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mercoledì 31 marzo 2021

Ride - Jacopo Rondinelli (2018)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Due amici, youtuber "estremi" cominciano ad avere vite distinte, uno ha messo su famiglia, l'altro ha problemi di gioco. Uno dei due iscrive entrambi a un gara misteriosa dove, presto si scopre, si può morire davvero.

Diciamoci la verità; qualunque giudizio su questo film sarà influenzato dal fatto che sia italiano.

Un piccolo film a basso budget con un'idea (iniziale) molto facile e uno svolgimento ancora più semplice che però riesce ad essere efficace.

Inizia a metà strada tra il colpo di fucile e il fastidio. Sfrutta a piene mani l'estetica dei videogiochi (le tappe con le ricompense, l'intera schermata del "gioco", gli spiegoni iniziali e nel mezzo.... vabbè tutto, dalla struttura al comparto visivo) per portare avanti una trama minimale che guadagna tutto dal ritmo (anche se vorrebbe funzionare con le evoluzioni sulla bicletta... che però presto divengono ripetitive e perdono mordente) e sfrutta l'altro idea della soggettiva costante. Anche la soggettiva viene dal videogioco e viene integrata con videocamere esterne e droni; un'idea un pò patetica che risulta fastidiosa nel POV continuo, ma che a lungo andare viene messa da parte in favore di un montaggio più articolato e normalizzante.

Non starò qui a fare la morale alla trama di un film action, ma il vero tallone d'Achille è tutto lì; una serie di plot twist non completamente efficaci con un finale (che non ho capito del tutto) che prende a piene mani dall'horror inglese e americano egli ultimi anni, ma con meno cognizione di causa. Lo sviluppo tesso dei personaggi e della storia è irrisorio e con uno forzo minimale poteva essere la svolta per avere un pò già di carne al fuoco, perché quel poco che c'è è cotto molto bene.

domenica 10 gennaio 2021

El bar - Alex de la Iglesia (2017)

 (Id.)

Visto su Netflix.


Un gruppo di persona si trova ostaggio in un bar, fuori un cecchino sembra sparare a chiunque si muova. All'arrivo dell'esercito la situazione degenererà.

LA quasi ultima fatica di De la Iglesia è un ritorno in grande stile alla sua idea di commedia nera action (se ne era mai allontanato veramente?). Il film inizia con il passo del thriller (un nemico invisibile sconosciuto dalle intenzioni ignote) che diventa a tinte quasi horror quando la situazione interna al bar scadrà in un tutti contro tutti, nel lungo finale nella fogne l'atmosfera horror non verrà mai eliminata, ma si passerà all'azione vera e propria. E come sempre nei film del regista spagnolo il thriller e l'azione sono parte integrante della trama, portano avanti o sviluppano i personaggi e i rapporti fra di loro quanto i dialoghi, senza mai perdere l'afflato ironico che in questo film si fa fra i più neri e grotteschi di sempre.

Di fatto niente di nuovo, ma qui De la Iglesia da sfogo all'altra sua grande passione, il volto e i corpi. I cast è tutto i aficionados del regista, tute facce già viste per chi lo conosce, tutte da freak (borghesi o meno) fatto salvo per la coppia di giovani bellissimi; ma tutti verranno tormentati fisicamente, martoriati, portato allo stremo sul paino più epidermico possibile. Perché alla fine De la Iglesia è un regista che maltratta i suoi personaggi quanto Haneke (letteralmente in ogni suo film) e ne vive la fisicità (da plasmare e formare) quanto un Cronenberg (si veda la trasformazione dei protagonisti di "Balada triste"), solo che è più divertente. Ecco allora che la coppia bellissima dovrà gettarsi nei liquami, cospargersi di olio, strizzarsi per passare in pertugi minuscoli, lottare, prendere botte e sanguinare quanto tutti gli altri. Perché per De la Iglesias tutti sono orribili (e lo mostra nei dialoghi) e tutti meritano il martirio a cui li sottopone.

domenica 27 dicembre 2020

Jallikattu - Lijo Jose Pellissery (2019)

 (Id.)

Visto su amazon prime.


Un bufalo scappa dal macello, era destinato al banchetto di nozze di un riccastro locale. Al macellaio si associano sempre più persone alla ricerca del bufalo, tutti sperano che, prendendolo, possano ricevere una parte della carne come ringraziamento per l'aiuto. La situazione sfuggirà presto di mano, con centinai do persone (l'intero villaggio) che darà la caccia al bovino in un parossismo di follia e violenza, con la coppia di (pseudo) protagonisti che arriveranno allo scontro diretto per concludere con un finale iperbolico fuori da ogni logica.

Film sorprendente dove la fuga di un docile ruminante viene da subito gestita come le scene di tensione de lo squalo, con l'animale che compare all'improvviso come una tempesta e altrettanto rapidamente scompare, con gli umani che partono ragionevoli per divenire sempre più estremi, bestiali, sporchi e numerosi. Con l'arrivo delle scene in notturna la qualità della regia aumenta (l'arrivo con le torce è bellissimo, il recupero nel pozzo è gestito magnificamente e poi c'è la montagna del finale) mentre la trama si fa sempre meno importante  e sempre più pretestuosa mentre porta avanti un discorso fatto di azione e di corpi disgiunto dal motivo iniziale. Il già citato finale, assurdo eccessivo ed estetizzante è ragionevole per la piega presa dalle cose. I dialogo sono inversamente proporzionale al caos sottolineando la disumanizzazione dei personaggi.

