altro, forse anche un mezzo trattato della vita di coppia, dell'omosessualità ecc... Di fatto troppe cose tutte insieme, nessuna che riesca ad arrivare ad una conclusione o a chiudere un discorso sensato. Inoltre il racconto è proprio realizzato male, con un cast corale che non è mai equilibrato, inizia con un protagonista assoluto che poi scompare e ne arriva un altro, poi scompare  ne arriva un terzo, poi torna il prima ecc... C'è anche parecchia confusione nel tentare di fare in contemporanea un racconto universale, ma con personaggi estremamente particolari; inoltre si cercano i virtuosismi nella storia (il curioso equilibrio di personaggi nel finale con le due coppie che si dividono, si incrociano, si scambiano fino allo show down nella camera d'albergo).

Poi la sceneggiatura è proprio scritta da un uomo con dei problemi. L'idiozia dello script credo sia riassumibile in una scena: la coppia inglese è a letto, lui dorme e sogna della donna africana di cui si è innamorato, mugugna nel dormiveglia, la ragazza inglese lo sveglia dicendogli "Cosa stai facendo?! stai facendo sesso in sogno vero?!"... WTF!

Che altro c'è, il didatticismo dei dialoghi "colti" che si vogliono mettere, la noia complessiva dell'operazione, gli evidenti problemi di montaggio da terza media e un senso complessivo di "voglio fare un'opera profondissima perché sono estremamente intelligente" completano un quadro già misero di suo. Si insomma, se è comprensibile la mancanza di mezzi, è intollerabile la supponenza in presenza di così tanta povertà d'idee.
Decisamente il film peggiore della rassegna (pur senza averli visti tutti).

Il film è stato anticipato da un corto "Eembwiti", anche questo sul rapporto fra moderno e tradizionale; raccontando la storia di due ragazzini che non capiscono le usanze della nonna, ne deridono gli usi e si fanno detestare da tutti... Di fatto niente di che, più che esserci una vera e propria storia è solo il mostrare una giornata dove succede tutto, non ci sono tentativi di sincretismo, di comprensione o anche solo unos viluppo drammatico, è una sorta di filmino delle vacanze con scene utili sono a sé stesse. Il tocco piacevole è dato dall'inquadratura di alcuni dei tramonti più belli e vividi di sempre.

mercoledì 21 novembre 2012

Taka takata - Damir Radonic (2011)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso), in lingua originale sottotitolato.

Una parrucchiera ha finanzia la squadra di calcio di strada dove gioca il marito. Visto che sono abbonati alla sconfitta chieda al fratello rastafariano per passione di andare in Brasile a acquistare un giocatore delle favelas (visto che là sono tutti dei campioni e nelle baraccopoli saranno campioni a basso costo). Rasta (si fa chiamare così il fratello) cerca di aumentare i soldi che la sorella gli ha prestato facendosi coinvolgere da un suo amico in un affare di orologi contraffatti presi in Mozambico; li si incroceranno con un giocatore in fuga da una banda criminale... visto che in Mozambico parlano portoghese come in Brasile il gioco è semplice. Dopo aver preso l'attaccante brasiliano metteranno sotto contratto anche un allenatore Serbo (visto in una pubblicità televisiva) che spiegherà i trucchi del calcio insegnando a ballare...

Commedia demenziale sudafricana, ma con regista croato, che fonde fin da subito stilemi statunitensi (i rimandi sono compresi tra i classici buddy movie ai fratelli Coen con pure qualcosa di "The snatch") con idee balcaniche (il ritmo alla Kusturica che assume il film quando arriva il personaggio dell'allenatore e la fusione fra musiche africane con quelle brasiliane e dei balcani) in un ambiente totalmente a sé.

Il film è decisamente divertente e si basa su un misto di comicità e sulla costruzione di persoanggi macchiettistici, ma ben strutturati, che si fanno ricordare a lungo (su tutti Rasta, l'allenatore Sava, ma anche Pico, il giocatore del Mozambico). Inoltre il cast è assolutamente adeguato, con alcuni interpreti davvero notevoli.

