(Die Sehnsucht der Veronika Voss)
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Un giornalista sportivo incontra per caso un'ex dive del periodo nazista, ora morfinomane aiutata/tenuta in ostaggio da una dottoressa. Ovviamente lui si innamora, ma la relazione sarà impossibile.
Il penultimo film di Fassbinder è uno dei suoi più belli, esteticamente e per contenuti.
A livello di immagini gode in un bianco e nero fotografato in maniera incredibile (questo si credo si possa dire in maniera sicura, la miglior fotografia per un film di Fassbinder) con un gioco di luci encomiabile (sfondo nero per le scena ambientate nel presente tranne quelle nella "paradisiaca" e bianca casa della dottoressa; luci dirette in macchina da presa per le scene nel passato).
A livello di contenuti (ma anche del ritmo necessario per sostenere in maniera adeguata la trama) non sarà il migliore, ma ci si avvicina molto. Una storia di un amore impossibile, della follia dei sopravvissuti agli anni '40 (ebrei dai campi di concentramento e nazisti visti entrambi con lo stesso sguardo), il tutto realizzato con una delicatezza incredibile; l'ex marito che segue le riprese da retroscena e che si allontana e si riavvicina assieme all'amante, i personaggi "solari" dei due anziani ebrei, ecc...
Il tutto realizzato con il passo di un thriller con un'emotività molto umana. All'inizio non c'è nulla di spiegato, i comportamenti vengono compresi con lo svolgersi delle vicende e dell'indagine del protagonista, ma fin dalle prime immagini vengono espresse tutta la tenerezza e la sofferenza di quella situazione.
PS: splendida la scena di Veronika Voss che canta alla sua festa, una Ditriech perfetta.
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lunedì 9 settembre 2019
lunedì 11 febbraio 2019
Blade runner - Ridley Scott (1982)
(Id.)
Visto in Dvx.
Film iconico per eccellenza di cui chiunque ha già detto tutto. Personalmente non sono mai stato un appassionato cultore, ma rivedendolo oggi non si può non riconoscerne il valore.
Il film si muove con il fiato spezzato del noir e con il ritmo lento degli Scotts degli anni '80.
Il film prende un vago spunto da un libro di Dick solo per partire con una densa trama filosofica, ricca di filippiche e strati di significato; una sceneggiatura complessa e complicata (un pò film autoriale un pò noir classico, di nuovo) che riesce a reggere il colpo nonostante qualche eccesso (il famosissimo monologo finale posto dopo un inseguimento teoricamente violento avrebbe ammazzato qualunque altro film).
Ma con tutto questo il film avrebbe fatto la gioia di Dick e sarebbe stato messo nel dimenticatoio del tentativo autoriale di un regista con potenzialità mainstream.
Il reale valore aggiunto però è altrove: nel comparto estetico.
Mi rendo conto della tautologia, ma mai come in questo caso siamo davanti a un film da guardare. Scott crea un film in cui le immagini trasmettono interamente il mood veicolato dalla sceneggiatura con in più informazioni potenziali su quanto successo fino a quel momento.
Anzi, Scott fa di più, crea un intero mondo solo con le immagini. Una Los Angeles che è un'immensa Chinatown, costantemente umida, barocca e adagiata nella sua dissoluzione, un disfacimento calmo e accettato da tutti, nonostante tutto. Un luogo buio in cui le luci al neon sono pervasive quanto gli schermi pubblicitari e le luci intrusive che dall'esterno illuminano gli interni ancora più cupi della città senza però chiarire ciò che accade, anzi, aumentando la confusione.
All'opposto rispetto al precedente "Alien", le immagini sono densissime pur nella loro semplicità, ma sono costantemente ragionate. La regia fa ciò che vuole per seguire i personaggi: primi piani, piani medi (per mostrare adeguatamente gli interni), movimenti di macchina, inquadrature fisse, montaggio interno; c'è tutto.
Il film parla più con le immagini che con le parole, accumulando informazioni, emozioni e simbologie in una serie di sequenze assolutamente impeccabili. Mostra, giocando, il concetto di mostrare (con i continui riferimento agli occhi, la vista e le immagini) e rappresenta di per sé un film nel film.
PS: Spoiler. Deckard è un replicante? L'idea (anzi l'idea di lasciare il tutto nell'ambiguità) è intrigante e aggiunge un nuovo livello di lettura tirando le fila di un discorso altrimenti solo evocativo (il rapporto con Gaff); ma, a conti fatti, non aggiunge nulla alla trama. L'incertezza di essere o meno un androide è già rappresentata da Rachael, l'idea che un androide vada a caccia di androidi non aumenta il fascino del film, il fatto che Roy nel finale sia più umano di un umano non è sminuita se quest'ultimo è un robot (ci sono degli umani dietro Deckard in ogni caso, Gaff non mostra neppure la comprensione del personaggio di Ford).
Visto in Dvx.
Film iconico per eccellenza di cui chiunque ha già detto tutto. Personalmente non sono mai stato un appassionato cultore, ma rivedendolo oggi non si può non riconoscerne il valore.
Il film si muove con il fiato spezzato del noir e con il ritmo lento degli Scotts degli anni '80.
Il film prende un vago spunto da un libro di Dick solo per partire con una densa trama filosofica, ricca di filippiche e strati di significato; una sceneggiatura complessa e complicata (un pò film autoriale un pò noir classico, di nuovo) che riesce a reggere il colpo nonostante qualche eccesso (il famosissimo monologo finale posto dopo un inseguimento teoricamente violento avrebbe ammazzato qualunque altro film).
Ma con tutto questo il film avrebbe fatto la gioia di Dick e sarebbe stato messo nel dimenticatoio del tentativo autoriale di un regista con potenzialità mainstream.
Il reale valore aggiunto però è altrove: nel comparto estetico.
Mi rendo conto della tautologia, ma mai come in questo caso siamo davanti a un film da guardare. Scott crea un film in cui le immagini trasmettono interamente il mood veicolato dalla sceneggiatura con in più informazioni potenziali su quanto successo fino a quel momento.
Anzi, Scott fa di più, crea un intero mondo solo con le immagini. Una Los Angeles che è un'immensa Chinatown, costantemente umida, barocca e adagiata nella sua dissoluzione, un disfacimento calmo e accettato da tutti, nonostante tutto. Un luogo buio in cui le luci al neon sono pervasive quanto gli schermi pubblicitari e le luci intrusive che dall'esterno illuminano gli interni ancora più cupi della città senza però chiarire ciò che accade, anzi, aumentando la confusione.
All'opposto rispetto al precedente "Alien", le immagini sono densissime pur nella loro semplicità, ma sono costantemente ragionate. La regia fa ciò che vuole per seguire i personaggi: primi piani, piani medi (per mostrare adeguatamente gli interni), movimenti di macchina, inquadrature fisse, montaggio interno; c'è tutto.