Film atipico nella vasta cinematografia indiana (anche per il minutaggio contenuto) che spicca per qualità di scrittura e di regia (cioè, sul serio, scrivere scene come quelle rimanendo seri e farle venire fuori bene è un mezzo miracolo).

giovedì 26 novembre 2020

Godzilla II. King of the monsters - Michael Dougherty (2019)

 (Godzilla: king of the monsters)

Visto su Amazon prime.


Dopo il giusto successo del precedente Godzilla (il primo grosso successo per un Godzilla americano) si decide di fare il bis e, positivamente, non lo si fa uscire dopo dieci minuti, ma passano ben 5 anni. Ovviamente per realizzare un seguito a Hollywood si decide di aumentare la quantità del fattore vincente del film precedente, quindi Godzilla e e MUTO vengono moltiplicati da una fiorire di Kaiju su cui primeggiano quelli classici della Toho, Rodan, Mothra e su tutti Gidorah. Purtroppo poi, a Hollywood, bisogna sempre mettere la componente umana...

Parte con la dovuta lentezza (non si può partire con mostrino che si spazzano malissimo tutto il tempo), ma quando parte davvero (con lo scongelamento di Gidorah) si da il via a una sequenza titanica, ben condotta, con una qualità della CGI (chiaramente Gidorah è vero) e un gusto per lo scontro che fa piacere tornare nei Blockbuster e questo sfruttando un personaggio che ho sempre disprezzato (Gidorah, insignificante anche nella serie originale giapponese, malfatto e odioso) riuscendo a farmelo apparire un antagonista credibile e godibile. Encomio totale al Monster design generale, che riesce a dare dignità a tutti (si pensi a Rodan, pterodattilo goffo in Giappone, qui uccello di fuoco dall'indubbia potenza).

Il problema non è il voler fare un film di mostri con molti mostri (pure troppi) con Mothra come deus ex machina tanto credibile (come lottatore) quanto efficace (poco), il problema è mischiare la volontà di titanismo con i problemvucoli umani. Ormai non è più un mostro che attacca New York (o Tokyo), ma un dramma planetario che comprende gli esseri umani solo in parte e confondere il tutto con i piccoli drammi personali che dovrebbero essere più empatizzanti dei drammi su ampia scala, ma che nei fatti allunga il brodo in maniera inutile e imbarazzante (la ricerca di Godzilla negli abissi....) quando sarebbe bastata la componente di dramma complessivo. Se a questo si aggiunge un cast estremamente nutrito a cui dare spazio e una scrittura dei personaggi obiettivamente malfatta (che tristezza vedere Watanabe ridotto così male) l'effetto finale è un'agonia per lo spettatore (quanto meno per me).

Tanto è stato folgorante il primo film, tanto è ignominioso questo secondo capitolo. Devo ancora vedere il film su King Kong su cui le aspettative sono ancora alte e rimango in tiepida attesa del seguito dei due.

PS: non sto qui a dare tutta la responsabilità al cambio di regia, nel primo film Edwards, qui Dougherty; perché il primo aveva dimostrato una padronanza dell'azione del contesto invidiabili, quest'altro invece... non lo conosco. I problemi comunque sono evidentemente (anche) nella scrittura che azzoppa la storia...

PPS: ma che cast enorme di ripescaggi dal cestone delle serie tv?! però, fra scelte ovvie perché bankable, altre giuste per carattere, altre no e basta, almeno c'è Vera Farmiga che rende migliori le mie giornate.

lunedì 16 novembre 2020

The raid 2. Berandal - Gareth Evans (2014)

(Serbuan maut 2: Berandal)

Visto su Amazon prime.

Dopo il botto di "The raid" il gruppo di Gareth Evans pensa sia giusto sfruttare il nome per il film successivo e decide di riprendere in mano lo script su cui stava lavorando già prima del 2011 e lo manipola per farlo diventare il seguito diretto del suo capolavoro.
L'effetto di questa manipolazione è evidente. Questo nuovo film ha una trama che non può essere riassunta in una riga; il genere cambia e diventa un hard boiled con un occhio a quello asiatico anni '80-'90; ovviamente il potenziale di empatia non può che aumentare (a chi non apprezza l'hard boiled di Hong Kong non so proprio cosa dire)... però l'impatto devastante del primo tutto fatto di purissima azione, velocità e ritmo enorme dall'inizio alla fine viene perduto.
L'azione c'è e in molte situazioni la cura è altissima e porta a dei risultati da applausi (la mia scena preferita è sicuramente a lotta nel fango dell'inizio, piani sequenza, dettagli, idee di coreografia pazzesche e con picchi di violenza inaudita), ma si fa prendere la mano arrivando a un inseguimento in macchina perfetto e sfrutta a piene mani le location delle varie lotte con un uso drammatico che Hitchcock avrebbe apprezzato (le sedie, la piastre e addirittura la zuppa nel ristorante, la scena iniziale nel bagno, ecc..). La mano quindi c'è, non viene persa, ma è diluita.

La storia è sicuramente buona (infiltrato nella mala deve sgominare tutti, a rischio c'è la famiglia e c'è la polizia corrotta), ma si perde spessissimo, si ipertrofizza senza motivo con picchi di inutilità e i dialoghi non so proprio la punta di diamante del film.
Quello che ne viene fuori è un neo-noir ormai un poco datato (che talvolta  si perde nei suoi stessi meandri), con trovate visive prese e rimaneggiate da Refn (che si conferma il regista più seminale per l'action moderno) e con ottime scene d'azione. "The raid" rimane lassù, ad anni luce di distanza.

domenica 8 novembre 2020

Il Jokey della morte - Alfred Lind (1915)

 (Id.)

