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mercoledì 18 novembre 2020

Long weekend - Colin Eggleston (1978)

 (Id.)

Visto su Mubi, in lingua originale.


Una coppia in crisi parte per un weekend lungo nel Bush australiano (in realtà vanno al mare, ma in una spiaggia desolata nel mezzo del niente). Durante la permanenza iniziano segni di squilibrio fra loro e fra gli animali e i due umani fino all'ultima notte con un terribile showdown.

Il classico horror/thriller in cui una coppia in crisi deve cementare il loro rapporto per poter sopravvivere... ma ha il vantaggio di non avere un finale scontato.

Meno efficace invece la base, predisposta come una sorta di vendetta della natura a una coppia menefreghista nei confronti di piante e animali (dettagli che vengono disseminati durante tutta la prima parte), un pò troppo dozzinale e semplicistica, anziché gettare il cuore oltre l'ostacolo della matoivaizone realizzare una sorta di "Gli uccelli" di serie B.

L'effetto finale è un poco claudicante, ma efficace. Non c'è mai tensione vera e propria (anche se quel lamantino un pò di inquietudine la dà), ma la costruzione di un ambiente sottilmente ostile che si unisce al disprezzo solo parzialmente nascosto da parte della coppia. I due personaggi, di fatto, si trovano isolati in un habitat che li respinge in compagnia del loro peggior nemico. Il finale è, in questo senso, adatto e perfetto.

Claudicante per quella mancanza di tensione che si diceva oltre che da una scrittura che ha molte idee, ma una certa ripetitività nel mostrarle. La tecnica è base, adeguata per ottenere la sufficienza, ma forse sarebbe stato necessario qualcosa di più.

Complessivamente una bella scoperta, senza eccessi. Ha giustamente meritato un remake piuttosto recente che spero non abbia svilito il tutto.

venerdì 26 luglio 2019

Sinfonia d'autunno - Ingmar Bergman (1978)

(Höstsonaten)

Visto in Dvx.

Alla morte del compagno una donna alle porte dell'anzianità accetta l'invito della figlia a raggiungerla per alcune settimane. La donna è un narcisista con difficoltà nell'empatizzare che ha sacrificato la famiglia per la carriera di pianista, la figlia è oscura e porta dentro di sé un rancore decennale che cerca di nascondere con eccessi di bontà.

Un drammone enorme sulle relazioni famigliari e sull'odio nascosto dietro l'affetto e da cui nasce di nuovo affetto (vero o falso che sia).
Un film titanico di Bergman, scritto alla Bergman, con evidenti eccessi e manierismi (anche solo la scansione temporale), simbolismi piuttosto semplici (il colore dei vestiti, l'utilizzo o meno degli occhiali) e un enorme problema di montaggio verso il finale.
Se questi difetti (beh, le metafore semplici non sono un difetto in sé) potrebbero far vacillare chiunque, la sceneggiatura che si muove con dialoghi eccessivi (addirittura ci sono diversi momenti in cui la madre parla a lungo da sola ad alta voce!) affosserebbe chiunque.
Ma dietro la macchina da presa c'è Ingmar Bergman e il film, nonostante la logorrea parla con le immagini, si muove con interesse infinito in una matassa di sentimenti eccessivi, fa dei piccoli dettagli (gli occhiali, appunto, il mal di schiena) dei punti nodali, ma messi in secondo piano; avvalendosi di una coppia di attrici eccezionali (per la prima e uni ca volta Bergman lavora con la Bergman) veicola informazioni maggiori con i volti piuttosto che con i monologhi (esemplare e perfetta la sequenza delle due donne al pianoforte) e si può permettere una scena madre finale, lunga complicata senza perdere in dignità
Un film imperfetto, enormemente imperfetto, che riesce a portare a casa un risultato insperato, un'efficacia incredibile al di là di tutti i suoi difetti; una visione soddisfacente ed entusiasmante.
Inoltre, per chi, come me, è appassionato di Ingrid, qui può godere di un'interpretazione come mai vista prima nella carriera dell'attrice.

lunedì 25 febbraio 2019

La collina dei conigli - Martin Rosen (1978)

(Watership down)

Visto in Dvx.

