(Children of men)
Visto su Netflix.
In un futuro distopico gli esseri umani sono diventati tutti, massivamente, infertili. Si vive in un mondo arido, senza speranza e violento, con gli stessi problemi attuali, ma drammatizzati ed estremi.
(Un uomo viene contattato dalla sua ex moglie (capo di un gruppo di resistenza) per una missione speciale, scortare una donna verso un luogo di mare dove dovrebbe esserci una nave di un fantomatico gruppo di salvataggio internazionale ad attenderla.
Grazie ai soldi e alla credibilità guadagnati dall'Harry Potter più oscuro, Cuaron può realizzare il più interessante film di fantascienza degli anni zero. Gran parte del fascino del film nasce non dallo spunto iniziale, ma dalla messa in scena e dalla regia.
la messa in scena è quella di un futuro prossimo, dove la tecnologia è avanzata, ma non in maniera eccessiva e risulta già usurata, infangata, sporca. Una messa in scena che esalta il tono crepuscolare della trama e che ne determina la credibilità.
La regia poi (il vero motivo di gloria del film) tenta il tutto e per tutto per essere immersiva, con macchina a mano e una serie di piani sequenza che servono a dare unità d'azione e ad aumentare la claustrofobia delle vicende riuscendo nello stesso tempo a far risultare il film un action anche se molto di quello che avviene è una lunghissima fuga a piedi. Se è giustamente famoso il piano sequenza finale (lunghissimo e complicato che termina con un'epifania incredibile) credo vadano encomiati anche la scena d'apertura (che con la sola voice over del tg spiega lo spunto fantascientifico alla base, presenta il protagonista e il mood dell'intero film), ma soprattutto la scena all'interno dell'auto, un capolavoro di complessità e colpi di scena.
Tutto questo sforzo enorme, da spessore alla vicenda, da capacità d'immedesimazione che altrimenti rimarrebbe parziale, ma soprattutto aumenta l'effetto angosciante e senza speranza (se non una luce alla fine assoluta, ma all'interno di un mare di disperazione) che è il cuore del film.
Un film che è fatto da una fuga di un'ora e mezza tra le più crudeli ed emozionanti di sempre.
PS: Owen al suo meglio, stropicciato e abbattuto è il protagonista perfetto.
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lunedì 18 maggio 2020
lunedì 19 agosto 2019
L'uomo dell'anno - Barry Levinson (2006)
(Man of the year)
Visto ad un cineforum.
Un comico televisivo, più per sfida e sberleffo che per reale volontà popolare si candida come presidente degli USA. Per un problema nel calcolo dei voti vince pure. Sarà ovviamente un presidente sui generis, finché una dipendente pentita della ditta che doveva contare i voti non si rivolge a lui per avvertirlo del bug. Nascerà una storia d'amore che sfocerà nel thriller.
Una commedia tranquilla e senza guizzi o spigolature che mostra una sorta di parabola alla Beppe Grillo non è un'idea accattivante, ma può essere condotta bene e portare a casa il risultato.
Una commedia romantica inserita in un contesto quanto di più lontano da quello sentimentale? certo non sarà la prima e tenderà a irritarmi parecchio, ma anche qui, se condotta con un minimo di intelligenza può essere l'innocuo film della domenica pomeriggio.
Un thriller politico sulle elezioni americane invece lo pretendo di un certo livello, i predecessori sono molti e spesso illustri, quindi chiederei una qualità di minima più alta.
Dire che Levinson sbagli a gestire uno di questi generi sarebbe ridicolo; decide di buttarli tutti insieme in un film che già dall'inizio fatica a trovare un suo ritmo. Il risultato è disastroso; una pochade che non sa dove arrivare e neppure come arrivarci, ma che per farlo preferisce annoiare senza pietà sprecando un cast con attori potenzialmente in parte (Williams come protagonista) e una serie di facce nelle retrovie da fare invidia (Walken! Goldblum).
Visto ad un cineforum.
Un comico televisivo, più per sfida e sberleffo che per reale volontà popolare si candida come presidente degli USA. Per un problema nel calcolo dei voti vince pure. Sarà ovviamente un presidente sui generis, finché una dipendente pentita della ditta che doveva contare i voti non si rivolge a lui per avvertirlo del bug. Nascerà una storia d'amore che sfocerà nel thriller.
Una commedia tranquilla e senza guizzi o spigolature che mostra una sorta di parabola alla Beppe Grillo non è un'idea accattivante, ma può essere condotta bene e portare a casa il risultato.
Una commedia romantica inserita in un contesto quanto di più lontano da quello sentimentale? certo non sarà la prima e tenderà a irritarmi parecchio, ma anche qui, se condotta con un minimo di intelligenza può essere l'innocuo film della domenica pomeriggio.
Un thriller politico sulle elezioni americane invece lo pretendo di un certo livello, i predecessori sono molti e spesso illustri, quindi chiederei una qualità di minima più alta.
Dire che Levinson sbagli a gestire uno di questi generi sarebbe ridicolo; decide di buttarli tutti insieme in un film che già dall'inizio fatica a trovare un suo ritmo. Il risultato è disastroso; una pochade che non sa dove arrivare e neppure come arrivarci, ma che per farlo preferisce annoiare senza pietà sprecando un cast con attori potenzialmente in parte (Williams come protagonista) e una serie di facce nelle retrovie da fare invidia (Walken! Goldblum).
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Thriller
lunedì 28 gennaio 2019
Arrivederci amore, ciao - Michele Soavi (2006)
(Id.)
Visto in Dvx.
Un ex brigatista fuggito in Sud America torna in Italia rimanendo fuori dal carcere vendendo gli ex colleghi. Ma vorrebbe di più; oltre ai soldi intendo, vorrebbe anche la riabilitazione e per ottenere tutto ciò sarà disposto a tutto.
Io litigai con Soavi molti anni fa, ma vedendo ora questo film mi rendo conto che, forse, è stata colpa mia. Questo film è fenomenale.
La regia è estremamente dinamica con frequentissimi dolly, inquadrature atipiche (dall'alto, dal basso, deformanti), colori fluo e costruzioni atipiche delle location; uno stile che sembra una versione edulcorata del post moderno anni '90, una sua versione riadattata per essere fruibile ancora oggi. Ma soprattutto Soavi si dimostra un enorme costruttore di immagini, di scene a effetto, di inquadrature patinate.
Ma quello che colpisce di più è la perfezione nel ricreare il mondo del romanzo, un mondo fatto di stronzi dove il protagonista è il più stronzo di tutti, ma non in senso buffo o simpatico, lo è senza attenuanti. L'ottimo romanzo di Carlotto è un libro pulp perfetto e Soavi riesce a mettere in scena un hard boiled non consolatorio, strafottente e ritmato; una versione del noir che in Italia non mi risulta neppure avesse dei precedenti (almeno dei precedenti riusciti).
Protagonista un Alessio Boni (di cui non ricordavo neanche la faccia) che non meritava la parte principale; ottimo invece Michele Placido in quella che al momento mi sembra la sua migliore interpretazione; la Ferrari, incapace di recitare, ma utilizzata in maniera molto funzionale.
Visto in Dvx.
Un ex brigatista fuggito in Sud America torna in Italia rimanendo fuori dal carcere vendendo gli ex colleghi. Ma vorrebbe di più; oltre ai soldi intendo, vorrebbe anche la riabilitazione e per ottenere tutto ciò sarà disposto a tutto.
