giovedì 22 ottobre 2020
Poor cow - Ken Loach (1967)
Visto su Mubi, in lingua originale sottotitolato.
Una neo mamma è sposata con un uomo che la maltratta e che vive di furti, finito in galera andrà a vivere con un amico del marito, stesso problema per portare a casa i soldi, ma è gentile e realmente innamorato... finirà pure lui in carcere.
Primo film per il cinema di Ken Loach (aveva già realizzato degli episodi la BBC) è un figlio del free cinema di quegli anni, con già presente lo sguardo sociale che il regista sfodererà negli anni, senza troppa politica e con grandissimo sentimento per i suoi personaggi.
Quello che viene fuori è un film sul lato b della società inglese, l'altra faccia della swinging london, ma senza che vi siano ricerche di giustizia o responsabilità politica, anzi, con un animo leggero lontanissimo dal dramma (che vi si accenna solo nel finale, ma è questione di una sequenza che si risolve per il meglio).
Regia al servizio degli attori che si lancia in giochi di montaggio che rompono la ripetitività (la preparazione della zia per la serata). Cast adatto, ma con qualche caduta, una protagonista che perfetta e la presenza di Stamp che è sempre magnetica anche quando non fa il pazzo.
Il film è godibilissimo e vive interamente sulle spalle della sua protagonista, una donna nel contempo succube della società da cui si lascia tiranneggiare senza accorgersene (il rapporto con il marito) , ma dallo spirito libero quando messo nelle condizioni di esserlo. Figlia del suo tempo, ma non puritana, vive con serenità la sua vita in costante ricerca d'amore.
Non è un film positivo, né negativo, è solo un ritratto di una donna ricco di sentimenti.
venerdì 23 agosto 2019
Angeli violati - Kôji Wakamatsu (1967)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.
Di notte, un uomo con problemi nel gestire la propria sessualità, viene invitato a entrare in un convitto di infermiere per spiare due di loro che fanno sesso. Pessima idea che esiterà in un massacro.
Film dell'innovativo Wakamatsu, completamente figlio dei suoi tempi, volendo, fondamentalmente, mostrare un modo nuovo e più libero (sia nei temi che nella regia) di fare cinema.
L'effetto finale è un breve film di tensione e violenza che, se fosse rifatto oggigiorno, sfocerebbe nel torture porn; qui invece, rimane più il thrilling senza speranza delle protagoniste con uno scioglimento finale inaspettato.
Quello che salta subito all'occhio nella costruzione dell'opera è la buona fotografia in bianco e nero che riesce a rendere gustosa ogni scena e si concede alcuni, studiati, momenti di colore (il primo, a mio avviso, poco risucito, il secondo stupendo). La macchina da presa mobilissima, invece, è si un tentativo lodevole di dare dinamismo a una vicenda ambientato nelle stesse due stanze dall'inizio alla fine, ma viene poi svilita da un uso eccessivo e spesso mirato più a reiterare le stesse inquadrature che a dare significato.
Complessivamente un film interessante che però, nonostante gli indubbi pregi, non mi ha colpito particolarmente e, mi spiace ammetterlo, anche annoiato un poco nonostante il minutaggio striminzito.
venerdì 5 aprile 2019
La valle delle bambole - Mark Robson (1967)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Tre ragazze con il sogno di sfondare nel mondo dello spettacolo (...beh a dire il vero solo una lo sogna, una ne entra a far parte per caso, la terza è solo troppo bella per non farne parte); ognuna di loro riuscirà a sfondare (chi più chi meno), ma ognuna pagherà a caro prezzo il successo.
Film sul prezzo della fama e su come le vite dorate dei divi possano non essere davvero dorate; niente di nuovo in definitiva. Ma questo è un film curioso. La trama è incredibilmente scontata; pur con tematiche potenzialmente graffianti non riesce mai ad uscire dal prevedibile, non riesce mai a colpire davvero e si risolve in un enorme melodrammone dal numero di sfighe incalcolabile con chiusura morale.