Un conigli con le visione prevede la distruzione della propria colonia. Assieme ai pochi che gli credono fuggono, ma nella loro fuga dovranno vedersela con predatori esseri umani e altri conigli per cercare una terra nuova dove poter vivere realmente in libertà.

Film di paesaggi, si pregia di un tratto delicato, ma preciso per i fondali; colorato ad acquerello (o pastello...), ma dettagliato. Mentre, al contrario, i conigli, hanno il tratto preciso da animazione classica.

Ma diciamo subito la pecca: l'animazione è mediocre. Dettagli piuttosto significativo in un film d'animazione, ma, fortunatamente, compensato dai lati positivi. Altri dettagli che vanno adscapito sono il ritmo altalenante e la scarsa differenziazione fra i coprotagonisti; tutte questione onestamente secondarie.

I difetti sono però qualcosa secondario; quello che rimane maggiormente impresso è il senso dell'epica di questo film. Parla di un gruppo di conigli, ma quello che sta raccontando è un'epopea classica con profezie, divinità, combattimenti, nemici, violenza e sacrificio, il tutto in una versione cartoon, ma senza censure. Di fatto siamo ai vertici della tracotanza cinematografica, parlare di totalitarismo e morte in film indirizzato ai bambini.
L'effetto finale è potente e il senso del dramma sempre presente, ma la fruibilità, anche per un pubblico molto giovane, è costante e la sfida enorme pare vinta.

Inoltre è interessante notare che  conigli di questo film sono antropomorfi per spirito; staccandosi dalla tradizione disneyana imperante, gli animali sono disegnati come animali e le loro necessità sono totalmente naturali (riproduzione compresa); ma a livello interiore hanno aneliti e spinte libertarie che li accomunano agli essere umani molto più di quanto lo sia Topolino.

mercoledì 16 gennaio 2019

Driver, l'imprendibile - Walter Hill (1978)

(The driver)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un uomo senza nome vive facendo l'autista per rapinatori; esperto nella fuga è un artista nel guidare ogni veicolo. Verrà preso di mira da un ispettore, ma aiutato da una sconosciuta. Tentando di incastrarlo, l'ispettore, metterà in mezzo una serie di malavitosi, dando inizio a un vero e proprio noir.

Film di veicoli sui generis (ci sono 3 scene in macchina, una in apertura e una chiusura, più una centrale che è però una dimostrazione di forza e non un inseguimento) che nasconde invece un vero e proprio noir ispirato a "Il samurai" di Melville. Da quel film prende la trama (che viene un poco complicata), prende i dialoghi scarnissimi, prende l'impassibilità del protagonista, ma soprattutto prende quel senso di calma potenza, di efficacia silenziosa e non eclatante, di professionalità quasi sovraumana.
Hill realizza quindi un noir con scene d'auto, che diventa essenziale nei caratteri e nelle motivazioni, duro e geometrico rasentando l'inumano (con solo l'ispettore, Dern, a dare una nota di colore e calore alla vicenda).
Ma Hill realizza anche un film formalmente impeccabile, con fotografia cupa, ma impeccabile, auto lucide, vestiti perfetti e un aura cool che aleggia quanto il buio della notte perenne in cui è ambientato.Un film dall'impianto verosimile al massimo, ma decisamente più attento all'effetto delle scene che alla loro reale riproducibilità nel mondo reale.
Un film con diversi difetti, ma che rimane un esempio lampante di potenza della messa in scena e di costruzione di un mondo mostrando solo 3 personaggi.

