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domenica 3 gennaio 2021

Nel paese delle creature selvagge - Spike Jonze (2009)

(Where the wild things are)

Visto su Netflix.

Un bambino ha crisi in famiglia, fugge di sera e approda in un mondo di fantasia con creature inquietanti e buffe che lo incoronano loro re.
Inutile dire che in quel gruppo di creature troverà rispecchiati gli stessi sentimenti di rabbia e frustrazione del suo menage familiare, scenderà a patti e sarà pronto a tornare a casa.
Tratto da un libro illustrato di pochissime pagine senza una trama specifica, il film si prende ogni libertà possibile e affidato a Jonze riesce a rendere perfettamente il realismo delle scene iniziali (magnifiche ed essenziali per rendere il tono crepuscolare e la dignità delle piccole lotte e difficoltà dell'infanzia), tanto quanto la gestione fiabesca del corpo centrale. Tutte le sequenze del paese delle creature sono in ampissimi esterni in una perenne luce crepuscolare che danno un senso di sospensione onirica perfetta; aiutata dalla fotografia, le reazioni dei personaggi e il loro aspetto, Jonze gioca tantissimo con un vago senso di inquietudine e di instabilità nel mondo fantastico che è estremamente adulto (e che rappresenta l'unico pregio effettivo del lungo e noioso film).
Il tono del film ha però rappresentano il motivo della sfiducia nei confronti del regista stesso e ampi problemi di produzione che ne hanno ritardato l'uscita e rimaneggiato momenti. Che sia da incolpare questa incostanza o una sceneggiatura già claudicante è difficile dirlo, ma il film non funzione. A fronte dei pregi l storia è lenta, noiosa, svogliata e ridondante; dopo le prime scene realistiche piuttosto dinamiche e il fantastico arrivo nella terre selvagge il film muore in una palude di noia.

giovedì 3 settembre 2020

My son, my son what have ye done - Werner Herzog (2009)

(Id.)

Visto su Amzon prime.

Un uomo con una madre fagocitante e buona capacità attoriali (sta portando in scena l'orestea che parla di parricidio), sprofonda lentamente nella follia e si sente sempre più chiamato a uccidere la genitrici. La polizia accorsa dopo l'accaduto lo troverà asserragliato in casa.

Il film di Herzog prodotto da Lynch (all'uscita se ne parlò in questi termini e tutt'ora lo conosco per questo motivo) è insieme un viaggio nella follia quotidiana, nel deragliamento dalla normalità al lato oscuro della mente e nello stesso momento, la missione più alta di un uomo disposto a tutto per il bene superiore in cui crede. In definitiva sembra davvero un mix fra gli archetipi dei due registi.

Girato con cura e fotografato benissimo è la ricostruzione a più voci (2 più una terza nel finale) di un uomo, la cui storia verrà spiegata da altri e di cui non sapremo mai niente direttamente.
Lontano anni luce dal thriller che avrebbe potuto essere è il dramma di uomo visto con occhi altrui.

Se l'effetto finale è magnifico per estetica (con qualche mania personale del regista come la presenza pervasiva degli animali o del produttore come il sobborgo borghese dove striscia la weirdness), il ritmo, sempre rilassato, sembra rallentare ulteriormente vicino al finale a mano a mano che il delitto si approssima rendono la visione via via meno empatica anziché aumentare d'efficacia.

Ottimo Shannon che sembra crederci fino in fondo, un plauso a Kier finalmente utilizzato per una parte dove deve davvero recitare per più di 5 minuti.

lunedì 12 agosto 2019

Triangle - Christopher Smith (2009)

(Triangle)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amici fa una gita in barca a vela, ma viene sorpreso da una strana tempesta. Dopo l'inevitabile naufragio vengono salvati da un transatlantico dove, sembra, non vi sia più nessuno. A questa serie di eventi buffi si aggiunge una serie di morti improvvise e una del gruppi con importanti disagi psicologici.

Un film surreale alla "Lost" (se questo non fosse un insulto alla serie tv) che accenna alla mitologia greca (utile il paragone a Tantalo, inutile quello a Eolo... insesitenti altri) e giochicchia con il thriller senza mai averne davvero le capacità.
I discorsi messi in ballo sono molti, data la ripetitività degli avvenimenti e il carattere punitivo si potrebbe mettere al fuoco ben altra carne oltre all'idea di inferno (il poter interrompere la catena di eventi è appena accennato per fare minutaggio, le responsabilità dovute all'accettazione del gioco, la responsabilità una volta tornata a terra, l'identificazione delle colpa [è il figlio o è l'omicidio?], ecc...), ma ci si limita la minimo indispensabile.
Sembra che lo sceneggiatore (e regista) si sia innamorato del video dei Red Hot Chili Pepper e abbia voluto costruirci un film attorno con un entusiasmo secondo solo alla superficialità del tema.
Onestamente, non serve fare discorsi affascinanti, ma pesantissimi alla "Primer" o suggerire ben altre possibilità e soluzione infinite alla "Coherence" (entrambi esempi di film rompicapo, ma di ben altra fattura), sarebbe servito quantomeno un pò di attenzione nella parte thrilling per rendere dignitose le sequenze sulla barca (potenzialmente bellissime e con una tensione continua... sempre in potenza) e già avremmo avuto un altro film, senza scomodare mitologia e/o filosofia.
Invece il maggior interesse è la coerenza interna nel rendere il tutto circolare (encomiabile per come gioca con le scene iniziali riproposte nel finale), ma in maniera meccanica, vuota e (specie nel finale o dal secondo arrivo sulla barca) pretestuosa.

mercoledì 8 maggio 2019

The limits of control - Jim Jarmush (2009)

(Id.)