Io litigai con Soavi molti anni fa, ma vedendo ora questo film mi rendo conto che, forse, è stata colpa mia. Questo film è fenomenale.
La regia è estremamente dinamica con frequentissimi dolly, inquadrature atipiche (dall'alto, dal basso, deformanti), colori fluo e costruzioni atipiche delle location; uno stile che sembra una versione edulcorata del post moderno anni '90, una sua versione riadattata per essere fruibile ancora oggi. Ma soprattutto Soavi si dimostra un enorme costruttore di immagini, di scene a effetto, di inquadrature patinate.
Ma quello che colpisce di più è la perfezione nel ricreare il mondo del romanzo, un mondo fatto di stronzi dove il protagonista è il più stronzo di tutti, ma non in senso buffo o simpatico, lo è senza attenuanti. L'ottimo romanzo di Carlotto è un libro pulp perfetto e Soavi riesce a mettere in scena un hard boiled non consolatorio, strafottente e ritmato; una versione del noir che in Italia non mi risulta neppure avesse dei precedenti (almeno dei precedenti riusciti).
Protagonista un Alessio Boni (di cui non ricordavo neanche la faccia) che non meritava la parte principale; ottimo invece Michele Placido in quella che al momento mi sembra la sua migliore interpretazione; la Ferrari, incapace di recitare, ma utilizzata in maniera molto funzionale.
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venerdì 26 maggio 2017
Chaharshanbe-soori - Asghar Farhadi (2006)
(Id. AKA Fireworks wednesday)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una ragazzza che lavora per una ditta di pulizie viene ingaggiata per tre gorni di lavoro per aiutare una coppia appena trasferitasi. Quando arriverà si troverà nel bel mezzo di una crisi in cui la moglie sarà folle di gelosia per una pretesa relazione del marito con una vicina di casa. La ragazza sarà presa in mezzo, utilizzata d tutti per avere informazioni.
Il film precedente ad "About Elly" è già completamente in linea con la filmografia successiva di Farhadi; anche qui, infatti, la trama gira attorno a una verità da svelare, si basa su fatti di difficile interpretazione, nel suo svolgersi si avvale di continue bugie e omissioni. A differenza dei successivi film, qui lo spettatore verrà a sapere cosa è successo in realtà e anche la protagonista avrà i mezzi, per capire da che parte sta la ragione.
In ogni caso l'effetto non è meno efficace; ancora una volta gli eventi del mondo sembrano semplicemente insondabili e la realtà troppo complessa per poterla conoscere con sicurezza e obiettività.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una ragazzza che lavora per una ditta di pulizie viene ingaggiata per tre gorni di lavoro per aiutare una coppia appena trasferitasi. Quando arriverà si troverà nel bel mezzo di una crisi in cui la moglie sarà folle di gelosia per una pretesa relazione del marito con una vicina di casa. La ragazza sarà presa in mezzo, utilizzata d tutti per avere informazioni.
Il film precedente ad "About Elly" è già completamente in linea con la filmografia successiva di Farhadi; anche qui, infatti, la trama gira attorno a una verità da svelare, si basa su fatti di difficile interpretazione, nel suo svolgersi si avvale di continue bugie e omissioni. A differenza dei successivi film, qui lo spettatore verrà a sapere cosa è successo in realtà e anche la protagonista avrà i mezzi, per capire da che parte sta la ragione.
In ogni caso l'effetto non è meno efficace; ancora una volta gli eventi del mondo sembrano semplicemente insondabili e la realtà troppo complessa per poterla conoscere con sicurezza e obiettività.
Come nella trama anche la forma è in
linea con quello che verrà, anche se in versione più grezza. Fotografia
semplice, ritmo rilassato, macchina da presa mobile; quello che manca
è la capacità di rendere un narrazione scorrevole e di mantenere
l'interesse per tutta la durata del film come fossimo in un
thriller; doti che verranno dopo, intanto ci si può godere un film intelligente anche se un pò goffo.
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Taraneh Alidoosti
venerdì 15 gennaio 2016
The host - Bong Joon Ho (2006)
(Gwoemul)
Visto in Dvx.
Dal fiume Han esce una creatura marina ibrida, gigantesca e con il buffo istinto d'attaccare random gli esseri umani, un po' uccidendone, un po' rapendoli senza ucciderli. tra i rapiti vi sarà una ragazzina, figlia di un bietolone; l'uomo, assieme al padre, il fratello e la sorella saranno messi in quarantena, poiché gli americani (sono sempre gli americani a fare casino) dicono che la creatura sia il vettore di un nuovo virus. I 4 fuggiranno per cercare la ragazza, per farlo dovranno, ognuno per conto proprio, affrontare la bestia.
Film atipico nella rinomata hall dei film di mostri, un po' perché un film familiare dove un clan si riunisce per salvare un componente (non c'è supereroismo machista anni '80), un po' perché ha dei ripetuti aspetti da commedia (tipicamente dell'Asia dell'est, con il protagonista buffo che inciampa spesso), ma soprattutto perché non segue per un cazzo le regole imposte da Spielberg del "passa 80 minuti a parlare di lui e mostrarlo negli ultimi 10". No, in questo film ci sono 5-10 minuti di presentazione dei personaggi, poi il mostre esce dall'acqua a fare macelli, in pieno sole su una spiaggia piena di persone con cui interagisce (questo per dire che inizia con la situazione peggiore per il CGI, non nasconde i propri difetti con la penombra o con gli esseri umani inquadrati separatamente). Credo di poterlo dire senza troppa paura d'esagerare, l'incipit è uno dei migliori tra i film di mostri.
Anche la parte della commedia andrebbe sottolineata di più, perché tutti i personaggi sono abbastanza degli idioti, ma le idee migliori sono quelle piccole soluzione messe sullo sfondo, le autorità coreane incompetenti e desiderose di fare bella figura (magnifico l'arrivo del medico americano nella zona della quarantena); e ancora una volta va premiato il coraggio del film di permettersi di fare l'idiota anche in situazioni drammatiche (l'ultimo proiettile nel fucile dato al padre) e fino allo showdown finale (l'esito dell'ultima molotov).
Unico vero neo una certa lungaggine, la ripetitività della fuga dalle autorità e dell'inseguimento del mostro danno segni di stanchezza nella seconda parte.
Visto in Dvx.
Dal fiume Han esce una creatura marina ibrida, gigantesca e con il buffo istinto d'attaccare random gli esseri umani, un po' uccidendone, un po' rapendoli senza ucciderli. tra i rapiti vi sarà una ragazzina, figlia di un bietolone; l'uomo, assieme al padre, il fratello e la sorella saranno messi in quarantena, poiché gli americani (sono sempre gli americani a fare casino) dicono che la creatura sia il vettore di un nuovo virus. I 4 fuggiranno per cercare la ragazza, per farlo dovranno, ognuno per conto proprio, affrontare la bestia.
