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mercoledì 10 marzo 2021

Il castello di Vogelod - F. W. Murnau (1921)

 (Schloß Vogelöd)

Visto su Mubi.


Durante una fine settimana di caccia della buona società locale viene invitata anche la vedevo d(appena risposata) di un (ormai ex) notabile; purtroppo si autoinvita pure l'ex cognato della donna, accusato dell'omicidio del fratello, ma scagionato per mancanza di prove. Inevitabile ,lo show down dovuto alla presenza del secondo fratello del morto, un monaco appena tornato da Roma.

Questo film di Murnau è decisamente un minore, la trama è meno granitica dei rispetto ai suoi capolavori, il mood meno penetrante e la decisione di mettere il comic relief in uno dei personaggi secondari della vicenda stempera la tensione accumulabile.

Sia chiaro il film è ottimo, la regia chiara nella tecnica e negli intenti, la struttura narrativa con tutto l'armamentario del perturbante (una sorta di doppio, l'incubo con la mano che ghermisce), ma soprattutto tutta la storia che si rivela sempre più torbida e cinica a mano a mano che vengono svelati i dettagli è sicuramente efficace. Con il distacco del tempo, l'idea del camuffamento risulta stucchevole e affossa un poco la durezza del finale.

Vero neo della vicenda (a parte il comic relief che avrei evitato), un ritmo rallentato che immerge di più nel mood, ma stanca molto. Ottime invece le luci e la fotografia pulita.

mercoledì 23 dicembre 2020

L'abisso - Urban Gad (1910)

(Afgrunden)

Visto qui. 


Il regista, Urban Gad era già uomo fatto quando ebbe l'arroganza e la determinazione che spinse 50anni dopo la Nouvelle vague, dare una svecchiata al cinema che, secondo lui, stava languendo (anche se era stato inventato poco più di un decennio prima).

Per farlo recupera attori di seconda fila e amici d'infanzia dal teatro dove lavorava, si fa finanziare da conoscenti e ingaggia qualche mestierante noto (Alfred Lind che non apprezzerà l'ambiente di lavoro).

Fu uno dei primi film di due rulli (ad avere quindi una lunghezza superiore ai 15-20 minuti), fu il secondo film della futura vamp Asta Nielsen e il primo del sodalizio fra l'attrice e il regista che frutterà 30 film e un matrimonio fra i due. Ma su tutti il film all'epoca fece scalpore per la scena da ballo ritenuta eccessivamente esplicita; bisogna ammettere che è una scena sensuale ancora oggi con una sorta di lap dance (piuttosto contenuta) dove un uomo funge da palo.

A parte il gossip l'opera è un film completo, con un linguaggio cinematografico già adulto; mancano alcuni elementi della grammatica base che verranno inventati/esaltati da Griffith; ma qui i fondamentali ci sono già tutti, e viene abbandonato il cinema statico di stampo teatrale. C'è di tutto, riprese in esterni (magnifica l'apertura sul tram), c'è un moltiplicarsi di location, punti di vista inconsueti (il palco visto di lato), utilizzo massimo delle comparse; a livello di regia c'è già tutto ed è molto gustoso. 

A livello di sceneggiatura invece è un poco claudicante; la storia è una romance torbida il giusto per incontrare il gusto dell'epoca e anche quello attuale, ma lo svolgimento è frettoloso e un poco raffazzonato (facilmente per colpa del minutaggio) che rende a tratti poco godibile il film.

Meriterebbe un restauro se non è già stato effettuato negli ultimi anni.

domenica 8 novembre 2020

Il Jokey della morte - Alfred Lind (1915)

 (Id.)

Visto su la Cineteca di Milano.

Un ricco nobile viene ucciso dal sovrintendente che si libera anche della figlia neonata dandola a dei circensi. Molti anni dopo un nipote del nobile torna e scopre la vicenda, cercherà la cugina perduta e per convincerla della realtà di tutta la vicenda... si farà assumere nel circo per fare una serie di funambolismi pericolosi. I due dovranno fuggire a lungo prima dell'inevitabile happy ending.

Film di riscatto e d'azione (si, ok, pure d'amore, ma rimane decisamente sullo sfondo) tutto indirizzato ad esaltare le scene dinamiche; la trama è tra il ridicolo e il cretino, ma è altrettanto evidente che l'intenzione era altro.