Visto a un cineforum, in lingua originale sottotitolato.

Un uomo passa le sue giornate in maniera ripetitiva, per lo più seduto a un bar ad aspettare di essere contattato da bizzarri personaggi che recapitano messaggi a cui segue un cambio di location, Tutto è sempre uguale, loro parlano di massimi sistemi con ingenua superficialità, lui non parla. Si arriverà a tirare le somme a sapere quale sia l'obiettivo comune.

Questo misterioso film di Jarmush (mai distribuito in Italia... e finora lo ritenevo un problema di scarsa intelligenza nostrana) viene a seguito della serie fortunata del regista, la triade classica ("Dead man", "Ghost dog" e "Broken flowers") con il lavoro composito di "Coffee and cigarettes". Una serie di film riusciti e compiuti, più o meno ingenuamente allegorici, ma ben realizzati e che riescono perfettamente a raggiungere gli obiettivi preposti di profondità e lieve poesia nonostante la saltuaria pretenziosità. Questo lo dico perché "The limits of control" nasce nel periodo migliore del regista, il periodo grazie a cui ho amato incondizionatamente Jarmush.

Il film parte con la riproposizione ossessiva delle stesse scene cambiate di poco, con lunghi silenzi e poche frasi (sempre pretestuosi vaniloqui su luoghi comuni falsamente profondi); l'effetto è spiazzante, inizialmente da solo grande spaesamento, poi comincia a sembrare un piano ben congegnato per parlare della percezione e delle sua alterazioni (siamo in un sogno? un trip?). Un discorso di questo tipo sarebbe forse scontato, ma potenzialmente molto efficace. Invece l'insistenza nella ridondanza, ma soprattutto uno dei finali più pretestuosi e vuoti di sempre rovinano tutto.

Questo è un film che vive di questa pretestuosa ripetitività, che dà profondità e originalità alla vicenda solo nella testa di chi l'ha scritto, ma non riesce a trasmettere nulla più di un compitino fighetto di un regazzino che vorrebbe spiegare il male del mondo con la poetica di Topolino (ma con cadaveri).

Un film fallimentare che rappresenta, soprattutto, uno dei più inspiegabili sprechi di attori di valore!

venerdì 8 marzo 2019

The haunted world of El Superbeasto - Rob Zombie (2009)

(Id.)

Visto in vx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un lottatore di wrestling messicano (con maschera sempre addosso) è una star del cinema (porno) e un wannabe supereroe; a fare attività supereroistiche però ci pensa per conto suo la sorella, gnocca e con una benda su un occhio che, mentre lui gira un suo film e fa del clubbing pesante, lei sta cercando di rubare la testa di Hitler da un gruppo di nazisti zombi con l'aiuto di u cyborg che è innamorato di lei. La storia vera e propria verte sul tentativo di salvare una lapdancer dalle grinfie di un nerd satanico che, se la sposasse, riuscirebbe a diventare un demonio potentissimo (non ho ben colto in base a cosa).

Un cartone animato per adulti dall'animazione buona (anche se non eccezionale) in un'ambientazione horror anni '30 con personaggi presi dal cinema di genere che fanno capolino in ogni inquadratura (e che saranno una gioia per ogni nerdcinefilo), con situazioni da b-movie anni '70 e un disegno dal tratto americano anni zero. Il citazionismo è l'elemento fondamentale del film e viene spinto in ogni direzione possibile (personaggi, attrici, autocitazioni, scene apertamente copiate, cameo vocale di Tura Satana, ecc..).
Evidente la volontà di realizzare un enorme tributo al cinema di genere in generale senza basarsi su un modello o una annata specifica, ma alla regia c'è un metallaro dalla mano pesante e quello che viene fuori è un film volgare, eccessivo e talmente ipertrofico da essere ingestibile; quello che ne viene fuori è una lunga cavalcata nonsense nel politicamente scorretto e nell'inutile, fatta da uno che ama il materiale che sta trattando.

Il ritmo, per fortuna c'è o l'intera operazione sarebbe stata da gettare immediatamente in pattumiera. Di fatto questo non sarà il film per cui si ricorderà Rob Zombie, ma direi che è uno sfizio che si meritava di togliersi e, per chi lo guarda, è una godibile cazzata volgare senza pretese, ma tanto gusto.

mercoledì 13 febbraio 2019

Polytechnique - Denis Villeneuve (2009)

(Id.)

Visto in Dvx.

Il film ricostruisce gli eventi principali del massacro del politecnico di Montreal con una breve sequenza su quanto fatto poco prima dal killer e il futuro di due dei sopravvissuti.

Davanti a film del genere la mente corre subito a "Elephant", ma Villeneuve supera a destra l'opera di van Sant, togliendo completamente l'operazione intellettuale e tornando al mero svolgimento dei fatti, toglie il tentativo di capire il contesto sociale (giustificativo?) per riportare solo i fatti. E la paura.