Pure i difetti sono evidentissimi fin da subito. Il film ci impiega ad ingranare e complessivamente le scene nel commisariato non sono niente di che. Il finale è un pò troppo rapido (ma effettivamente funziona bene). Ma soprattutto, il grandissimo problema è che Radonic ha la passione per una regia dinamicissima (il che è positivo) che realizza con alcune ripetizione di singole azioni assolutamente irritanti che non aumentano l'ironia di una scena e non sottolineano momenti importanti, sono lì solo perché fanno figo e invece disturbano tantissimo; senza di queste scene il film sarebbe fantastico; con questa scelta estetica idiota il film riesce comunque a rimanere decisamente buono.

Il film è stato anticipato da un corto "Soubresauts", la storia di una possibile violenza su una ragazza tunisina e delle reazioni della madre (e del fratello) a questa notizia. Questo è, al momento, il cortometraggio più bello, realizzato da un cast all'altezza (l'attrice che interpreta la madre fa praticamente tutto); intelligente nel parlare del problema senza piagnucolii inutile (viene scelto di mostrare la madre come protagonista eliminando quindi il rischio di cadere nel banale concentrandosi sulla figlia ferita); viene utilizzata una camera a mano molto più alla Aronofsky (che si concentra nel seguire in maniera pedissequa la protagonista mettendola al centro di ogni scena) piuttosto che sull'ecquivalente europeo; infine ci sono alcune sequenza decisamente intelligenti, tutto l'incipit è gioca a mostrare gli effetti, ma mai l'azione che li ha causati (il film inizia con la madre che interroga la figlia brutalzizata, ma non si sa cosa sia successo, cosa sia stato detto o fatto prima; subito dopo c'è una sequenza con la madre in lacrime e della cameriera che raccoglie un bicchiere rotto, senza che si sia visto altro).
Un corto fantastico.

lunedì 19 novembre 2012

Medici con l'Africa - Carlo Mazzacurati (2012)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso).

Un documentario sull'attività del CUAMM, una delle più vecchie (se non la più vecchia) ONLUS in campo sanitario del mondo, ma nello stesso tempo una delle meno note al grande pubblico. I Medici con l'Africa CUAMM sono un gruppo che si occupa del sostegno del sistema sanitario locale in alcuni stati subsahariani con progetti sanitari che vanno dall'esportazione di personale sanitario, alla formazione di personale in loco, dal reperimento di fondi, alla strutturazione di progetti igienico sanitari di base.

Il documentario si avvale di un regista esperto come Mazzacurati e del migliore direttore della fotografia attualmente operante in Italia, Luca Bigazzi. Inevitabile quindi che il risultato sia positivo.
Le immagini son o effettivamente più curate della media degli altri documentari (anche di quelli decismante più costosi come quelli di Moore), perchè il cast tecnico è abituato a lavorare con film di fiction, cosa evidentissima nell'incipit a Padova dove le scene sembrano effettivamente l'apertura di un film tout court.

Nella struttura invece si tenta di un'obbiettività impossibile in un documentario del genere; ma gli va concesso il tentativo di diminuire al minimo la demagogia e le scene strappalacrime; nello stesso tempo viene dichiarato apertamente che nessuno li è un eroe per ciò che fa e la regia sembra indugiare parecchio sui lati umani e, talvolta, sulle debolezze di chi parla (toccando l'apice, e quindi facendo il giro e rendendoli eroici, la coppia con lei clinica e lui chirurgo colpito da un ictus, ma ancora in Mozambico nonostante tutto).

Non sarà una pietra miliare, ma è decisamente un ottimo documentario.

Il film è stato anticipato dal corto "Shema". La produzione è la stessa di "Lyiza", altro cortometraggio con cui divide pregi e difetti, tranne l'incomprensibilità della storia. Fortunatamente "Shema" si capisce e il vantaggio non è indifferente. Quello che però più conto è l'idea produttiva alla base di entrambi; il progetto, nato in Ruanda, prevede la realizzazione di una serie di cortometraggi sugli effetti del genocidio ruandese; un tentativo di scendere a patti con il proprio recente passato decisamente encomiabile, che travalica la qualità delle opere stesse. Il fatto che ci sia sempre una certa attenzione per le inquadrature comunque non guasta.

domenica 18 novembre 2012

Nairobi half life - David Gitonga (2012)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso), in lingua originale sottotitolato.