Film atipico nella rinomata hall dei film di mostri, un po' perché un film familiare dove un clan si riunisce per salvare un componente (non c'è supereroismo machista anni '80), un po' perché ha dei ripetuti aspetti da commedia (tipicamente dell'Asia dell'est, con il protagonista buffo che inciampa spesso), ma soprattutto perché non segue per un cazzo le regole imposte da Spielberg del "passa 80 minuti a parlare di lui e mostrarlo negli ultimi 10". No, in questo film ci sono 5-10 minuti di presentazione dei personaggi, poi il mostre esce dall'acqua a fare macelli, in pieno sole su una spiaggia piena di persone con cui interagisce (questo per dire che inizia con la situazione peggiore per il CGI, non nasconde i propri difetti con la penombra o con gli esseri umani inquadrati separatamente). Credo di poterlo dire senza troppa paura d'esagerare, l'incipit è uno dei migliori tra i film di mostri.
Anche la parte della commedia andrebbe sottolineata di più, perché tutti i personaggi sono abbastanza degli idioti, ma le idee migliori sono quelle piccole soluzione messe sullo sfondo, le autorità coreane incompetenti e desiderose di fare bella figura (magnifico l'arrivo del medico americano nella zona della quarantena); e ancora una volta va premiato il coraggio del film di permettersi di fare l'idiota anche in situazioni drammatiche (l'ultimo proiettile nel fucile dato al padre) e fino allo showdown finale (l'esito dell'ultima molotov).
Unico vero neo una certa lungaggine, la ripetitività della fuga dalle autorità e dell'inseguimento del mostro danno segni di stanchezza nella seconda parte.
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Ko Asung,
Song Kang Ho
lunedì 24 agosto 2015
10 cose di noi - Brad Silberling (2006)
(10 items or less)
Visto in tv.
Un attore di Hollywood in declino e lontano dagli schermi da 4 anni sta valutando un copione in cui dovrebbe interpretare il direttore di un supermercato; per decidere si fa portare in un supermarket di quartiere (un quartiere ispanico di Los Angeles... credo) dove si mette a seguire i movimenti di una cassiera, bella, brava e irritabile. Verrà abbandonato dall'autista e seguirà la cassiera per tutta la giornata.
Commediola leggera e consolatoria nata con un budget molto basso (ma sostenuta da produttori grossi come Freeman, anche protagonista, e De Vito, che appare in un cameo), che ha però sorpreso i botteghini americani.
Il perché del suo successo è difficile a dirsi (i motivi sono sempre complessi, anche se la scorrevolezza di una trama positiva sono sempre ben accetti), il perché invece sia un buon film è più semplice. Questa è una commedia consolatoria perché vincono tutti, ma assolutamente inusuale per la totale mancanza di eventi (la trama è praticamente tutta riassunta li sopra con l'aggiunta di un paio di epifenomeni), per il suo basarsi solo sui dialoghi e sulla contrapposizione fra i due personaggi e per la sua mancanza di copiaincollatura dei cliché base del genere (su tutti il finale, positivo, non è assolutamente irrealistico come al solito, anzi è dolce, senza essere buonista).
Quello che però colpisce è la cura delle immagini, fotografate divinamente (l'interno del supermercato riesce a sembrare squallido quanto dev'essere eppure bello come un quadro) che fanno ignorare una regia buona, ma normale.
Anzi, non è vero, la fotografia colpisce, ma quello che colpisce di più sono i due protagonisti. Spigliati, simpatici, empatici; Paz Vega, completamente in parte sostiene gli abiti della ragazza problematica, ma piena di vita; Morgan Freeman fresco e scattante come non si vedeva da anni (erano anni che non lo vedevo neppure protagonista, specie in un film che non fosse di nicchia) nella parte di uno svampito, ma ottimista, attore ormai bollito (unica vera caduta di stile è stato il fargli dire che in fondo la sua vita non è granché per i soliti motivi da commedia americana; tranne quello scadere nell'ovvio, il suo personaggio è bellissimo, complesso senza darlo a vedere).
Non un film memorabile, ma decisamente una bella sorpresa.
PS: ci sono anche, in due parti molto marginali, degli ancora sconosciuti Jonah Hill e Jim Parsons, oltre a Kumar Pallana (Pagoda) in un film che non è stato diretto da Wes Anderson!
Visto in tv.
Un attore di Hollywood in declino e lontano dagli schermi da 4 anni sta valutando un copione in cui dovrebbe interpretare il direttore di un supermercato; per decidere si fa portare in un supermarket di quartiere (un quartiere ispanico di Los Angeles... credo) dove si mette a seguire i movimenti di una cassiera, bella, brava e irritabile. Verrà abbandonato dall'autista e seguirà la cassiera per tutta la giornata.
Commediola leggera e consolatoria nata con un budget molto basso (ma sostenuta da produttori grossi come Freeman, anche protagonista, e De Vito, che appare in un cameo), che ha però sorpreso i botteghini americani.
Il perché del suo successo è difficile a dirsi (i motivi sono sempre complessi, anche se la scorrevolezza di una trama positiva sono sempre ben accetti), il perché invece sia un buon film è più semplice. Questa è una commedia consolatoria perché vincono tutti, ma assolutamente inusuale per la totale mancanza di eventi (la trama è praticamente tutta riassunta li sopra con l'aggiunta di un paio di epifenomeni), per il suo basarsi solo sui dialoghi e sulla contrapposizione fra i due personaggi e per la sua mancanza di copiaincollatura dei cliché base del genere (su tutti il finale, positivo, non è assolutamente irrealistico come al solito, anzi è dolce, senza essere buonista).
Quello che però colpisce è la cura delle immagini, fotografate divinamente (l'interno del supermercato riesce a sembrare squallido quanto dev'essere eppure bello come un quadro) che fanno ignorare una regia buona, ma normale.
Anzi, non è vero, la fotografia colpisce, ma quello che colpisce di più sono i due protagonisti. Spigliati, simpatici, empatici; Paz Vega, completamente in parte sostiene gli abiti della ragazza problematica, ma piena di vita; Morgan Freeman fresco e scattante come non si vedeva da anni (erano anni che non lo vedevo neppure protagonista, specie in un film che non fosse di nicchia) nella parte di uno svampito, ma ottimista, attore ormai bollito (unica vera caduta di stile è stato il fargli dire che in fondo la sua vita non è granché per i soliti motivi da commedia americana; tranne quello scadere nell'ovvio, il suo personaggio è bellissimo, complesso senza darlo a vedere).
Non un film memorabile, ma decisamente una bella sorpresa.
PS: ci sono anche, in due parti molto marginali, degli ancora sconosciuti Jonah Hill e Jim Parsons, oltre a Kumar Pallana (Pagoda) in un film che non è stato diretto da Wes Anderson!
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Paz Vega
giovedì 13 novembre 2014
Deweneti - Dyana Gaye (2006)
(Id., AKA Osumane)
Visto qui.
Poi mi sono pure recuperato un cortometraggio della filmografia (non proprio vasta) della Gaye di cui ho appena visto il primo lungometraggio.
La storia di un ragazzino senegalese che gira per la città a chiedere l'elemosina in cambio promette preghiere per i più grandi desideri delle persone che gli donano soldi.
Quando avrà guadagnato abbastanza investirà i soldi per far scrivere una lettere a Babbo Natale per chiedere di esaudire i desideri delle persone che gli hanno fatto l'elemosina.
Fiaba sull'infanzia leggera, veloce, talvolta anche divertente, girata con semplicità senza particolare cura sulla fotografia (che invece ci sarà dall'opera successiva).
Vedendola senza conoscere la regista si direbbe che è un buon cortometraggio senza infamia e con qualche lode; sapendo cosa verrà fuori dopo si può giocare a trovare i punti di contatto con la filmografia successiva (un pò come si fa con "The big shave" adesso... anche se siamo su un altro livello).
