lunedì 24 giugno 2019
Thriller. en grym film - Bo Arne Vibenius (1973)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Una ragazza, diventata muta dopo un trauma infantile, viene rapite, resa dipendente dall'eroina e obbligata o prostituirsi. Dopo aver perso anche un occhio, imparerà a guidare, a sparare e a tirare pugni, tutto ciò per vendicarsi.
Film di stupro e vendetta piuttosto basic direttamente dalla scandinavia. La storia è decisamente ovvia e con pochi guizzi, ma la regia vorrebbe essere più di quanto non è in realtà; ci prova a fare scelte estetiche (le foglie gialle) e inquadrature particolari (nella parte iniziale c'è una certa insistenza sulla soggettiva), ma poi va a rovinare su una gestione banale condita da troppi (e troppo inutili) ralenty.
Il film è, sostanzialmente, un mediocre sfruttamento di un filone di ....xploitation (sexploitention? shoxploitation?); i motivi per cui viene ricordato sono essenzialmente due:
la, giustamente, nota scena dell'occhio accoltellato, mai così reale dai tempi di "An chien andalou" e le scene di sesso pornografiche, ma con un atteggiamento talmente didascalico da dimostrare che si potrebbe far vedere di più in un film adeguato senza essere totalmente pornografico.
in secondo luogo lo si ricorda per la sua eroina; il vero elemento geniale del film (che tutto un ricalcare luoghi comuni o intenti shoccanti di altri) è la protagonista; esile, minuta, dolce, muta e con una benda sull'occhio che si adatta ai vestiti che indossa; magnifica.
lunedì 27 maggio 2019
Lo spirito dell'alveare - Victor Erice (1973)
Visto in Dvx.
Spagna anni '30, una bambina rimane colpita dalla visione del "Frankenstein" di James Whale. Immaginerà la creatura di Frankestein come reale e, con la sorella, lo immaginerà come un fantasma che vive in un cascinale fuori dal paese. Quando, esplorando la casa nei campi, vi incontrerà un uomo (un combattente della guerra civile) e lo scambierà per la creatura.
Un film che osserva l'infanzia e con lo sguardo puro, ma confuso di quell'età, cerca di intersecare più piani; l'allegoria del mostro isolato dalla società (che la bambina non riesce a cogliere, non capisce il perché della morte della creatura e della bambina nel film), la vita favolistica dei bambini e la guerra civile spagnola (con un affiancamento di idee e visioni che sembra arrivare fino a Del Toro).
Per farlo il regista si appropria di una visione naturalista, esonera ogni dubbio metafisico e dilata i tempi a dismisura. Affascina il film, ma annoia allo stesso modo.
Se l'introduzione del contesto storico è il vero valore aggiunto dell'opera, e le da spessore e ne aumenta l'intelligenza, la serie di allegorie (a cui si aggiunge anche quella delle api) sembra più che altro un lavoro intellettuale, tanto infantile (negli intenti) quanto complesso; quasi surreale negli accostamenti arditi.
In poche parole un film che sembra più un unicum che non un figlio dei suoi tempi (anzi, mi chiedo quanto la guerra civile fosse argomento così facile nella Spagna ancora franchista), interessante e senza fronzoli, ma scarno e intellettuale.
lunedì 20 agosto 2018
O lucky man! - Lindsay Anderson (1973)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Uscito da scuola il Travis di "Se...", cerca di inserirsi nel mondo del lavoro. La sua attività di venditore lo porterà ad andare a letto con donne molto diverse, andare in prigione, in una base militare, in un ospedale dove vengono fatti esperimenti, lavorare per uomini d'affari e per il cinema.
Film fiume di 3 ore, seguito ideale del precedente film della coppia Anderson/McDowell di cui riprende il protagonista, lo stile complessivo di mezza in scena, ma poi parte per conto proprio.