Visto su la Cineteca di Milano.

Un ricco nobile viene ucciso dal sovrintendente che si libera anche della figlia neonata dandola a dei circensi. Molti anni dopo un nipote del nobile torna e scopre la vicenda, cercherà la cugina perduta e per convincerla della realtà di tutta la vicenda... si farà assumere nel circo per fare una serie di funambolismi pericolosi. I due dovranno fuggire a lungo prima dell'inevitabile happy ending.

Film di riscatto e d'azione (si, ok, pure d'amore, ma rimane decisamente sullo sfondo) tutto indirizzato ad esaltare le scene dinamiche; la trama è tra il ridicolo e il cretino, ma è altrettanto evidente che l'intenzione era altro.

Tolto quindi il lungo preludio alla un pò meno lunga fuga (circa 20-25 minuti su quasi un'ora di film) quello a cui si assiste è una sorta di cortometraggio che fa sfoggio di abilità circensi in ogni contesto possibile: sui tetti, sui ponti, sulle navi, tra i treni, sulle biciclette, ecc... con picchi di fascinoso action d'antan (per me il passaggio dalla chiatta al ponte) e picchi di follia irreale che ad un action puro sono prontissimo a perdonare. Certo, qualche anno dopo Keaton farà molto di più, e poco più di un decennio dopo avremo il suo "The General" (bignami di stunt e sprezzo del pericolo tutt'ora valido), ma considerando la bontà del gesto (tutto figlio delle attrazioni classiche del circo), il luogo (l'Italia nn è terra di grandi film d'azione) e l'anticipo sui tempo, questo è decisamente un grande film.

Come si diceva la sceneggiatura invece è imbarazzante e lo è fin dai primi minuti, viene giustificata dal lungo finale, ma non si può perdonare tanta pigrizia.

Magnifico invece il costume del protagonista che dona una nota di dramma cinematograficamente vincente.

PS: questo è il primo film italiano del danese Lind, emigrante della regia (lavorò anche in Germania) che qui interpreta anche l'agile protagonista.

mercoledì 9 settembre 2020

Tenet - Christopher Nolan (2020)

 (Id.)

Visto al cinema.

per la seconda volta (in tempi recenti) Christopehrer Nolan si scrive il film tutto da solo, ma stavolta non è un film "semplice" a livello di trama come "Dunkirk" (la cui complessità dei piani temporali era tutta fatta dal montaggio), il risultato è decisamente al di sotto del livello usuale.

Come spesso siamo davanti a un film piuttosto semplice nella trama (è una versione di James Bond con i viaggi nel tempo, e in quest'ottica Washington è credibile nella parte, lo lancio come suggerimento), ma che viene reso complesso dalla messa in scena e dalla maniera di raccontarlo, con incongruenze (apparenti o reali), salti temporali e i temibili spiegoni che qui diventano più pervasivi del solito.

Nonostante questi difetti e qualche stridio di troppo, però, siamo davanti a un film meraviglioso. Nolan sfrutta trame complesse, concetti enormi e soluzione sci-fi solo per portare sullo schermo quello che nessuno ha mai fatto prima. La lunga scena della battaglia in due tempi è qualcosa di mastodontico per complessità e accuratezza e decisamente qualcosa che difficilmente verrà mai riproposto. Ed è proprio in scene come queste che salta fuori la vera dote di Nolan, rendere chiari concetti e scene confuse e difficili. A questo si può associare la sempre interessante componente filosofica (semplice, ma mai indagata troppo quella della "bomba inesplosa") e soprattutto che Nolan è uno dei migliori registi action in circolazione.

Siamo di fronte a un autore a tutto tondo che scava nelle psicologie, nei drammi e nei concetti complessi, ma alla fine è l'unico che riesce a rendere fenomenale un aereo che si schianta senza neanche alzarsi da terra (la mia scena preferita del film). Lo ripeto, Nolan è uno dei più grandi registi action in circolazione.


PS: sono io che non l'ho mai notato o questo è il primo film di Nolan con dell'ironia?

lunedì 7 settembre 2020

A quiet place. Un posto tranquillo - John Krasinski (2016)

(A quiet place)

Visto su Netflix.

Dei mostri ciechi sono arrivati sulla terra e stanno estinguendo l'uomo, sono ciechi come si diceva quindi l'unico modo che hanno per cacciare è l'udito, qualunque suono troppo alto li attira e, una volta arrivati, sono predatori efficaci e rapidissimi.

Film dall'idea di fondo potente, ma estremamente versatile nel bene e nel male, con una scrittura poco fantasiosa potrebbe venire fuori un compitino semplice, un film di serie b o un film noiosissimo.
Per fortuna questo è un film di scrittura, di idee e di una regia al servizio della storia (che non avendo parole deve vivere di immagini).
Un incipit lento che introduce nel mondo post apocalittico, alcune scene di raccordo e poi si entra nel vivo. Per entrare nel vivo intendo che, nel momento in cui le cose si mettono male è una lotta costante per la sopravvivenza con mostri che sembrano essere sempre dappertutto e non danno tregua a nessun personaggio fino allo scioglimento finale; un action casalingo che tiene attaccati allo schermo fino alla fine.
Le idee si moltiplicano e sono tutte giocate su come l'uomo (o meglio, questa famiglia in particolare) si siano organizzati e adattati per sopravvivere, con una serie infinita di trucchi, trappole e sistemi di difesa che saranno di volta in volta utilizzati; la gran parte della scrittura è stata dedicata a questo, al rinforzare le mura di Fort Alamo e a renderlo interessante al pubblico senza doverlo mai spiegare.
la regia si concentra invece sui fucili di Checov, una serie di oggetti o situazioni che sono potenziali bombe a orologeria che vengono mostrate (spesso in maniera chiara e non di sfuggita) e che lo spettatore sa che scoppieranno (il chiodo, la gravidanza); accettando il gioco si può ovviare al fatto che nel lungo periodo si tratta di telefonate dirette della regia e godersi la suspense che la nuova inquadratura può creare.
Se il cast è tutto all'altezza, la prova enorme da ricordare è quella della Blunt, perfetta.

