venerdì 29 marzo 2013

Game change - Jay Roach (2012)

(Id.)

Visto in tv.

La campagna elettorale di John McCain riceve uno scossone dalla scelta, improvvisa, di Sarah Palin come vicepresidente. Questo film per la tv della HBO ne descrive tutto lo svolgimento, dall’arrivo della Palin sul set politico nazionale fino alla sconfitta di McCain, dal punto di vista di un uomo dello staff di McCain stesso.

Strano come Jay Roach sia affascinato dalla politica, dopo una sana carriera come regista di film comici di un certo livello (tendenzialmente basso), questo è il secondo film tv sulle elezioni americane che realizza, non sorprende quindi che abbia infine unito le due passioni di una vita in “Candidato a sorpresa”.

Di per se è un buon film considerando che è un film tv… Piuttosto rigido nella regia, scontato e con il pilota automatico in certe parti e con una tendenza allo stucchevole per velocizzare certi passaggi che altrimenti diventerebbero noiosi (quando la Palin fa il suo primo discorso si sente tutto lo staff esultare per le capacità della candidata, ma in realtà quello che io ho sentito era solo lo stralcio di un discorso senza particolare appeal).

Il motivo per cui il filmetto in questione può valer la pena d’essere visto è che la Palin tutto sommato diventa semplicemente una maschera. Rappresenta l’uomo di provincia, magari con convinzioni discutibili, ma onesto, sinceramente dedito al bene del paese (o quello che considera tale), realmente affascinato da chi gli sta al fianco; rappresenta l’uomo di provincia, dicevo, che viene preso da quel sistema politico perché utile alla causa e buttato allo sbaraglio, con qualche successo e molte sconfitte, con qualche soddisfazione e molte umiliazioni personali; con la sua grinta e la consapevolezza che è la sua unica possibilità e con tutto lo sconforto, l’insicurezza di cui è capace. Poi tutto questo viene affogato nei classici sentimenti statunitensi e la confortante morale del sii te stesso. Comunque il film intrattiene bene e lo si guarda senza rimpianti.

Ah già; Julienne Moore è identica in tutto e per tutto alla Palin. 

mercoledì 27 marzo 2013

Telefoni bianchi - Dino Risi (1976)

(Id.)

Visto i Dvx.

Risi ripercorre il ventennio fascista nell'unico modo possibile, niente acrimonia o partigianeria di rito, niente amarcord nostalgico (non si sa mai di come la può pensare uno), di fatto mostra l’epoca nazista per quello che è stata, una farsa. Il fascismo, prima ancora di divenire un gioco al massacro, è stato un enorme baraccone che distribuisse circenses più che panem, ma che di fatto incarnava esattamente ciò che era l’Italia d’allora. Niente rimpianti quindi, niente rabbia postuma, una constatazione che quelli eravamo noi, ma mostrati con tutta l’ironia che merita un progetto del genere.

Il film soffre un poco del ritmo episodico della trama e, di per se simpatico, non dice molto di più ad uno spettatore, niente colpi di genio o messe in scena sensazionali. Il motivo per cui il film si salva (e può venir ricordato) è la carrellata di improbabili personaggi, tutte macchiette costruite su un luogo comune, tutte calzanti e infuse di vita propria; il Pozzetto fascista da operetta; l’inevitabile Gassman nell'inevitabile parte del famoso ed osannato viveur  tronfio e vanitoso quanto incapace e paraculo; ma su tutti merita un encomio Tognazzi nella parte dello stronzo più bieco finora mostrato al cinema, talmente orribile (tanto esteticamente, quanto interiormente, in un’idea quanto mai cartonistica nella costruzione del personaggio) da essere disprezzato persino dai nazisti che aiuta.

La protagonista, di per se non entusiasmante, alla lunga si imprime nella memoria per la sua totale passività agli eventi; lei è stata educata all'avidità e si muove, con assoluta onestà intellettuale verso chi le offre di più, totalmente indifferente ai sentimenti degli altri tanto quanto dei proprio. Solo Virzì, molto dopo, avrà il coraggio di creare un personaggio così algido ed ingenuo.