Tolto quindi il lungo preludio alla un pò meno lunga fuga (circa 20-25 minuti su quasi un'ora di film) quello a cui si assiste è una sorta di cortometraggio che fa sfoggio di abilità circensi in ogni contesto possibile: sui tetti, sui ponti, sulle navi, tra i treni, sulle biciclette, ecc... con picchi di fascinoso action d'antan (per me il passaggio dalla chiatta al ponte) e picchi di follia irreale che ad un action puro sono prontissimo a perdonare. Certo, qualche anno dopo Keaton farà molto di più, e poco più di un decennio dopo avremo il suo "The General" (bignami di stunt e sprezzo del pericolo tutt'ora valido), ma considerando la bontà del gesto (tutto figlio delle attrazioni classiche del circo), il luogo (l'Italia nn è terra di grandi film d'azione) e l'anticipo sui tempo, questo è decisamente un grande film.

Come si diceva la sceneggiatura invece è imbarazzante e lo è fin dai primi minuti, viene giustificata dal lungo finale, ma non si può perdonare tanta pigrizia.

Magnifico invece il costume del protagonista che dona una nota di dramma cinematograficamente vincente.

PS: questo è il primo film italiano del danese Lind, emigrante della regia (lavorò anche in Germania) che qui interpreta anche l'agile protagonista.

martedì 6 ottobre 2020

Il caso valdemar - Gianni Hoepli, Ubaldo Magnaghi (1936)

(Id.)

Visto su Cineteca di Milano.

L'opera unica, al cinema, di Hoepli (l'istrionico nipote del fondatore dell'omonima casa editrice) e una delle pochissime opere dell'ancor meno conosciuto Magnaghi è un cortometraggio muto (in pieni anni '30!) eccezionale.
tratto dal noto racconto di Poe che parla di ipnosi su un moribondo che ne allunga la premorte; questo cortometraggio sembra l'opera di un regista navigato che conosce alla perfezione gli stilemi dle muto, ma che li fonde con acxcortezze contemporanee.
La breve durata e la ricchezza di idee di regia rende difficile fare un esempio univoco, ma basta l'incipit a entusiasmare; i due registi fanno di tutto: la presentazione dei personaggi con primi piano arrivati dopo un movimento verticale (e un gioco di montaggio con la statua), inquadrature da dietro il pendolo, primissimi piani evocativi, cambi di luce nella stessa sequenza, inquadratura da sotto il tavolo. In quell'inizio viene fatto di tutto per rendere tollerabile e dinamica una seduta spiritica in cui non succede praticamente niente, ma si rimane subito conquistati.
Bello anche l'intermezzo che mostra il passare dei mesi, semplice, ma giocato benissimo con un montaggio rapido.
In pochi minuti viene costruito un film con cui non si può non empatizzare e in cui non ci si può non perdere. Duole solo sapere che questo è un unicum nel panorama italiano.

PS: notare che ho elogiato il film senza neppure commentare gli effetti speciali durante la marcescenza rapida del cadavere per il quale viene considerato (con qualche eccesso) il primo horror/gore italiano.

lunedì 5 ottobre 2020

L'étoile de mer - Man Ray (1928)

(Id.)

Visto su Cineteca di Milano.

Ispirato dalla poesia utilizzata come intertitolo, a sua volta ispirata da una stella marina (intesa come simbolo dell'amore perduto) venne realizzato da Man Ray con l'ottica di farne un film surreale, quindi solo parzialmente narrativo.
La vicenda narrata è una confusa versione di un triangolo amoroso in cui l'intento del regista è però quello di far affiorare il lirismo a scapito della narrazione       
Ovviamente la parte del leone è la componente tecnica. Al di là di sovraimpressioni, simbolismi e di una sequenza con oggetti che ruotano l'idea determinante è l'uso di una lastra fotografica dell'epoca messa davanti all'obiettivo per dare un senso di vetro smerigliato a tutte le sequenze determinanti.
L'intento è variegato; propone scene scabrose senza rischiare censure poiché non chiaramente visibili, in alcune sequenze da un'impressione come di pennellata, ma soprattutto rende inintelligibili i dettagli aumentando il simbolismo.
A fronte di un'idea molto arty e poco pratica il film si rivela vagamente godibile con alcune sequenze che riescono nell'intento di dare poesia nelle piccole cose (anche aiutate dalla colonna sonora) come nella sa dei giornali trasportati dal vento. però è un po poco per rendere la visione più che dimenticabile.

lunedì 31 agosto 2020

Within our gates - Oscar Micheaux (1920)

(Id. )

Visto su Mubi.