PS: l'ambiente e l'assenza di recitazione come precisa indicazione di regia rendono la rpesenza di O'Neal sopportabile e, addirittura, utile.

mercoledì 1 febbraio 2017

Il vizietto - Édouard Molinaro (1978)

(La cage aux folles)

Visto in tv.

Una coppia di omosessuali di mezz'età (che gestiscono un locale di drag queen) hanno allevato il figlio di uno dei due (esatto; stepchild adoption) che ora torna per avvertirli che si sposa. Purtroppo si sposa con la figlia di un politico cristiano e reazionario e dovranno incontrarsi per conoscere in consuoceri. Inizierà un'inevitabile commedia degli equivoci.

Commedia libertaria e piuttosto innovatrice di fine anni '70 che sdogana diversi concetti che oggigiorno sono molto meno tollerati.
Interessante e godibile diverte senza dubbia nell'incontro fra consuoceri, nel rapporto a due dei protagonisti intrattiene, ma spesso esagera senza interessare.
La regia mediocre serve bene il ritmo, ma non aggiunge niente, la fotografia tipica di quegli anni non donerebbe a nessun film figuriamoci ad una commedia brillante.

Il cast è tutto in parte, ma l'attenzione è tutto sulla coppia di protagonisti. Personalmente apprezzo sempre il piglio sornione di Tognazzi e qui fa la sua figura (la scelta secondo me è azzeccata), purtroppo mi eccede in tic e cliché più che concentrarsi sul personaggio (innegabile che paragonandolo a Williams, protagonista del remake USA, l'attore americano vince), Serrault invece riesce perfettamente nella parte della checca isterica con una recitazione sopra le righe, ma sempre adatta, mai eccessivamente farsesca (battendo di molto Nathan Lane).

Un buon prodotto con ritmi ormai d'altri tempi, ma lo spirito eversivo ancora buono. Al contrario del remake americano, qui c'è una chiusura del film degna di questo nome (niente di eclatante, ma almeno c'è un the end).


venerdì 20 febbraio 2015

Convoy, trincea d'asfalto - Sam Peckinpah (1978)

(Convoy)

Visto in tv.

Un gruppo di camionisti perseguitati da un poliziotto, divenuti ricercati a causa di una rissa cercano la fuga fuori dallo stato; a loro però si aggiungono decine di altri veicoli in una sorta di protesta.

Tratto da una canzone (sic) dallo stesso titolo questo è una sorta di western fuori tempo massimo che alle carovane di carri e agli assalti dei banditi sostituisce i camion e la polizia in un inseguimento a distanza che sembra essere stato basato sul modello de "L'imperatore del nord" (film che avrebbe voluto girare Peckinpah) già con Borgnine come antagonista.
Al contrario del film di Aldrich però questo è un film noioso. Certo non viene in aiuto una trama ripetitiva per struttura, ma il non averci messo dentro nessuna scena interessante, avendo annacquato tutto con una storiella d'amore fin troppo scontata e non avendo sfruttato affatto l'idea degli inseguimenti (c'è giusto un camion ribaltato, ma senza troppa convinzione). Pure il finale è una commediola accomodante.
Il film è a tal punto inutile che i rallenty alla Packinpah mi sono sembrati inutili e fuori luogo (rallentano ulteriorment eun film non velocissimo) e le scene che più si fanno ricordare sono quelle dei camion che viaggiano nei deserti con musica country di sottofondo...
Uniche note positive: un Borgnine solido e roccioso, ancora più luciferino del controllore di treni de "L'imperatore del nord" (se possibile); e un film in cui, finalmente, vedo Paulie fuori da un incontro di boxe.

lunedì 15 dicembre 2014

Magic, Magia - Richard Attenborough (1978)