In fin dei conti questo film è violento e crea tensione continua; ma il regista è estremamente pudico a nascondere gli omicidi (sotto i banchi, dietro a strutture, nei fuori fuoco o nei fuori scena ecc...), perché la violenza (che rimane altissima) è tutta psicologica: si trova nella ragazza che si finge morta di fianco all'amica paralizzata, si trova nella fuga di gruppo dalla sala comune fin fuori, sulla neve, si trova nella divisione della classe fra uomini e donne; la violenza è ovunque, senza mai bisogno di essere fisica.
Gli omicidi mai inquadrati si inseriscono perfettamente nello stile del film; un film chiaro e semplice (la pedissequa riproposizione di quei momenti) senza fronzoli  virtuosismi visivi, niente musica, niente colori (che aiutano a smorzare lo shock del sangue) niente invenzioni; ma dietro la macchina da presa Villeneuve si muove con stile e praticità, mettendo in campo piani sequenza impeccabili, gestione dei primissimi piani per nascondere le scene o per aumentare la tensione, oltre all'uso del fuori fuoco per mostrare senza mostrare.
Uniche deviazioni dalla rappresentazione dei fatti sono il breve preambolo iniziale , dove il killer scrive la lettera che spiega i motivi ufficiali del suo gesto e le due scene dove due sopravvissuti cercano di convivere con i loro demoni, con risultati diversi (mi pare che a Villeneuve piaccia giovare coi tempi dei film). Ecco, il finale, raccontato dalla ragazza, è forse la parte più debole; ovvio contraltare all'apertura dedicata all'assassino, la chiusura vuole riportare il fuoco su altro, ma a mio avviso perde molto del pathos e, anzi, rischia di finire del tutto fuori strada e lasciare adito a troppa drammatizzazione.

Nel complesso, però, il film rimane un'opera solidissima e densa, ricca di tensione e gestita alla perfezione.

lunedì 29 ottobre 2018

Mr. Nobody - Jaco Van Dormael (2009)

(Id.)

Visto in Dvx, doppiato in francese sottotitolato.

Un uomo di 118 è rimasto l'ultimo mortale, di lui non si conosce nulla; quando viene itnervistato racconta la sua vita, parlando delle svolte più importanti (delle scelte fondamentali che hanno portato verso una direzione o un'altra) raccontandone gli effetti come se entrambe le scelte fossero state effettivamente prese.

Film articolato e complesso, con una narrazione volutamente non cronologica e spezzata all'inizio, con una tendenza alla complessità fine a sé stessa come a voler rappresentare così la vita stessa. Si, insomma, stiamo giocando nello stesso campo di "Synecdoche, New York". Ma diciamolo, su tutto un altro livello. Nel suo barocchismo, il film di Kaufman, riesce a essere più organizzato, più concreto e strutturato, oltre che molto più coinvolgente a livello emotivo.

Detto ciò il film è esteticamente impegnativo, con una fotografia che utilizza in maniera simbolica i colori, con un suo pervasivo e significativo del fuori fuoco e giochi di rimandi continui. Bisogna ammettere che non c'è niente di nuovo e il film risulta anche piuttosto squilibrato, ma risulta ugualmente fruibile e per la prima ora e mezza è anche estremamente ritmato e interessante.
Uno dei maggiori difetti è la durata fiume di quest'opera, le due ore e mezza senza sapere da che parte si voglia andare a parare possono essere un limite insopportabile, tuttavia sono anche uno dei principali motivi di fascino; un film destrutturato, in cui la scansione temporale potrebbe durare all'infinito, la cui durata è superiore a quella usuale, riesce a creare un effetto lievemente sconcertante. E forse è proprio questa la forza principale del film.

Dal punto di vista del significato sembra tutto riassunto nella frase di Williams citata dal protagonista: "Ogni percorso è il giusto percorso. Ogni cosa avrebbe potuto essere un'altra e avrebbe avuto lo stesso profondo significato". Il film, infarcito di qualsivoglia teoria scientifica/matematica, sembra voler mostrare semplicemente questo, tutte le scelte fatte avrebbero avuto il loro significato, diverso, ma egualmente importante; con questa consapevolezza la scelta è impossibile.

mercoledì 19 settembre 2018

Chavez, L'ultimo comandante - Oliver Stone (2009)

(South of the border AKA A sud del confine)

Visto in Dvx.


Il documentario parte dal presentare il personaggio di Hugo Chavez, come viene mostrato dai media americani e poi come dovrebbe essere realmente. Da Chavez parte poi un breve excursus sui leader sudamericani dell'epoca, per lo più non allineati con le politiche statunitensi di Bush.

Documentario di Oliver Stone creato con intenti totalmente politici. La cosa va sottolineata poiché è il contenuto l'unico interesse del regista, la forma, la regia, sono totalmente insignificanti; non c'è una cura particolare in nulla, non c'è un'idea, almeno di montaggio, particolare; non sembra per nulla un film di Oliver Stone.
Il regista americano sembra soffrire della medesima malattia di Ken Loach, quando buttano tutto in politica, in una tesi, dimenticano il cinema.

Tolto questo dettaglio il documentario è ben ritmato e piuttosto interessante, solo troppo caotico. Nella prima parte viene brevemente tratteggiata la figura di Chavez in maniera tutt'altro che approfondita, ma abbastanza per farsi un'idea del punto di vista del regista, la seconda poi deraglia volendo mostrare una sorta di zeitgeist antimperialistico senza soluzione di continuità, diversi leader sudamericani che parlano molto brevemente senza aggiungere granché all'idea di fondo.
Carino, godibile, ma molto limitato.

venerdì 27 luglio 2018

Colpo di fulmine. Il mago della truffa - Glenn Ficarra, John Requa (2009)

(I love you Phillip Morris)

Visto in aereo.