Qui a essere giudicata e condannata è l'intera società presa di petto in una serie infinita di scenette indipendenti le une dalle altre che cercano di coprire tutte le situazioni della vita (o meglio, tutte le istituzioni sociali) cercando con l'iperbole e la farsa (tutti gli attori interpretano due o tre personaggi diversi) il senso di critica stemperato di ironia, ma perdendo completamente la metafora in favore di un lungo spiegone su chi è il cattivo. Per essere chiari, a livello di critica sociale, il precedente film, si concentrava su una scuola come rappresentativa di un sistema e l'effetto risultava funzionante, qui invece volendo colpire tutti descrivendoli a uno a uno (colpendo anche sé stesso) l'effetto contestataria è stemperato e inefficace.
Quello che però viene fuori da questo film è l'incredibile capacità di raccontare di Anderson; un film di 3 ore di "critica" (anche se estremamente ironico), fatto di gag disgiunte intervallate da sequenze musicali dove la band che si occupa della colonna sonora suona dal vivo (un ottimo pop realizzato dalla band di Alan Price) è un'impresa titanica per tutti (spettatore compreso); ma il regista lo rende leggero, spensierato, divertente e totalmente digeribile. Più di così lo poteva fare solo Lynch, ma non sarebbe stato così spensierato.
lunedì 2 aprile 2018
Joshû sasori: Kemono-beya - Shunya Itô (1973)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Sasori è a piede libero; inseguita dalla peggio polizia, ma pur sempre libera. Trova una sponda in una amica con grossi problemi familiari, ma incappa in una ex collega di carcere dagli intenti piuttosto violenti.
Al terzo capitolo della miglior saga di vendetta dal Giappone sembra proprio che le idee siano finite.
Stessa (buona) fotografia; stesso stile estetico e di regia, stessi attori nei punti giusti e stesse, identiche, maledettissime, dinamiche.
Quello che però appare più evidente è che al di fuori del già visto, il resto è tutto da buttare; la sceneggiatura è la più inutile, pretestuosa (ma vabbé, quello sempre) e confusa di sempre, tanto da rendere noioso ogni istante; mentre nella regia il povero Ito sembra ormai aver impostato il pilota automatico. Lo stile è sempre quello, ma le scene spiritate, dall'estetica perfetta, o dall'impatto visivo enorme sono un ricordo lontano; si salva giusto la pioggia di fuoco nelle fogne; ma è un pò poco per mandare avanti 90 minuti di film.
Già al terzo capitolo è evidente che nessuno ha più voglia di portare avanti questa saga; Ito, in una botta di onestà, si ritirerà dopo questo film.
venerdì 28 ottobre 2016
Il pianeta selvaggio - René Laloux (1973)
Visto in Dvx.
Su un pianeta alternativo gli esseri umani sono animali in un mondo popolato e controllato dai Draag, creature umanoidi che allevano gli umani da compagnia, ma sterminano quelli selvatici per tutti i rischi collegati a questo animale allo stato brado. La storia segue le vicende di un umano da salotto che impara nozioni sul pianeta dove vive grazie a un apparecchio usato dai Draag al posto della scuola; fugge dalla casa dove è allevato, si congiunge agli umani selvatici e insieme tentano di ricostruire una civiltà.
Il film è un'animazione di scarsa qualità, ma dalle molte idee che dovrebbe essere riscoperta. La qualità dell'animazione, come appena detto, non è ai massimi livelli, si notano le limitazioni produttive o tecniche dell'epoca, ma per essere un'opera prima è comunque di livello accettabile. Quello che fa più la differenza è il tratto, naif e perturbante insieme, di Topor che crea inquietudine anche con i soli paesaggi e appare evidentemente interessato a creare un mondo articolato e complesso (per il tratto e la fantasia zoologica e botanica mi sembra fare il paio, e chissà non sia stato lo spunto, del Codex Seraphinianus). Interessanti inoltre gli influssi surrealisti perpetrati dal disegnatore, con oggetti che sembrano tratti da Dalì e situazioni bretoniane.