L'unica cosa che si può obiettivamente aggiungere è che siamo davanti ad un corto che mostra l'Africa della miseria senza nascondere nulla, ma con un tono leggero.
Visto qui.
Poi mi sono pure recuperato un cortometraggio della filmografia (non proprio vasta) della Gaye di cui ho appena visto il primo lungometraggio.
La storia di un ragazzino senegalese che gira per la città a chiedere l'elemosina in cambio promette preghiere per i più grandi desideri delle persone che gli donano soldi.
Quando avrà guadagnato abbastanza investirà i soldi per far scrivere una lettere a Babbo Natale per chiedere di esaudire i desideri delle persone che gli hanno fatto l'elemosina.
Fiaba sull'infanzia leggera, veloce, talvolta anche divertente, girata con semplicità senza particolare cura sulla fotografia (che invece ci sarà dall'opera successiva).
Vedendola senza conoscere la regista si direbbe che è un buon cortometraggio senza infamia e con qualche lode; sapendo cosa verrà fuori dopo si può giocare a trovare i punti di contatto con la filmografia successiva (un pò come si fa con "The big shave" adesso... anche se siamo su un altro livello).
L'unica cosa che si può obiettivamente aggiungere è che siamo davanti ad un corto che mostra l'Africa della miseria senza nascondere nulla, ma con un tono leggero.
mercoledì 17 settembre 2014
Taxidermia - György Pálfi (2006)
(Id.)
Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Tre episodi di tre generazioni.
Nel primo, inizio novecento, un soldato (che non combatterà mai) deve sottostare agli ordini del comandante amante del sesso, purtroppo il soldato è un masturbatore compulsivo e ne ricaverà solo danni.
Nel secondo, il figlio (surreale) del soldato è un campio nazionale (ungherese) nelle gare di chi mangia più velocemente, con l'amico e collega si contenderà l'amore di una donna.
Nel terzo, il figlio dello "sportivo" si prende cura dell'obesissimo padre e porta avanti il suo lavoro di tassidermista fino alle estreme conseguenze.
Film surreale, ma costruito in maniera talmente verosimile (coprattutto nella seconda parte, dove lo "sport" è trattato con una serietà magnifica) che lo fa sembrare una sorta di realismo magico cinematografico.
Il film è un dramma di persone sole e tradite, ma con il ritmo di un nerissimo film grottesco, diverte mentre si ride degli abissi di sozzura di quelle persone. In ogni caso, è fuori discussione che Pálfi voglia colpire duro (e molto scorrettamente) mostrando scene esplicite di sesso, vomito a getto, sezione di corpi e atti violenti, ma anche questo lo fa con una naturalezza ed una cura dell'inquadratura da far sembrare tutto naturale e (fino ad un certo punto) tollerabile (la vivisezione finale, il vomito ed il rapporto sessuale sopra il maiale ucciso sono così ben realizzati da essere ineccepibili dal punto di vista formale).
Quello che però vince è la forma. Un film che ha molto in comune con un Hess (la fisicità dei personaggi, la cura maniacale nel mostrare i limiti dei perdenti e l'altrettanto maniacale cura della fotografia e della costruzione delle scene ), ma molto più estremo. Da Hess di distacca notevolmente (oltre che per la storia) per gli enormi movimenti di macchina; la macchina da presa fa di tutto, carrellate e panoramiche (nel primo episodio c'è una carrellata laterale per mostrare il tempo che passa e l'andamento della storia e una panoramica a schiaffo verticale per lo stacco temporale), dettagli voyeristici insistiti; tutto questo unito ai colori attentamente scelti (nella seconda parte il rosso comunista) e la già citata cura nella disposizione dei personaggi (e dei loro corpi) crea un film esteticamente bellissimo.
Un film fatto di carne in ogni senso: nel primo capitolo come oggetto sessuale (bellissimo in quest'ottica il rapporto sessuale con la carne dei due amanti che viene affiancata con un rapidissimo montaggio parallelo, alla carne del maiale appena ucciso, che va a ricollegarsi con il terzo capitolo), nel secondo dove la carne diventa corpo, sport, cibo e grasso; nel terzo dove la carne viene declinata nella morte e nella vivisezione. Il significato di questo film (se c'è) è piuttosto superfluo.
Astenersi stomaci deboli o spettatori dalla morale sensibile.
Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Tre episodi di tre generazioni.
Nel primo, inizio novecento, un soldato (che non combatterà mai) deve sottostare agli ordini del comandante amante del sesso, purtroppo il soldato è un masturbatore compulsivo e ne ricaverà solo danni.
Nel secondo, il figlio (surreale) del soldato è un campio nazionale (ungherese) nelle gare di chi mangia più velocemente, con l'amico e collega si contenderà l'amore di una donna.
Nel terzo, il figlio dello "sportivo" si prende cura dell'obesissimo padre e porta avanti il suo lavoro di tassidermista fino alle estreme conseguenze.
Film surreale, ma costruito in maniera talmente verosimile (coprattutto nella seconda parte, dove lo "sport" è trattato con una serietà magnifica) che lo fa sembrare una sorta di realismo magico cinematografico.
Il film è un dramma di persone sole e tradite, ma con il ritmo di un nerissimo film grottesco, diverte mentre si ride degli abissi di sozzura di quelle persone. In ogni caso, è fuori discussione che Pálfi voglia colpire duro (e molto scorrettamente) mostrando scene esplicite di sesso, vomito a getto, sezione di corpi e atti violenti, ma anche questo lo fa con una naturalezza ed una cura dell'inquadratura da far sembrare tutto naturale e (fino ad un certo punto) tollerabile (la vivisezione finale, il vomito ed il rapporto sessuale sopra il maiale ucciso sono così ben realizzati da essere ineccepibili dal punto di vista formale).
Quello che però vince è la forma. Un film che ha molto in comune con un Hess (la fisicità dei personaggi, la cura maniacale nel mostrare i limiti dei perdenti e l'altrettanto maniacale cura della fotografia e della costruzione delle scene ), ma molto più estremo. Da Hess di distacca notevolmente (oltre che per la storia) per gli enormi movimenti di macchina; la macchina da presa fa di tutto, carrellate e panoramiche (nel primo episodio c'è una carrellata laterale per mostrare il tempo che passa e l'andamento della storia e una panoramica a schiaffo verticale per lo stacco temporale), dettagli voyeristici insistiti; tutto questo unito ai colori attentamente scelti (nella seconda parte il rosso comunista) e la già citata cura nella disposizione dei personaggi (e dei loro corpi) crea un film esteticamente bellissimo.
Un film fatto di carne in ogni senso: nel primo capitolo come oggetto sessuale (bellissimo in quest'ottica il rapporto sessuale con la carne dei due amanti che viene affiancata con un rapidissimo montaggio parallelo, alla carne del maiale appena ucciso, che va a ricollegarsi con il terzo capitolo), nel secondo dove la carne diventa corpo, sport, cibo e grasso; nel terzo dove la carne viene declinata nella morte e nella vivisezione. Il significato di questo film (se c'è) è piuttosto superfluo.
Astenersi stomaci deboli o spettatori dalla morale sensibile.
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Film,
György Pálfi,
Surreale
lunedì 26 agosto 2013
American dreamz - Paul Weitz (2006)
(Id.)