Il film parla più con le immagini che con le parole, accumulando informazioni, emozioni e simbologie in una serie di sequenze assolutamente impeccabili. Mostra, giocando, il concetto di mostrare (con i continui riferimento agli occhi, la vista e le immagini) e rappresenta di per sé un film nel film.
PS: Spoiler. Deckard è un replicante? L'idea (anzi l'idea di lasciare il tutto nell'ambiguità) è intrigante e aggiunge un nuovo livello di lettura tirando le fila di un discorso altrimenti solo evocativo (il rapporto con Gaff); ma, a conti fatti, non aggiunge nulla alla trama. L'incertezza di essere o meno un androide è già rappresentata da Rachael, l'idea che un androide vada a caccia di androidi non aumenta il fascino del film, il fatto che Roy nel finale sia più umano di un umano non è sminuita se quest'ultimo è un robot (ci sono degli umani dietro Deckard in ogni caso, Gaff non mostra neppure la comprensione del personaggio di Ford).
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mercoledì 19 dicembre 2018
Labirinto di passioni - Pedro Almodóvar (1982)
(Laberinto de pasiones)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Il figlio del re di una nazione esotica si trova a Madrid in libera uscita e si innamora della figlia ninfomane di un ginecologo. Attorno a queste due figure si inseriscono una moltitudine di personaggi e personaggetti, spesso non utili alla trama, che descrivono un mondo fieramente queer, incredibilmente vasto e interconnesso (nella parte iniziale si impiega non poco a capire chi è il protagonista) e ovviamente vitale e scanzonato.
Al suo secondo film Almodovar prosegue sulla linea del primo, ma dando una spolverata di concretezza in più con una trama, anche se molto debole.
L'effetto finale, però, al contrario di quanto mi sarei aspettato è peggiore.
La regia continua a latitare del tutto... e come me ne sono fatto una ragione con "Pepi, Luci ecc..", avrei potutto soprassedere anche qui; ma la trama imposta a questa opera è di un pallore inaccettabile, soprattutto considerando che ammazza in maniera inguaribile la vitalità che era la spina dorsale del primo film. Qui, per avere maggiore concretezza, si sceglie di uccidere lo spirito iconoclasta di "Pepi" e non basta inserire una lunga sequenza cantata con una canzone funky cantata dallo stesso regista o mettere gag su diarrea e sesso, è proprio l'animo che è completamente diverso.
Inefficace, ma comunque interessante (per dietrologi), in quanto per la prima volta si vede il grande amore del regista per il melò; il rapporto fra i due protagonisti sembra essere preso di peso da un feuilleton d'altri tempi.
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Il figlio del re di una nazione esotica si trova a Madrid in libera uscita e si innamora della figlia ninfomane di un ginecologo. Attorno a queste due figure si inseriscono una moltitudine di personaggi e personaggetti, spesso non utili alla trama, che descrivono un mondo fieramente queer, incredibilmente vasto e interconnesso (nella parte iniziale si impiega non poco a capire chi è il protagonista) e ovviamente vitale e scanzonato.
Al suo secondo film Almodovar prosegue sulla linea del primo, ma dando una spolverata di concretezza in più con una trama, anche se molto debole.
L'effetto finale, però, al contrario di quanto mi sarei aspettato è peggiore.
La regia continua a latitare del tutto... e come me ne sono fatto una ragione con "Pepi, Luci ecc..", avrei potutto soprassedere anche qui; ma la trama imposta a questa opera è di un pallore inaccettabile, soprattutto considerando che ammazza in maniera inguaribile la vitalità che era la spina dorsale del primo film. Qui, per avere maggiore concretezza, si sceglie di uccidere lo spirito iconoclasta di "Pepi" e non basta inserire una lunga sequenza cantata con una canzone funky cantata dallo stesso regista o mettere gag su diarrea e sesso, è proprio l'animo che è completamente diverso.
Inefficace, ma comunque interessante (per dietrologi), in quanto per la prima volta si vede il grande amore del regista per il melò; il rapporto fra i due protagonisti sembra essere preso di peso da un feuilleton d'altri tempi.
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venerdì 14 settembre 2018
Creepshow - George Romero (1982)
(Id.)
Visto in Dvx.
Cinque storie distinte, ognuna di orrore o fantascienza.
Nella prima l'anziano padre ucciso pochi anni prima torna in vita per pretendere la sua torta per il giorno del papà.
Nel secondo un redneck americano trova un meteorite che lo contagia con un tipo di pianta aliena che lo porterà al suicidio.
Nel terzo un uomo tradito decide di uccidere la moglie e l'amante in maniera creativa, ma anche qui gli zombie avranno la meglio.
Nel quarto, una cassa antica contiene una creatura sanguinaria che sarà sfruttata per questioni personali.
Nel quinto, un milionario ossessionato dagli scarafaggi rimane vittima (in senso letterale) della sua monomania.
In più un prologo introduce l'idea di storie tratte dai fumetti anni '50 della EC Comics e l'epilogo conclude la storiella iniziale.
Si, questo è un film horror a episodi; ma per chi si aspetta di essere realmente inquietato rimarrà decisamente deluso. L'idea di partenza è sfruttare il fumetto originale, caratterizzato da una vena di humor nero che determina il vero mood (quindi non suspense, ma ironia) e un target molto giovane. In poche parole non è un horror per chi vuole essere spaventato come in "REC", ma neppure quello affascinante, ma intellettuale come "La notte dei morti viventi"; questo è un horror per regazzini, che li introduca nell'affascinante mondo dei film de paura in maniera più o meno soft.
In tutto questo c'è una cura particolare negli effetti speciali artigianali (che artigianali sono e rimangono, con un certo gusto nel mostrarne la falsità) e nella fotografia molto anni '80, che per una volta risulta funzionale a creare un mondo (letteralmente) da fumetto.
Inoltre ci si può gustare almeno una storia davvero buona (la quinta, quella degli scarafaggi), un Leslie Nielsen nella parte dello stronzo e uno Stephen King imbarazzante nella parte del redneck.
Visto in Dvx.
Cinque storie distinte, ognuna di orrore o fantascienza.
Nella prima l'anziano padre ucciso pochi anni prima torna in vita per pretendere la sua torta per il giorno del papà.
Nel secondo un redneck americano trova un meteorite che lo contagia con un tipo di pianta aliena che lo porterà al suicidio.
Nel terzo un uomo tradito decide di uccidere la moglie e l'amante in maniera creativa, ma anche qui gli zombie avranno la meglio.
Nel quarto, una cassa antica contiene una creatura sanguinaria che sarà sfruttata per questioni personali.
Nel quinto, un milionario ossessionato dagli scarafaggi rimane vittima (in senso letterale) della sua monomania.
In più un prologo introduce l'idea di storie tratte dai fumetti anni '50 della EC Comics e l'epilogo conclude la storiella iniziale.