(Magic)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un aspirante mago da di matto alla sua prima esibizione (il pubblico era francamente irritante); capisce quindi che i trucchetti con le carte, per quanto sudati per ottenerne il meglio, non possono reggersi da soli. Si inventa quindi un pupazzo da ventriloquo, un personaggio rozzo e divertente che prende in giro il mago stesso, con questa distrazione riesce a fare trucchi sempre più elaborati e raggiunge il successo... o almeno, lo raggiungerebbe. Il suo agente gli procura un accordo con la tv, ma prima deve sottoporsi ad un controllo medico; il mago fugge, cerca rifugio nel passato, ma la sua casa dell'infanzia è ormai un rudere; decide quindi di tornare nella casa di alcuni suoi vicini la cui figlia fu la sua prima infatuazione. Gli anziani genitori si sono ormai ritirati in Florida, ora li c'è solo la donna di cui era innamorato; il di lei marito è a caccia; figurarsi cosa non può succedere. Però c'è sempre il pupazzo, che da una parte risulta utile a stemperare le situazioni di tensione, dall'altra sembra crearle... anche perché il mago parla con il pupazzo anche quando si trova da solo con lui...

Più che un horror, come viene spesso definito, direi che siamo dalle parti del thriller. Un film solido ed inquietante, sostanzialmente impeccabile (tranne che per l'inizio, ben condotto con le scene mute e il protagonista che sembra doppiarle mentre racconta cosa sta succedendo; ben condotto, ma inutile) che riesce a tenere alta la tensione continuamente. Dovendolo contestare probabilmente avrei fatto a meno della scena finale, lo scioglimento che c'era stato poco prima l'avrei trovato sufficiente.

In ogni caso questo misconosciuto gioiello si può far vanto di due prestazioni particolarmente buone. Il protagonista ed il regista.
Anthony Hopkins è qui ad una delle sue più strambe interpretazioni di sempre; ma soprattutto ad una delle migliori interpretazioni. Se nella parte iniziale, dove si limita ad essere il timido maghetto è bravo, ma niente di più; nel graduale andare fuori di testa da lustro ad una serie di prestazioni da urlo (la scena in cui gattona per terra, poi si alza e gira su sé stesso perché glielo ordina il pupazzo è pazzesca), specie nelle discussioni con il nulla. Da sottolineare che Hopkins da la voce anche al pupazzo.
Il regista è il nostro amato Hammond, prima di interpretare Hammond e prima di realizzare quel biopic senza guizzi, ma ricco di pathos (e acchiappapremi) di "Gandhi". Qui si trova per le mani una sceneggiatura da urlo e decide di buttare tutto nel cesso; organizza un film magistrale, dai colori grigi o terrei, umido e sporco, con una tensione continua (una volta giunto nella baita direi che non c'è tensione solo per un paio di scene d'amore... ma forse neppure li il film ne è privo del tutto); ma soprattutto decide di giocare pesante e, dalla metà in poi, mantiene una gustosa ambiguità nella gestione della trama, tra la follia ed il soprannaturale. Bravissimo.

Infine una nota va fatta per la partecipazione di un Meredith magnifico nella parte del vecchio, ricco, mestierante; giuro di non averlo riconosciuto vestito così bene (nonostante questo film sia quasi equidistante fra "Rocky" e "Rocky 2"); una faccia da schiaffi bellissima con un paio di scene impeccabili che lo fanno catalogare direttamente fra i migliori caratteristi del cinema americano (la scena nel pranzo dove con il suo sorriso sempre in faccia maschera il disappunto per la testardaggine del mago e quella dello scontro nella baita, dove conduce lui il gioco per almeno 10 minuti, mostrando preoccupazione, sangue freddo e, verso la fine, la rabbia di chi non ha più voglia di discutere con un pazzo).

mercoledì 11 giugno 2014

Assassinio sul Nilo - John Guillermin (1978)

(Death on the Nile)

Visto in tv.

Poirot si trova imbarcato in una crociera sul Nilo. Sarà dunque inevitabile che la giovane ereditiera (non è uno spoiler, è cosa ovvia fin dall'inizio) venga uccisa e che quasi tutti i presenti avrebbero un buon motivo per ucciderla...