L'altra intuizione interessante (oltre al coinvolgimento di Topor) è l'ntroduzione nel cinema dell'antispecismo, la situazione per cui gli esseri umani non sono le creature al top dell'evoluzione. Un cambio di prospettiva drastico che riesce a rendere inquietanti anche le lunghe scene iniziali di vita quotidiana dei Draag, scene che di per sé sarebbero totalmente scevre di emozioni.
Nel computo finale vanno anche considerate in positivo l'uso delle musiche e dei suoni.
venerdì 8 aprile 2016
La grande abbuffata - Marco Ferreri (1973)
Visto in Dvx.
Quattro amici si chiudono nella casa di uno di loro per suicidarsi a forza di cibo; mangiano in continuazione manicaretti fino a scoppiare. Tra i quattro serpeggeranno crisi e risentimenti, ma soprattutto determinazione ad arrivare fino in fondo.
Denuncia sociale del capitalismo e della società dell'epoca o semplice affresco grottesco di quattro persone paradossali? Con Ferreri tutto è possibile.
Bisogno ammettere che il senso di nausea e di eccesso è reso magnificamente da questo continuo mangiare in maniera ininterrotta, anche preferendolo al sesso (sesso richiesto invece da Mastroianni, tanto per cambiare).
Il vero punto di forza del film però sono i quattro attori, perfetti, ognuno a interpretare una psicologia che, mi sembra, rappresenta una versione distorta di sé stessi (Mastroianni donnaiolo, Tognazzi che cucina, Piccoli intellettuale ascetico, Noiret bambacione), bravi a sostenere con un ninete una storia ripetitiva...
SI perché, come spesso in Ferreri, il limiti è l'idea stessa. Anzi l'intero film vive di un'idea sola e la sceneggiatura a tesi non fa nulla per spostarsi da quel punto, rendere dinamica una vicenda statica o mantenere l'interesse con altro che non sia l'assunto iniziale; ed è un peccato. Come al solito Ferreri si rifugia in un intellettualismo che, forse, in quegli anni era accettabile (o addirittura richiesto), ma oggigiorno rallenta la godibilità di un film che ormai si guarda solo per la perfezione nella definizione di eccesso.
venerdì 21 agosto 2015
Una 44 magnum per l'ispettore Callaghan - Ted Post (1973)
Visto in tv.
Callaghan è passato... oddio non ricordo a che branca della polizia è passato... beh nonostante non sia più alla omicidi continua a fare di testa sua nella gestione delle emergenze, quindi decide che è il caso che lui indaghi sulla serie di morti di noti personaggi della malavita locale.
Seguito de "Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!" ne riprende il personaggio e i modi sbrigativi, senza però bissarne l'impatto. Beh credo fosse inevitabile; il primo film era un film di rottura rispetto al genere del decennio precedente, questo ricalca. Il vero problema è che ricalca con meno efficacia, con meno fantasia e con meno capacità.
In ogni caso le prime scene d'azione (quella sull'aereo e quella nel negozio) funzionano bene, sono ben gestite e riescono ad accattivare l'attenzione; curiosamente ho trovato meno interessante il seguito, l'inseguimento in macchina e poi in moto, sulla nave; ritmi più lunghi, scarsa suspense e brutta gestione degli spazi.
Ovviamente il personaggio affascina comunque e appassiona; ma la cosa veramente buona del film è mettere Callaghan di fronte a sé stesso (SPOILER, gli assassini sono poliziotti che uccidono dei malviventi impuniti, STOP SPOILER), ai suoi metodi estremizzati (esagerando si potrebbe paragonare questo film a "The dark knight"; un eroe che viene messo di fronte alle conseguenze della propria presenza nel mondo); se però Callaghan è istinto messo al servizio di una causa; o meglio, utilizzato on the spot per sopravvivenza e voglia di concludere; l'antagonista invece è una storpiatura della giustizia, pianificato e programmato.
Ecco tolto questo concetto di un certo fascino e tolte le due scene iniziali, il film è abbastanza nella media (per i film di questo genere di quel decennio).
venerdì 10 aprile 2015
A Venezia... un dicembre rosso shocking - Nicolas Roeg (1973)
Visto in Dvx.