Risulta però incredibile come esistano film che, pur non essendo riusciti, azzecchino perfettamente lo spirito del periodo. Questo film è uno di questi, l'estetica funziona perfettamente (fotografia, colori, costumi, acconciature, interni, ecc...) e riesce a essere un manifesto incredibile degli anni '60 dell'upper class americana. L'effetto è aiutato anche da un paio di momenti arty (messi in mezzo a una regia altrimenti mobile il giusto, ma senza guizzi), come quello del training e la pubblicità, che potrebbero essere delle opere di video art radical chic sixties.
Complessivamente un film godibile, con alcune pesantezze di troppo. Si fa irrimediabilmente enfatico nel finale melodrammatico dove perde ogni verosimiglianza.
venerdì 6 luglio 2018
Il figlio di Godzilla - Jun Fukuda (1967)
Visto qui, doppiato in inglese.
Un gruppo di scienziati si trovano su un'isola del pacifico per alcuni esperimenti meteorologici; verranno raggiunti da un giornalista d'assalto, ma, sfortunatamente, anche da Godzilla, richiamato da una serie di onde prodotte da un uovo (spoiler: sarà il figlio di Godzilla). Più che con il lucertolone, gli umani, in questo caso, saranno messi a dura prova da una serie di mantidi religiose giganti e, nel finale da un altrettanto gigante ragno.
Per la seconda volta dietro la macchina da presa Fukuda riprende tutte le caratteristiche salienti del film precedente. Fotografia accesa, regia dinamica, un gusto spiccato per l'avventura e un tono leggero (che con le musichette pimpanti rischia talvolta di finire nella farsa).
L'effetto è piuttosto buono, ma, ci sono due ma. Il primo è l'ottima fattura degli altri kaiju, soprattutto le kamakuras, che rendono giustizia allo spirito disneyano che permea i film della serie diretti da Fukuda; il secondo però è il figlio di Godzilla (chiamato Minilla!)... e non ne ho un'opinione altrettanto positiva...
Minilla è l'idea più orribile dell'intera saga fino ad ora. Ridicolo e obiettivamente brutto, un pupazzo poco credibile dall'espressione cogliona che vorrebbe dare una componente più umana alla vicenda, ma riesce soltanto ad annacquarla. il suo contributo alla trama è il susseguirsi noioso della medesima dinamica ripetuto diverse volte: Minilla va in giro, viene molestato da un altro kaiju e chiama Godzilla in aiuto; ok voler motivare lo scontro fra kaiju, ma questa diluizione è deleteria.
Peccato per questa virata verso il ridicolo che affossa una coppia di film che avevano azzeccato finalmente il piglio scanzonato giusto per traghettare il franchise dall'horror puro al prodotto per famiglie.
PS: in realtà, all'epoca, fu u successo enorme (soprattutto fra i bambini) e il finale strappalacrime (che a me ha ricordato "Shining") commosse le platee.
mercoledì 22 novembre 2017
Il serpente di fuoco - Roger Corman (1967)
Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Un uomo vuole provare dell'LSD, la assume a casa di un suo amico; l'esperienza (l'intero film è il suo trip) sarà molto altalenante, tra lo stupefacente e l'angoscia.
Difficile fare un film intelligente e paraculo nello stesso tempo; eppure anche in questo Corman sembra azzeccarci. Commercialmente sul pezzo, come produttore, riesce a sfornare un film sfrontato fin dal titolo (originale) e dal sottotitolo (a Lovely Sort of Death), che però riesce a racchiudere seriamente una parte dello zeitgeist dell'epoca. In anticipo di due anni sul film manifesto "Easy rider" (con cui condivide solo la superficie, ma di cui è, di fatto, il genitore più prossimo assieme a "The wild angels") e uscito precisamente durante la summer of love, questo film si dimostra incredibilmente calato nella sua epoca; ma è evidente che Corman ha un occhio al botteghino in più rispetto a quello che si crederebbe.
Per la filmografia del regista va anche ricordato che questo è anche uno dei primi film del periodo post-Poe.
Se lo si guarda come documento storico il valore aumenta; scritto da Nicholson, interpretato da Peter Fonda, Dern e Hopper e una fotografia semplicemente calzata sul decennio (colori acidi, location adatte) e un lungo trip che tocca tutti i temi della rivoluzione sessuale, il mondo metafisico, l'insight, il sesso. Meno filosofico (e meno pretenzioso) rispetto a "Easy rider", anche qui c'è il manifesto di un'epoca.