Plot che è più che canonico, direi archetipico, ma pur nell'ovvietà delle dinamiche generali ci troviamo davanti al solito meccanismo perfetto scritto da Agatha Christie, qui particolarmente sorprendente lo show down finale... e particolarmente tragico.
Ustinov veste gli ampi panni di Poirot; non è corretto dal punto di vista iconico (soprattutto se paragonato all'impeccabile Finney dell'Orient express, per non parlare dell'istant classic Suchet), ma è perfetto nella sua titanica figura bianca, nelle sue smorfie di vago disgusto sempre presente, nella sua arroganza fisica e di personalità; contenuto nella recitazione e nei gesti, ma sempre impeccabile. Attorno a lui un cast all star dove una Lansbury incredibile fa la parte di una scrittrice (ma va?!) alcolizzata e sessuomane (applausi a scena aperta); dove un invecchiato Niven si offre a far da spalla al corpulento protagonista; dove una spigolosa Farrow fa l'isterica e vendicativa donna tradita; dove un'acida Bette Davis battibecca con una mascolina Maggie Smith; e poi ci sarebbero ancora Kennedy, Finch, Warden, Hussey, ecc...

Fantastico anche il tono del film; una prima parte completamente tenuta in piedi dall'ironia della coppia di coprotagonisto (Ustinov e Niven), con un Poirot cartoonistico sempre rpesente nelle conversazioni che contano (fingendo di dormire, che sbuca da dietro il bancone di un bar...) e una compartecipante (Lansbury) totalmente dedita al versate da commedia. Dopo l'omicidio l'ironia viene stemperate sempre di più nella serietà dell'indagine. Questo susseguirsi di generi permette di mantenere costantemente un ritmo minimo di default.
Infine la regia; il povero Guillermin non brilla, la sua regia risulta invisibile nel lungo dispiegarsi del film; eppure le idee messe in campo e le soluzione trovate sono sempre all'altezza e si destreggia in maniera impeccabile. Nella scena del tentato omicidio nel tempio egizio si muove con stile tra le colonne permettendo chiarezza della sequenza, dinamismo delle inquadrature, suspense e ironia nello stesso momento, concedendosi soggettive, inquadrature particolari, panoramiche circolari (che utilizzerà in maniera davvero buona in un paio di occasioni). Se a questo si aggiungono carrellate (ma in realtà sono con la macchina a mano... quindi non è proprio una carrellata) ad inseguire i personaggi e pure alcuni zoom (quello nel finale perfetto) si ha un'idea del lavoro immane che il regista si è caricato sulle spalle. (e cosa dire del montaggio che chiarisce con due immagini il tradimento iniziale?).

Più di due ore di film che riescono a scorrere nonostante la distanza dell'età.

lunedì 21 ottobre 2013

Fedora - Billy Wilder (1978)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un produttore di Hollywood ridotto male cerca disperatamente di contattare una vecchia star (con cui ebbe una rapidissima avventura decenni prima) ormai in clausura da anni per sottoporle una sceneggiatura, sperando che accetti di recitare nel film che dovrebbe salvarlo economicamente. Tentando di approcciarsi all'attrice (la Fedora del titolo) si rende conto che la donna (rimasta giovane in maniera innaturale grazie agli interventi  sperimentali di un chirurgo che non la lascia mai sola) è circondata da un corteo di strane figure che sembrano essere quantomeno coercitive, se non addirittura causa di una follia degenerante.