Una coppia inglese perde la figlia in uno sfortunato incidente per dimenticare mollano l'altro figlio in un collegio e se ne vanno a Venezia dove lui lavorerà alla ristrutturazione di una chiesa. Durante la permanenza incontrano una coppia di vecchiette abbastanza creepy che li avvertono (avendo loro poteri parapsicologici) che se rimarranno in laguna rischieranno la loro vita.
Roeg torna alla regia dopo il precedente "Walkabout", se il film precedente era un intenso lavoro di regia che però esprimeva il meglio di sé nell'accumulo di immagini; qui il film da il meglio di sé nel montaggio. Certo ci sono delle belle scene (purtroppo la fotografia è ancora quella esteticamente brutta tipica degli anni '70), ma il lavoro di montaggio è impressionante, ci sono molti montaggi paralleli che danno significato alle scene affiancate (quello iniziale tra indoor e outdoor durante l'incidente della bambina; o quello del rapporto sessuale tra i coniugi affiancato ai due che si vestono per uscire); nelle scene di maggior tensione invece il montaggio si fa rapido e/o sovrappone immagini inutili che però rendono il mood della scena (si pensi alle prime scene in cui compare il vescovo in cui il suo vestito nero la fa da padrone o in cui la croce appesa al collo viene nascosta dal soprabito).
ottimi gli attori che rendono bene i sentimenti in gioco e magnifica la location veneziana sfruttata più per le sue nebbie, la sua umidità, le sue ombre e la sua marcescenza; nel finale poi viene sfrutta bene il dedalo delle calli, la nebbia e i suoni (gli echi e il rimbombare dei passi).
Se però ci si aspetta un thriller mozzafiato o un horror gotico si ha sbagliato tutto. Pur avendo caratteristiche di entrambi, questo è e rimane un dramma famigliare, con una spruzzata di soprannaturale e dei personaggi che starebbero bene anche in un film di possessione diabolica. Di fatto però le parti meno riuscite (secondo me) sono quelle più schiettamente di genere, mentre invece quando il film rimane sul dramma della coppia riesce a rendere un senso di morte aleggiante e di perturbante che è la vera bellezza del film.
PS: titolo originale bello, ma non ben calzato; titolo italiano cazzaro.
venerdì 6 giugno 2014
La montagna sacra - Alejandro Jodorowsky (1973)
Visto in Dvx.
Un uomo, cristologicamente perfetto, vaga per una città centroamericana ricca di vizi e sofferenze; viene fatto entrare nell'antro di un alchimista che gli mostra il segreto per ottenere l'oro, poi gli propone l'immortalità. Per ottenerla però deve unirsi ad alcuni uomini (e donne) di potere, affrontare diverse prove, per poi raggiungere una montagna sacra dove dei saggi stanno meditando da millenni, affrontandoli otterranno il loro segreto dell'immortalità.
Film meno lineare del precedente "El topo", ma decisamente sulla scia; si scioglie in duemila rivoli fatti di idee originali e d'impatto lavorando di metaforoni enormi, spesso evidenti, e stavolta molto più pervasivi del solito; pure troppo (il finale, eccessivo, demagogico, facile, piuttosto basso rispetto alle vette pretese all'inizio del film è l'idea più debole e sfacciata del film).
Quello che però perde in fascino della trama lo guadagna in idee visive; è evidente l'iniezione di denaro che Jodorowsky deve avere ricevuto e la investe pienamente per costruire immagini. Perchè poi la forza di Jodorowsky è proprio questa, lui crea situazioni cult basate tutte sui colori, i corpi, i vestiti, gli ambienti ed i decori che meritano ognuna di essere incorniciata e messa in un museo. Qui le immagini cult sono numerosissime, decisamente migliori quelli della prima parte e raggiungono il picco nell'antro psichedelico dell'alchimista.
Effettivamente è un film che va visto, non conta seguirne la storia, ma bisogna vederlo.
lunedì 17 marzo 2014
Film d'amore e d'anarchia, ovvero "stamattina alle 10 in Via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..." - Lina Wertmüller (1973)
Visto in tv.