Complessivamente un’opera simpatica, che avrebbe potuto essere migliore se oltre alla trama ci fosse stata qualche idea in più.

lunedì 25 marzo 2013

Film per non dormire: La stanza del bambino - Alex De la Iglesia (2006)

(Peliculas para no dromir: La habitación del niño)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una famiglia si trasferisce in una casa maledetta ed il marito, nel monitor che usano per guardare il bimbo neonato, comincia a vedere delle strane presenze. Inizierà ad essere scorbutico in famiglia, si rivolgerà a persone che potrebbero aiutarlo, ma che si limitano ad aggiungere minutaggio inutile al film, finchè non capirà cosa sta succedendo; ma il capire non significa essere in grado di evitare il peggio.

Alla prova tv De la Iglesia crolla rovinosamente. Imbastisce un film horror piuttosto classico, ma nello stesso tempo complicato e farraginoso, con diversi WTF che possono spuntare ad ogni angolo, gioca a fare il mestierante pacato e nella media, ma cade in maniera stupida. Non c’è tensione, non ci sono idee epocali (anche se si fa di tutto per sembrare originali), l’immaginario simbolico che viene mostrato è quello classico (cosa che De la Iglesia non si era mai abbassato a fare, creando sempre una serie di simboli personali anche quando si parlava di concetti mainstream come satana); ma soprattutto manca il mondo malato e cattivo di De la Iglesias. Il peggio è tutto qui, il film è ambientato nella realtà quotidiana, con personaggi normali; non c’è il solito campionario di freaks fisici e/o morali, non c’è il solito substrato originale e fuori di testa. È solo un film horror normale venuto male. 

venerdì 22 marzo 2013

Il romanzo di un baro - Sacha Guitry (1936)

(Le roman d'un tricheur)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Un uomo scrive le proprie memorie seduto in un bar, ripercorrendo la sua vita dal momento in cui diventò orfano ai suoi successi a Montecarlo come croupier prima e come baro successivamente, la guerra, gli amori, i viaggi.

In un lungo flashback inframezzato da alcuni momenti, per lo più comici, di ritorno al “presente” del bar, il protagonista racconto l’intera sua esistenza in una continua voice off, impedendo agi attori di parlare direttamente, anzi facendo lui stesso tutte le voci qualora necessario; unici momenti con voci live sono una canzone in un locale e tutte le sequenze ambientate nel bar e, quindi, non raccontante dal protagonista.
Curiosa scelta stilistica che modifica completamente la luce del film, rendendolo di fatto una via di mezzo tra un film muto ed uno parlato, con una recitazione calcata da parte degli attori ed un trucco che spesso ritorna a quello dei film muti (l’anarchico russo o la moglie del protagonista ad esempio).

Dal canto suo Guitry, decide di trattare il film con il dinamismo che si dedicherebbe ad un musical, organizza gli attori ed i loro movimenti come in una coreografia, gioca con il montaggio per dare un senso di velocità maggiore e usa la macchina da presa in gustosi piani sequenza e dialoga con lo spettatore non tanto con le parole fuori campo, quanto con le immagini stesse ed i dettagli messi in scena; si veda l’infanzia del protagonista come esempio e summa di tutte queste idee. Addirittura i titoli di testa sono recitati dal protagonista, mentre la macchina da presa mostra il cast tecnico ed artistico.
Interessante film sperimentale che è anche una divertente commedia invecchiata pochissimo,leggera e rapida intrattiene con gusto.

mercoledì 20 marzo 2013

Piombo rovente - Alexander Mackendrick (1957)

(Sweet smell of success)

Visto in Dvx.