Visto in tv.
Visto in tv.
Non so perché l’ho voluto guardare… non
so perché, ma mi dava fiducia…
Invece il film tratta di un reality
canoro dove Hugh Grant sceglie tra gli irritanti concorrenti quelli più
bankable per l’audience. Contemporaneamente il presidente USA Dennis Quaid, in
calo sul gradimento, decide di fare da giudice a quella gara per la puntata
finale. Questa notizia sarà ghiottissima per i soliti fondamentalisti islamici
che costringeranno il concorrente arabo a farsi saltare in aria durante la
trasmissione… ovviamente le cose non andranno come sperato.
Va detto subito, il film dura un'ora e quaranta, ma viaggia velocissimo e sembra una puntata di un telefilm. E proprio
come la puntata di un pessimo telefilm dopo averlo visto lo si dimentica in un
attimo.
Non c’è niente di veramente ben fatto,
non c’è comicità vera, ma solo delle macchiette stupide che si muovono sullo
schermo; non c’è critica (che non è un obbligo, ma visto che non diverti prova
a fare altro), ma solo lo sfruttamento di un ambiente che il pubblico conosce;
non c’è una trama interessante, ma un’accozzaglia di eventi singoli e di
personaggi improbabili ad interpretarlo.
Vorrebbe essere satira sociale (immagino, vedendo la locandina), ma si risolve con l'essere un film tanto innocuo quanto
inutile.
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Mandy Moore,
Paul Weitz,
Willem Dafoe
lunedì 29 aprile 2013
Vero come la finzione - Marc Forster (2006)
(Stranger than fiction)
Visto in tv.
Visto in tv.
Un uomo, dipendente del fisco, all'improvviso sente una voce che descrive tutte le sue azioni; mentre la sua vita si svolge, vuota come al solito, si rende conto di essere un personaggio di un libro. Cercherà una mano in un esperto del settore per riuscire a capire se sta vivendo una commedia o una tragedia, nel frattempo si innamorerà di una evaditrice (?) fiscale...
Il film parte bene. Una storia surreale
trattata nel modo più realistico, più verosimile possibile, messa in mano ad un
protagonista (Ferrell) che per il semplice fatto di essere se stesso riesce a
dare alla trama un aspetto agrodolce che altrimenti non avrebbe.
Il problema di questi film così tendenti
all'assurdo (ma intelligentemente assurdi) è riuscire a creare una conclusione
che sia all'altezza dei presupposti… c’è bisogno di dire che questo film
fallisce completamente? Con l’introduzione del personaggio della Gyllenhaal il
film crolla completamente alla stregua di qualunque commedia romantica, senza
neppure provarci a diversificare un poco l’andamento di quella, inevitabile,
storia d’amore; a questo punto il finale stucchevole non sorprende e,
nell'ottica della piega che ha preso la trama, non è neppure il peggior finale
possibile.
In una parola, una delusione.
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lunedì 25 marzo 2013
Film per non dormire: La stanza del bambino - Alex De la Iglesia (2006)
(Peliculas para no dromir: La habitación del niño)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una famiglia si trasferisce in una casa
maledetta ed il marito, nel monitor che usano per guardare il bimbo neonato,
comincia a vedere delle strane presenze. Inizierà ad essere scorbutico in
famiglia, si rivolgerà a persone che potrebbero aiutarlo, ma che si limitano ad
aggiungere minutaggio inutile al film, finchè non capirà cosa sta succedendo;
ma il capire non significa essere in grado di evitare il peggio.
Alla prova tv De la Iglesia crolla
rovinosamente. Imbastisce un film horror piuttosto classico, ma nello stesso
tempo complicato e farraginoso, con diversi WTF che possono spuntare ad ogni
angolo, gioca a fare il mestierante pacato e nella media, ma cade in maniera
stupida. Non c’è tensione, non ci sono idee epocali (anche se si fa di tutto
per sembrare originali), l’immaginario simbolico che viene mostrato è quello
classico (cosa che De la Iglesia non si era mai abbassato a fare, creando
sempre una serie di simboli personali anche quando si parlava di concetti
mainstream come satana); ma soprattutto manca il mondo malato e cattivo di De
la Iglesias. Il peggio è tutto qui, il film è ambientato nella realtà
quotidiana, con personaggi normali; non c’è il solito campionario di freaks
fisici e/o morali, non c’è il solito substrato originale e fuori di testa. È
solo un film horror normale venuto male.
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mercoledì 6 marzo 2013
Cars: motori ruggenti - John Lasseter, Joe Ranft (2006)
(Cars)
Visto in tv.
Visto in tv.
Per la storia passo parola.
Il film è stilisticamente
stupendo come al solito. Ampi spazi creati ad hoc ricalcati dal mondo delle
macchine, disegnati come un acquerello. Una verosimiglianza nella costruzione
di oggetti e personaggi che difficilmente è stata raggiunta prima
(probabilmente il fatto che anche i personaggi siano oggetti è d’aiuto); un
particolare complimento alla “materia”, la corposità dell’asfalto, la leggerezza
dell’acqua, l’effetto della polvere sulle carrozzerie, tutto è tremendamente
corposo e realistico.
Il vero problema qui è la
storia. C’è tutto ciò che di più americanamente banale possa offrire il cinema,
una storia di ritorno alle origini e ai veri sentimenti, ma anche una storia di
riscatto, ma anche un film sull'unione che fa la forza. Niente di particolare,
anche le parti comiche (che sono la parte migliore del film) non sono niente di
eccezionale.
Per carità è stato il film
Pixar più venduto (anche grazie ad un merchandising spietato), quindi se è
stato realizzato (come è ovvio) per il puro fine economico è stato un indubbio
successo, ma delle doti della Pixar (personaggi originali, comicità e dramma
uniti, emozioni delicate e delicatamente inserite ovunque) se ne vedon ben
poche… Beh un buon investimento, ma un film mediocre.
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lunedì 18 febbraio 2013
Il vento che accarezza l'erba - Ken Loach (2006)
(The wind that shakes the barley)
Visto in DVD.
Visto in DVD.
Irlanda 1920 circa si va a
formare (in realtà già esisteva da qualche anno) la resistenza all'occupazione
britannica, nota come IRA. Il film segue alcuni affiliati dal loro giuramento,
fino all'istituzione di un’Irlanda ufficialmente libera, ma ancora soggetta
all'influenza inglese, quindi il movimenta si spezza fra chi tenta di governare
uno stato neonato e chi non accetta di avere una indipendenza a metà.
Ritratto storico su di un tema
poco battuto con tutti i crismi del film del mito; i nemici che sono dei
nazisti senza cuore; i buoni travolti dai dubbi morali, dal dolore, dalla paura
e dalla sofferenza; i vestiti puliti e le facce sempre sbarbate (almeno quella
di Murphy). Si insomma un film che parla della guerra d’indipendenza
irlandese come gli americani parlavano della seconda guerra mondiale.
Diciamocelo un poco col paraocchi, ma non sapendone molto potrebbe anche essere
giusto.
In ogni caso il film si segue
benissimo, non indugia mai nella noia e riesce a gestire con uguale interesse
(e mantenendo sempre un ritmo piuttosto basso, quindi molto più difficile da
gestire) sia i raid contro gli inglesi, sia le lunghe discussioni sul da farsi.