Dietro la macchina da presa Corman si muove continuamente (nei primi dieci minuti è un continuo passare da un carrello all'altro, da una panoramica all'altra) e utilizza la musica alla maniera di Scorsese. Poi inizia un acid movie fatto di sovrapposizioni, proiezione di immagine sui corpi, montaggio rapidissimo e sequenze senza costrutto. Anche al netto delle fighetterie imposte dalla trama rimane un film innovativo per lo stile di Corman, ma ancora di più se si considera che aveva appena chiuso il suo periodo su Poe. Anche al netto di tutti i difetti che io per primo gli imputo, rimane uno dei film più estetici del regista, dove le immagini ha un impatto notevole e dove, per ottenere questo effetto, c'è una delle più brillanti collaborazioni fra tutti i compartimenti della produzione del film.
lunedì 10 aprile 2017
Nick mano fredda - Stuart Rosenberg (1967)
Visto i Dvx.
Un giovane Newman viene arrestato per una bravata. Inizialmente sembra sottomettersi alle regole del carcere e si guadagna lentamente l'amicizia e la stima degli altri carcerati. All'improvviso decide di tentare la fuga... che durerà poco; ma abbastanza per avere un aumento della pena e un inasprimento delle condizioni di vita. Proseguirà, testardamente, come se niente fosse successo, continuando a tentare la fuga.
Sinceramente non sono molto documentato sulla questione, ma credo sia uno dei primi film di tema puramente carcerario (c'erano già stati "Io sono un evaso" o "La parete di fango" o le derivazioni sui campi di concentramento come "Stalag 17", ma tutti questi sono film di prigionieri, per lo più durante la fuga; non c'è una proposizione della vita all'interno del carcere con la stessa determinazione e per tutta la durata dell'opera).
Il film è una godibile descrizione della vita carceraria con una fotografia calda e precisa e una regia standard che riesce in alcuni acuti (bella la sequenza delle uova con inquadrature sempre diverse, immagini in avvicinamento e montaggio rapido); la trama è eccezionalmente fluida nonostante la monotonia del racconto e la narrazione viene sempre resa facilmente.
L'argomento mi è sembrato più la testardaggine contro un ambiente rigido e il rimanere uguali a sé stessi nonostante le avversità, piuttosto che l'anelito alla libertà; in questo senso vedo poche basi per il futuro "Le ali della libertà" con cui l'ho visto spesso paragonato.
Ottimo Newman che timbra il cartellino con stile in un bel personaggio che avrebbe meritato di essere sfruttato di più.
Un film estremamente godibile, talmente godibile da essere apprezzabile più che memorabile.
mercoledì 27 maggio 2015
Gli occhi della notte - Terence Young (1967)
Visto in Dvx.
Una donna da poco divenuta cieca è sposata con un tizio di cui non ricordo il lavoro, a viaggia parecchio per questo motivo; un giorno lui porta a casa una bambola avuta da una donna che non conosce su un aereo; passano i giorni, la bambola viene persa, ma arrivano delle persone che vogliono metterci sopra le mani.
Film che arriva dal teatro di cui si può notare l'unità di luogo (tutto si svolge nella casa della donna cieca). Questo che usualmente è un difetto che si cerca di evitare ambientando scene di congiunzione in esterni, qui semplicemente non si nota. Non ci sono tentavi di uscire più del dovuto, né c'è un grosso lavoro d'inquadrature astruse per dare un ritmo diverso al film (come dovette fare Lumet per rendere digeribile un film complesso come "La parola ai giurati"). Young dirige sicuro, ma senza fronzoli, non si fa mai vedere, ma il ritmo è sempre mantenuto.
La Hepburn da vita a una delle sue migliori interpretazioni (per me); non che sia credibile come non vendente (anzi, il contrario), ma è proprio nel recitare che diventa completamente credibile in ogni angoscioso momento. Di supporto, fra i villain c'è un Arkin da manuale, un poco psicotico, un poco viscido, decisamente pericoloso.
La storia complessivamente poco credibile (con i tre bruti che mettono in scena una truffa incredibilmente complicata con travestimenti) è piuttosto articolata, ma il lavoro della regia la rende assolutamente accettabile e riesce a far scorrere bene anche i momenti più ostici.