Si, questo è un film horror a episodi; ma per chi si aspetta di essere realmente inquietato rimarrà decisamente deluso. L'idea di partenza è sfruttare il fumetto originale, caratterizzato da una vena di humor nero che determina il vero mood (quindi non suspense, ma ironia) e un target molto giovane. In poche parole non è un horror per chi vuole essere spaventato come in "REC", ma neppure quello affascinante, ma intellettuale come "La notte dei morti viventi"; questo è un horror per regazzini, che li introduca nell'affascinante mondo dei film de paura in maniera più o meno soft.
In tutto questo c'è una cura particolare negli effetti speciali artigianali (che artigianali sono e rimangono, con un certo gusto nel mostrarne la falsità) e nella fotografia molto anni '80, che per una volta risulta funzionale a creare un mondo (letteralmente) da fumetto.
Inoltre ci si può gustare almeno una storia davvero buona (la quinta, quella degli scarafaggi), un Leslie Nielsen nella parte dello stronzo e uno Stephen King imbarazzante nella parte del redneck.
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venerdì 30 giugno 2017
I maestri del tempo - René Laloux (1982)
(Les maîtres du temps)
Visto in Dvx.
A causa di un incidente un bambino si ritrova da solo su un pianeta selvaggio (ah ah ah); in contatto radio con una astronave che cerca di raggiungerlo prima che succeda l'irreparabile.
Nove anni dopo la sua opera prima, Laloux torna con un lungometraggio d'animazione e torna alla fantascienza. Per tutto il resto i due film hanno poco o nulla in comune.
Se "Il pianeta selvaggio" era una distopia seria e drammatica (oltre che molto intelligenti), questo è un racconto d'avventura (con twist plot finale) con una vena più da commedia e alcuni personaggi apertamente buffi. La struttura del film è decisamente più canonica e il colpo di scena non da spessore a una sceneggiatura meno intelligenti della precedente (ma forse non è neanche una questione di intelligenza, quanto di idea di base, fulminante nell'altro film, normale in questo).
L'altra grande differenza è nel disegno. Nel precedente il tratto particolare di Topor (tratto che inizialmente può essere respingente), dava un valore aggiunto, o comunque un marchio di riconoscimento, mentre il disegno di Moebius (l'autore di questo film) è decisamente più semplicistico, più scontato (e io ho un'idiosincrasia per il suo stile).
In entrambi i film il livello dell'animazione è basso, qualitativamente non raggiungono mai dei movimenti accettabili.
Il vero valore positivo di questo film è tutto relegato al contorno. I paesaggi, le piante e gli animali, sono disegnati con maggior cura e particolarità e rendono giustizia al concetto di pianeta sconosciuto. Il colpo d'occhio (la creazione di immagini che siano belle di per sé) riesce magnificamente nella sequenza degli angeli senza volto, mentre la palma per i personaggi ben caratterizzati va data ai due "gnomi" telepatici (spalle comiche e grilli parlanti).
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A causa di un incidente un bambino si ritrova da solo su un pianeta selvaggio (ah ah ah); in contatto radio con una astronave che cerca di raggiungerlo prima che succeda l'irreparabile.
Nove anni dopo la sua opera prima, Laloux torna con un lungometraggio d'animazione e torna alla fantascienza. Per tutto il resto i due film hanno poco o nulla in comune.
Se "Il pianeta selvaggio" era una distopia seria e drammatica (oltre che molto intelligenti), questo è un racconto d'avventura (con twist plot finale) con una vena più da commedia e alcuni personaggi apertamente buffi. La struttura del film è decisamente più canonica e il colpo di scena non da spessore a una sceneggiatura meno intelligenti della precedente (ma forse non è neanche una questione di intelligenza, quanto di idea di base, fulminante nell'altro film, normale in questo).
L'altra grande differenza è nel disegno. Nel precedente il tratto particolare di Topor (tratto che inizialmente può essere respingente), dava un valore aggiunto, o comunque un marchio di riconoscimento, mentre il disegno di Moebius (l'autore di questo film) è decisamente più semplicistico, più scontato (e io ho un'idiosincrasia per il suo stile).
In entrambi i film il livello dell'animazione è basso, qualitativamente non raggiungono mai dei movimenti accettabili.
Il vero valore positivo di questo film è tutto relegato al contorno. I paesaggi, le piante e gli animali, sono disegnati con maggior cura e particolarità e rendono giustizia al concetto di pianeta sconosciuto. Il colpo d'occhio (la creazione di immagini che siano belle di per sé) riesce magnificamente nella sequenza degli angeli senza volto, mentre la palma per i personaggi ben caratterizzati va data ai due "gnomi" telepatici (spalle comiche e grilli parlanti).
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mercoledì 7 settembre 2016
Il mistero del cadavere scomparso - Carl Reiner (1982)
(Dead men don't wear plaid)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Per la trama rimando a qui, dove possono essere decisamente più precisi (e concisi) di me.
Quello che fa la differenza in questo film è l'idea di base. Un noir classicheggiante (una parodia of course) girata in bianco e nero, dove attori del passato dialogano con Steve Martin come personaggi della storia, tramite spezzoni di grandi film neri debitamente utilizzati. L'idea è geniale e spiazzante e costringe l'appassionato al devastante gioco del riconosci l'attore/riconosci il film che rischia di far perdere le fila del discorso più della trama.
Per il resto il film è una commedia divertente (davvero molto efficace anche da questo punto di vista), parodia del genere noir di cui cerca di ricalcare la complessità della trama, che purtroppo deve essere un poco ridimensionata per permettere di integrare gli spezzoni dei film classici.
Steve Martin mattatore gestisce bene la situazione.
...ma alla fine il film come risulta?
Mah, il film è godibile e divertente, ma l'idea di fondo (ripeto, la cosa veramente valevole e veramente avvincente) risulta un pò farraginosa, l'ansia di mettere più personaggi possibile rende troppo diluita la vicenda e la complessità dell'operazione riduce molti dei dialoghi a scambi di poche frasi. L'idea è ottima, ma complessa e l'effetto finale si limita a un freddo successo di numero più che di qualità.
PS: molto bello il comparto tecnico dai costumi (ovvio) alla fotografia in b/w.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Per la trama rimando a qui, dove possono essere decisamente più precisi (e concisi) di me.
Quello che fa la differenza in questo film è l'idea di base. Un noir classicheggiante (una parodia of course) girata in bianco e nero, dove attori del passato dialogano con Steve Martin come personaggi della storia, tramite spezzoni di grandi film neri debitamente utilizzati. L'idea è geniale e spiazzante e costringe l'appassionato al devastante gioco del riconosci l'attore/riconosci il film che rischia di far perdere le fila del discorso più della trama.
Per il resto il film è una commedia divertente (davvero molto efficace anche da questo punto di vista), parodia del genere noir di cui cerca di ricalcare la complessità della trama, che purtroppo deve essere un poco ridimensionata per permettere di integrare gli spezzoni dei film classici.