Curioso esempio di film contro Hollywood a 28 anni di distanza da “Viale del tramonto” (film di cui condivide anche il protagonista). Del film degli anni ’50 però questo “Fedora” ha ben poco. La trama affascinante nella struttura di base si fa via via sempre più assurda e sembra che le occasioni offerte dall'idea siano più sprecate che sfruttate. Una regia tecnica, ma piuttosto canonica e una fotografia molto deteriorata (che fosse così in origine dato il low budget o che ci sia bisogno di un restauro?) no aiutano a far recuperare punti.
Nell'idea originale le parti da protagoniste avrebbero dovuto essere affidate alla Dietrich e Farrow, guadagnandoci certamente in fascino (e probabilmente anche in impegno), ma certamente non risollevando il film in toto. Vi sono in compenso le comparsate di Fonda e York nella parte di sé stessi.

La china discendente di Wilder sembra riprendere un poco fiato, ma le glorie del passato sono ancora distanti. 

lunedì 17 ottobre 2011

Prova d'orchestra - Federico Fellini (1978)

(Id.)

Visto in DVD.


Le telecamere della televisione entrano in una sala prove di un’orchestra; intervistano i vari strumentisti, en colgono i motivi che li hanno spinti ad abbracciare la musica e ne mostrano le frustrazioni. Mente il servizio viene finito la situazione deraglia, gli orchestrali si ribellano al direttore fino all’anarchia completa che sfocia nell’isteria collettiva; l’improvviso crollo di una parete e la comparsa di una palla da demolizione riporteranno gli orchestrali all’ordine e li renderanno sempre più ubbidienti nei confronti di un direttore sempre più assolutista.

Metaforone cinematografico dell’Italia dell’epoca dove non è chiarissimo da che parte stia il regista, anche se accusa con dovizia di ironia il sindacato… ma d’altra parte l’opinione di Fellini è secondaria al racconto, come al solito sospeso e sognante. Di per se il film non è fondamentale, ma si lascia vedere per (la durata limitata) la galleria di personaggi tratteggiati e per le descrizioni degli strumenti musicali che ognuno fa per dimostrare il perché sia superiore agli altri.

giovedì 2 giugno 2011

I'm magic - Sidney Lumet (1978)

(The wiz)

Visto in DVD. L’apice artistico e morale della blaxploitation credo che possa essere visto in questo film, almeno col senno di poi. Il musical tratto dal mago di Oz, con solo attori di colore, diretto da Lumet e con la partecipazione di Diana Ross e, soprattutto, Michael Jackson (e una comparsata di Pryor). Cos’altro si può volere?

Diciamolo subito va, che non vengano dubbi; Lumet non si vede mai. Poteva essere un film diretto da chiunque. Evidentemente doveva pagare delle bollette.

Poi diciamo subito la seconda cosa, le canzoni sono belle. I lenti, soprattutto all’inizio, non mi hanno preso per nulla, però una volta giutni ad Oz, il ritmo si fa più scattante e si annoverano senza vergogna la famosa “Ease on down the road”, il blues “...(ok, ho dimenticato il titolo)”, e la vivacissima “Don’t nobody bring me no bad news“… ma anche la canzone dei corvi non era male.

Il film non è più un musical dalle mille comparse come quello degli anni ’30, e neppure un film musicale tutto basato sulla regia come oggigiorno, è invece quell’insipido modo di fare musical tipico degli anni ’70, grandi scenografie, qualche abbozzo di coreografia (ma neanche tanto) e poi tutto basato sulle canzoni, niente scene costruite con cure, niente dimostrazioni di capacità danzerecce… niente insomma.

In un film del genere il punto di forza è, come detto, nelle scenografie, ed in questo bisogna ammettere che The wiz batte tutti. Costruzioni eccessive ed enorme, un dispiego di forze senza pari, colori chiassosi come pochi, tutto per appagare l’occhio.