Un buon film manierista che ha il
suo fattore progressista nel fatto che sia diretto da un inglese. Detto ciò
ancora non capisco perché abbia vinto a Cannes.
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venerdì 4 gennaio 2013
Southland tales, Così finisce il mondo - RIchard Kelly (2006)
(Southland tales)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Storia. No, lo linko perchè a scriverla è troppo complesso.
Il film è un paciugo estremamente
complesso di tutto ciò che (secondo Kelly) ha reso figo "Donnie Darko" (stati
allucinatori, personaggi metafisici, questioni spazio temporali, previsioni
apocalittiche, new age, ecc..) un gusto molto più camp per allestire il tutto
(sembra un brutto film di fantascienza anni ’70), un po’ di critica a Bush che
porta sempre spettatori in più e una serie di personaggi che per numero sembra
voler battere Guerra e Pace. Inutile dire che esagerare in ogni ambito non può
aiutare molto.
Non può aiutare neppure un mai
così mal utilizzato (e mai così bollito) Christopher Lambert. Non può aiutare
un Dwayne Johnson costretto a recitare (siamo onesti, mi piace, ma deve fare le
sue parti senza raffinatezze psicologiche) e quel che ne viene fuori è una
versione parodistica dell’autistico di “The cube”. Non può aiutare un
racconto tortuoso che per due ore confonde e per 10 minute vuole unire tutto.
Non aiuto un copiare pedissequo tutte le idee del film precedente. Non può
aiutare quell'occhiolino al “cinema contemporaneo” con il racconto fatto
tramite spezzoni di programmi tv. Non aiuta Wallace Shawn nella sua versione più idiota e dai vestiti più stupidi di sempre. Non aiuta
uno stile camp di messa in scena. Non aiutano personaggi insipidi, stupidi o
macchiettistici a dire, fare o predisporre ogni svolta di trama.
Un film tanto pretenzioso quanto
non riuscito.
giovedì 6 dicembre 2012
Fur: un ritratto immaginario di Diane Arbus - Steven Shainberg (2006)
(Fur: an imaginary porttrait of Diane Arbus)
Visto in tv.
Visto in tv.
La storia della fotografa Diane Arbus, nata e vissuta in una borghesissima famiglia anni ’50 e del suo lento
scoprire un’attrazione piena di pietas e empatia verso i diseredati, i diversi
ed i freaks; un’intesa che si spingerà fino all’innamoramento vero e proprio di
un uomo ipertricotico che c’ha pure dei problemi polmonari…
Il film è un’opera esteticamente
impeccabile protesa verso il riarrangiare il già visto in una storia di amore
del diverso in senso letterale. Se è ovvia la similitudine con “La bella e la
Bestia”, meno ovvia, ma molto rimarcata è la citazione insistita di “Alice nel
paese delle meraviglie” (il coniglio bianco, il te, la porta minuscola, ecc…).
Come dicevo il film è
esteticamente impressionante, tutto giocato con inquadrature geometriche
estremamente belle, colori sempre netti e una carrellata di costumi da
Hollywood classica. Nicole Kidman è bravissima anche se era ancora nella fase
di recitazione con agnizione obbligata e tutto il film le gira attorno; Downey Jr è bravo, ma di fatto non è che debba recitare troppo e fare eccessivi
complimenti al suo linguaggio di corpo e sguardo mi pare esagerato.
In definitiva un film perfetto sotto
ogni punto di vista tecnico, ma glaciale più del marito della protagonista,
gelido nel suo non trasmettere nulla, un giocattolo bello, ma vuoto, che usa a
mani basse i freak per creare una sorta di ambiente burtoniano (o
browningiano), ma senza capire cosa farsene e li mette li, come mobilio gotico
e si accontenta di fare l’ennesimo film con una bellissima Nicola Kidman che
trattiene a stento le lacrime. Ecco tra i film di questo genere direi che è uno
dei migliori…
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giovedì 22 marzo 2012
The fall - Tarsem Singh (2006)
(Id.)
Visto in tv.
Anni 20, uno stuntman rimane paralizzato a seguito di una brutta caduta, ricoverato in ospedale farà amicizia con una bimba straniera alla quale racconterà una fantasiosa storia per irretirla e convincerla ad aiutarlo a recuperare della morfina…
Che alla fine uno lo deve odiare Tarsem. No perché io guardo Losing my religion e dico “FICO”. Recupero, trepidante “The cell” e vedo che Tarsem ceca di realizzare un videoclip lungo un’ora e mezza e molto, molto kitsch e della trama patetica… e allora lo disprezzo amichevolmente. Poi, con ancora più fatica riesco a vedere questo “The fall" e vedo che pur essendo uguale nelle caratteristiche essenziali al film precedente, questo aveva pure un buono spunto iniziale… e allora lo odio proprio questo Tarsem, anche quando ha una buona idea la spreca!
Si perché il rapporto fra l’uomo e la bambina è un’ottima idea, gran parte del film è la rappresentazione della storia raccontata che è sporcata dai cambi d’idea dell’uomo, dalle richieste della bambina, dai personaggi che vedono in giro per l’ospedale, dalle proprie esperienze di vita e dalle cosse che si raccontano. Questo racconto di come si forma u n racconto sarebbe una buona idea, inoltre si costruisce anche un dramma patinato di una bambina che aiuta (senza saperlo) il suo unico amico a morire; e non mi si dica che questa non è un’idea! Però Tarsem svacca tutto.
La fiaba raccontata è senza costrutto, senza una trama vera e propria e senza personaggi (i protagonisti son ben 5, se non sbaglio, di fondamentali ai fini della storia probabilmente solo 1), prosegue per scarti in avanti e arriva a far gridare all’idiozia fin dalle prime scene. Le location scelte sono strepitose (il film è sostanzialmente famoso per questo) e sono fotografate nel migliore dei modi, ma in questo caso il tutto si riduce ad una pubblicità per un’agenzia di viaggi. La storia della bambina è anch’essa affetta da un paio di personaggi non perfetti (la bambina l’ho trovata diverse volte irritante), da una serie di fatti già avvenuti non completamente chiari o non del tutto funzionali e complessivamente molto sbrigativa, tanto da essere totalmente anempatica e non coinvolgente anche al culmine del dramma.
Per carità il film è girato e fotografato da dio (e meno male visto che Tarsem è un videoclipparo), ma è tutta tecnica al servizio del nulla. E come dicevo, in questo caso da molto più fastidio il vuoto virtuosismo del regista, perché spreca una possibilità enorme, direi che avrebbe potuto mettersi al pari di Del Toro nella realizzazione di un fantasy storico (la storia del cinema che viene inutilmente omaggiato nel finale) per e con bambini declinato nel dramma (anziché nel’horror).
Visto in tv.

Che alla fine uno lo deve odiare Tarsem. No perché io guardo Losing my religion e dico “FICO”. Recupero, trepidante “The cell” e vedo che Tarsem ceca di realizzare un videoclip lungo un’ora e mezza e molto, molto kitsch e della trama patetica… e allora lo disprezzo amichevolmente. Poi, con ancora più fatica riesco a vedere questo “The fall" e vedo che pur essendo uguale nelle caratteristiche essenziali al film precedente, questo aveva pure un buono spunto iniziale… e allora lo odio proprio questo Tarsem, anche quando ha una buona idea la spreca!