Steve Martin mattatore gestisce bene la situazione.
...ma alla fine il film come risulta?
Mah, il film è godibile e divertente, ma l'idea di fondo (ripeto, la cosa veramente valevole e veramente avvincente) risulta un pò farraginosa, l'ansia di mettere più personaggi possibile rende troppo diluita la vicenda e la complessità dell'operazione riduce molti dei dialoghi a scambi di poche frasi. L'idea è ottima, ma complessa e l'effetto finale si limita a un freddo successo di numero più che di qualità.
PS: molto bello il comparto tecnico dai costumi (ovvio) alla fotografia in b/w.
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venerdì 29 aprile 2016
Victor Victoria - Blake Edwards (1982)
(Id.)
Visto in Dvx.
Parigi negli anni '30 era una gay Paris; e una cantante dalle notevoli doti vocali dovrà fingere di essere un nobile polacco omosessuale amante del travestitismo per riuscire ad avere successo, per fortuna sarà aiutata da ex stella del vaudeville.
Definirlo musical è eccessivo visto lo scarso minutaggio dei numeri musicali, anche se si tratta di scene perfettamente orchestrate che mostrano interamente le sequenze teatrali. Definirlo film in costume o storico sembra esagerato, ma la perfezione della ricostruzione della Parigi tra le due guerre è impeccabile, per location, scenografie e costumi. Definirla commedia (magari commedia dei sessi) è semplicemente riduttivo, così come cassarlo come semplice film sentimentale (visto il finale piuttosto scontato).
Di fatto Edwards riesce nel complicato compito di coniugare tutte queste caratteristiche in un unico film. Un film storicamente perfetto (e bellissimo), divertente, sporcato di rosa e con numeri musicali costruiti come fossimo alla Warner dell'epoca d'oro. Un lavoro di misurino così preciso che rende questo film senza tempo (di sicuro non avrei mai detto che fosse stato realizzato in uno dei decenni più eccessivi di sempre).
Completano il quadro un cast in forma, con una Andrews (voce e corpo) in piena forma (forse la sua interpretazione che preferisco) e un Preston vero mattatore. Il film inciampa nella mediocrità solo nella chiusura, ma non è una caduta tale da inficiare le due, godibilissime, ore appena trascorse.
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Parigi negli anni '30 era una gay Paris; e una cantante dalle notevoli doti vocali dovrà fingere di essere un nobile polacco omosessuale amante del travestitismo per riuscire ad avere successo, per fortuna sarà aiutata da ex stella del vaudeville.
Definirlo musical è eccessivo visto lo scarso minutaggio dei numeri musicali, anche se si tratta di scene perfettamente orchestrate che mostrano interamente le sequenze teatrali. Definirlo film in costume o storico sembra esagerato, ma la perfezione della ricostruzione della Parigi tra le due guerre è impeccabile, per location, scenografie e costumi. Definirla commedia (magari commedia dei sessi) è semplicemente riduttivo, così come cassarlo come semplice film sentimentale (visto il finale piuttosto scontato).
Di fatto Edwards riesce nel complicato compito di coniugare tutte queste caratteristiche in un unico film. Un film storicamente perfetto (e bellissimo), divertente, sporcato di rosa e con numeri musicali costruiti come fossimo alla Warner dell'epoca d'oro. Un lavoro di misurino così preciso che rende questo film senza tempo (di sicuro non avrei mai detto che fosse stato realizzato in uno dei decenni più eccessivi di sempre).
Completano il quadro un cast in forma, con una Andrews (voce e corpo) in piena forma (forse la sua interpretazione che preferisco) e un Preston vero mattatore. Il film inciampa nella mediocrità solo nella chiusura, ma non è una caduta tale da inficiare le due, godibilissime, ore appena trascorse.
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mercoledì 23 settembre 2015
La notte di San Lorenzo - Paolo Taviani, Vittorio Taviani (1982)
(Id.)
Visto in Dvx.
Un paesino toscano sta per essere bombardato; i fascisti invitano la popolazione a riunirsi in chiesa; ma parte degli abitanti vuole andare incontro agli americano che sanno essere in arrivo. Comincia quindi una lunga marcia in mezzo alle campagne con il rischio costante di essere trovati.
Un film sentimentale dal piglio passatista e dal tema apparentemente canonico, ma in realtà guarda la guerra non dal punto della resistenza (il modo in cui in Italia si fanno film sulla WWII), ma dal punto di vista della popolazione normale che, semplicemente, cerca di sopravvivere; con un coro di personaggi che si muovono ognuno con i propri crucci e le proprie ambizioni, tutti rappresentanti senza prendere il sopravvento sugli altri. Il sentimentalismo è spinto, ma riesce a non essere mai fastidioso; anzi è quasi sempre efficace, basandosi su un pietà enorme per i protagonisti e su una poesia fatta di niente (il ragazzo che vede arrivare degli americani che non ci sono, i pensieri e le preghiere contraddittorie mentre si aspetta che saltino in aria le case).
Dal punto di vista tecnico i Taviani fanno quello che possono con una fotografia azzoppata dalla qualità della pellicola dell'epoca. Il lavoro che fanno è però magnifico; singole inquadrature che riescono ad avere un effetto emotivo enorme ben oltre al dettaglio inquadrato (il dettaglio degli orecchi mentre si attendono le esplosioni), carrelli (soprattutto in avvicinamento) e un ottimo uso del montaggio che rende (anche da solo) più dinamiche le scene (si pensi al discorso fatto dall'anziano protagonista nel rifugio); talvolta utilizzano inquadrature fisse, ma caricate di significato trasformando scene semplici in un quadro lirico (come le due mani protese verso la candela accesa). Poi ci sono veri e propri tocchi di genio come la lunga scena nel campo di grano, una serie di sequenze molto belle che rappresentano però un campionario di agnizioni di guerra senza mai essere enfatico o stucchevole (con la scena finale dei troiani che uccidono il fascista che riesce a dare un'aura di fantastico alla vicenda alleggerendo il tono).
Un film particolare e bellissimo che utilizza la guerra come ambientazione per muovere dei personaggi; non è un film di guerra, ma un film sugli esseri umani.
Visto in Dvx.
Un paesino toscano sta per essere bombardato; i fascisti invitano la popolazione a riunirsi in chiesa; ma parte degli abitanti vuole andare incontro agli americano che sanno essere in arrivo. Comincia quindi una lunga marcia in mezzo alle campagne con il rischio costante di essere trovati.
Un film sentimentale dal piglio passatista e dal tema apparentemente canonico, ma in realtà guarda la guerra non dal punto della resistenza (il modo in cui in Italia si fanno film sulla WWII), ma dal punto di vista della popolazione normale che, semplicemente, cerca di sopravvivere; con un coro di personaggi che si muovono ognuno con i propri crucci e le proprie ambizioni, tutti rappresentanti senza prendere il sopravvento sugli altri. Il sentimentalismo è spinto, ma riesce a non essere mai fastidioso; anzi è quasi sempre efficace, basandosi su un pietà enorme per i protagonisti e su una poesia fatta di niente (il ragazzo che vede arrivare degli americani che non ci sono, i pensieri e le preghiere contraddittorie mentre si aspetta che saltino in aria le case).