Una donna, rifiutata dal promesso sposo per un'inganno della sorellastra si trasferisce al sud dove aiuterà una scuola per bambini afro-americani. tornata al nord a cercare fondi verrà insidiata per poi riuscire ad avere un chiarimento con l'ex amato.

Secondo film (ma il primo di quelli arrivati fino a noi) di Micheaux mostra una tecnica impeccabile, una fluidità nel ritmo e nel montaggio da cineasta esperto che donano al film una godibilità invidiabile. Senza guizzi particolari porta avanti una storia d'amore ostacolato, agnizione e ripensamenti che non inventa nulla, ma si fa ricordare per efficacia.
Unica soluzione particolare la scelta del lunghissimo flashback che si prende la gran parte del finale; una soluzione di sceneggiatura (prima) e di regia (poi) che determina un film nel film, e un improvviso world building non necessario nell'economia della trama.
la recitazione del cast in toto e di alcuni dei personaggi secondari in particolare (il pastore ad esempio) è caratteristica per una minor teatralità di quella dei colleghi dell'epoca, ma una maggior quantità di tic e vezzi.

La presenza di Micheaux nella cinematografia americana è importante per essere stato il primo regista afro-americano.
In quest'ottica la sceneggiatura (scritta sempre da lui) credo sia particolarmente interessante; la gran parte del film è un canovaccio classico, dove il colore della pelle avrebbe potuto essere sostituito senza che nulla venisse modificato nelle intenzioni o nelle scelte dei personaggi; il flashback però riporta tutto nel contesto sociale e politico dell'epoca, mostrando un linciaggio, l'omicidio di un bambino, una donna a cui strappano i vestito e per finire l'impiccagione a scapito di una famiglia afro-americana innocente (con l'unico personaggio grottesco/comico, quello dell'house negro, che nel dramma estremo che viene mostrato risulta particolarmente creepy).

martedì 4 agosto 2020

Cinq minutes de cinéma pur - Herni Chomette (1926)

(Id.)

Visto su Cineteca Milano.

Chomette volle realizzare un cortometraggio di cinema puro, antinarrativo, doveva avere la bellezza data dalle tecniche cinematografiche e nient'altro.
Idea non nuova che ho trovato particolarmente buffa proprio per questo. Chamotte sembra voler fare un manifesto di cinema puro, ma viene dopo "Entr'acte", "Balletto meccanico", le opere di Ruttmann e quasi qualunque cosa di Vertov (film usciti sia prima di questo corto sia dopo).

Detto ciò, il corto di Chomette, è un susseguirsi di immagini di cristalli che sembrano danzare fra loro, frammentandosi, creando figure, unendosi in strutture geometriche; si passa poi alla natura con una transizione, un grappolo d'uva (al contrario) che diventa un grappolo di acini di cristallo; infine vi sono immagini naturali (un bosco e un mare con gli scogli) in negativo.
L'effetto finale è indubbiamente buono, il video è breve, ha ritmo e un colpo d'occhio quasi sempre azzeccato (ottima l'immagine delle onde del mare in negativo), ma bisogna ammettere che come inventiva ne ha meno degli illustri colleghi. La gran parte delle idee si limitano a sovrimpressioni e il già citato negativo delle immagini, nella prima metà (quella dei cristalli) anche giochi di montaggio per le costruzioni delle figure.
Nell'insieme piacevole, am decisamente poco inventivo (anche per l'epoca), probabilmente più importante dal punto di vista "politico" come presa di posizione (anche se il cinema antinarrativo era già stato messo nei manifesti dada e cubista...).

lunedì 3 agosto 2020

Entr'acte - René Clair (1924)

(Id.)

Visto su Cineteca Milano.