Un poliziotto passa dall'altra parte della barricata per la sindrome d'abbandono avuta da bambino. Diventerà un abile truffatore nel mondo della finanza dinamica e senza scrupuli; ma mentre si troverà in prigione si innamorerà di un altro carcerato. La sua vita troverà una completezza nuova, ma sarà costantemente dilaniato fra l'abilità di truffatore e il dover nascondere la propria omosessualità poiché lo manderebbe fuori dal "personaggio".

Buffo film che, nella titolistica (e nei manifesti) italiana elimina (censura?) la componente omosessuale, ma, facendolo, elimina anche una pubblicità (più o meno) indiretta nei confronti delle sigarette... il mio politically correct (is the new "essere democristiano") non sa più da che parte stare.

Il film si infila nella scia delle commedie che prendono di petto il sistema americano post-crisi economica; dove cioè la finanza creativa e/o la truffa alla stessa sono condotte da personaggi tecnicamente negativi, ma mostrati in maniera simpatica e scanzonata. Inutile dire che la presenza di Jim Carrey muove l'intero film e lo plasma (nel bene e nel male). Il personaggio è dunque un guitto frenetico e divertente grazie alla faccia prestata da Carrey e la commedia sulla truffa riesce bene; la componente romantica e il dramma di un uomo spezzato invece rendono molto meno. Carrey ci prova, ma dividersi in due parti, due personaggi, così diversi non è facile ed è l'intero film che non sa (o non riesce) che tono scegliere, su quale spingere maggiormente.

Altro? ma sì, c'è una ottima fotografia accesa, un ritmo sempre sostenuto, un McGregor che spiega a tutti cosa voglia dire recitare (pur se incastrato in una macchietta), ma il film rimane comunque una divertente opera sbilanciata e incerta.


mercoledì 9 maggio 2018

Il segreto dei suoi occhi - Juan José Campanella (2009)

(El secreto de sus ojos)

Visto in tv.

Un omicidio con stupro avvenuto nel 1974, le indagini condotte fuori dai canali ufficiali portano a un sospettato, che però riesce a sfuggire. 25 anni dopo lo stesso procuratore vuole scrivere un libro su quella vicenda, aprendo di nuovo ferite mai rimarginate, ma non solo quelle legate all'omicidio.

Il film originale, vincitore di un Oscar, che ha dato l'abbrivio all'omonimo film americano qualitativamente mediocre.
Decisamente questo, invece, è un ottimo film che si muove su più piani.

Come Thriller funziona alla perfezione. La trama si regge sul dettaglio della foto, un'idea inverosimile, ma usata nel modo giusto, funzionale per la trama senza affossare la credibilità complessiva. L'indagine, tutta svolta nel passato, lascia però dei buchi che si vanno ampliando nella linea temporale contemporanea. Il thriller si compone anche di una serie di colpi di scena (almeno due) che rendono realmente imprevedibile lo sviluppo della storia.

Ma oltre al thriller c'è una storia d'amore, nominata all'inizio, ma poi sempre mostrata in via indiretta e mai dichiarata con la coppia di protagonisti strepitosi nel mostrare sentimenti trattenuti e suggerendo quello che nella versione americana viene costantemente dichiarato. Questa seconda storia, che è il vero motore immobile dell'intera vicenda (e determina la lente deformante con cui ognuno dei personaggi guarda al passato), è il vero valore aggiunto di un thriller che altrimenti sarebbe piuttosto semplice.

Interessanti le due linee temporali, utili ai fini dei colpi di scena, ma anche e soprattutto a creando un distacco, una portata esistenziale alle due vicende davvero ragguardevole. Inoltre la parte romantica della vicenda, come già detto, risulta la lente originale attraverso cui questo passato viene filtrato aumentandone i significati.

Inoltre il film si compone di un dettaglio non indifferente; i personaggi di contorno. L'ecosistema all'interno degli uffici è ricreato in maniera incredibilmente verosimile, con una serie di personaggi di contorno che, con poche battute, riescono a dare il senso di una psicologia completa e della complessità dei rapporti sociali. Ovviamente su tutti regna il goffo collega alcolista dalle intuizioni geniali.

Ultimo dettaglio, che dettaglio non è, la regia. Per lo più buona, sembra lavorare molto sulla fotografia (calda, avvolgente, un tantino eccessiva) e abbastanza sulla costruzione delle scene, ma senza esagerare. Da lodare la famosissima scena dello stadio, un lungo piano sequenza aiutato tantissimo dal digitale che rappresenta più una prova muscolare delle capacità dell'industria cinematografica argentina che non un guizzo d'autore; tuttavia rimane una manovra gustosissima che è un piacere da guardare.


mercoledì 25 aprile 2018

Affetti & dispetti (La nana) - Sebastián Silva (2009)

(La nana)

Visto in Dvx.

Come tutti mi sono approcciato a questo film credendo ci fosse una nana... invece pare che il modo ispanico per definire la tata, la governante. Perché c'è una governante come protagonista, che da 20 anni (ora ne ha 40) vive e si occupa della casa e dei figli di una coppia altolocata e con quella famiglia ha intrecciato un rapporto "famigliare", fatto di preferenze, risentimenti e affetti; purtroppo per lei il suo rapportarsi così profondo non è ricambiato dalla famiglia che, pur con le migliori intenzioni e buoni sentimenti, continua a considerarla una governante e non una parente. L'affiancamento con una ragazza che dovrà darle una mano farà esplodere la sua gelosia.