Si perché il rapporto fra l’uomo e la bambina è un’ottima idea, gran parte del film è la rappresentazione della storia raccontata che è sporcata dai cambi d’idea dell’uomo, dalle richieste della bambina, dai personaggi che vedono in giro per l’ospedale, dalle proprie esperienze di vita e dalle cosse che si raccontano. Questo racconto di come si forma u n racconto sarebbe una buona idea, inoltre si costruisce anche un dramma patinato di una bambina che aiuta (senza saperlo) il suo unico amico a morire; e non mi si dica che questa non è un’idea! Però Tarsem svacca tutto.
La fiaba raccontata è senza costrutto, senza una trama vera e propria e senza personaggi (i protagonisti son ben 5, se non sbaglio, di fondamentali ai fini della storia probabilmente solo 1), prosegue per scarti in avanti e arriva a far gridare all’idiozia fin dalle prime scene. Le location scelte sono strepitose (il film è sostanzialmente famoso per questo) e sono fotografate nel migliore dei modi, ma in questo caso il tutto si riduce ad una pubblicità per un’agenzia di viaggi. La storia della bambina è anch’essa affetta da un paio di personaggi non perfetti (la bambina l’ho trovata diverse volte irritante), da una serie di fatti già avvenuti non completamente chiari o non del tutto funzionali e complessivamente molto sbrigativa, tanto da essere totalmente anempatica e non coinvolgente anche al culmine del dramma.
Per carità il film è girato e fotografato da dio (e meno male visto che Tarsem è un videoclipparo), ma è tutta tecnica al servizio del nulla. E come dicevo, in questo caso da molto più fastidio il vuoto virtuosismo del regista, perché spreca una possibilità enorme, direi che avrebbe potuto mettersi al pari di Del Toro nella realizzazione di un fantasy storico (la storia del cinema che viene inutilmente omaggiato nel finale) per e con bambini declinato nel dramma (anziché nel’horror).
giovedì 26 gennaio 2012
Extras - Andy Millman (2005, 2006)
(Id.)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Gervais è un over quarantenne che decide di riciclarsi come comparsa (extra in inglese), in realtà questo dev’essere solo il trampolino di lancio per poter, un giorno creare il suo telefilm. Tra la sua amica scema e un agente praticamente ritardato durante la seconda serie riuscirà nel suo intento, ma il suo lavoro sarò radicalmente cambiato per trasformarlo in una sitcom idiota.
Telefilm inglese di stampo comico costruito da (e su) Gervais stesso, in cui, in ogni puntata viene invitata una guest star di notevole rilievo nel mondo dello spettacolo (di solito cinema) con una parte più o meno importante.
Quello che più va sottolineato è che qui c’è la comicità di Gervais (ideatore ed autore della serie). Io in realtà conosco questo autore adesso ("The office" mi ha sempre schifato a pelle e non intendo cambiare idea adesso), ma il suo stile è chiaro; con un ritmo sottotono presenta una galleria di perdente che o sono stupidi o sono arroganti opportunisti che si trovano immersi in un mondo uguale a loro (ora che ci penso sembra di raccontare lo stile di De la Iglesia). La comicità scaturisce dall’imbarazzo in cui si trovano i suoi protagonisti e dai colpi di sfiga che gli capitano (si insomma siamo dalle parti di Fantozzi), con una sottigliezza ed una freddezza tutta british e una accanimento tutto particolare su tutto quello che politicamente scorretto.
L’altra caratteristica è l’utilizzo delle guest star per lo più presentate all’opposto di come appaiono normalmente e, in definitiva, speculari ai protagonisti, solo più fortunati.
Per avere un’idea di cosa intendo basti vedere la puntata numero 3 della prima serie, dove Gervais attacca religione e disabilità contemporaneamente e ci mette pure un poco di sfottò al business legato alla shoa; in più c’è la partecipazione straordinaria di Kate Winslet (fantastico che l’attrice ammetta di partecipare ad un film sull’olocausto perché è l’unico modo sicuro di vincere un oscar… e curiosamente vincerà un oscar 3 anni dopo proprio per “The reader”), assolutamente strepitosa, divertente e fuori dai soliti schemi. Decisamente una delle puntate migliori. Visto che ci siamo nella seconda serie su tutte vince la puntata numero 3 dove le partecipazioni straordinarie sono ben 3, Warwick Davis (che ovviamente sarà la vittima del razzismo strisciante del protagonista), Daniel Radcliffe (nella parte di un ingrifato adolescentello che cerca di mostrarsi adulto) e Diana Rigg (che recita poche battute come controcanto a Radcliffe).
Gli inglesi sono fantastici perché odiano (come me) i telefilm lunghi, Extras ha due serie da 6 episodi l’una (più uno speciale di Natale che non ho visto).
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Telefilm inglese di stampo comico costruito da (e su) Gervais stesso, in cui, in ogni puntata viene invitata una guest star di notevole rilievo nel mondo dello spettacolo (di solito cinema) con una parte più o meno importante.
Quello che più va sottolineato è che qui c’è la comicità di Gervais (ideatore ed autore della serie). Io in realtà conosco questo autore adesso ("The office" mi ha sempre schifato a pelle e non intendo cambiare idea adesso), ma il suo stile è chiaro; con un ritmo sottotono presenta una galleria di perdente che o sono stupidi o sono arroganti opportunisti che si trovano immersi in un mondo uguale a loro (ora che ci penso sembra di raccontare lo stile di De la Iglesia). La comicità scaturisce dall’imbarazzo in cui si trovano i suoi protagonisti e dai colpi di sfiga che gli capitano (si insomma siamo dalle parti di Fantozzi), con una sottigliezza ed una freddezza tutta british e una accanimento tutto particolare su tutto quello che politicamente scorretto.
L’altra caratteristica è l’utilizzo delle guest star per lo più presentate all’opposto di come appaiono normalmente e, in definitiva, speculari ai protagonisti, solo più fortunati.
Per avere un’idea di cosa intendo basti vedere la puntata numero 3 della prima serie, dove Gervais attacca religione e disabilità contemporaneamente e ci mette pure un poco di sfottò al business legato alla shoa; in più c’è la partecipazione straordinaria di Kate Winslet (fantastico che l’attrice ammetta di partecipare ad un film sull’olocausto perché è l’unico modo sicuro di vincere un oscar… e curiosamente vincerà un oscar 3 anni dopo proprio per “The reader”), assolutamente strepitosa, divertente e fuori dai soliti schemi. Decisamente una delle puntate migliori. Visto che ci siamo nella seconda serie su tutte vince la puntata numero 3 dove le partecipazioni straordinarie sono ben 3, Warwick Davis (che ovviamente sarà la vittima del razzismo strisciante del protagonista), Daniel Radcliffe (nella parte di un ingrifato adolescentello che cerca di mostrarsi adulto) e Diana Rigg (che recita poche battute come controcanto a Radcliffe).
Gli inglesi sono fantastici perché odiano (come me) i telefilm lunghi, Extras ha due serie da 6 episodi l’una (più uno speciale di Natale che non ho visto).
martedì 2 agosto 2011
Slither - James Gunn (2006)
(Id.)
Visto in Dvx.