Dal punto di vista tecnico i Taviani fanno quello che possono con una fotografia azzoppata dalla qualità della pellicola dell'epoca. Il lavoro che fanno è però magnifico; singole inquadrature che riescono ad avere un effetto emotivo enorme ben oltre al dettaglio inquadrato (il dettaglio degli orecchi mentre si attendono le esplosioni), carrelli (soprattutto in avvicinamento) e un ottimo uso del montaggio che rende (anche da solo) più dinamiche le scene (si pensi al discorso fatto dall'anziano protagonista nel rifugio); talvolta utilizzano inquadrature fisse, ma caricate di significato trasformando scene semplici in un quadro lirico (come le due mani protese verso la candela accesa). Poi ci sono veri e propri tocchi di genio come la lunga scena nel campo di grano, una serie di sequenze molto belle che rappresentano però un campionario di agnizioni di guerra senza mai essere enfatico o stucchevole (con la scena finale dei troiani che uccidono il fascista che riesce a dare un'aura di fantastico alla vicenda alleggerendo il tono).
Un film particolare e bellissimo che utilizza la guerra come ambientazione per muovere dei personaggi; non è un film di guerra, ma un film sugli esseri umani.
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Dramma,
Enrica Maria Modugno,
Film,
Guerra,
Margarita Lozano,
Omero Antonutti,
Paolo Taviani,
Vittorio Taviani
venerdì 22 maggio 2015
Il bacio della pantera - Paul Schrader (1982)
(Cat people)
Visto in Dvx.
Una ragazza si trasferisce a New Orleans dal fratello appena rintracciato. Il loro rapporto si dimostrerà piuttosto ambiguo, mentre lei si troverà ad essere attratta tanto da una pantera presente nello zoo, quanto dal responsabile dello zoo stesso. Su tutto aleggia una maledizione ancestrale.
Remake dell'omonimo capolavoro di suspense degli anni quaranta diretto da Tourneur. Qui si mette alla regia Schrader, sceneggiatore inappuntabile, regista altalenante. Purtroppo ha la pessima idea di prendere uno script già pronto fatto da altri (in realtà venne richiesto questo film dalla produzione che voleva sfruttare i diritti del primo film in una chiave moderna che potesse cavalcare l'onda horror di quegli anni). Purtroppo ha pure la sfortuna che la sceneggiatura sia stata scritta male, con salti enormi, tante scene inutili, tentativi di suspense che ricalcano (malamente) l'originale. Purtroppo Schrader ha pure l'incapacità di fare un film unico, lo riempie di episodi disgiunti e non riesce (quasi mai) a creare tensione (ok... la tensione nella scena dell'autopsia alla pantera c'è, almeno li c'è, ne sono sicuro).
Di fatto questo è un film differente dall'originale; tutto è declinato in un'ottica familiare e punta molto sull'erotismo e sullo splatter. Ma dell'erotismo riesce ad azzeccare solo la protagonista (una Kinski mai così sexy) e dell'horror gore ha gli effetti speciali impeccabilmente anni '80 che potrebbero fare invidia a un CGI moderno (la trasformazione della Kinski è splendida).
Poi è indubbio che azzecchi i protagonisti, della Kinski c'è poco da dire, McDowell invece è la scelta ovvia e da garanzia di inquietudine e perversione anche solo per il nome.
Bella pure la colonna sonora sintetizzamente anni '80 del nostro Moroder.
Se ci aggiungo pure la cura della fotografia (che però indugia spesso in colori eccessivi degni di quel decennio) e alcune location ottime... ecco direi che ho elencato i pregi del film; cioè tutto il comparto tecnico.
Purtroppo una sceneggiatura soporifera e una regia invisibile non possono essere compensate dai tecnicismi.
Visto in Dvx.
Una ragazza si trasferisce a New Orleans dal fratello appena rintracciato. Il loro rapporto si dimostrerà piuttosto ambiguo, mentre lei si troverà ad essere attratta tanto da una pantera presente nello zoo, quanto dal responsabile dello zoo stesso. Su tutto aleggia una maledizione ancestrale.
Remake dell'omonimo capolavoro di suspense degli anni quaranta diretto da Tourneur. Qui si mette alla regia Schrader, sceneggiatore inappuntabile, regista altalenante. Purtroppo ha la pessima idea di prendere uno script già pronto fatto da altri (in realtà venne richiesto questo film dalla produzione che voleva sfruttare i diritti del primo film in una chiave moderna che potesse cavalcare l'onda horror di quegli anni). Purtroppo ha pure la sfortuna che la sceneggiatura sia stata scritta male, con salti enormi, tante scene inutili, tentativi di suspense che ricalcano (malamente) l'originale. Purtroppo Schrader ha pure l'incapacità di fare un film unico, lo riempie di episodi disgiunti e non riesce (quasi mai) a creare tensione (ok... la tensione nella scena dell'autopsia alla pantera c'è, almeno li c'è, ne sono sicuro).
Di fatto questo è un film differente dall'originale; tutto è declinato in un'ottica familiare e punta molto sull'erotismo e sullo splatter. Ma dell'erotismo riesce ad azzeccare solo la protagonista (una Kinski mai così sexy) e dell'horror gore ha gli effetti speciali impeccabilmente anni '80 che potrebbero fare invidia a un CGI moderno (la trasformazione della Kinski è splendida).
Poi è indubbio che azzecchi i protagonisti, della Kinski c'è poco da dire, McDowell invece è la scelta ovvia e da garanzia di inquietudine e perversione anche solo per il nome.
Bella pure la colonna sonora sintetizzamente anni '80 del nostro Moroder.
Se ci aggiungo pure la cura della fotografia (che però indugia spesso in colori eccessivi degni di quel decennio) e alcune location ottime... ecco direi che ho elencato i pregi del film; cioè tutto il comparto tecnico.
Purtroppo una sceneggiatura soporifera e una regia invisibile non possono essere compensate dai tecnicismi.
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venerdì 1 maggio 2015
L'ultima diva: Francesca Bertini - Gianfranco Mingozzi (1982)
(Id.)
Visto su youtube... ma ora non lo riesco più a trovare.
Negli anni 80, pochi anni prima della sua morte, la Bertini ritorna protagonista di un film, si tratta solo di un documentario per la tv, ma è tutto dedicato a lei.
Qualitativamente parlando non è niente di che, ha il difetto di essere un prodotto buono per la tv di quegli anni, quindi non ha la pretesa di essere esteticamente bello o accurato alla regia.