Film di giornalismo con le cadenze di un superbo noir, tutto poggiato su due epicentri. I due protagonisti che, ognuno a modo suo, sono due personaggi archetipici e perfetti. Tony Curtis è l’uomo affamato di successo disposto ad umiliare gli altri e se stesso pur di giungere in vetta, ma che, come in ogni buon noir, è destinato alla sconfitta e ai giochi ironici del destino; interpretato da Curtis in maniera perfetta (considerando quanto lo odio come attore che ritengo essere poco più di un insipido caratterista belloccio degno di un Jersey Shore degli anni ’40), il fatto che abbia trovato perfetto il suo volto e la sua gestualità per questa parte è un evento epocale. Dall'altra parte c’è un Burt Lancaster (ovviamente perfetto, come sempre quando deve recitare una parte importante) titanico, immerso in un ambiente e in un personaggio shakespeariano; un uomo potente e tracotante che domina gli altri solo se riesce a consumarli, distruggerli o controllarli; un uomo intelligente, ma arrogante, che nel momento della vendetta diventa completamente cieco e distrugge tutto, anche se stesso, per poter gustare una ripicca esagerata; un personaggio del genere sarebbe stato perfetto per Orson Welles.

Buona la regia tutta giocata sulle ombre più che sulla luce; strepitosa la sceneggiatura dove ogni dialogo è un incontro di boxe senza esclusione di colpi.
Un film veramente notevole, con dinamiche umane ben costruite. Chi ama il noir amerà questo film.

lunedì 18 marzo 2013

Bad teacher, Una cattiva maestra - Jake Kasdan (2011)

(Id.)

Visto in DVD.

Un’insegnante delle medie ha un unico interesse nella vita; e non sono gli studenti. È determinata a sposare un uomo ricco. Dopo essere stata lasciata dal suo fidanzato mette gli occhi su un nuovo insegnante, buonista e reazionario che è però insidiato anche da un’altra insegnante, pazza e buonista. Inizierà una sfida intensa.

Un film che di fatto è una commedia romantica, ma politicamente scorretta. L’ambientazione alle medie offre molti spunti sul sesso, le droghe, i rapporti fra i due sessi, l’apparenza e la sostanza delle cose; e tutti questi spunti vengono toccati (chi più chi meno) con una poetica del “basta che funzioni”, niente buonismi consolatori dove se ti impegni riesci davvero o dove quello che conta è ciò che hai dentro; no, quello che vuoi devi ottenerlo lottando e puoi sempre fallire quindi non ti rimane che sperare che il tutto passi presto; mentre quello che conta non è essere in pace con se stessi, ma riuscire ad avere ciò che vuoi. Tutto questo, ovviamente si presta ad esagerazioni e gag comiche per lo più riuscite che, oggigiorno, solo un Apatow sarebbe stato disposto a fare.

Inoltre il finale è effettivamente un happy ending hollywoodiano, ma, tutto sommato, perfettamente in linea con il resto del film; non si vince facendo i buoni, ma adattandosi alle situazioni e strappandone il meglio; non c’è buonismo ne consolazione, ma la stessa filosofia del resto del film, che dimostra di poter raggiungere la felicità anche rimanendo al di fuori del convenzionale.
In una parola, dopo "Walk hard", Kasdan si conferma un maestro della comicità 2.0.

Brava Cameron Diaz, non pensavo, ma brava davvero. Un encomio pure a Timberlake che si presta ad una parte francamente imbarazzante (quella del sesso con i jeans è una sequenza ai limiti dell’accettazione).  

venerdì 15 marzo 2013

Vaghe stelle dell'orsa - Luchino Visconti (1965)

(Id.)

Visto in DVD.

Claudia Cardinale torna a Volterra, sua città natale con il marito, per presenziare alla dedica del parco di famiglia (donato perché diventi pubblico) al padre morto ad Auschwitz. Una volta tornata dovrà fare i conti con il passato, con la madre pazza, con il patrigno con cui sono in pessimi rapporti, ma soprattutto con il fratello.