Dallo spazio arriva un meteorite con il suo carico nascosto, niente di meno di un viscido alieno vermiforme con una coda sparachiodi… beh si inocula nel corpo di un possidente locale con moglie giovane di turno. Lui si trasforma sempre di più e inocula spore con due tentacoli artigliati che gli spuntano dal petto. Ah si, le inocula nell’addome della gente; la gente inoculata si gonfia a dismisura (non ci si immagina quanto) di carne cruda; poi esplode e lascia correre da tutte le parti tante lumache di 30 cm a di forma fallica neanche troppo velata; queste bestie hanno l’abitudine di entrare nella bocca della gente per prenderne possesso e renderne degli zombie… beh insomma ci siamo capiti… se poi si aggiunge che tutti gli zombie avranno la passione di fondersi assieme al possidente ormai mutante il quadro è completo. Ah già, la storia d’amore; il possidente mutante continua ad amare la moglie gnoccolona. Ecco, credo d’aver detto tutto.
Storia banale come solo un horror sa fare, senza idee particolare. Ma non è qui il punto.
Complessivamente il film è di serie b spinta, ma qualitativamente eccelso, come solo gli horror anni zero sanno essere; ma non è qui il punto.
Il punto è il ritorno più esagerato, sbrodolato, sfacciato e disgustoso del body horror anni ’80; questo è un film che neanche Cronenberg si sarebbe sognato. Le deformità sono porzioni di carne realmente sanguinanti o purulenti realizzate molto bene; il comparto visivo vince alla grande, sorprende e disgusta esattamente come dovrebbe.
Una buona ventata di anni ’80 con le competenze dei giorni nostri.
PS: c’è pure un finissimo citazionismo alla Woody Allen del vendicatore tossico.
Visto in Dvx.

Storia banale come solo un horror sa fare, senza idee particolare. Ma non è qui il punto.
Complessivamente il film è di serie b spinta, ma qualitativamente eccelso, come solo gli horror anni zero sanno essere; ma non è qui il punto.
Il punto è il ritorno più esagerato, sbrodolato, sfacciato e disgustoso del body horror anni ’80; questo è un film che neanche Cronenberg si sarebbe sognato. Le deformità sono porzioni di carne realmente sanguinanti o purulenti realizzate molto bene; il comparto visivo vince alla grande, sorprende e disgusta esattamente come dovrebbe.
Una buona ventata di anni ’80 con le competenze dei giorni nostri.
PS: c’è pure un finissimo citazionismo alla Woody Allen del vendicatore tossico.
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giovedì 28 aprile 2011
La ragazza che saltava nel tempo - Mamoru Hosoda (2006)
(Toki o kakeru shôjo)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una ragazza dal carattere piuttosto caotico si ritrova ad avere un potere particolare, quando spicca un salto, oltre che nello spazio salta anche indietro nel tempo, di pochi minuti piuttosto che di ore o giorni. Con questa nuova capacità che sembra poterle rendere più facile la vita, invece gliela incasina ancora di più, finché non scoprirà l’amore di un suo amico, ma anche qualche segreto fantascientifico in più…
Un buon film adolescenziale che diverte e intrattiene con brio. Decisamente divertente e dinamico nella prima parte in cui la ragazza prende confidenza con il mezzo, poi la cosa si complica con l’amore e il film ancora regge, poi ci si aggiunge anche la fantascienza, il ritmo cala e anche l’ironia, rallentando tutto.
Complessivamente non è un capolavoro (come avevo letto in giro), ma un ottimo cartone, perfetto per degli adolescenti, buono per degli adulti.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un buon film adolescenziale che diverte e intrattiene con brio. Decisamente divertente e dinamico nella prima parte in cui la ragazza prende confidenza con il mezzo, poi la cosa si complica con l’amore e il film ancora regge, poi ci si aggiunge anche la fantascienza, il ritmo cala e anche l’ironia, rallentando tutto.
Complessivamente non è un capolavoro (come avevo letto in giro), ma un ottimo cartone, perfetto per degli adolescenti, buono per degli adulti.
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domenica 10 aprile 2011
Behind the mask: la storia di un serial killer - Scott Glosserman (2006)
(Behind the mask: the rise of Leslie Vernon)
Visto in Dvx.
Un aspirante serial killer si fa intervistare e seguire nella sua “attività” da una troupe studentesca. I retroscena, le motivazioni, gli esercizi e desideri di una particolare categoria sociale vengono messi a nudo.
Film post-Scream, che raggiunge ed eguaglia le ambizioni del capostipite in fatto di bignameria. Gli slasher americani con il maniaco assassino vengono messi a nudo e spiegati. Per carità, le spiegazioni sono sempre al limite dell’ironia e l’intento del film sembra più essere “se prendiamo per fati realmente accaduti le cose successe i Halloween allora cerchiamo di motivare le cose assurde”. Si insomma, cala nella realtà i film classici (nell'incipit, infatti, descrive le 3 grandi saghe horror come massacri avvenuti davvero); e allora ecco spiegato che il maniaco assassino deve sempre crearsi una storia di dolore e morte nel suo passato; ecco che si allena molte ore al giorno per riuscire a correre senza avere mai il fiatone; si mette una crema apposta che riduce il sanguinamento e indossa un giubbotto antiproiettile che evita la morte per arma da fuoco; mostra come fa a fingersi morto e i trucchi per essere sempre nel posto giusto al momento giusto.
Divertente e davvero ben pensato, con solo qualche caduta di stile (tutta la parafrasi sessuale del rapporto fra mostro e final girl appare parecchio forzata). Solo il finale perde forza: prevedibile, realizzato troppo rapidamente e completamente già mostrata in precedenza elimina ogni possibilità di creare tensione.
Un film originalissimo, ma limitato dalla stessa idea vincente. Nelle mani di qualcuno più esperto saebbe venuto fuori qualcosa di grandioso.
PS: ho già detto che recitano col culo?
PPS: comparsate meritevoli di Englund, Rubinstein, Wilson.
Visto in Dvx.

Film post-Scream, che raggiunge ed eguaglia le ambizioni del capostipite in fatto di bignameria. Gli slasher americani con il maniaco assassino vengono messi a nudo e spiegati. Per carità, le spiegazioni sono sempre al limite dell’ironia e l’intento del film sembra più essere “se prendiamo per fati realmente accaduti le cose successe i Halloween allora cerchiamo di motivare le cose assurde”. Si insomma, cala nella realtà i film classici (nell'incipit, infatti, descrive le 3 grandi saghe horror come massacri avvenuti davvero); e allora ecco spiegato che il maniaco assassino deve sempre crearsi una storia di dolore e morte nel suo passato; ecco che si allena molte ore al giorno per riuscire a correre senza avere mai il fiatone; si mette una crema apposta che riduce il sanguinamento e indossa un giubbotto antiproiettile che evita la morte per arma da fuoco; mostra come fa a fingersi morto e i trucchi per essere sempre nel posto giusto al momento giusto.
Divertente e davvero ben pensato, con solo qualche caduta di stile (tutta la parafrasi sessuale del rapporto fra mostro e final girl appare parecchio forzata). Solo il finale perde forza: prevedibile, realizzato troppo rapidamente e completamente già mostrata in precedenza elimina ogni possibilità di creare tensione.
Un film originalissimo, ma limitato dalla stessa idea vincente. Nelle mani di qualcuno più esperto saebbe venuto fuori qualcosa di grandioso.
PS: ho già detto che recitano col culo?
PPS: comparsate meritevoli di Englund, Rubinstein, Wilson.
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Robert Englund,
Scott Glosserman,
Scott Wilson,
Zelda Rubinstein
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