Diciamocelo, l'ho guardato perché dietro la macchina da presa c'è René Clair, anche se non si nota.
Questo è un film manifesto del cinema dadaista che, in realtà, fu pensato come parte di un balletto; la parte qui messa alla fine del cannone che spara doveva essere l'apertura del balletto, mentre il resto del filmato doveva essere l'intermezzo (l'entr'acte appunto).

Le sequenze centrali sono un florilegio di scene surreali (l'uovo sulla fontana, la barca in sovraimpressione sui tetti di Parigi, ecc...) alcune con un'apparente senso simbolico (il funerale con le persone che corrono al ralenty, la ballerina che danza ripresa da sotto un pavimento in vetro).

Il filmato dura poco e non può annoiare, la colonna sonora che è presente nella versione della Cineteca di Milano è chiaramente recente, ma estremamente efficace e pertinente, a mio avviso ne aumenta l'interesse e il ritmo anziché far uscire lo spettatore dal mondo del cortometraggio.
Bisogna però ammettere che ci si trova davanti a un'opera d'arte visuale e non a un film vero e proprio, opera d'arte che era parte di un'opera più ampia e che richiama in alcuni punti (il balletto appunto), la visione non può che essere parziale e ricco di fraintendimenti.
Quello che però ho trovato particolarmente interessante è quanto reggano bene le sequenze completamente oniriche o antinarrative, mentre mi sono sembrate eccessivamente lunghe e ridondanti quelle che, anche se in maniera limitata, raccontano qualcosa di verosimile (il cacciatore e l'uovo, ma soprattutto il funerale); nonostante tutte le sequenze puntino particolarmente al ritmo pi che al contenuto.

giovedì 7 maggio 2020

La bestia nera - Tod Browning (1919)

(The wicked darling)

Visto su youtube.

Una giovane donna, costretta a fare la borseggiatrice si innamora di un ex ricco da poco caduto in disgrazia e mollato dalla fidanzata a causa del crack finanziario.
la storia fra i due sarà costantemente minata dall'ex collega della donna e dal fatto che l'innamorato disprezzi chi sia costretto a rubare per vivere.

Il primo film della lunga collaborazione tra Browning e Chaney, nonché il secondo della collaborazione di almeno 9 film fra il regista e la Dean.
Inserito di forza nel novero dei film di redenzione (negli anni '10 vi era una forte discussione sulla recuperabilità sociale di chi delinquesse, il film è pertanto un manifesto politico figlio di quel romanticismo caro a Hollywood) è la "solita" oscura storia romantica a cui il regista e i suoi attori feticcio ci avrebbero abituati in seguito.

Il film è il solito dramma dei bassifondi con un giovane Chaney che fa al solito il villain (con il suo gigioneggiare sempre un passo indietro dall'essere eccessivo, risulta sempre espressiva, ma mai caricaturale). Il minutaggio breve lo concentra aumentandone l'efficacia e gli esterni girati di notte (non nell'allora versione di notte americana) danno una cupezza estrema con le tenebre a fare da fondale alle piccole scene illuminate; il tutto concorre a far risultare il film più granitico ed efficace del successivo (e più famoso) "Il fuorilegge" (con cui condivide gli attori principali e l'ambientazione). C'è pure spazio per qualche trovata carina (seppure non innovativa o geniale) come lo "split screen" per identificare un ricordo.
Lievemente eccessiva la Dean fa comunque il suo lavoro in maniera egregia, accettabile il resto del cast sebbene con momenti di  recitazione sopra le righe che stona un poco (il padrino di Mary).

PS: questo film è noto per essere uno dei film perduti di Browning, ritrovato in Olanda negli anni '90, con qualche danno alla pellicola (che meriterebbe un buon restauro), ma completo.

venerdì 30 agosto 2019

Verdens undergang - August Blom (1916)

(Id. AKA The end of the world)

Visto qui.

Una nuova cometa viene avvistata nel cielo, secondo i calcoli dello scopritore colpirà la terra causando devastazioni. Un finanziere deciderà di tenere la notizia nascosta per potervi lucrare.