Che dire, io questo film lo consiglierei solo per vedere Michael Jackson vestito da spaventapasseri… e non mi pare poco.

sabato 19 febbraio 2011

L'australiano - Jerzy Skolimowski (1978)

(The shout)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un tizio vissuto per 18 anni nell'outback australiano ha imparato un po di trucchetti magici dagli aborigine, tra cui l'urlo che uccide. Installatosi in casa di un grigio ometto inglese nullafacente ne destabilizza la vita di coppi, seduce la moglie, destabilizza la salute psichica e ammazza un po di pecore. Per liberarsene, il grigio inglesucolo dovrà ricorrere anche lui alle arti magiche.

Film che vorrebbe essere profondo, esotico pur rimanendo in Inghilterra e oscuramente misterioso (o misteriosamente oscuro). Eppure tutto quello che ottiene è un grande senso di vacuità di trama e personaggi (perché nessuno lavora in questo film? Perché nessuno prende decisioni?) in salsa aborigina che fa sempre figo, con una certa cura nel rendere caotica la storia per farla sembrare più profonda.

Il risultato è dunque abbastanza noioso, interessante solo all’inizio, ma poi sempre meno conciso, si perde e perde il pubblico.

La regia però si lancia in parecchi inserti di sequenze già viste o ancora da vedere che rendono il tutto più confuso, ma che funzionano nel senso di straniamento e di connessione interna alla vicenda, più qualche decisione autoriale urlata in faccia allo spettatore (la scena in cui la moglie a quattro zampe imita il particolare del quadro di Bacon in bianco e nero più volte mostrato da vicino, e in quel momento tutta la scena diventa B/N). Più che un pessimo film, un’occasione completamente sprecata.

lunedì 20 dicembre 2010

Un anno con 13 lune - Rainer Werner Fassbinder (1978)

(In einem Jahr mit 13 Monden)

Visto in DVD.

Fassbinder è un bravo regista. Lo voglio dire subito. Non un genio, ma un abile mestierante non convenzionale. Inquadra sempre filtrando la scena con una porta o una finestra, cerca l'inquadratura non convenzionale per un primo piano, gioca con le luci e le atmosfere (nel finale nel palazzo dell'ex amante miliardario sembra un viaggio in un manicomio) e ha pure qualche velleità molto autoriale (la magnifica scena nell'orfanotrofio, in cui la suora continua a camminare come se niente fosse mentre parla)...
Però è anche un intellettuale, con sensi di colpa ed un gusto particolare per il melodramma. Il che mi si traduce in una storia ai limiti del buonsenso, con personaggi poco credibile che passano metà del tempo a parlare senza guardarsi negli occhi filosoffegiando pesantemente sull'amore, la vita e tutto il resto. Il film diventa quindi un fiume ininterrotto di inutile e noiose verbosità che il tono cupo e il finale tragicissimo non riescono a tradurre in sentimenti.

mercoledì 24 novembre 2010

La camera verde - François Truffaut (1978)

(La chambre verte)

Visto in DVD.

Il film parla di un necrofilo in senso letterale, un uomo che ama i morti più dei vivi o della vita stessa e dei suoi tentativi di non dimenticare chi è passato a miglior vita. Decisamente il tema è originale, che io sappia nessuno prima aveva mai preso così di petto la questione dei morti, però purtroppo i dialoghi troppo aulici rischiano di rendere troppo barocco e cretino il film e il passo lento della trama tedia ben prima di giungere a metà.

La cura ed il realismo della messa in scena, la credibilità dei personaggi e la regia tutta intenta a non staccarsi mai dai protagonisti ridanno spessore alla storia e ad una galleria di personalità che sarebbero altrimenti soffocate degli sbadigli… poi però Truffaut si cimenta nell’arte del distacco e tratta freddamente un film che parla unicamente di empatia con un risultato evidentemente fallimentare.

Certo c’è da dire che Truffaut (anche protagonista) è un pessimo attore, adatti a fare un’espressione sola, a metà via tra l’apatico ed il corrucciato; ma in questo caso ci sta, ci sta tutto, da la giusta tonalità ad un personaggio distaccato e disinteressato dalla vita.