Un contadino padano assiste alla morte di un amico (anarchico) per mano delle forse dell'ordine ; decide quindi di offrirsi volontario per uccidere Mussolini. Arrivato a Roma verrà assistito da una prostituta (anche lei affiliata agli anarchici) che si innamorerà della sua ingenuità e tenerezza; lui però si innamorerà di un'altra prostituta. Il giorno in cui dovrà compiere l'attentato tra le due ci sarà un confronto diretto.
Ormai la Wertmüller mostra di saper dirigere con gusto anche col pilota automatico. A livello di regia qui c'è tutto quello che si può desiderare da lei dopo aver visto "Mimì metallurgico"; qui però mi sembra rendere molto di più nelle parti non narrative. Ci sono diverse sequenze non utili ai fini della trama (come le molte sequenze ambientate nel bordello dove vengono mostrate le varie prostitute) che vengono realizzate con una fantasia di inquadrature, movimenti di macchina, montaggi rapidi, colori nella messa in scena e ritmo davvero notevoli. Questo poi è un film che si gioca molto fra interni curati fin nell'ultimo dettaglio, e in esterni spettacolari (l'ambientazione romana aiuta molto a dare delle location da urlo) guardati in campi lunghi con un gusto per la disposizione di luci e personaggi sempre attento e alcune inserzioni alla De Chirico. In una parola, la Wertmüller ha capito come si gira e pigia l'acceleratore.
A fronte di una inventiva così ampia, la trama non regge il confronto; latita molto per quasi tutto il film, il ritmo è lento e i personaggi (mossi magnificamente da un Giannini stranissimo e dalla Melato che fa il suo solito personaggio con la solita grazia) buffi, ma non interessanti.
Il finale però spariglia di nuovo le carte, con una sterzata verso il dramma vero e proprio, con una serie di sequenze di amore e disperazione acutissime si gioca il tutto e per tutto; vincendo. Non dico che valga al pena vedersi il film solo per il finale; ma la conclusione unita alla grazia della regista hanno un peso specifico importante.
Ah ci sono pure musiche e canzoni di Nino Rota che vale la pena recuperare.
mercoledì 13 marzo 2013
The wicker man - Robin Hardy (1973)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.
lunedì 2 aprile 2012
La rabbia giovane - Terrence Malick (1973)
Visto in Dvx.

Insensato e molto comico (involontariamente) ragionamento sui ggiovani d’oggi fatto negli anni ’60. Se visto con il giusto gruppo di persone e/o con la giusta dose di birra il film è decisamente divertente, altrimenti rischia di essere abbastanza noioso. La palese intenzione intellettuale completamente ammazzata dalla trama malcostruita, dai dialoghi spesso idioti e da due personaggi fatti malissimo. Se più ci si aggiunge che Malick non risplende per fantasia o estetica (come farà più avanti… molto più avanti), direi che abbia il quadro completo.
PS: la trama è tratta da una storia vere che anni dopo ispirerà "Natural born killers"... che differenza neh?
mercoledì 7 dicembre 2011
Il lungo addio - Robert Altman (1973)
Visto in DVD.

Il mondo che viene dipinto è un mondo più ironico che cinico ed il Marlowe mostrato è il personaggio di Chandler con più battute che disillusione; in un certo senso quindi il film non si discosta dalla traccia originale, la ripulisce soltanto. E va detto, il protagonista funziona, diverte e piace come vorrebbe. È il resto del mondo che non funziona.
Capisco l’ironia, ma non si può creare un film noir con echi classicheggianti dove il cattivo di turno fa spogliare tutti gli scagnozzi perché per dire la verità bisogna essere nudi; e non mi si può mettere delle dirimpettaie hippie che fanno yoga nude a tutte le ore solo per divertire ed attualizzare…
PS: per tutto il film si sentono continuamente versioni diverse della canzone, che ovviamente è The long goodbye.
giovedì 13 ottobre 2011
Il mondo dei robot - Michael Crichton (1973)
Visto in Dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.