Lontano dall'essere il capolavoro che ho letto in giro, è un horror action tutto giocato di rimessa, ma solidissimo, intelligente e originale.

lunedì 24 agosto 2020

John Wick - Chad Stahelski, David Leitch (2014)

(Id.)

Visto su Amazon prime.

Credo sia ormai noto a tutti il film d'azione di Keanu Reeves, non dirò nient'altro sulla trama, mi pare già sufficiente.

Il film realizzato dagli stunt Sthelski e Leitch (prodotto da quest'ultimo e tenuto uncredited nella regia, ma vedendo quel capolavoro di "Atomica bionda" è evidente da dove vengono molte delle idee di regia) è tutto tranne un capolavoro, ma è un film enorme per l'idea di base di prendere l'azione del sud est asiatico (si, diciamo pure quella di "The raid") e portarla a Hollywood. Già solo per questo il film potrebbe diventare uno dei semi dell'action dei prossimi vent'anni. Si aggiunga che uscendo dal loro campo, prendono l'estetica di Refn, tutte luci fluo, personaggi impassibili, illuminazione in pieno volto e una perfezione formale estrema, la manipolano per renderla meno perturbante e il gioco è fatto. abbiamo la carta d'identità di quello che il cinema d'azione potrebbe diventare se venisse girato senza il pilota automatico.

Ovviamente i pregi non finiscono qui. L'estetica è molto e la regia è tutto, ma il world building dei sicari che vivono a fianco del genere umano normale come i vampiri è semplicissimo è pazzesco; l'eroe che incute timore ai villain con il solo rimanere al silenzia al telefono (in una sorta di versione ribaltata del T1000)  è un'idea semplice che era ora qualcuno portasse sul grande schermo e poi c'è Reeves che sembra nato pèer la parte.
I difetti, però, sono altrettanto notevoli: trama un poco raffazzonata con eventi troppo rapidi o decisioni buffe, Reeves che si dà anima e corpo, ma che ancora non ha il fisico adatto (nelle scene con degli stunt all'altezza si nota poca, ma lo showdown finale con l'altrettanto legnoso Nyqvist è patetico)... Quindi?
Quindi siamo davanti a un film di serie B con tutti i limiti del caso che offre alcune delle scene d'azione migliori del suo anno (verrà superato a destra dalla già citata "Atomica bionda") e che crea un immaginario visivo e concettuale che non potrà non influenzare i posteri.

lunedì 10 agosto 2020

Hanna - Joe Wright (2011)

(Id.)

Visto su Netflix.

Una ragazzina vive nel profondo nord con il padre. La vita è duramente scandita fra caccia grossa al cervo, esercizi di lotta libera, a lettura dell'enciclopedia. Tutto questo è necessario per una questione di spionaggio con americani cattivi che, prima o poi, verranno a riprendere tutti e due.

Il primo film action di Joe Wright è una creatura strana. Dopo l'incipit dove deve necessariamente spiegare molto in poche scene (e tutto sommato ce la fa né più né meno di qualunque altro regista... il che è un problema perché Wright vale di più), viaggia rapido senza stancare, si diletta di incastonare i suoi personaggi in scenari sempre diversi e si ferma a creare un film circolare ricco di riferimenti alle favole dei Grimm.
Un'operazione strana, perché le scene action sono molte, spesso anche buone che vanno da estremi estetizzanti videoclippari (se questo termine avesse ancora un senso) al limite dell'arte visuale (la prima fuga dalla base dei cattivi) alla citazione in piano sequenza di Pinkaew (quella con Bana in metropolitana). La necessità dell'immagina particolare si mischia alla voglia sempre più preponderante di infilare un simbolismo fiabesco che risulta digeribile solo quando è leggero, ma nel finale diventa insopportabile.
In tutto ciò però l'azione non riesce mai ad essere così spettacolare da sostenere il film da sola, mentre i personaggi sono gestiti molto peggio e non riescono neppure loro a sostenere una trama di fatto inesistente (sintomatico che le battute migliori le abbia un personaggio che scompare nella prima metà) che si ripiega sui cliché peggiori e sulle scorciatoie più becere (lo spiegone finale lasciato all'internet).

L'unica nota completamente positiva è (come sempre nei film di Wright) l'utilizzo del suono e delle musiche. In questo caso con la collaborazione perfetta dei The chemical brothers, le musiche vengono usate, in dissonanza o in risonanza, per fare da controcampo alle scene d'azione, mentre rumori disturbanti sottolineano uno o due passaggi d'ambientazione fondamentali e le poche musiche diegetiche sono lasciate a definire i momenti di calma iniziali.

lunedì 18 maggio 2020

Figli degli uomini - Alfonso Cuarón (2006)

(Children of men)

Visto su Netflix.