Piuttosto lungo e diviso in tre parti ripercorre la carriera della diva dagli esordi quasi fatalistici, cita e descrive brevemente tutta la sua produzione fino ad allora disponibile.
Il vero valore aggiunto (anzi l'unico vero e proprio pregio) del film è la presenza della Bertini stressa che commenta la propria carriera. Si ha davanti una novantenne incartapecorita e fragilissima, ma dalla volontà di ferro; sfotte il regista, si mostra pretenziosa e indocile; parla di sé con un'arroganza fantastica esagerando anche i pregi che le sono propri (fenomenale il suo commento sul fatto di essere lei la vera inventrice del neorealismo al cinema, con "Assunta Spina"); si fa grande promotrice di sé stessa, mostrando locandine e portando la macchina da presa alla cineteca per visionare i suoi film rimasti; incredibilmente amara nel notare che è stata rapidamente dimenticata e ancor più rammaricata che i suoi film siano relegati alla visione di pochi cinefili con permessi speciali (negli anni '80 era effettivamente l'unica possibilità). Un personaggio larger than life, degno di tutte le voci e i retroscena che si possono leggere in giro circa le lavorazioni dei suoi film.
Morì decisamente anziana; è però un peccato che non abbia potuto assistere all'avvento di internet; credo che sarbbe stata una grande sostenitrice del file sharing e di youtube, almeno per i suoi film; questi mezzi ora permettono di ottenere quello che lei sognava, che tutti potessero tornare a vederla giovane.
Visto su youtube... ma ora non lo riesco più a trovare.
Negli anni 80, pochi anni prima della sua morte, la Bertini ritorna protagonista di un film, si tratta solo di un documentario per la tv, ma è tutto dedicato a lei.
Qualitativamente parlando non è niente di che, ha il difetto di essere un prodotto buono per la tv di quegli anni, quindi non ha la pretesa di essere esteticamente bello o accurato alla regia.
Piuttosto lungo e diviso in tre parti ripercorre la carriera della diva dagli esordi quasi fatalistici, cita e descrive brevemente tutta la sua produzione fino ad allora disponibile.
Il vero valore aggiunto (anzi l'unico vero e proprio pregio) del film è la presenza della Bertini stressa che commenta la propria carriera. Si ha davanti una novantenne incartapecorita e fragilissima, ma dalla volontà di ferro; sfotte il regista, si mostra pretenziosa e indocile; parla di sé con un'arroganza fantastica esagerando anche i pregi che le sono propri (fenomenale il suo commento sul fatto di essere lei la vera inventrice del neorealismo al cinema, con "Assunta Spina"); si fa grande promotrice di sé stessa, mostrando locandine e portando la macchina da presa alla cineteca per visionare i suoi film rimasti; incredibilmente amara nel notare che è stata rapidamente dimenticata e ancor più rammaricata che i suoi film siano relegati alla visione di pochi cinefili con permessi speciali (negli anni '80 era effettivamente l'unica possibilità). Un personaggio larger than life, degno di tutte le voci e i retroscena che si possono leggere in giro circa le lavorazioni dei suoi film.
Morì decisamente anziana; è però un peccato che non abbia potuto assistere all'avvento di internet; credo che sarbbe stata una grande sostenitrice del file sharing e di youtube, almeno per i suoi film; questi mezzi ora permettono di ottenere quello che lei sognava, che tutti potessero tornare a vederla giovane.
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lunedì 4 agosto 2014
Vincent - Tim Burton (1982)
(Id.)
Visto qui; o qui per l'italiano.
Un bambino di 7 anni è un fan sfegatato di Vincent Price (e come dargli torto!); vorrebbe essere lui e vivere le sue angoscianti avventure; si immagina nei panni dello scienziato folle o della vittima di una tragedia gotica. Tutto viene raccontato con una voce fuori campo (dello stesso Price!) che declama un poema in rima
L'opera prima di Burton è un cortometraggio a passo uno realizzato mentre ancora lavorava per la Disney, ma dentro ci si può trovare tutto quello che verrà dopo.
Al di la dell'amore per Vincent Price e quel tipo di cinema alla Corman che lui ha rappresentato (Price collaborerà anche per uno dei primi lungometraggi di Burton come padre di Edward mani di forbice), ci sono continue citazioni dirette di Edgar Allan Poe; ci sono gli stilemi del cinema espressionista tedesco degli anni '20; ma soprattutto c'è quel tratto antinaturalistico che caratterizza Burton nei suoi film di animazione.
Inoltre la realizzazione è quasi impeccabile, se ci si rende conto che si tratta del primo film in autonomia le piccole sbavature riscontrabili sono sostanzialmente invisibili.
Il ritmo mantenuto ed il finale estremo, poi, sottolineano di cosa sarebbe capace Burton se si interessasse meno del botteghino.
Visto qui; o qui per l'italiano.
Un bambino di 7 anni è un fan sfegatato di Vincent Price (e come dargli torto!); vorrebbe essere lui e vivere le sue angoscianti avventure; si immagina nei panni dello scienziato folle o della vittima di una tragedia gotica. Tutto viene raccontato con una voce fuori campo (dello stesso Price!) che declama un poema in rima
L'opera prima di Burton è un cortometraggio a passo uno realizzato mentre ancora lavorava per la Disney, ma dentro ci si può trovare tutto quello che verrà dopo.
Al di la dell'amore per Vincent Price e quel tipo di cinema alla Corman che lui ha rappresentato (Price collaborerà anche per uno dei primi lungometraggi di Burton come padre di Edward mani di forbice), ci sono continue citazioni dirette di Edgar Allan Poe; ci sono gli stilemi del cinema espressionista tedesco degli anni '20; ma soprattutto c'è quel tratto antinaturalistico che caratterizza Burton nei suoi film di animazione.
Inoltre la realizzazione è quasi impeccabile, se ci si rende conto che si tratta del primo film in autonomia le piccole sbavature riscontrabili sono sostanzialmente invisibili.
Il ritmo mantenuto ed il finale estremo, poi, sottolineano di cosa sarebbe capace Burton se si interessasse meno del botteghino.
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martedì 25 ottobre 2011
Basket case - Frank Henenlotter (1982)
(Id.)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Non si può descrivere questo film senza spoilerarlo... dunque, tratta di un ragazzo che gira con una cesta chiusa da un lucchetto per New York; dove passa finisce che qualcuno viene ucciso. L'atroce segreto del ragazzo è di essere nato con un gemello siamese deforme e muto (ma parla con la telepatia) che cerca vendetta dei medici che lo operarono a tradimento (per staccarlo dal fratello) e lo lasciarono a morire (evidentemente senza successo).
Spletter low budget per patiti del genere, al suo interno contiene tutto ciò che ci si aspetta da questo genere. Mostruosità esposte, personaggi comici, sangue a bizzeffe, nudi femminili e attori cani ovunque.