Beh, che dire; film scritto e diretto da Crichton, che si dimostra decisamente migliore nella prima parte piuttosto che nella seconda. Da una parte infatti l’idea è buona, non originalissima, ma ben fatta; dall’altra c’è un film totalmente senza ritmo, noioso oltre ogni dire con una lunga scena finale di “caccia” da parte di un robot verso l’ultimo umano… ma senza mai prendere, senza farsi seguire…
L’unico vero motivo di interesse rimane Yul Brynner che interpreta un robot che interpreta Yul Brinner nei panni del capo de “I magnifici sette”.
martedì 31 maggio 2011
Lo straniero senza nome - Clint Eastwood (1973)
Registrato dalla tv.

Magnifco film sulla vendetta totale che fonde il western con il surreale in alcune delle sequenze più assurde che si ricordino. Eastwood alla sua seconda regia torna dalle parti dello spaghetti western (nel suo personaggio e nella descrizione dell’ambiente coi volti prima che con gli scenari), ma ci aggiunge molta più ironia, il gusto del bizzarro, un poco di spiritismo e tanti colori accesi.
Il film sulla carta dovrebbe piacermi (vendetta, surrealtà, nani) eppure non mi ha convinto. La storia è affascinante, ma si muove con lentezza e senza una direzione precisa. Si intuisce subito tutto, eppure non si sa mai dove voglia andare a parare. Carino e originale, ma personalmente niente di più.
martedì 10 maggio 2011
Come eravamo - Sydney Pollack (1973)
Visto in DVD.

Si in una parola un film d’amore. Ma non solo.
In primo luogo il film sviluppa i personaggi in relazione agli sviluppi sociali degli Stati Uniti, lei (la Streisand) è una contestatrice ricca di ideali, ma senza particolari capacità (parte criticando la neutralità statunitense nella seconda guerra mondiale e finisce protestando contro la bomba atomica); lui (Redford) è un uomo dotato d’un talento superiore (nella scrittura) ma privi di ogni ideale, disilluso, ma pieno di quella felice ignoranza consapevole di se che tanto si addice ai giovani americani.
In secondo luogo il film mostra la parabola umana dei due (sentimentale, ma anche sociale e lavorativa) inarrestabilmente destinata al fallimento, con il loro rapporto tutto fatto di incomprensioni e di felicità protese verso l’autodistruzione. E questo è un altro valore aggiunto, che si innalza nel delicato finale in cui i due, ormai entrambi falliti, mostrano i due volti di una sconfitta; lei che perdendo la sua lotta continua comunque a combattere (protesta appunto contro la bomba atomica in mezzo ad una strada piena di gente disinteressata), mentre lui si è adagiato sul successo economico facile facile accettando una mortificazione professionale che lo rende anch’esso un perdente, ma un perdente rassegnato (è passato da romanziere a sceneggiatore per Hollywood e nel finale si è ridotto a sceneggiatore per la tv).
Questo poi è un film fatto solo di sceneggiatura, tutto intento a raccontare, a dare voce, e poco propenso a mostrare… ecco personalmente non apprezzo molto i film del genere che vedo molto più vicini alla tv o alla radio come mezzo espressivo piuttosto che al cinema, tuttavia bisogna concedergli che la sceneggiatura, i dialoghi, sono magistrali, non annoia mai nonostante la logorrea e sa sempre cosa dire.
lunedì 11 aprile 2011
Luna di carta - Peter Bogdanovich (1973)
Visto in DVD.

Film magnifico. Forte di una sceneggiatura spumeggiante, fatta di battibecchi curati benissimo e psicologie perfette intesse una storia di sopravvivenza e rapporti umani senza mai scadere nel patetico. La trama regge in ogni punto senza mai noia, anzi stupendo continuamente.