Film apocalittico (il primo probabilmente) che presenta un evento inaspettato e impossibile da fermare e lo mischia con la borghesia senza scrupoli e la rivolta sociale.
In una parola un unico film che sembra parlare per allegorie della prima guerra mondiale (che la Danimarca guardava dalla posizione privilegiata del paese neutrale a pochi chilometri dagli scontri) e nello stesso tempo mostra i semi del disagio sociale che un anno più tardi sfocerà nella rivoluzione d'ottobre.

Se il tema è affascinante, la realizzazione della parte apocalittica è ben realizzata andando dalla pioggia di meteoriti allo tsunami. Nello stesso tempo la recitazione è buona, senza eccellenze, ma senza sbavature o esagerazioni.
Il vero problema è il ritmo, difficoltoso e dal fiato corto, con troppi personaggi aggiunti per bilanciare i cattivi con i buoni che rallentano ulteriormente.
Le immagini ben realizzate non riescono a compensare la mancanza di nerbo nella realizzazione.

lunedì 29 luglio 2019

Pikovaya dama - Yakov Protazanov (1916)

(Id.)

Visto qui.

La storia di un uomo che, per vincere alle carte, cerca di forzare un'anziana donna a rivelargli il segreto che le permise di vincere una fortuna (in realtà recuperare quanto aveva precedentemente perduto), semplicemente indovinando una sequenza di carte. Mentre cerca di obbligarla, la donna muore, ma gli ricompare in sogno annunciandogli una sequenza di carte.

Considerato uno dei massimi capolavori del cinema zarista (siamo a un anno dalla rivoluzione d'ottobre), il film porta sullo schermo un celebre racconto di Puskin.
Il film dimostra completamente gli anni che ha strutturandosi con la precisione, ma anche la staticità di un'opera teatrale con tutti i pregi (a partire da un cast ottimo che non sfora mai nell'enfasi) e i difetti.
A fronte di una struttura di regia così convenzionale però, Protazanov mette in scena una serie di idee innovative per l'epoca e alcune ancora interessanti. Se le retroproiezioni sono cosa ormai scontata, il regista fu uno dei primi ad applicarle in russia creando, di fatto, uno dei film più impressionante per effetti speciali. Viene utilizzato anche un carrello molto evidente e in una scena c'è un ottimouso della profondità di campo (inquadratura obliqua dall'alto con il primo piano della giovane donna che spia dalla finestra e in secondo, lontanissimo, piano, l'uomo che fissa la casa dalla strada).
Ma il vero valore aggiunto della regia è il montaggio alternato (usato in maniera costante nella prima parte) che, anziché mostrare due eventi contemporanei, crea un collegamento fra episodi distanti nel tempo, riprendendo l'uno nell'altro con il montaggio interno (i movimenti e le posizioni degli attori sulla scena) in una serie di scene ancora efficaci.

Non per nulla, il regista, riuscirà a riciclarsi dopo la rivoluzione rimanendo attivo fino agli anni '40, sarà lui infatti l'autore dietro al primo kolossal sovietico: "Aelita".

venerdì 28 giugno 2019

L'astronave - Holger-Madsen (1918)

(Himmelskibet AKA A trip to Mars)

Visto qui.

Con la benedizione del padre astronomo (e le maledizioni di un anziano collega) un uomo decide di costruire un'astronave per raggiungere Marte. La missione sarà di sapore internazionale e, giungendo su Marte (nonostante le intemperanze e il tentativo di ammutinamento sobillato dall'americano) scopriranno una società pacifica che rifugge da secoli la violenza fisica.

Film famoso per essere il primo (che io sappia) che mostri un'epopea spaziale diretta verso Marte. Ma questo è solo un record di poco conto se paragonato al fascino che l'opera riesce ancora ad avere grazie a una cura particolare nelle inquadrature (estremamente pulite) e a un ritmo che riesce a mantenere l'attenzione viva dall'inizio alla fine. La realizzazione del mondo marziano è decisamente meno avanguardista di altri film fantascientifici del decennio successivo, ma assolutamente in linea con il messaggio pacifista (colori chiari, linee morbide). Magnifiche anche le innumerevoli scenografie (con alcune scene in esterno) che si fanno notare per le ampie differenze (la casa terrestre, Marte, l'interno dell'astronave) e che rappresentano una varietà amplissima per l'epoca.