Il film diverte ed intrattiene nel modo giusto, con solo qualche momento di stanca nella ripetitività delle scene. Henenlotter da parte sua si muove con la macchina da presa con la libertà di chi ha un budget basso e può fare quello che vuole.
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Spletter low budget per patiti del genere, al suo interno contiene tutto ciò che ci si aspetta da questo genere. Mostruosità esposte, personaggi comici, sangue a bizzeffe, nudi femminili e attori cani ovunque.
Il film diverte ed intrattiene nel modo giusto, con solo qualche momento di stanca nella ripetitività delle scene. Henenlotter da parte sua si muove con la macchina da presa con la libertà di chi ha un budget basso e può fare quello che vuole.
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lunedì 6 giugno 2011
Il verdetto - Sidney Lumet (1982)
(The virdict)
Visto in VHS.
Classico legal movie all’americana. Trama standard per una regia senza pretese.
L’avvocato Newman, ormai fuori dal giro perché troppo idealista è ora diventato uno sciacallo che fa tutto quello che viene mostrato anche in “Rainmaker” per sopravvivere, ma quando si trova a dover difendere degli indifesi contro il Golia cattivissimo di un grosso ospedale cambia, moralmente e come stile di vita. Colpi di scena a non finire, tiri mancini dagli avversari, un giudice contro, ma poi il cuore della giuria farà il resto.
Davvero c’è poco altro da aggiungere. Newman è decisamente magnifico, ma questo è il minimo. La Rampling essenzialmente inutile. Mason fa il suo lavoro e fa piacere vederglielo fare…
Basta, tutto qua; palesemente un film su commissione senza fantasia, ma d’altra parte senza pretese. Giusto per un pomeriggio di domenica su rete quattro o la7.
Visto in VHS.

L’avvocato Newman, ormai fuori dal giro perché troppo idealista è ora diventato uno sciacallo che fa tutto quello che viene mostrato anche in “Rainmaker” per sopravvivere, ma quando si trova a dover difendere degli indifesi contro il Golia cattivissimo di un grosso ospedale cambia, moralmente e come stile di vita. Colpi di scena a non finire, tiri mancini dagli avversari, un giudice contro, ma poi il cuore della giuria farà il resto.
Davvero c’è poco altro da aggiungere. Newman è decisamente magnifico, ma questo è il minimo. La Rampling essenzialmente inutile. Mason fa il suo lavoro e fa piacere vederglielo fare…
Basta, tutto qua; palesemente un film su commissione senza fantasia, ma d’altra parte senza pretese. Giusto per un pomeriggio di domenica su rete quattro o la7.
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domenica 29 maggio 2011
Poltergeist: demoniache presenze - Tobe Hooper (1982)
(Poltergeist)
Visto in DVD.
Film horror oramai classico che ha creato un mondo nuovo, stilemi, mood e idee che vengono citate ed utilizzate ancora oggi.
La cosa migliore del film (oltre all’originalità della trama) è che il tutto inizia velocemente; gli eventi vengono mostrati di continuo, ma non riescono mai ad annoiare evitando il ripetersi delle scene e i comprimari utilizzati sono quanto di meglio ci fosse sul mercato… si sto parlando di Zelda Rubinstein... la medium nana!
Il film si concede so qualche kitscheria anni ’80 (gli oggetti che volano nella camera dei bimbi, il faccione del demonio nell’armadio ecc…). Non fa paura sostanzialmente mai, ma il clima che crea è magnifico e le idee messe in atto sono continue (che dire dell’albero rapitore? Del clown demoniaco?). Val davvero la pena di vederlo; meglio in lingua originale, perché il doppiaggio non rende giustizia alla voce infantile della Rubinstein.
Visto in DVD.

Una famigliola felice si trasferisce in una casetta nuova e tutto sembra andare per il meglio fino a quando le sedie della cucina fanno numeri da circo sul tavolo, il figlio viene ingoiato da un albero e la bimbetta più piccola finisce dentro la tv.
Film horror oramai classico che ha creato un mondo nuovo, stilemi, mood e idee che vengono citate ed utilizzate ancora oggi.
La cosa migliore del film (oltre all’originalità della trama) è che il tutto inizia velocemente; gli eventi vengono mostrati di continuo, ma non riescono mai ad annoiare evitando il ripetersi delle scene e i comprimari utilizzati sono quanto di meglio ci fosse sul mercato… si sto parlando di Zelda Rubinstein... la medium nana!
Il film si concede so qualche kitscheria anni ’80 (gli oggetti che volano nella camera dei bimbi, il faccione del demonio nell’armadio ecc…). Non fa paura sostanzialmente mai, ma il clima che crea è magnifico e le idee messe in atto sono continue (che dire dell’albero rapitore? Del clown demoniaco?). Val davvero la pena di vederlo; meglio in lingua originale, perché il doppiaggio non rende giustizia alla voce infantile della Rubinstein.
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domenica 6 marzo 2011
Lo squartatore di New York - Lucio Fulci (1982)
(Id.)
Visto in VHS.

Per New York va in giro un matto che squarcia i ventri di giovani figliole e prende per il culo la polizia telefonando con la voce di paperino…
Allora, se vogliamo fare un paragone questo è proprio un film alla Dario Argento. Di meglio di Argento ha la semplicità, non nella trama, ma nello stile; Fulci evita ogni barocchismo e rinuncia ad effetti autoriali in favore di una film visivamente più semplice e meno pesante di qualunque film di Argento. La cosa è decisamente positiva… inoltre Fulci dimostra una certa capacità nel mettere in scena, nel narrare; si prende gioco dello spettatore facendogli credere cose che poi sistematicamente smentisce (su tutte l’arrivo del ragazzo nell’ospedale dove è ricoverata la donna sopravvissuta, che sembra essere una minaccia, invece…)
Però Fulci ci prova a creare tensione, a fare suspence, se non addirittura paura… ma non ci riesce. Ci prova, ma neppure lo splatter è decente. Giusto del rosso schizzato in giro, ma niente di più. Inoltre la storia, per carità, funziona, stupisce ed è quasi quasi credibile; però è evidente che Fulci ci tiene poco, vuol solo mettere in scena qualche ammazzamento per giustificare la descrizione di un mondo. Si perché il regista sembra più interessato a mostrare una New York sommersa dalla morbosità che non a seguire le vicende di un ispettore, di una vittima e di un assassino. Ogni personaggi di questa vicenda ha un rapporto distorto con la sessualità, anche quelli positivi (l’ispettore che fa sesso solo con prostitute, o lo psicologo che è un omosessuale represso che si sfoga con le riviste); lunghe scene indulgono sulla donna che va in giro a registrare gli ansiti, anche se molte di quelle scene sono oggettivamente inutili; le riprese in esterni sono spesso in vie a luci rosse; ecc… Fulci vuol creare un mondo incentrato sul sesso in maniera malata e in questo riesce da dio, poi però quando deve raccontare una storia che si muove in mezzo a questo mondo sembra starci dietro con meno interesse; e la trama va velocemente a puttane con fatti che succedono senza essere spiegati... e ovviamente lo spettatore s'annoia.