In un futuro distopico gli esseri umani sono diventati tutti, massivamente, infertili. Si vive in un mondo arido, senza speranza e violento, con gli stessi problemi attuali, ma drammatizzati ed estremi.
(Un uomo viene contattato dalla sua ex moglie (capo di un gruppo di resistenza) per una missione speciale, scortare una donna verso un luogo di mare dove dovrebbe esserci una nave di un fantomatico gruppo di salvataggio internazionale ad attenderla.

Grazie ai soldi e alla credibilità guadagnati dall'Harry Potter più oscuro, Cuaron può realizzare il più interessante film di fantascienza degli anni zero. Gran parte del fascino del film nasce non dallo spunto iniziale, ma dalla messa in scena e dalla regia.
la messa in scena è quella di un futuro prossimo, dove la tecnologia è avanzata, ma non in maniera eccessiva e risulta già usurata, infangata, sporca. Una messa in scena che esalta il tono crepuscolare della trama e che ne determina la credibilità.
La regia poi (il vero motivo di gloria del film) tenta il tutto e per tutto per essere immersiva, con macchina a mano e una serie di piani sequenza che servono a dare unità d'azione e ad aumentare la claustrofobia delle vicende riuscendo nello stesso tempo a far risultare il film un action anche se molto di quello che avviene è una lunghissima fuga a piedi. Se è giustamente famoso il piano sequenza finale (lunghissimo e complicato che termina con un'epifania incredibile) credo vadano encomiati anche la scena d'apertura (che con la sola voice over del tg spiega lo spunto fantascientifico alla base, presenta il protagonista e il mood dell'intero film), ma soprattutto la scena all'interno dell'auto, un capolavoro di complessità e colpi di scena.
Tutto questo sforzo enorme, da spessore alla vicenda, da capacità d'immedesimazione che altrimenti rimarrebbe parziale, ma soprattutto aumenta l'effetto angosciante e senza speranza (se non una luce alla fine assoluta, ma all'interno di un mare di disperazione) che è il cuore del film.
Un film che è fatto da una fuga di un'ora e mezza tra le più crudeli ed emozionanti di sempre.

PS: Owen al suo meglio, stropicciato e abbattuto è il protagonista perfetto.

lunedì 11 maggio 2020

Snowpiercerer - Bong Joon Ho (2013)

(Id.)

Visto su Amzon prime.

In un futuro distopico il riscaldamento globale è stato battuto con una sostanza che ab batte le temperature... ovviamente la sostanza sfugge di mano e abbatte troppo rendendo impossibile la vita sulla terra. La popolazione si rifugia su un treno che gira in maniera perpetua sul pianeta. Non tutti sfruttano i vantaggi del treno essendo rigidamente diviso per classi, i ricchi in testa, i poveri ammassati in coda.

Film di fantascienza e metaforone dichiarato (letteralmente) è il primo film americano di Bong Joon Ho.
Partendo da una trama eccessiva viene costruito un film che (se proprio non inneggia quantomeno) disquisisce sulla divisione di classe come avverrà anche nel successivo "Parasite" (ma senza quella grazia) portando il tono fantascientifico alle estreme conseguenze.
Lì'impianto e chiaramente americano, ma con un tocco originale; la scena di battaglia al buio è una buona intuizione (anche se non gestita benissimo), il personaggio dell'immancabile Song Kang Ho, fuori dagli archetipi classici. Un mix interessante che svecchia la fantascienza d'azione a cui siamo abituati senza però perdere in spettacolarità. Anzi, il colpo d'occhio, la ricerca di immagini iconiche è continua e spesso fruttuosa.
Tutto molto bello, tutto molto buono, devo ammettere che non mi ha convinto del tutto; personaggi troppo caricaturali (ma senza un filo di commedia come succede di solito nei film di Joon Ho), situazioni paradossali al limite della sospensione dell'incredulità e un finale che si basa moltissimo su un twist plot molto americano (anche se poi quello definitivo sarà un altro), me l'hanno reso meno godibile di quanto avrebbe potuto. Rimane comunque un ottimo prodotto.

lunedì 27 aprile 2020

Noah - Darren Aronfsky (2014)

(Id.)

Visto su Netflix.

Aronofsky prende la storia biblica di Noè, la gonfia a dismisura introducendo personaggi e relazioni nuove e (questa l'idea fondamentale) la gestisce come un fantasy. Ed ecco fatto un film.
A monte di ogni giudizio fa piuttosto specie vedere un regista viscerale e circonvenuto come Aronofsky alle prese con un colossal dal sapore supereroistico,  avrei scommesso fosse un film su commissione della Paramount rimaneggiato dall'autore se non ne avessi letto della precisa volontà di Aronofsky che da anni tentava di portare sullo schermo questa storia.

Detto ciò il film è, come già detto, un'avventura fantasy; un'ottica che, per le storie bibliche soprattutto per un europeo, è sostanzialmente nuova e, diciamocelo, vincente. La storia trattata in questo modo riesce ad avere un ritmo, un passo e un titanismo che difficilmente avrebbe avuto in altro modo, ma no solo questo. Aronofsky prende una delle storie bibliche più fantasiose (meno realistiche) e la gestisce con i linguaggi delle storie inverosimili cinematografiche, anziché il tentativo di un'agiografia di un personaggio impossibile. Fatto il salto l'effetto finale è garantito.