Perdonabile la recitazione un pò troppo enfatica che si nota soprattutto nella seconda parte.
Ancora più affascinante il contesto storico in cui viene realizzato il film, sul finire della prima guerra mondiale in un paese ufficialmente neutrale, ma che assisteva ai massacri perpetrati a "pochi" chilometri dai confini.

mercoledì 29 maggio 2019

Aelita - Yakov Protazanov (1924)

(Id.)

Visto qui.

Film fantascientifico che si svolge quasi interamente sulla terra. La trama si occupa di una coppia dove lui cerca di progettare una nave spaziale per portare la rivoluzione sul pianeta rosso, mentre lei conosce un nuovo vicino di casa (in realtà alla coppia viene requisita una parte dell'ampia casa); lui dubiterà della fedeltà di lei, cercherà la vendetta facile e una fuga difficile nello spazio dove si porterà dietro un militare e un ispettore privato. Arrivato su Marte riceverà l'appoggio della regina locale contro l'oligarchia al comando sul pianeta, ma sarà tutto un doppio gioco per prendere il potere reale.

Il film è di genere fantascientifico sui generis, visto che le sequenze nello spazio fanno tutte parte delle fantasie a occhi aperti del protagonista e non rappresentano nulla di reale (non è uno spoiler poiché viene dichiarato fin dall'inizio), ma sono solo un meccanismo di fuga del personaggio e un mezzo per inserire sequenze d'effetto (ma non è il momento di approfondimento psicologico che avrebbe potuto essere).

Al di là del buffo utilizzo del pianeta, dunque, il film è realizzato ottimamente, con una recitazione ottimale al servizio di una trama consueta, ma condotta con piglio perfetto, rendendo il ritmo azzeccato e il passo del film godibile ancora oggi con l'occhio assuefatto a velocità ben maggiori.
La regia non è fantasiosa, ma competente, interessata a utilizzare gli spazi alieni per creare lo stupore dovuto e veicolare il messaggio propagandistico con una rivolta di classe giusta e condivisibile e messaggi simboli più o meno subliminale.
L'effetto finale è solo in parte pretestuoso, nel complesso il film brilla per chiarezza, emozioni e fruibilità.

Mezhplanetnaya revolyutsiya - Nikolai Khodataev, Zenon Komissarenko, Youry Merkulov (1924)

(Id. AKA Interplanetary revolution)

Visto qui.

Se l'animazione sovietica raggiungerà la fama (e i vertici qualitativi) tra gli anni '60 e i '70, ma le sue origini sono decisamente più distanti.
Questo cortometraggio muto è un film di propaganda fantascientifico che utilizza il mezzo dell'animazione (probabilmente) per veicolari i propri contenuti esagerati (l'idea alla base è che i comunisti nel 1929, cioè 5 anni dopo, avrebbero raggiunto Marte per liberare i proletari marziani dal giogo capitalista per poi passare al resto della galassia) senza sprecare troppi soldi e per permettere una deviazione surrealista incredibile.

Questo infatti non è un cortometraggio per bambini: tra capitalisti dalle natiche enormi che mangiano i proletari a un cameo di Lenin (!) l'intento è veicolare una storia supereroistica a un pubblico analfabeta (sostanzialmente nessun cartello) con iperboli, invenzioni visive che rasentano l'incomprensibilità.
L'animazione è qualitativamente non entusiasmante, primordiale nella realizzazione e nel tratto, quindi per me poco attraente, ma anche estremamente originale.

Il film ha un'idea talmente assurda che sembra ovvio sia stata ispirata da "Aelita" libro fantascientifico/bolscevico del 1922 da cui fu tratto un lungometraggio uscito pochi mesi dopo questo stesso film.

venerdì 17 maggio 2019

Příchozí z temnot- Jan S. Kolár (1921)

(Id. AKA Arravil from the darkness)

Visto qui.

Un uomo si trova la moglie concupita dal vicino di casa, ai due si aggiunge presto un terzo personaggio, vecchio di secoli è tornato in vita grazie a una pozione alchemica che deve assumere ogni 3 giorni o morirà per sempre.