Lo showdown finale è ovviamente uno dei momenti migliori.
Questo è, e rimane, un film non fondamentale, ma decisamente una prova encomiabile per un regista che dell'invisibilità sua e dell'invincibilità dei suo personaggi ha fatto una cifra stilistica.
venerdì 15 maggio 2015
L'incidente - Joseph Losey (1967)
Visto in Dvx.
Un professore universitario, amico di uno studente, è attratto dalla sua fidanzata; ne verrà sedotto anche l'amico del professore (anche lui insegnante). Non si arriverà mai a nulla di che, ma le tensioni fra i tre si faranno sempre più evidenti. Dopo l'incidente automobilistico (che c'è a inizio film), la ragazza semplicemente se ne andrà.
Secondo film della coppia regista/sceneggiatore Losey/Pinter dopo lo strepitoso "Il servo". Anche in questo film è evidente l'interesse a fustigare la società inglese (andando a toccare il fiore all'occhiello, ma anche l'emblema borghese, delle università d'alto livello), ma rispetto al precedente c'è meno fantasia, meno guizzi, meno cattiveria.
Questo è un film tutto teso a mostrare (senza farlo mai troppo) il lento esplodere delle tensioni latenti (che tanto latenti non sono), arrivando anche a creare una situazione in cui lo scontro fisico venga realizzato con il beneplacito di tutti. Nella realtà della realizzazione però questo è un film dove la trama si dipana lentissima, pigramente rilassata; ci sono più persone sdraiata a prendere il sole qui che a Jesolo in agosto; gli attori si limitano a chiacchierare tutto il tempo, bevono come idrovore e giocano spesso a cricket.
Indubbiamente la regia ci prova a dare dinamismo, con continui movimenti di macchina, carrelli, zoom e un montaggio che gioca molto sui dettagli; tuttavia non basta a creare interesse e non annulla il difetto peggiore di questo genere di film a tesi (senza una idea solida alle spalle), che è il cazzeggio mentale.
Bella l'idea dell'incontro fra i due vecchi amanti in una lunga sequenza in cui i due attori recitano senza mai parlare, il dialogo è lasciato alle loro voci fuori campo.
Bravi gli attori (come sempre ottimo Bogarde), che però devono sopportare di recitare per tutto il tempo come fossero annoiati.
mercoledì 8 aprile 2015
C'era una volta - Francesco Rosi (1967)
Visto in Dvx.
Campania borbonica, il principe ereditario se ne va a zonzo per i suoi possedimenti pur di sfuggire alle sette pretendenti mogli; incontra una popolana di cui s'innamora e, come sempre quando si è alle elementari, per dimostrarlo le tira le trecce, lei farà lo stesso finché non saranno divisi. Si cercheranno, si ritroveranno, ma per allora dovranno dimostrare di poter superare qualche prova per poter vivere insieme.
Un film disimpegnato (tratto da "Lo cunto de li cunti" di Basile) con due grandi attori di grande richiamo (Sharif e la Loren)... beh è evidentemente un prodotto alimentare (anche se alla base ci dev'essere stato un intento culturale), tuttavia la scelta inspiegabile di affidarsi a Rosi per la regia ha del folle e dell'affascinante (e del temerario). Di fatto non è che il film diventa un altro, ma pur essendo una fiaba dalla struttura canonica e dai voli di fantasia (banchetti di streghe, santi che volano, giochi cavallereschi) le location e tutti i comprimari hanno una verosimiglianza incredibile (specie tra i popolani e le streghe ci sono volti che valgono un intero film) e la scelta degli interni, belli, ma non da cartolina, sono una contrapposizione affascinate.
Poi quello che ne risulta è pur sempre una fiaba, ironica (l'asino che produce oro, i dispetti dei due innamorati, i santi che vanno ripigliare Giuseppe da Copertino), che si guarda volentieri con qualche momento di stanca con il ritorno al palazzo.
Altro grosso motivo d'interesse (per me, cresciuto a Disney) è una favola parlata con accento napoletano.