A fronte di questa idea di trama il film fa perno sui rapporti familiari come base del racconto, attriti, rapporti di fiducia e di forza che si muovono, si sbilanciano e si ricreano mentre questo gruppo di persone equilibrato viene messo in mezzo a una delle situazioni più estreme in assoluto.
A condire e a gonfiare c'è (e ci deve essere) un antagonista esterno che banalizza un poco e degli alleati esterni (gli angeli di pietra realizzati e animati benissimo che sono, di fatto, l'unico elemento dichiaratamente fantastico inserito a forza).

Peccato che l'arco narrativo sia scontato per gli scontri esterni e sia invece claudicante per quelli interni.
Per gli scontri esterni la scena di assalto all'arca è l'unica che si fa ricordare.
Gli scontri fra i membri della famiglia invece, una volta arrivato il diluvio diventano l'unica fonte di dinamismo ed essendo confinati in un luogo con pochi personaggi, diventano presto pretestuosi, ripetutitivi e con cambi improvvisi non giustificati.

Con tutto quanto ci si può chiedere se e dove Aronofsky si riconosca. Aronofsky c'è ed è riconoscibile. Splendido il time lapse per indicare il passare del tempo (la fonte d'acqua che diventa fiume), perfetto il continuo ritornare alla frutto della conoscenza e la morte di Abele con 3 immagini in sequenza riconoscibilissime (una sintesi rapida e perfetta fatta solo con immagini di comune riconoscibilità); idee ben congegnate, ma che, per me, sono pò poco.

lunedì 10 febbraio 2020

Transformer - Michael Bay (2007)

(Id.)

Visto su Netflix.

Io e Bay ci siamo lasciati quasi un ventennio fa con "Pearl Harbor", da allora c'è stato fra di noi solo un breve flirt (che però è stato stupendo). Volendo arrivare preparato a "6 underground" mi è toccato recuperare il rapporto con questo regista. Ho, quindi, visto per la prima volta il primo capitolo della saga... e mi sono divertito molto.

Bay ha codificato in maniera definitiva la sua estetica con colori acidi, movimenti di macchina circolari, un uso ossessivo (ma spesso adeguato) del ralenty.
A fronte di tutto ciò viene realizzato un film totalmente assurdo che nel primo terzo (primo dell'arrivo dei robot) è un divertentissimo teen movie interpretato da trentenni con un dinamismo da action. Il risultato è sorprendete e non può non entusiasmare. La regia muscolare di Bay improntata alla rapidità messa disposizione della sotria di un liceale sfigato, ma ambizioso è semplicemente perfetta e ha la giusta dose di autoironia.
Poi arrivano i robot.
A quel punto il film comincia una lenta trasformazione in un action tutti gli effetti con una serietà che aumenta di minuto in minuto fino alla preparazione dello scontro sulla diga (e lo showdown in città ovviamente) che non devia più verso il riso. Di questa trasformazione la trama ne perde moltissimo, ma non il ritmo che viene mantenuto altissimo e riesce a sostenere le scene d'azione.
Il film risulta godibile dall'inizio alla fine nonostante le lungaggini e si lascia ricordare con piacere (e Lebouf non risulta neppure antipatico!!).

Unico appunto, la CGI dell'epoca. I robot spesso inquadrati in maniera molto ravvicinata o quei ralenty continui potrebbero essere una necessità più che una scelta di regia. Bay riesce così a mostrare il meno possibile i movimenti del robot rapportati con glie seri umani per nasconderne una minor fluidità (?). In ogni caso l'operazione riesce in pieno.

venerdì 13 dicembre 2019

I predatori dell'arca perduta - Steven Spielberg (1981)

(Raiders of the lost ark)

Visto in tv.

Poi Spielberg decise di mettere in piedi una baracconata d'avventura basata su fumetti dozzinali di quando era lui il regazzino, di ambientarla negli anni d'oro del fumetto (i '30s) così da avere la scusa pure per ammazzare qualche nazista; infarcire il tutto di pseudoarcheologia e misticismo ebraico. Un mix sostanzialmente mortale per chiunque, ma il nostro adorato regista realizza uno dei picchi di una carriera... ricca di picchi.

Al di là del lavoro muscolare di ricostruzione di un mondo (mai esistito) dettagliato e variegato, al di là dello sforzo di creare personaggi interessanti e a 360 gradi pur mantenendo i buoni buonissimi e i cattivi... beh sono nazisti. Al di là di tutto questo, quello che più mi impressiona ogni volta che vedo un filmd ella trilogia di Indiana Jones è quanto regga da dio gli anni e le età dello spettatore. Questo è un film che ho adorato da giovanissimo e continuo ad apprezzare.
Spielberg mette in piedi una sana storia d'avventura e per portarla avanti decide che l'azione dovrà essere determinante. Verrà fatto di tutto, scazzottate, fughe dalle fiamme, fughe dentro ceste, battaglie d'auto, ecc.. tutto senza perdere mai un colpo e riuscendo anche mandare avanti la trama mentre si fugge (il capolavoro in questo senso sarà però "Il sacro graal").
Il lavoro riesce talmente bene e l'adrenalina si mantiene a buoni livelli tanto da far accettare i dettagli mistici anche al pubblico più esigente.

Ovviamente dietro la amcchina da presa Spielberg lavora su più piani e costruisce un film in cui le due sequenze iniziali (quella nella foresta e quella all'università) che facendo molto, ma dicendo poco (le scene dell'idolo d'oro potrebbero anche essere mute e cambierebbe di un nulla) descrivono in maniera completa il personaggio appena introdotto.
Il resto del film è un gioco continuo di mostrare in maniera non banale, sfruttando spessissimo le ombre o i tagli di luce quasi noir per un film ttuto sommato molto soleggiato.