L'idiota titolo italiano sembra voler vendere una commediola cretina, mentre questo è il classico film indie festivaliero. Macchina da presa a mano, inquadrature tutte sui personaggi stretti al massimo dentro a figure intere, ma preferibilmente a mezzi busti, fotografia naturale, assenza di musica. Tutto questo senza però i tempi morti che il luogo comune vorrebbe. Perché tutto sommato Silva si muove bene; fa un film di sentimenti senza mai abbassare il tono; mantiene l'attenzione dello spettatore nel ripetersi delle dinamiche con gocce di ironia che non strappano mai grasse risate, ma incollano alla vicenda, perché non fa mai esplodere sentimenti all'americana, ma regala una gamma completa di emozioni con il giusto distacco (tantissimo) e il doveroso rispetto per lo spettatore. Di fatto imbastisce una storia con una competenza e una professionalità che sono più invidiabili della vicenda stessa, facendosi supportare da una protagonista incredibile, perfetta per la parte e dalla faccia amimica che riesce a trasmettere tutte le emozioni in gioco.

venerdì 6 aprile 2018

Perdona e dimentica - Todd Solondz (2009)

(Life during wartime)

Visto in Dvx.

A quasi dieci anni di distanza Solondz torna dalla stessa famiglia di "Happiness", con le relazioni complicate che la caratterizzano, ma immersa in un ambiente più ansiogeno (l'america di quegli anni, non mostrata nel film, ma evocata dal titolo). In più ci aggiunge una componente ebraica che avrebbe dovuto essere presente già nel primo film, ma che venne eliminata (il che è un peccato, visto che buttata li a caso non sembra avere nessuna motivazione, mentre se fosse stato spiegato che il padre pedofilo era un "gentile" inviso alla famiglia, avrebbe avuto un suo senso).
Se l'idea di per sé è quasi interessante, l'effetto finale è terribile.
Tutto sembra stonato. Il grottesco è tirato ai massimi livelli, ma senza la grazia e l'organizzazione del primo film ottenendo solo effetti ridondanti per far piangere continuamente i personaggi o cercare di far ridere a denti stretti (il fantasma che torna a insultare la donna, la madre che parla al figlio del suo appuntamento); non c'è più quell'equilibrio magistrale che rendeva ruvido, ma geniale il film precedente e, senza quello, tutto il castello di carte crolla.
Inoltre i personaggi sono molti, ma quasi tutti di contorno, le vicende girano attorno a 3 di loro e, quasi, nessun altro.
Curiosa anche la scelta pedissequa di sostituire tutti gli attori; con i cambiamenti di persona si notano anche alcuni piccoli cambiamenti di carattere dei personaggi (Trish da frigida e quadrata madre di famiglia, diventa una desperate housewife, Allen da ragazzo cn grossi problemi sociali e sessuali diventa un ex tossicodipendente con spunti di criminalità, ecc...); esperimento curioso in cui non riesco a capire se i cambiamenti siano stati voluti nella sceneggiatura o siano stati figli del diverso casting.
Una fotografia magistralmente patinata e qualche spunto intelligente non possono ripagare di un film noioso e pretenzioso.

mercoledì 12 aprile 2017

REC 2 - Jaume Balagueró, Paco Plaza (2009)

(Id.)

DVD lingua originale sottotitolato in inglese.

Il film parte dove si è interrotto il precedente. Il condominio di Barcellona è stato isolata e la squadra di pompieri è scomparsa all'interno. Un gruppo di militari viene mandato all'interno capeggiato da un ieratico medico. La missione della squadra si rivelerà piuttosto ardita e complessa e finirà in un prevedibile macello.

Il film a livello estetico è la copia del precedente; anzi lo copia proprio in tutto. Intelligentemente i registi partono esattamente dal minuto successivo alla fine dell'altro per poter sfruttare un ambiente e una storia già collaudata; purtroppo non riescono a fare il salto e a rendere questo secondo capitolo indipendente.
Per prima cosa raddoppiano i punti di vista, con due gruppi indipendenti che si sfiorano e si inquadrano a vicenda quasi senza interagire in maniera significativa. Un'idea tutto sommato negativa, ammazza il mood con un ritorno a zero a metà film; e l'idea che raddoppiando i punti di vista dovrebbe raddoppiare la paura è quantomeno risibile.
Inoltre nel tentativo di cambiare qualche carta in tavola vanno a far saltare le idee migliori del primo capitolo; su tutte il lento muoversi da spazi più ampi a quelli sempre più angusti con l'aumento di claustrofobia e d pericolo percepito, il vero fiore all'occhiello dell'opera precedente; qui è tutto un muoversi sguaiato nel condominio, lanciando strizzatine d'occhio a chi ha visto la storia precedente, ma senza riuscire a bissarne il terrore.
Un secondo capitolo che mantiene i luoghi comuni dei seguiti, sembra fatto solo per aumentare gli incassi non le idee. Comunque ancora un film guardabile con qualche momento WTF.

lunedì 3 aprile 2017

Ricky, una storia d'amore e libertà - François Ozon (2009)

(Ricky)

Visto in tv.

Una donna con già una figlia si innamora di un uomo con cui decide di convivere; avranno un figlio, ma presto due lesioni sulla schiena del bimbo porranno dubbi alla donna per quanto riguarda l'affidabilità del compagno che verrà cacciato. Le lesioni però si dimostreranno essere due ali in nuce che si svilupperanno con incredibile rapidità...