Poi quello che ne risulta è pur sempre una fiaba, ironica, che si guarda volentieri con qualche momento di stanca con il ritorno al palazzo.
mercoledì 8 ottobre 2014
La calda notte dell'ispettore Tibbs - Norman Jewison (1967)
Visto in DVD.
Credo di non spoilerare nulla che il titolo già non sottolinei dicendo che la storia è quella di un poliziotto afroamericano del nord degli USA di ritorno da un viaggio (è andato a trovare la madre, visto che è un bravo ragazzo) si trova nella sala d'attesa di una stazione del sud, verrà accusato dell'omicidio di un uomo dallo sceriffo (scorbutico e razzista). Chiarito il fraintendimento i due saranno costretti a collaborare per scoprire l'assassino.
Film incredibilmente solido e roccioso, riesce a tenere in piedi in maniera degna almeno 3 mood distinti: un sudatissimo noir del sud, il classico whodunit (questo è forse quello più invecchiato, regge ancora, ma ha un ritmo ormai superato) e la questione razziale.
Tutti e tre questi ambienti riescono a confluire l'uno nell'alto in maniera perfetta mentre sullo schermo duellano continuamente la coppia di protagonisti. Da una parte un Sidney Poitier ormai adattatosi alla parte dell'afroamericano che lotta contro i pregiudizi; dall'altra un Rod Steiger enorme che si divora ogni scena anche soltanto con il suo sguardo disilluso ed il suo continuo masticare (meritatissimo Oscar).
Jewison sceglie una regia incollata ai suoi personaggi, a tratti voyeristica nell'insistere con primi piani e ì dettagli di oggetti o mani.
Infine la colonna sonora, con in testa l'omonima canzone cantata da Ray Charles è assolutamente sul pezzo.
venerdì 15 febbraio 2013
Il libro della giungla - Wolfgang Reitherman (1967)
Visto in tv.
lunedì 28 maggio 2012
Tempo di divertimento - Jacques Tati (1967)
Visto in DVD.
mercoledì 4 gennaio 2012
Frank Costello faccia d'angelo - Jean-Pierre Melville (1967)
Visto in DVD.

Bisogna ringraziare wikipedia per la precisione millimetrica nella descrizione della trama...
Film estetico più che dinamico, tutto è giocato su linee nette, colori precisi (i surreali interni color grigio-azzurro asettico) e distacco completo. Tutto è preciso, duro e gelido, un noir senza parole, perché le parole non servono a descrivere nulla, quasi non recitato, perché i volti non devono descrivere nulla. Tutta la comunicazione è lasciata alle scene. Su tutto regna la figura eremitica di Alain Delon che, senza muovere mai un muscolo del viso, ruba, uccide e fugge sembrando sempre incredibilmente cool.
giovedì 26 maggio 2011
La maledizione di Frankenstein - Terence Fisher (1967)

Film della Hammer con Cushing, che sulla carta dovrebbe essere un buon prodotto (con “sulla carta” intendo che è un film della Hammer con Cushing,per questo l’ho guardato)… e invece…
Invece è un film spezzato a metà, in cui la prima parte è un melodrammone scontanto che solo alla fine si accontenta di mettere una conclusione non banalmente consolatoria. La seconda parte sarebbe un buono spunto per un pregevole film di serie b… tutte e due le parti però sono insignificanti, fatte alla meglio tanto per tirare a campare senza nessun guizzo. Di nessun tipo, in nessun campo. E con poco, pochissimo, sangue.
Un film solo per completasti di Cushing.
sabato 16 aprile 2011
La farfalla sul mirino - Seijun Suzuki (1967)
Visto i n DVD.

Questo film a dirla tutta è abbastanza facile. Un killer viene assunto per uccidere un certo numero di persone, per un po va tutto secondo i piani, ma proprio quando deve eliminare il personaggio più importante una farfalla si poggia sul suo mirino impedendogli il colpo. Nessun killer può sbagliare senza che il datore di lavoro cerchi vendetta, e gli vien messo alle costole un suo collega.