Un film che riesce a coniugare una storia a più livelli che può accontentare quasi ogni pubblico, uno sviluppo avventuroso che tiene attacati allos chermo e una tecnica enomre. Un mix che, per fortuna Spielberg ci riproporrà almeno un altor paio di volte...

lunedì 9 dicembre 2019

Smetto quando voglio: Ad honroem - Sydney Sibilia (2017)

(Id.)

Visto in tv.

Ultimo capitolo della trilogia di Sibilia che conclude il ciclo in grande stile.
Cominciando esattamente dove finiva il precedente e mostrando nuovamente alcune sequenze del secondo capitolo che, là, risultavano un poco slegate, il film riparte sul già noto nella trama, ma fa un salto importante nel tono. La comicità rimane, ma viene molto ridimensionata e nella seconda parte sostanzialmente abolita a favore di un film un poco d'azione (decisamente meno dinamico del precedente) e molto di tensione.
Altro grande cambiamento è lo status dei suoi protagonisti. Indubbiamente rimangono gli stessi sfigati dei due film precedenti, ma in questo sono efficienti e ben organizzati nonché aiutati dalla fortuna, in una parola diventano eroi. Ecco, la differenza principale con il resto della saga è tutta qua; i primi due capitoli erano commedie all'italiana, con dei perdenti che ci provano e falliscono (calati in una critica sociale divertente), qui diventano eroi che salvano il mondo (e la critica diventa più marginale e... populista). Niente di grave, ma il genere ha un piccolo scarto che spiace a me personalmente, ma non fa perdere nulla in godibilità.

Per il resto il lavoro di regia rimane sostanzialmente identico, mentre la trama deve necessariamente ritornare sugli eventi passati per incastrarli (un buon lavoro), ma soprattutto deve gestire ancora una volta un cast corale enorme (si aggiunge di nuovo Marcorè) in maniere equilibrata lasciando molto spazio a Leo nel finale. L'esercizio circense riesce miracolosamente alla perfezione. Fatto salvo il finale tutto in mano al protagonista principale (come è giusto per concludere la trama orizzontale) il resto, a partire dall'incontro nella doccia, il piano di fuga, la metropolitana e l'ingresso alla Sapienza è un incredibile capolavoro di scrittura dove c'è spazio per tutti in maniera quasi identica (per realizzarlo si è dovuto ridimensionare l'ottimo Fresi che era il coprotagonista principale dei film precedenti).

Ovviamente non è il migliore della trilogia, ma è una chiusura che nond elude le grandissime premesse iniziali. Non male.

venerdì 15 novembre 2019

Iron man - Jon Favreau (2008)

(Id.)

Visto in tv.

Il primo capitolo della nuova vita della Marvel cinematografica è una delle operazioni meglio riuscite di sempre e uno dei film di supereroi più belli dell'epoca (a parte alcuni Batman).

Il film è una classicissima origin story e deve portare a casa il risultato presentando un personaggio sconosciuto a più, raccontarlo nel dettaglio prima, mostrare come c'è arrivato e poi farlo scontrare con il villain del caso.
Il metodo scelto per farlo è vincente.
Il film si concentra tantissimo sul personaggio, lo manipola rendendolo cool e divertente e lo mette in mano a Robert Downey Jr (il personaggio è proprio ritagliato su di lui). Mai una scelta di casting fu più azzeccata. Oggi nessuno avrebbe dubbi ad affidare a Downey Jr le chiavi di casa, ma all'epoca l'attore (con tutti i suoi problemi) arrivava da una serie di film imbarazzanti, alcuni ottimi film che abbiamo visto in due, e altri film dove semplicemente non lo si poteva riconoscere (e comunque li abbiamo visti in due). Questo personaggio invece gli permette di gigioneggiare al meglio e dare sfoggio di una gamma di possibilità attoriali (esagerate) che gli verranno buone e lo rilanceranno.
Il film si poggia integralmente sul suo attore/personaggio e gira intorno distruggendo quello che era l'archetipo supereroistico sopravvissuto fino a quegli anni (quello anni 80-90 di Batman) con un personaggio principale triste e esolitario e prieno di problemi e un supoerpotere visto con fatica o con responasibilità; qui si vira il tutto verso l'edonismo.
Il tutto condito da una fotografia ottimale, molto illuminata e tendente ai colori caldi.

L'altra grande scommessa è quella di creare un film con un antagonista quasi inesistente; certo il villain arriva, ma molto tardi, dall'interno e quasi per sbaglio, dando vita a una delle (estremamente efficace) sequenze action di un fil m d'azione povero d'azione.

Un film non scontato che diventerà seminale che azzecca tutto, dall'estetica al tono al ritmo fondando una nuova linea di supereroi.

venerdì 18 ottobre 2019

Smetto quando voglio: Masterclass - Sydney Sibilia (2017)

(Id.)

Visto in Tv.

Al secondo capitolo della saga dei ricercatori precari Sibilia riprende tutti gli elementi del primo film e li riutilizza. Fotografia acida con doppia dominante, uso pazzesco delle location romane meno scontate possibile (che riescono quindi a creare un'altra città rispetto a quella da cartolina a cui ci siamo abituati), ottima colonna sonora (invasiva, ma contenuta) e gag che si appoggiano totalmente sulla fisicità e sulla recitazione degli attori (in questo secondo film risalta soprattutto Edoardo Leo, capace di dare senso e tempo comico con i gesti più che con le parole).