La visione del film risulta terribilmente azzoppata dalla scarsa qualità del filmato (è una riproduzione della tv di stato ceca), dalla mancanza di intere sequenze (mancano almeno 15 minuti di filmato) e da alcuni cartelli quantomeno mal scritti. Il film però ha anche alcuni difetti strutturali, come una trama troppo farraginosa che mischia insieme troppi elementi gotici pensando che gonfiando il numero di cliché aumenti in automatico la qualità; nonché alcune ridondanze di regia (il flashback dentro al flashback per evitare un cartello in un film che ne conterà almeno un centinaio).

I lati positivi però non mancano, su tutto la gestione delle location, ottima per la gestione del mood, ma soprattutto ben sfruttata per punti di vista interessanti o come elemento determinate del montaggio interno (tutte e due elementi sfruttati per lo più nella prima parte del film).

Un film sicuramente interessante che, però, più che meritare una visione, meriterebbe, prima di tutto, un restauro.

lunedì 15 aprile 2019

Sono nato, ma... - Yasujirô Ozu (1932)

(Otona no miru ehon - Umarete wa mita keredo)

Visto in Dvx.

Un uomo si trasferisce con la famiglia nella periferia di Tokyo, i due figli dovranno integrarsi con i ragazzini della zona, ma la parte più difficile sarà accettare le umiliazioni a cui il padre si sottopone in favore del proprio boss.

Un film delizioso completamente votato alla commedia che sembra voler semplicemente mostrare le dinamiche di socialità dei bambini, ma che nel finale si soffermerà nel mostrare la scoperta dei rapporti di forza tra gli adulti e la loro accettazione, nonostante tutto. Un finale con il sorriso sulle labbra, ma un sapore amaro in bocca.

Ozu, ancora muto data la sua diffidenza nei confronti del sonoro, ripulisce la sua tecnica degli anni precedenti e confezione un film godibile e agro-dolce che resiste tranquillamente agli anni passati.
Ancora, però, non ha ottimizzato la sua regia in favore del minimalismo assoluto e regala dei virtuosismi tecnici estremamente gustosi, con un uso continuo dei carrelli (utilizzando il movimento anche come unione fra le scene come nella sequenza dei lavoratori messi in relazione con la classe e con i due ragazzi nel prato; ma su tutte vince il carrello con i lavoratori che sbadigliano che torna indietro ad aspettare che anche l'ultimo dimostri stanchezza, per poi proseguire), un paio di panoramiche, ma soprattutto un uso esteso dei punti di vista differenti (su tutte, nelle lunghe sequenze in esterni dei ragazzi i punti di vista aumentano per aumentare il dinamismo).

Lontani anni luce dall'Ozu dei decenni successivi, complesso nella regia, ma estremamente semplice nella trama, rimane un gioiello da ripescare nella filmografia del regista.

mercoledì 10 aprile 2019

Rotaie - Mario Camerini (1929)

(Id.)

Visto registrato dalla tv.

Due giovani che si amano contro il parere delle famiglie decidono di suicidarsi insieme. La stanzetta che hanno preso per l'estremo gesto è vicino alle rotaie e il treno che passa all'improvviso li fa desistere all'ultimo. Alla stazione trovano un portafoglio, con i soldi partono e si mantengono sopra le loro possibilità giocando al casinò. Quando la fortuna girerà tornerà la crisi.

Considerato la resurrezione del cinema italiano dopo la crisi degli anni '20 (crisi che ancora non ho visto) è in effetti un film dalla storia molto semplice (e piuttosto altalenante), ma ha uno stile modernissimo, quasi contemporaneo.

Regia molto mobile, segue i movimenti degli attori, le mani e i volti; utilizza diversi carrelli che inseguono i personaggi in una stanza; gioca benissimo con il montaggio affiancando spesso due eventi collegati per rinforzarli (i due amanti con le mani intrecciate e il veleno; i due coricati assieme sul treno e le ruote che girano) o dando ritmo con sequenze d’immagini in rapida successione (come nella fabbrica, o arrivando fino alla sovrapposizione, come nella sequenza del gioco alla roulette).
Un encomio particolare la scena del tentato suicidio con la macchina da presa che continua  muoversi tra i volti degli amanti e le loro mani in montaggio alternato con il bicchiere.

Inoltre nell'ultima parte del film la trama prende una piega inaspettata anticipando di sessantanni "Proposta indecente".

mercoledì 31 ottobre 2018

Storia di erbe fluttuanti - Yasujirô Ozu (1934)

(Ukikusa monogatari)

Visto in Dvx.