Prima cosa, Suzuki è un maledetto genio della regia. Tutto il film è un susseguirsi di immagini costruite in maniera totalmente estetizzante, con campi e contro campi irreali, scenografie esagerate (basti pensare ai muri pieni di farfalle ad esempio), macchina da presa mobilissima (c’è una falsa soggettiva da urlo) e addirittura un restyling delle vecchie mascherine utilizzate per rappresentare la pioggia o per sottolineare un oggetto rendendo l’inquadratura più interessante (il ring nel finale). Si insomma, una regia originale, esteticamente impagabile e veramente innovativa…
Poi però la storia da ragione alla casa di produzione. Cioè si capisce bene quel che succede, ma sono troppe le cose inutili; i passaggi sterili; il finale che sfocia nell’idiozia completa (quando il killer fantasma decide di abitare con la sua vittima); o le parti pretestuose (come gran parte dell’inizio, anche se ha una sua utilità; ho il reiterato sniffa mento del riso bollito che non aiuta a costruire il personaggio ne a far avanzare la sotria). Complessivamente quindi, sembra che il regista abbia creato la storia solo per permettersi il lusso di costruire determinate inquadrature, assoggettando la sceneggiatura alla sola regia e non alla fruizione.
Esteticamente impagabile, ma non è obbligatorio reggerlo tutto in una volta.
PS: credo non sia un caso se l’omicidio attraverso il tubo di scarico del lavandino ci sia anche in Ghost Dog…
giovedì 11 novembre 2010
Quella sporca dozzina - Robert Aldrich (1967)
Visto in VHS.
Se la "Sposa in nero" è l’origine di "Kill Bill", questa sporca dozzina è lo scheletro di "Bastardi senza gloria". C’è tutto, un manipolo di animali da galera vengono reclutati per una missione suicida, andare nella francia occupata dai nazisti e ammazzarne quanti più possono in un castello. Per farlo dovranno prima essere addestrati e dimostrare il loro valore.
Una sceneggiatura impeccabile, granitica, testosteronica e ironica crea personaggi perfetti e intramontabili; sorretti da un cast all star davvero invidiabile e all’altezza. Su tutti, ovviamente spiccano Lee Marvin (ma va?!) e il magnifico Charles Bronson (ma va?! di nuovo). Magnifico anche Savalas nella parte del maniaco sessul-religioso; se non avessi visto prima Kojak credo che assocerei la sua faccia solo a questo personaggio.
Aldrich poi si concentra sui personaggi, con una regia senza troppi vezzi, ma anche senza sbavature, assolutamente all’altezza dell’opera da realizzare.
Un pezzo di storia del cinema troppo poco considerato rispetto al suo reale valore. Puro intrattenimento di classe.
giovedì 10 giugno 2010
Il massacro del giorno di San Valentino - Roger Corman (1967)
Visto in DVD
Cronaca delle azione che portarono Al Capone a compiere il noto massacro del titolo nel 1929.
Corman stavolta gioca alto, nessun film horror con mostro da far vedere nel finale, nessun film post apocalittico, e poi, non ci giurerei, ma c'ha pure un budget migliore del solito, e si permette il lusso di un film in costume; e Corman ci da dentro.
Non siamo affatto dalla parte della serie B, ma da quella dei dignitosi film anni '60, ma Corman che stavolta ha i numeri dalla sua vuole tentare l'autorialismo. Se si escludono i primi piani, per tutto il film la macchina da presa non è mai ferma, è tutto un carrello o una camera a schiaffo (ecco, quelle forse si potevano anche diminuire senza sentirne troppo la mancanza), negli esterni poi è tutto un florilegio di dolly, con la camera che segue una macchina solo per abbandonarla in favore di un passante, per poi abbandonarlo per inquadrare la macchina che gli interessava inquadrare.
Il film si lascia seguire bene, afflitto solo un poco dall'eccesso di voce fuori campo che presenta i personaggi o ne anticipa la fine (splendido nelle sequenze finali quando parla ad uno ad uno di quelli che moriranno e li introduce dicendo "nella sua ultima mattina di vita..."), ma in fondo vuole essere una cronaca, e come tale va presa, coi suoi difetti.
Unico nei il cast, non per intero, ma talvolta si vede che non sono proprio Marlon Brando.
PS: c'è una scena dove Capone uccide uno a colpi di mazza da baseball, mi chiedo, è un episodio reale oppure De Palma ha voluto citare questo film?