Quello che cambia però è il ritmo. Il film vira dalla commedia classica alla action comedy. Con un gusto per le scene d'azione dinamiche e divertenti nel contempo (e che riescono, anche se in minima parte, a portare avanti la trama mentre avvengono) che sembra essere preso da De la Iglesia (a mio avviso, il migliore in questo campo) non avendo un paragone possibile in Italia. L'effetto è eccitante e stupefacente; si prenda anche soltanto l'attacco al treno; fa godere di alcuni dei momenti più divertenti del film, mantiene le caratteristiche di ogni singolo personaggio, porta avanti la trama (si scopre chi è a creare la nuova droga sintetica) e realizza il primo (?) stand off sul tetto del treno del cinema italiano (contemporaneo) a cui si arriva con angoli d'inquadratura particolari e senza mai rallentare il ritmo.
L'altra grande capacità del film è quella di avere un cast ancora più numeroso e riuscire a dare caratteristiche tridimensionali a quasi tutti i coprotagonisti e a farle mantenere durante lo svolgimento delle varie sequenze; nessuno agisce per riempire un vuoto, in maniera banale, ma tutti si muovono come farebbe il loro personaggio in quella situazione.

Il film riconferma una galleria di antieroi buffi e sfigati che sembrano sempre riuscire rovinandosi nel finale dando, di fatto, continuità (ma molto attualizzata) alla commedia all'italiana. Qualche differenza ovviamente c'è, ma è una modifica secondaria.

venerdì 20 settembre 2019

Jurassic World - Colin Trevorrow (2015)

(Id.)

Parco divertimenti con dinosauri, le cose andranno male. credo che questo sia più o meno il riassunto.

Non sono pià in quella fase della vita per cui basta un dinosauro per fare un grande film, ho visto Jurassic World ed è stato bellissimo. In fondo ci sono un sacco di dinosauri. Dove non funziona la qualità funziona la quantità.

Diciamocelo, il film è lontanissimo dall'essere perfetto e anni luce dal "Jurassic Park" originale. I difetti sono sotto gli occhi di tutti, manca empatia, personaggi che vadano oltre la macchietta, idee balzane utilizzate come novità attira-pubblico che poco hanno di sensato o scene completamente folli.
Di tutti questi difetti l'ultimo è il meno importante perché permette momenti wow altrimenti impossibili (quanto è scema la scena degli pterodattili che fuggono e cominciano, senza motivi, a sollevare esseri umani?! ma d'altra parte, quanto figa è quella scena?!).
Di tutti i difetti, il penultimo, è invece il più assurdo. A cosa serve un ibrido di dinosauri? A Hollywood si è deciso che i dinosauri in sé (e ne esistono centinaia di tipi, diversi carnivori giganti) non sono più sufficientemente cool? Oppure creare una creatura ex novo con caratteristiche peculiari che si scoprono a mano a mano con irritante esattezza sembrava un ottimo sistema per creare un climax? (e non parlo dei velociraptor addestrati).

Detto ciò, quel che manca in fantasia di regia la si ottiene con la spettacolarità, il dinosauro acquatico compare due volte, ma si mangia sempre la scena (ah ah ah), e il senso di distacco da Spielberg (che comunque ci manca) si sente sempre meno, avendo il film preso con sicurezza la via del blockbuster d'azione e giocando, quindi, in un altro campionato rispetto al primissimo film della saga.
Apprezzabile comunque, per noi affezionati agli anni 90 il citazionismo spinto di quel film capostipite da cui tutti veniamo, che si spinge fino alla comparsata inaspettata di Wu (e di Mr. DNA).
A conti fatti un film più che soddisfacente per quello che prometteva, ma con ampi margini di miglioramento.

venerdì 19 luglio 2019

Arma letale - Richard Donner (1987)

(Lethal weapon)

Visto in aereo.

Per quelle due persone che non la conoscono, ecco qui la sinossi del film.

Alla sua prima sceneggiatura, Shane Black, mette insieme un teatrino di personaggi e situazioni che diverranno una cifra stilistica personale prima ancora che un genere a sé. Rimestando nel noir (qui solo parziale), nella spy story e con alle spalle un dramma solido, Black imbastisce una storia che sembra solo un pretesto per far muovere con disinvoltura i suoi personaggi. Perché Black, prima che scrittore di storie scrive di persone, crea caratteri diversi, ma il più possibile sfaccettati o dettagliati (di solito uno è profondamente descritto, mentre l'altro è solo una spalla), in antitesi fra loro, li unisce per motivi bizzarri e li fa muovere insieme con una scorta infinita di ironia, creando, di fatto, il buddy movie moderno, quello che oggi è uno stilema classico.

Questo "Arma letale" ha i pregi e i difetti di essere il primo. Fa da apripista con una serie di invenzioni enormi, usate per la prima volta e, dunque, maggiormente efficaci, si porta dietro una dose costante di tragedia che nelle opere successive andrà sempre più scemando (e di conseguenza la parte da commedia ne risulta diminuita) riuscendo nel miracoloso intento di lasciare che i due generi così in antitesi si fomentino a vicenda anziché spegnersi.
Lo svantaggio è che ci si trova davanti a un film più grezzo, meno dettagliato e pulito, con un onesto lavoratore dietro la macchina da presa, Donner, che porta a casa il suo senza eccessive invenzioni.

Dal lato del cast si può apprezzare un Gibson totalmente in parte affiancato da un Glover efficace senza mai mangiarsi la scena, alle loro spalle una galleria di caratteristi invidiabili e divenuti a loro volta archetipi.