Tecnicamente un film, bello, anzi impeccabile. Una regia dinamica fatta di zoom che al’epoca facevo figo, ma usati bene uniti ad una macchina da presa mobile. Alcune location assolutamente perfette (su tutte la cisterna dell’acqua), una costruzione delle immagini ben fatta; ma soprattutto una fotografia impeccabile con un buonissimo uso delle luci (e delle ombre)…

Tutta via il film non ce la fa proprio a farsi ben volere. Troppo gelido, troppo distante, troppo snob, troppo chiuso nelle sue altezzose e cerebrali emozioni distrutte per poter essere empatico, un passato da dimenticare o da scoprire troppo sospirato per poter essere seguito con interesse, piccole agnizioni piccolo borghesi che non aiutano ad aumentare l’interesse ed un ritmo che segue l’esito dell’intero film. Una lenta marcia verso la noia.

Il leone d’oro a Venezia fu un evidentissimo tentativo di dare un contentino dopo la disfatta (quella si immotivata e, anzi, criminosa) de “Il gattopardo”.

mercoledì 13 marzo 2013

The wicker man - Robin Hardy (1973)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Un poliziotto viene avvertito da una lettera anonima della scomparsa di una ragazza su un’isola della Scozia. Raggiunta l’isola il poliziotto trova un muro di silenzio nei confronti di quella ragazza, come se non fosse mai esistita. Quello che scoprirà rapidamente sarà un ben radicato culto pagano e comincerà a mettere insieme le tessere del mosaico…
Film cult che rappresenta la mancanza di sgurz della distribuzione italiana (visto che ad oggi non è mai stato distribuito!); il motivo di tale ritardo pare essere la scena in cui la figlia dell’oste balla nuda; ma immagino che anche i riferimenti ironici alla religione cristiana e il finale in cui il paganesimo ed il cristianesimo vengono sostanzialmente appaiati non siano stati visti positivamente.

In ogni caso la prima cosa da dire è che questo non è un horror. Nonostante sia stato definito con iperbole esagerate come uno dei migliori horror di sempre, questo non è un horror. Non saprei dire se è solo invecchiato molto, ma all'epoca poteva mettere paura, ma sinceramente non mi pare proprio. Questo è un ottimo thriller, un mystery che tenta di inculcare il dubbio, la paranoia e anche l’inquietudine e per farlo decide di ambientare il tutto su un’isola sempre assolata; un’idea radicale e in antitesi con l’uso comune (che vorrebbe nebbie, scene in notturna e pioggia) che lo mette sullo stesso piano di “Intrigo internazionale” per arditezza. Questo sommato a Christopher Lee che è sempre un piacere da vedere; il twisted plot finale; e diverse scene di incredibile bellezza (i paesaggi ed i cieli inquadrati, i colori pastello e il wicked man finale) sono i pregi maggiori del film. Beh anche la creazione di un sistema, di un mondo, parallelo a quello reale assolutamente credibile credo abbia avuto una parte nel successo del film.

Detto ciò però non fa mai paura, l’ingenuità della sceneggiatura è evidente nei vicoli ciechi della trama e nell'assurdità del protagonista. Inoltre non si può dire che tutte le idee siano realizzate in maniera sensata (le coppie che fanno sesso nell'oscurità fuori dal bar sono a distanze precise come se fossero state messe li; la piccola stonehenge è addirittura caricaturale; e che dire di Christopher Lee vestito da donna?! Wtf?).

Tuttavia, al netto dell’ingenuità generale il film rende bene.  Anche grazie all'uso eccessivo di musiche di una grazia spaventosa (la Willow’s song è assolutamente inappuntabile e la canzone Maypole riesce ad essere inquietante e disturbante senza dire molto e senza che nessuno faccia niente) che lo rendono, più che il “Quarto potere” degli horror (com'è stato enfaticamente definito), il “Dancer in the dark” dei thriller (lo so, questa definizione nega completamente l’ordine cronologico). 

PS: nei credits ci metto una chicca.

lunedì 11 marzo 2013

Martyrs - Pascal Laugier (2008)

(Id.)