Il film si mostra fin da subito come un'opera di Ozon, non tanto per i contenuti, quanto per l'estetica; una fotografia impeccabile (dai colori più contenuti rispetto a quanto ci ha abituati il regista francese, ma sempre scelti con cura) e una regia geometrica; le inquadrature sempre dense con immagini sempre riempite dalla presenza dei personaggi o dagli oggetti di contorno.
A livello estetico quindi, seppure con le ovvie differenze dovute al tono del film, siamo sempre dalle parti dell'ottimo cinema di Ozon ed è un piacere.
Ancora una volta poi, il regista si diverte a realizzare un film in cui i generi si fondono e i canoni vengono sbaragliati; il film inizia come un'opera drammatica intima, ma dai risvolti sociali e, a metà, devia verso il fantastico, con brevi accenni di verosimiglianza (le reazioni dei familiari, dei medici e dei giornalisti) per poi sfociare in un finale da commedia (in senso letterale), un relief dalle brutture precedenti dato da una speranza non meglio giustificata.
Il problema non è il cambio in corsa (che anzi, è un momento ben riuscito), quanto che dalla seconda metà in poi il film sembra girare a vuoto; incredibilmente il dramma sociale dell'inizio regge bene, ma i fantastico sembra presto pretenzioso e senza alcuna utilità che non sia la scena finale.

venerdì 27 gennaio 2017

Giallo - Dario Argento (2009)

(Id.)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato.

Una hostess va a trovare la sorella che abita a Torino, ma proprio il giorno del suo arrivo, la sorella viene rapita da un maniaco che sembra accanirsi sulle belle donne. Cerca aiuto in un ispettore italo-americano dai metodi bruschi; talmente bruschi che dopo due volte in cui le insiste accetta che anche lei si metta ad indagare con lui.

Loffio thriller di un Argento bollito che, sulla carta, sarebbe anche abbastanza buono. Senza idee illuminanti, e senza novità, potrebbe fare il suo sporco lavoro, con una caccia all'uomo e un finale assolutamente insperato. A questo si dovrebbe aggiungere una fotografia nitida e funzionale oltre che l'utilizzo di qualche ottima location fuori dagli schemi (ad Argento si può dire di tutto, ma come sfrutta lui Torino lo fanno pochi altri).
Purtroppo però, al di là di tutto ciò, il film fa acqua da tutte le parti. La sceneggiatura non riesce a rimanere seria troppo a lungo e comincia a inanellare una serie di WTF dovuti più alla pigrizia e alla disattenzione, piuttosto che all'incapacità. Il cast internazionale fa accapponare la pelle; Brody che fa il duro non è credibilissimo, ma almeno lui il suo lavoro lo porta a casa, la Seigner invece è ingiustificabile; non recita sopra le righe, non recita neppure malissimo, ma sembra sempre spaesata o svogliata; purtroppo lei sembra più in linea con gli altri attori del povero Brody. I personaggi stereotipati a questo punto sono un problema secondario. Tutto sa costantemente di finto, di artificioso e la regia abbastanza gradevole riesce comunque a inserire sbagli clamorosi (flashback introdotti a forzi nelle scene come neanche un parvenu farebbe). Le buone location, che dicevo poc'anzi, sono sprecate da un atteggiamento anempatico; non sono sfruttate in senso drammatico per come lo intendeva Hitchcock, ma neppure sono minimamente messe in relazione con i personaggi o utilizzate da un punto di vista più schiettamente horrorifico.
Ma sorpattutto: perchè Brody deve interpretare anche l'antagonista con chili di trucco per farlo risultare diverso?! Non è uno spoiler perché questa scelta non ha motivi nella trama. A cosa è servito? per risparmiare i soldi, pagando una attore in meno? No perché questa scelta assurda (assieme a un trucco di poco migliore di quello di Ruggero De Ceglie) riesce a rendere ancora più amatoriale un prodotto raffazzonato e più idiota un personaggio.

Non è neppure il classico brutto film di Dario Argento; è solo un filmetto mediocre con punte di ironia involontaria.

lunedì 12 dicembre 2016

Il mio amico Eric - Ken Loach (2009)

(Looking for Eric)

Visto in tv.

Un operaio della dura e pura working class di Manchester vive con il figlio e il fratello, irriverente e distante il primo, problematico e invischiato in traffici poco chiari il secondo. La figlia di primo letto gli ha dato un nipote che tiene alternativamente con la ex moglie. In un momento di totale fallimento personale, difficoltà sociali e rimpianti per ciò che non c'è più gli appare Eric Cantona. Una proiezione della sua mente che gli da suggerimenti di vita, lo spalleggia, lo consiglia e gli scioglie tutti i problemi che l'hanno attanagliato fino a quel momento.

Incredibile vedere un film di Ken Loach, in totale stile Ken Loach (macchina a mano, ambiente proletario, fotografia dai colori pastello), ma dalla trama hollywoodiana, da commedia alla Frank Capra (con la gente normale messa di fronte a delle sfide che vince con l'essere sé stessa e supportata da una comunità bislacca, ma buona). C'è un fondo drammaico in questo film, che in una qualunque pellicola precedente di questo regista avrebbe generato agnizione in maniera cruda, qui invece è la base per la rinascita, per la felicità.