Un attore girovago, capo della sua compagnia, torna nella città dove ha lasciato un figlio ormai post adolescente. I rapporti con la madre sono buoni, ha sempre pagato quello che doveva ed è sempr eentrato nella vita di entrambi come zio. La scelta di lasciarli era una presa di coscienza della propria condizione disonorevole come saltimbanco e la volontà di non far diventare il figlio simile a lui.

Ozu avversò a lungo le principali innovazioni in ambito cinematografico; con il sonoro aspettò fino all'anno successivo primo di utilizzarlo. Questo infatti è il suo ultimo film muto e, bisogna ammettere, che la necessità del sonoro divenne impellente solo per i dialoghi sempre più fitti.
Al di là del sonoro il resto del film è figlio dei suoi tempi, anzi, qualitativamente è superiori a molti suoi contemporanei. Fotografia pulita, uso delle luci magnifico nelle scene in notturna e una costruzione equilibrata delle immagini con, spesso, utilizzo di più piani. Ovviamente poi, c'è già la macchina da presa che inquadra da una posizione leggermente ribassata, ma ancora non è obbligo e non c'è la staticità dei suoi film più maturi (ci sono, anzi, diversi movimenti di macchina importanti).

La trama è piuttosto semplice, ma ben descritta, con un'attenzione alla sceneggiatura elevata che rende questo un film ancora godibilissimo. Ovviamenti i temi della famiglia dai rapporti tormentati e il dolore vissuto con calmo stoicismo ci sono già tutti.

mercoledì 24 ottobre 2018

Cenere - Arturo Ambrosio, Febo Mari (1916)

(Id.)

Visto qui.

Dall'omonimo romanzo di Grazia Deledda, questo cortometraggio di meno di 40 minuti è l'unico film realzizato da Eleonora Duse.
Il film è un dramma dove il vero protagonista è Febo Mari nei panni del figlio, mentre la Duse viene utilizzata in maniera piuttosto marginale considerandone il peso specifico.
La recitazione di Mari, enfatica e un poco sciatta, può accontentarsi di essere nella media per l'epoca (o poco sotto), mentre la Duse, misurata e sofferente, riesce a essere, non solo ottima, ma incredibilmente moderna; un peccato quindi il suo essere in secondo piano.

Le inquadrature in esterni presentano qualche valore aggiunto, ma sono poche e, anch'esse, marginali; mentre la storia procede a ritmo accettabile, ma con così poca empatia da riuscire comunque piuttosto noiosa nonostante il basso minutaggio.

In poche parole un film, incredibilmente non riuscito che si guarda solo per la presenza dell'attrice.


lunedì 16 luglio 2018

Io... e il ciclone - Charles Reisner, Buster Keaton (1928)

(Steamboat Bill Jr.)

Visto in Dvx.

Il goffo figlio di un gagliardo proprietario di una nave a vapore (ora messo in ombra da una nave più nuova a lussuosa) torna a trovare il padre. I due non si intenderanno quasi su nulla e il fatto che il giovane si innamori della figlia del concorrente non renderà le cose più semplice. Quando però arriverà il ciclone del titolo italiano, il ragazzo si dimostrerà all'altezza della situazione.

Il film si divide in due parti. Nella prima c'è il solito gioco degli equivoci di due persone diverse che devono convivere; le gag ancora reggono abbastanza, ma senza un trasporto particolare; per chi già apprezza la fisicità particolare i Keaton sarà una piacevole conferma.
Nella seconda parte, quella del ciclone, invece viene fuori il film vero e proprio. La tracotanza di Keaton, che farà radere al suolo una cittadina dalle raffiche di vento e farà navigare degli edifici nel fiume, darà vita al motivo per cui l'attore regista è giustamente famoso: i suoi stunt. Senza raggiungere i livelli di quel capolavoro di "The general", qui Keaton gioca con il vento e case che crollano con il tempismo e la fisicità che lo contraddistinguono (oltre che con la sua espressione sempre seria).
Da sottolineare che, anche nelle parti meno attuali, i film di Keaton rimangono ancora oggi tra i più godibili del cinema muto.