Visto in Dvx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Difficile raccontare la trama del film senza spoilerare, dato il colpo di scena (anzi il cambio di film) a metà si rischia di confondere più che di chiarire. In realtà più che la trama credo che valga la pena sottolineare il genere del film, che certo è tendenzialmente splatter, ma cambia diverse volte durante lo svolgimento. Parte con il finale di un torture movie di cui si vedono solo pochi accenni, a quel punto diventa rapidamente un dramma sulla sofferenza di una sopravvissuta; nel giro di poco si trasforma in un revenge movie estremamente rapido, ma condito con del dramma personale e psicologico; poi avviene il vero cambiamento, il film torna, improvvisamente ad essere un torture porn, decisamente buono, girato meglio di qualunque “Hostel” e (sempre nell'assurdità dell’assunto iniziale del film) incredibilmente verosimile; poi, nel finale, si modifica ancora in qualcosa d’altro, difficile da definire…

Escludendo completamente l’hype che all'epoca della sua uscita lo voleva come il peggio film mai realizzato (sono d’accordo che chi non sopporta i torture movie è meglio che se ne astenga, ma per chi li conosce, o almeno apprezza l’horror, non rischia lo svenimento) il film è assolutamente un buon film. Girato in maniera realistica entro le possibilità, con una secchezza degli ambienti ed una compostezza di regia (ma con un buon modo di far procedere la storia) il film riesce a non annoiare anche nella ripetitività del finale. Ecco secondo me è un buon film, il difetto è tutto nella trama. I cambiamenti di genere sono un’idea interessante che m’impone di rendere ancora più merito al regista, però il twist plot, quello grosso, è difficile da accettare. Se si riesce a mandarlo giù credo che questo film sia uno delle opere di horror/metafisco (per non dire per l’ennesima volta torture porn) mai realizzate. Se non si riesce ad accettare il colpo di scena diventa un solido film buttato in vacca.
Personalmente l’ho apprezzato nonostante il twist non mi abbia convinto del tutto.

venerdì 8 marzo 2013

Ballata macabra - Dan Curtis (1976)

(Burnt offering)

Visto in Dvx.

Se una famiglia è composta da Oliver Reed come padre e da Bette Davis come zia, va da se che la casa delle vacanze che hanno affittato si trasformerà in un incubo kingiano. Si perché cominceranno a succedere cose, cose interne alle persone stesse, sentimenti mutevoli, scoppi di rabbia improvvisi, ossessioni mai avute, stanchezze croniche e la totale impossibilità ad andarsene.

Il film grida “SHINING” dalle prime immagini con la famiglia in macchina che va a vedere la casa che dovranno tenere in ordine per l’estate in cambio di un una affitto bassissimo e smette di gridarlo con l’ultima inquadratura sulla foto della famigliola. Poi uno si ferma un attimo e ci arriva subito che questo “Burnt offering” è di uno anni più vecchio di Shining e allora il film comincia a gridare “PLAGIO”. Devo anche dire che in diversi punti mi ha ricordato il pregevole “The skeleton key”, ma più che altro per il mood generale e non per un’evidente debito tra i due.

Comunque sia è un filmetto che di paura ne fa ben poca e di tensione altrettanta, se non possono essere escluse delle buone idee, soprattutto la vecchia madre che nessuno vede mai o la casa autonoma, nel complesso è un film che non avvince. Scontato dire che c’è Bette Davis e pertanto c’è un motivo d’interesse di per se (l’ho voluto vedere solo per questo motivo), ma nella parte della vecchia zitella NON acida è proprio sfruttata poco e non ha possibilità di esprimersi a dovere; di fatto si spreca una delle cose migliori del film in questo modo.

mercoledì 6 marzo 2013

Cars: motori ruggenti - John Lasseter, Joe Ranft (2006)

(Cars)

Visto in tv.

Per la storia passo parola.
Il film è stilisticamente stupendo come al solito. Ampi spazi creati ad hoc ricalcati dal mondo delle macchine, disegnati come un acquerello. Una verosimiglianza nella costruzione di oggetti e personaggi che difficilmente è stata raggiunta prima (probabilmente il fatto che anche i personaggi siano oggetti è d’aiuto); un particolare complimento alla “materia”, la corposità dell’asfalto, la leggerezza dell’acqua, l’effetto della polvere sulle carrozzerie, tutto è tremendamente corposo e realistico.