Alla fin fine la storia non ha sussulti, il film non avvolge, non dona il piacere dell’empatia, risulta freddo come il suo protagonista; t, intrattiene senza troppa convinzione un film non convenzionale che avrebbe meritato più cura e meno intellettualismo. Il finale, abbastanza ovvio non salva il baraccone.

lunedì 6 settembre 2010

Fury - Brian De Palma (1978)

(The fury)

Visto in VHS, registrato dalla tv.

Questo è un film cronenberghiano (ci sono esp, persone che volano con la forza del pensiero, sanguinamenti gratuiti e reiterati, persone che esplodono, medici cattivi al soldo del governo che fanno esperimenti senza cuore) in tutto e per tutto, e come i peggiori film del regista canadese riesce ad essere terribilmente noioso e sopra le righe, ma non essendo stato fatto da Cronenberg non assume nessun significato aggiunto, non trasmette un senso generale si insalubrità o anche solo vera tensione, non giustifica quasi nulla di ciò che fa e le cose accadono per caso. Tutto è sopra le righe, eccessivo ed inutile. Anche Kirk Douglas... soprattutto Kirk Douglas.
Dietro la macchina da presa De Palma non da di matto come al solito, crea i soliti movimenti sinuosi e le inquadrature originali, mostra ciò che deve attraverso dettagli o il solito pnfocus, ma il tutto in modo più rilassato rispetto al solito... e per un film esagerato e poco credibile in ogni punto, questa è una scelta sbagliata. Vuoi esagerare? allora esagera anche nella regia! Vuoi convincermi ad arrivare all'inutile finale? allora dammi qualcosa in cambio! Fammi dei movimenti impossibili o impensabili!
E invece...
Mio chiedo come Douglas e Cassavetes abbiano potuto accettare di fare un film del genere... ma forse era un argomento di moda negli anni '70.

lunedì 31 maggio 2010

Halloween: la notte delle streghe - John Carpenter (1978)

(Halloween)

Visto in DVD.

Un pazzo ricoverato in manicomio, che ha un passato da bambino molto cattivo, fugge per ammazare tutti a destra e a manca; il suo medico si mette sulle sue tracce conscio che cercherà di tornare nella sua vecchia abitazione.
Parliamone sinceramente, questo è un film vecchio, o meglio, invecchiato; non fa più paura, no c'è un gusto splatter che tenga accesa l'attenzione e non mostra una trama fenomenale che giustifichi l'assenza delle due caratteristiche precedenti. Si insomma è noioso.
Fermo restando questo punto, il fatto che non è più un gran film, mostra delle caratteristiche positivissime che nel complesso possone essere riassunte con: Carpenter non è l'ultimo degli idioti.
Inutile dire che il piano sequenza iniziale è da manuale, stupendo, assolutamente perfetto e pure col colpo di scena finale (se solo non lo sapessero già tutti), si insomma, una piccola lezione su come dovrebbe cominciare sempre un buon film. C'è anche da concedere un certo senso si incertezza, e una certa dose di costante claustrofobia anche nelle scene in cui Mike Myers non c'è, oppure è dall'altra parte della strada nella casa della vicina. Non c'è mai paura, ma la giusta atmosfera.
Ciò che però più mi ha colpito è che pur essendo questo un film che ha istituzionalizzato gli stilemi del cinema horror così com'è conosciuto oggi, gioca con le aspettative dello spettatore; sembra sempre l'occasione buona perchè Myers compaia a far fuori la sgallettata di turno, eppure non arriva mai. Considerando la cosa dal giusto punto di vista, mi pare quindi che gli epigoni di Carpenter abbiano guardato il dito senza vedere la luna; hanno cioè preso le situazioni di rischio dei personaggi usandole come scene per il massacro, quando invece nelle intenzioni del regista originale erano solo utili per la tensione e per la presa in giro dello spettatore.
Il film lo boccio, ma Carpenter è decisamente promosso.