La scelta di Cantona come spirito guida riesce a più livelli. Il volto stranito del calciatore è perfetto; il suo dare consigli banali con frasi fatte è un dettaglio antologico che viene sfruttato. Ma soprattutto quello che viene realizzato con la scelta di Cantona è uno scarto rispetto alla filmografia di Loach; pur rimanendo in un contesto dove l'aspetto sociale è fondamentale, per la prima volta la lotta di classe viene messa sullo sfondo per andare più in profondità; i personaggi non sono utilizzati per mostrare la vita dura della working class o i loro sentimenti, ma ne mostra lo spirito, la storia, i miti e la cultura. Il passaggio dal disegnre il disagio sociale (come ogni etnografo snob saprebbe fare) alla descrizione della mitopoisi permette di mettere in luce i rapporti sociali che cementano i rapporti (dando al calcio una dignità che la Cultura alta non gli concederebbe mai), ne riconosce l'aspetto culturare che sfrutta per i già citati insegnamenti di vita, ma anche come forma d'arte a sé stante (vengono mostrati diversi gol di Cantona, sottolineandone il gesto atletico, mostrandone la bellezza estetica e dichiarando l'effetto catartico sul pubblico).
Loach, pur parlando del contesto, per la prima volt sembra voler capire i suoi personaggi.

mercoledì 16 novembre 2016

About Elly - Asghar Farhadi (2009)

(Darbareye Elly)

Visto in Dvx.

Un gruppo di amici si prende qualche giorno di vacanza al mare, con le varie coppie (sposate!) si aggiunge un amico in cerca di una compagna e una ragazza, insegnante della figlia di una coppia e amica di amici. Durante la vacanza un incidente fa irrompere la tragedia, quando finalmente il dramma rientra si rendono conto la ragazza è scomparsa, è fuggita o è scomparsa nell'oceano? e l'uomo che continuava a chiamare chi è?

Film precedente al bellissimo e ambiguo "Una separazione" di cui sembra una emanazione.
Con il capolavoro successivo condivide la medesima messa in scena; una ambientazione "neorealista" (quanto è oramai abusato questo termine per descrivere il cinema mondo iraniano?); una fotografia verosimile, ma tirata a lucido; una macchina da presa a mano che però non lesina nella costruzione delle scene e nella gestione degli spazi (così come degli attori sulla scena).

Ovviamente però quello che fa la differenza è la trama e la gestione di ciò che succede. A fronte di una prima metà solare, non proprio commedia, ma uno spaccato di vite in una giornata felice, dal momento dell'incidente nell'oceano si scoprono le carte e quello che si vede è che la verità non esiste. In primo luogo non si riesce a capire che cosa sia successo; Elly se ne è andata come aveva paventato o è scomparsa al largo tentando di salvare il bambino? se ciò fosse dov'è finita la sua borsa? Anche qui dunque inizia a essere evidente che la verità non potrà comunque essere dimostrata. La verità instabile risulta meno programmatica che nel successivo; tuttavia qui si innesta presto un altro fattore; la menzogna e l'omissione. SE in "Una separazione" la verità è di per se irrintracciabile, qui si dimostra che tutti nascondono qualcosa, tutti mentono e tutti omettono; nessuno in malafede, tutti candidamente, ma ognuno si adopera attivamente per nascondere la verità proprio mentre la sta cercando.
Inoltre, dopo un'apertura solare, il film si chiude nella cupezza, perché una volta che si è esplicitata l'inaffidabilità delle persone, il dubbio altera le coppie e distrugge i rapporti sociali e nessuno ne è indenne.

venerdì 1 aprile 2016

Sin nombre - Cary Fukunaga (2009)

(Id)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gangster messicano (se non ricordo male) affiliato a una banda viene pizzicato troppo spesso con la sua ragazza anziché a gestire gli affari del gruppo, il capo, in un momento di alterazione si vendicherà con eccessiva violenza; il ragazzo a sua volta cercherà vendetta mettendosi contro tutto il gruppo; per salvarsi dovrà scappare e per farlo salirà su "La bestia", il treno dei migranti ispanici verso gli USA, li sopra incontrerà una ragazza hondurena che lo seguirà nonostante lui cerchi di allontanarla.

La trama sembra banale e, a conti fatti lo è; c'è una storia d'amore in nuce, c'è un rapporto virile che si spezza, c'è la ricerca di salvezza e e quella di redenzione, c'è una caccia all'uomo. C'è parecchia roba che sa tutta di già visto, ma è innegabile il fatto che venga trattata in maniera abbastanza delicata (dove serve) o superficiale (se serve per non affossare il film) da rendere il già visto interessante e catchy per tutta la durata del film.

Dietro la macchina da presa Fukunaga si muove invisibile, imbastendo un racconto sorretto, più che altro, da una fotografia realistica unita a una costruzione delle inquadrature equilibrata e simmetrica. Un modo elegante per fare un film di fiction con tutti i crismi pur mantenendo un alone di veridicità. Un metodo che in questo caso paga, creando un film, non imperdibile, ma che, una volta cominciato, devi portare a termine (e non è poco).

venerdì 19 febbraio 2016

J'ai tué ma mère - Xavier Dolan (2009)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un 17enne gay vive con la madre divorziata, i due si amano, è evidente, ma è altrettanto evidente che hanno torppe idiosincrasie che li portano a scontri più che frequenti e alla, quasi, totale mancanza di dialogo. La routine, fatta di liti, urla, riconciliazioni traballanti, (spesso dovuta alla follia di lei) esplode e si porta dietro, come conseguenza, l'incarceramento del ragazzo in un collegio.