Il vero problema qui è la storia. C’è tutto ciò che di più americanamente banale possa offrire il cinema, una storia di ritorno alle origini e ai veri sentimenti, ma anche una storia di riscatto, ma anche un film sull'unione che fa la forza. Niente di particolare, anche le parti comiche (che sono la parte migliore del film) non sono niente di eccezionale.
Per carità è stato il film Pixar più venduto (anche grazie ad un merchandising spietato), quindi se è stato realizzato (come è ovvio) per il puro fine economico è stato un indubbio successo, ma delle doti della Pixar (personaggi originali, comicità e dramma uniti, emozioni delicate e delicatamente inserite ovunque) se ne vedon ben poche… Beh un buon investimento, ma un film mediocre. 

lunedì 4 marzo 2013

Le mani sulla città - Francesco Rosi (1963)

(Id.)

Visto in Dvx.

Un faccendiere napoletano (Steiger), palazzinaro senza remore, è profondamente invischiato nella vita politica del comune, ma alla vigilia delle elezioni uno dei suoi palazzi crolla, apparentemente senza motivo. Le elezioni alle porte, le indagini di un consigliere dell'opposizione, l'arroganza del palazzinaro che vuole essere assessore a tutti i costi e le beghe interne al partito (mai nominato) provocheranno molte reazioni, non ultima la fuga del faccendiere dalla maggioranza per finire in un partito di centro (moralizzatore a parole) con cui riuscirà a costituire una nuova maggioranza.

Asciutto e spietato (ma con una certa tendenza all'ostentazione dei caratteri) Rosi delinea un mondo più che un singolo personaggio. Descrive un modo di vivere, un sistema che crea mostri e che si auto mantiene e riproduce. Si muove fra caratteri e personaggi, agli antipodi, ma solo perché rappresentano le due facce di una stessa moneta. Carica il lavoro di un nitore e una trasparenza impressionante e butta tutto il peso di un film densissimo sulle solide spalle di un ottimo Rod Steiger e su quelle più gracili, ma forse più esperte, di una selva di caratteristi tutti perfetti al loro posto. Quello che ne viene fuori è un film che sembra un documentario tanto è dettagliato, a che scorre via con la velocità e la grazia di una puntata di un telefilm, tanto è ben narrato. L’eternità della storia lo rende sempre attuale.
Magnifico, osannato con cognizione di causa.

venerdì 1 marzo 2013

Agora - Alejandro Amenábar (2009)

(Id.)

Visto in tv.

La storia di Ipazia di Alessandria, scienziata e astronoma, nonché insegnante, che tira su una generazione di uomini che si spargeranno in vie alquanto diverse, chi verso la politica, chi verso la religione, chi verso il terrorismo. Con l’aggravarsi della situazione sociale Ipazia sarà il simbolo della scienza che si scontra contro una religione nascente dal potere sempre più ampio.
Se il film si può pregiare della solita cura nelle scenografie e nei costumi (che risultano tanto più falsi in quanto perfetti), nonché una buona fotografia, per tutto il resto è un fallimento.

La storia della vittoria della scienza sulle barbarie è quantomeno stucchevole e banale e nel presentare un personaggio geniale, ma osteggiato dalla chiesa in formazione ci si sofferma solo su minuscoli episodi patetici e piccole sequenze degne di un filmato educativo della scuola pubblica americana.

La parte che sarebbe più interessante è di fatto lo scontro di civiltà fra le due religioni (il cristianesimo e il paganesimo) che si odiano vicendevolmente senza un vero motivo (e sarebbe stato affascinante vedere come questo odio senza senso si fomentasse vicendevolmente); oppure fra la religione e lo stato centrale (anche se meno affascinante). Ma purtroppo entrambe queste sottotrame o sono solo suggerite o vengono utilizzate poco e male.
In definitiva un film abbastanza noioso.