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martedì 3 agosto 2010
Fitzcarraldo - Werner Herzog (1982)
(Id.)
Visto in DVD.
Sud America, inizio secolo, un melomane con un'amore incondizionato per Caruso, decide di costruire un grande teatro lirico nel villaggetto dove abita, per farlo abbisogna dei soldi che solo la piantagione di caucciù può procurargli, per raggiungerla però deve solo trasportare una nave al di sopra di una montagna, o quantomeno questa è la sua brillante idea.
Titanico e memorabile film di Herzog che è divenuto mitico i quanto metacinematografico all'ennisima potenza, il film infatti imita la realtà (essendo tratto da una storia vera), ma a sua volta la realtà ha copiato il cinema, laddove il regista per girare le scene della nave rifece realmente l'epopea di Fitzgerald (il vero nome del personaggio che si fa chiamare Fitzcarraldo in quanto gli autoctoni non riescono a pronunciarlo correttamente) trasportando realmente una nave attraverso la foresta; il film poi fu funestato da dio solo sa quanti problemi, qui c'è un breve assaggio.
Il film alla fine è più mitico che bello, eccessivamente lungo (inutilmente lungo peraltro), ma soprattutto troppo didascalico nel descrivere tutti i personaggi, ma soprattutto i comprimari appena accennati (il capitano della nave è quasi cieco ma conosce i posti megli di chiunque altro, il cuoco che beve come una spugna ma un uomo nato sul fiume...e queste cose le dicono i personaggi stessi presentandosi...) rendendo il tutto ancore più irritante.
C'è da dire però che Kinski è davvero bravo e ha per tutto il film l'aria del pazzo geniale; inoltre il personaggio di Fitzcarraldo sembra uno dei più positivi e solari di tutta la produzione herzoghiana in quanto il suo sogno folle è mosso dalla generosità di donare a tutti la voce di Caruso...
A mio avviso però questo è vero solo in parte, ben presto infatti la follia di Fitzcarraldo si trasforma in un processo fine a se stesso, in cui l'unico motivo per cui val la pena di trasportare una nave in mezzo alla foresta è dimostrare che ciò è possibile passando al di sopra di ogni cosa, o di chiunque...
Alla fine un film carino, ma molto sopravvalutato.
Visto in DVD.
Sud America, inizio secolo, un melomane con un'amore incondizionato per Caruso, decide di costruire un grande teatro lirico nel villaggetto dove abita, per farlo abbisogna dei soldi che solo la piantagione di caucciù può procurargli, per raggiungerla però deve solo trasportare una nave al di sopra di una montagna, o quantomeno questa è la sua brillante idea.
Titanico e memorabile film di Herzog che è divenuto mitico i quanto metacinematografico all'ennisima potenza, il film infatti imita la realtà (essendo tratto da una storia vera), ma a sua volta la realtà ha copiato il cinema, laddove il regista per girare le scene della nave rifece realmente l'epopea di Fitzgerald (il vero nome del personaggio che si fa chiamare Fitzcarraldo in quanto gli autoctoni non riescono a pronunciarlo correttamente) trasportando realmente una nave attraverso la foresta; il film poi fu funestato da dio solo sa quanti problemi, qui c'è un breve assaggio.
Il film alla fine è più mitico che bello, eccessivamente lungo (inutilmente lungo peraltro), ma soprattutto troppo didascalico nel descrivere tutti i personaggi, ma soprattutto i comprimari appena accennati (il capitano della nave è quasi cieco ma conosce i posti megli di chiunque altro, il cuoco che beve come una spugna ma un uomo nato sul fiume...e queste cose le dicono i personaggi stessi presentandosi...) rendendo il tutto ancore più irritante.
C'è da dire però che Kinski è davvero bravo e ha per tutto il film l'aria del pazzo geniale; inoltre il personaggio di Fitzcarraldo sembra uno dei più positivi e solari di tutta la produzione herzoghiana in quanto il suo sogno folle è mosso dalla generosità di donare a tutti la voce di Caruso...
A mio avviso però questo è vero solo in parte, ben presto infatti la follia di Fitzcarraldo si trasforma in un processo fine a se stesso, in cui l'unico motivo per cui val la pena di trasportare una nave in mezzo alla foresta è dimostrare che ciò è possibile passando al di sopra di ogni cosa, o di chiunque...
Alla fine un film carino, ma molto sopravvalutato.
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domenica 14 febbraio 2010
Fanny e Alexander - Ingmar Bergman (1982)
Può non essere noioso un film storico (anzi peggio, un affresco storico) di 3 ore (!) fatto in nord Europa? La risposta, contro ogni pronostico, è si, se a dirigerlo c'è Bergman.
No perchè, con tutto l'affetto che ho per i regista svedese sono comunque partito prevenuto; eppur il film è talmente potente, talmente vasto che non riesce proprio ad avere momenti di stanca.
Un film larger than life fatto con un'arroganza ed un coraggio unici. La storia si divide, a mio avviso, in 3 segmenti (questa suddivisione piuttosto netta è probabilmente dovuta ai pesanti tagli fatti per ridurre a 3 le 5 ore del film orginale, pensato inizialm,ente per la tv): il primo con la presentazione di una famiglia borghese dell'epoca (la Svezia di inizio '900) ricca di ironia e dramma, passioni e caratteri, un affresco insomma; il secondo con la storia del secondo matrimonio di una donna con un vescovo che trasforma il film in un dramma grottesco e asettico assolutamente perfetto; il terzo con la parte più personale del regista, una deviazione simbolistica (anche se i simboli non cominciano certo ora, però qui esplodono) che, a mio avviso, ha il suo culmine nell'incontro fra Alexander, il protagonista, e dio ridotto a marionetta, splendido, ironico, nichilista, titanico, surreale e ricco di suspense, tutto insieme.
Il film è costellato di tutti i topoi classici del regista, su tutti la religione, con una figura di un prelato piena di difficoltà (per quanto duro sia); il silenzio, anzi l'assenza di un dio; i rapporti famigliari, per lo più complessi; il tema del doppio, dell'illusione e dell'innocenza.
Poi il film lo i può leggere in 2000 modi diversi, soprattutto ho visto un discorso sull'arte e la creatività (la fantasia di Alexander) e del rapportarsi delle varie tipologie umane con essa. Ho anche sentito l'idea di un parallelo con l'Amleto (mutuato dal fatto che l'opera di Shakespeare viene ampiamente citata) e mille altre interpretazioni.
Quel che conta è l'assoluta facilità di Bergman di coinvolgere nei suoi soliti discorsi criptici senza cedere alla noia o al già visto; poco importa poi il contenuto quando la forma è tanto lussureggiante.
Realmente magnifico.
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