Un ragazzo della provincia keniana che sbarca il lunario vendendo dvd contraffatti e interpretando i film che vende per attirare più compratori (a quanto pare piuttosto scarsi) si lascia convincere con (palesi) menzogne ad andare a Nairobi a cercare fortuna come attore. Come arriverà nella capitale verrà derubato di tutto, verrà arrestato per sbaglio e dovrà pure pulire i bagni della prigione. Proprio in prigione conoscerà la persona che lo introdurrà nel circuito della piccola malavita locale, mentre lui farà di tutto per diventare un attore di teatro.

Tykwer si trova nuovamente (come già con Soul boy) nei panni di produttore per un film keniano. La Germania sembra abbastanza interessata a dare una possibilità a giovani registi locali dando loro mezzi, knowhow e un trampolino di lancio. E anche stavolta riesce ad azzeccarci abbastanza visto che questo film risulta essere il primo prodotto in Kenya ad essere preso in considerazione per la corsa all'Oscar come miglior film straniero. Staremo a vedere, ma intanto complimenti a Tykwer.

Il film è decisamente ben scritto e (abbastanza) ben interpretato che si muove con una certa capacità in una trama tutto sommato articolata; riesce a comporre un ottimo discorso sul cinema stesso (il monologo teatrale finale) mentre mette in scena contemporaneamente un racconto di formazione all'americana e uno spaccato sociale condito con un poco di humor... Forse manca un po del ritmo che sarebbe stato necessario, ma la vera mancanza è la parte comica, se quello humor fosse stato spinto oltre con tutta probabilità avremmo ora la miglior commedia all'italiana prodotta fuori dall'Italia.

Gitonga, il regista (già assisente di regia in The first grader) è qui alla sua opera prima... e putroppo si vede, nonostante i mezzi a disposizione la fotografia è molto lasciata a se stessa (esattamente all'opposto rispetto a Soul boy) e lascia scorrere senza prendere posizione molte scene che avrebbero potuto essere dei capolavori di regia...

Il film è stato preceduto dal corto "Lyiza", un film su una coppia di studenti della stessa classe, ma figli, rispettivamente, di vittima e carnefice di uno dei tanti delitti perpetrati durante la guerra civile ruandese... Alla fine un film amatoriale con i soliti fruscii nell'audio, gli attori con gli occhi sgranati e la trama sospesa tra la noia e la incomprensibilità. La regia però, nel suo piccolo, si salva.

sabato 17 novembre 2012

The first grader - Justin Chadwick (2010)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (fuori concorso), in lingua originale sottotitolato.

Nel 2003 le scuole elementari, in Kenya, diventarono gratuite per tutti i cittadini. Un ex combattente Mau Mau di 84 anni decide di imparare a leggere per poter capire da solo cosa c'è scritto in quella lettera inviatagli dal governo del Kenya. Fra razzismi tribali, retorica politica, gestione dei fondi e dei beni, nonchè la cocciutaggine del personale, il vecchietto riuscirà a superare tutti gli ostacoli posti sul cammino.

Film d'effetto realizzato con mezzi adeguati che sembra pensato per un pubblico giovane (anche se non viene detto direttamente), sospeso com'è fra l'elegia dell'istruzione e il racconto di un passato con cui ancora non si è scesi a patti. in quest'ottica il film diventa un'intelligente opera commerciale per ragazzi, densa di stimoli positivi e strizzatine d'occhio inevitabili.
Al di al di questo discorso il film è gradevole, ma non riesce a nascondere nessuna pecca, dalla sceneggiatura che vorrebbe far esplodere emozioni che non riesce neppure a descrivere, o che salta direttamente da un argomento all'altro.
La regia gioca tantissimo con la messa a fuoco e fotografe bene, ma con il pilota automatico; per il resto assolutamente nella media.

Eppure l'incipit con un protagonista silenzioso che non si capisce bene cosa voglia, le cui prime parole, dopo che la direttrice della scuola gli chiede cosa ci fa li, sono "Voglio imparare a leggere". Ecco in quest'incipit c'era una potenzialità d'idee, d'intenti e di sentimenti decisamente maggiore.