Potente opera prima di un Dolan appena 19enne. Questo dettaglio fa specie, non tanto per l'aderenza del regista/attore con il personaggio (personalmente mi interessa poco che siano le opinioni di prima mano di un adolescente in presa diretta), ma quanto per la regia articolata, fantasiosa, ma raffinata, mai eccessiva e piuttosto matura.
La costruzione delle immagini è il vero, grande punto di forza del film. Questo assieme alla reale forza nel veicolare il significato del film (il particolare rapporto di amore/odio fra madre e figlio) sono i due motivi per cui recuperare il film.
Detto ciò ora iniziarò una pedissequa (e incompleta) descrizione della regia che continuerà fino al capoverso.
La regia è fantastica e articolata, dicevo; caratterizzata da immagini in presa diretta alternate a sequenze con una precisa costruzione spaziale delle inquadrature (sempre statica, sempre con i personaggi incastrati nello sfondo, spesso inquadrati da soli in un angolo dell’inquadratura); uso delle luci per differenziare gli ambienti e le scene; intermezzi con il protagonista (lo stesso Dolan) ripreso in primissimo piano in bianco e nero che snocciola filosofeggiamenti banalotti; e introduzione delle nuove sequenze con un montaggio serratissimo di immagini statiche (foto o dipindi posti sulle pareti); infine ci sono degli inserti realizzati come tableau vivent che rappresenta quello che pensa o sente il protagonista sotto forma di un’immagine statica. Grandi linee è trutto qua, ma in realtà per capire come tutto questo funzioni (ma anche cosa ho tralasciato) bisogna vederlo.

Quello che ne viene fuori è un film piuttosto meccanico nella struttura, realizzato da un nuovo regista che si ispira ai contemporanei (basta Leone, Kurosawa o Welles) e che ha delle capacità pazzesche data la giovanissima età e l’inesperienza, e riesce a tirare fuori uno stile unico, particolare e granitico senza le sbavature di solito legate all'opera prima (i piccoli difetti di montaggio, di raccordo, l’assenza di scene aggiunte inutili, ma che danno ritmo). Con questo stile riesce a dare ritmo e a tenere in piedi un film imperfetto senza mai un minuto di noia.

Si perché la storia è interessante e, sulla carta, piuttosto originale; il rapporto fra madre e figlio indagato come un rapporto d'affetto obbligato e quasi involontario nonostante l'odio che continuamente si stimolano a vicenda. Purtroppo la sceneggiatura è di Dolan stesso che, pur avendo anche qui grandi capacità, ha il difetto dell'età e si trastulla nell'autoindulgenza, in un personaggio materno con scatti di follia immotivati e con dettaglio d'inconsistente banalità (terribile il rapporto madre-figlio del compagno del protagonsita, un luogo comune di un rapporto aperto e felice, programmatico ed eccessivo, sempre, quasi farsesco).
C’è qualche sprazzo di rapporto a due adulto fra la madre e il figlio, ma per la magigor parte del tempo è solo uno sfogo adolescenziale costantemente dalla aprte del figlio.

In ogni caso un film enorme, da vedere e che da il là a una filmografia che, adesso, intendo recuperare.

venerdì 12 febbraio 2016

Kynodontas - Yorgos Lanthimos (2009)

(Id.)

Visto in DVx in lingua originale sottotitolato in inglese.

Una coppia di genitori oltre la mezza età tiene i 3 figli (ormai adulti) rinchiusi in una grande casa con enorme giardino. I figli credono che non si possa toccar eil terreno fuori dal giardino se non rischiando la vita, ma si può farlo andando in macchina. Purtroppo non si può varcare il cancello se primo non si sono persi i canini e non si può guidare se prima non sono ricresciuti. Inoltre i genitori hanno spiegato che i gatti sono gli animali più pericolosi in assoluto, e modificano le parole dando a quelle più imbarazzanti (parolacce ovviamente, ma anche tutti i riferimenti a oggetti o luoghi oltre i muri di casa come autostrada o mare) significati diversi (autostrada è un materiale con cui si costruiscono i pavimenti, telefono è la saliera, figa è un tipo di lampada). In tutto questo la vita prsegue, con rapporti sessuali forniti al figlio con donne pagate e giochi infantili.

Se l'idea di base (una famiglia oltre la disfunzionalità) non è originale, è anche vero che di solito questo tema viene utilizzato in generi di nicchia (soprattutto l'horror); personalmente trovo queste idee ormai scontate, ma sempre interessanti per le molteplici inclinazioni che possono prendere le vicende e per l'indubbia fantasia che bisogna mettere per render eil pretesto credibile e articolato.
Qui la creazione del microcosmo è molto dettagliata, si nota lo sforzo di costurire un mondo assurdo fino allo stremo, ma pur sempre verosimile; tuttavia l'intento metaforico è preponderante (cosa negativa) e lo svolgimento è molto pretestuoso, noioso e programmaticamente malato; la storia non esiste, si limita alla pedissequa descrizione della famiglia.
Il che è un peccato, perché lo sforzo di fantasia aveva portato a buone intuizioni (le già citate parole dal significato distorto, ma anche il dialogo silenzioso per non farsi sentire dai figli); però è evidente che l'operazione ha solo un intento intellettuale autocompiacente.
Un film sul modello di "Bad boy Bubby" (anche per gli intenti metaforici e intellettuali), ma meno incisivo e visivamente interessante (non ho neppure voluto sollevare il fatto che gli attori evitino di recitare per dare un senso di apatia che però si trasmette come un'incapacità di fare le cose fatte bene); si lascia guardare, ma si crogiola troppo nel suop essere estremo.