La regia di Bogdanovich è ricercatissima, con panoramiche in mezzo alle macchine, continui carelli che sottolineano i campi medi, un uso delle luci estremamente buono ed un campo/controcampo particolare che mi piace molto; il tutto condito con una fotografia decisamente superiore alla media. Personalmente credo che a questo film avrebbe giovato il colore, ma un bianco e nero così ben realizzato dona fascino.
Infine il cast. Tutti sono in parte, bravissimi e perfetti. Ovviamente un encomio speciale per la giovanissima Tatum O’Neal (giustamente premio Oscar), che mangia in testa a tutti i Joel Osment di questo mondo quando con una sola espressione abbozzata da vita ad un sentimento complesso, quando recita misurata (o quasi) in ogni scena, considerando l’età che ha, strepitosa.
Una commedia d’altri tempi ottimamente realizzata sotto ogni punto di vista; non posso dirlo con certezza, ma quasi di sicuro il capolavoro di Bogdanovich.
lunedì 7 marzo 2011
American graffiti - George Lucas (1973)
Visto in VHS.

venerdì 11 febbraio 2011
L'imperatore del nord - Robert Aldrich (1973)
Visto in VHS.
Durante la grande depressione molti senza tetto si muovono su treni merci per tutti gli Stati Uniti. Il migliore fra loro (chiamato numero uno), interpretato dal sempre figo Lee Marvine, sfida apertamente il più spietato capotreno (un inusualmente cattivo Borgnine). Tra i due si inserirà un parvenue che vorrebbe fregarli entrambi (povero scemo).
Solido film “di treni”, diretto con mano ferma e maschia da Aldrich, che non si fa sfuggire neanche mezza occasione per essere truculento e conclude il film con uno dei duelli più estremi del cinema (fatto con trave di legno, martello e catene a bordo di un vagone scoperto ed in movimento).
Il film è godibilissimo, non memorabile e penalizzato da dei personaggi un poco eccessivi, troppo caricati e macchiettistici. D’altra parte se a fare il Numero Uno ci si mette Lee Marvin, non gli si può negare il lusso di fare la solita parte iper-cool del più esperto nel suo campo; stupisce invece Borgnine, cattivo, spietato e convincente anche nei suoi eccessi, ma si sa, Borgnine sarebbe credibile anche a recitare la guida del telefono.
Un buon divertissement per passare un paio d’ore.
venerdì 7 gennaio 2011
Pat Garrett e Billy Kid - Sam Peckinpah (1973)
Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in italiano.
L’ex bandito Pat Garrett è stato eletto sceriffo; la cosa certo è strana, ma si invecchia, il mondo cambia e bisogna pur sopravvivere, in fondo è un lavoro come un altro… peccato che il suo vecchio amico, Billy the kid continui a fare il bandito, lo scontro è inevitabile. Tra una serie di galanti aiuti che il vecchio fa al giovane, si dipana questo inseguimento sui generis, che è più un girare attorno, perché entrambi sanno già cosa succederà, stanno solo temporeggiando…
Cupissimo western crepuscolare, che più crepuscolare non si può, dai tempi dilatati in cui tutto sembra essere l’ultimo gesto prima dello scontro finale.
Pekinpah dirige nichilista come al solito, anzi forse più del solito, forse anche, qui lo dico e qui lo nego, più ancora che ne “Il mucchio selvaggio”; un film in cui l’ambientazione western è un luogo dell’anima prima che un posto fisico (anticipando così il western contemporaneo), eliminando ogni eroismo e restituendo un sapore autentico e crudo ad un epoca troppo osannata. Stupende le sparatorie sporche di un sangue finto che sgorga a ettolitri.
Il film si completa con le musiche di Bob Dylan (“Knockin on the heaven’s doors” per dirne una), metafisiche, surreali quanto l’andamento del film, che danno un senso di definitivo ad ogni scena e che si amalgamano alla perfezione con l’ambiente del vecchio west.
Unico neo il ritmo rilassato, che può far apparire il film lungo il doppio.
PS: Dylan compare nel film è vero, ma se sento che si bulla perché ha “recitato” in un film di Pekinpah scoppio a ridere.